Vestri Luigi. Nacque a Firenze nel popolo di S. Pier Maggiore la mattina del 23 aprile 1781 da Gaetano di Luigi Maria Vestri, primo cancelliere del tribunale esecutivo, e da Apollonia di Andrea Soldelli ; e fu battezzato il 24 detto coi nomi di Luigi, Andrea, Giorgio, Giuseppe, Maria. Compiuti gli studi agli Scolopi, fu iniziato al Foro, e ammesso poi nel tribunale con rescritto del granduca Ferdinando, come ajuto di suo padre. Ma la Legge non aveva per lui alcuna attrattiva, sicchè un giorno, datole un addio, passò all’ospedale di Santa Maria Nuova per darsi agli studi di anatomia e fisiologia con l’intento di diventar chirurgo. Nè questa ancora, benchè dopo due anni desse di sè le più liete speranze, egli sentiva essere la sua via. Le recite con dilettanti della città, tra' quali ei fu non ultimo mai e tal volta primo, lo esaltarono, specie quella del Filippo, che Alfieri fece in sua casa, rappresentando egli stesso il protagonista, e affidando a lui il Gomez. Ma si venne al 1799, e al Vestri toccò la sorte di tanti giovani, forse, nella fiamma di amor della patria, un po' troppo audaci : di essere cioè insultato e percosso dalla popolaglia, e chiuso nelle carceri del Bargello, dalle quali uscito dopo breve tempo, nauseato di siffatte inique persecuzioni, abbandonò Firenze e la Toscana, senza sapere ove il suo buon genio lo guidasse. E andò a Milano. Quivi l’incalzar della miseria e della fame lo indussero a tentare, indarno, di trarre qualche profitto da' suoi studi di chirurgia ; e, per sollecitudine di un amico fiorentino, tornò in patria, trattato col maggior de' rigori dal padre, che mal pativa l’animo ribelle di lui, e sopr' a tutto le sue inclinazioni all’arte del teatro, la quale soleva essere guardata allora dalla gente austera, come quasi disonorante. Quanto più dunque essa attraeva il giovine, tanto meno egli sperava di potersi dare a lei col consenso paterno. Che fare ? Turbato, contrariato, disperato, senza una guida, senza un piano determinato, senza l’ombra de'mezzi, il 1804 ricorse di nuovo all’espediente della fuga, in cerca di una compagnia che lo accogliesse nel suo seno a qualunque costo ; e la trovò a Perugia. Le cronache non ci dicono quale essa si fosse, ma non è dubbio che la prova riuscisse eccellente, se l’anno dopo lo vediam generico della rinomata Compagnia Consoli e Zuccato, di cui era primo attore Gio. Angiolo Canova, l’artista pregiato, il maestro solertissimo, che lo addestrò nelle parti di tiranno e di padre. Passò il 1806 in Compagnia del caratterista Andrea Bianchi, della quale era primo attore il gran De Marini, che, udito il giovine artista, e capite subito le sue chiare attitudini alla scena, lo consigliò ad assumer le parti del capocomico, il quale annuì di buon grado a esser da lui sostituito, facendolo esordire il carnovale del 1807 al San Benedetto di Venezia, dove il Vestri, nel nuovo ruolo si acquistò la stima e la benevolenza ë l’amore di ogni classe di pubblico. Da quella del Bianchi passò il 1809, socio, nella Compagnia del Dorati, e da questa il 1812, scritturato, in quella del Blanes, per formar poscia il 1816 un’ottima Compagnia assieme ad Angelo Venier, della quale era prima attrice Carolina Internari, fiorente di giovinezza e di gloria, e colla quale andò il '18 al Teatro Valle di Roma, scritturato per un triennio e per tre stagioni (primavera, autunno e carnovale) dal Duca Torlonia con 12,000 scudi romani ogni anno, destandovi il più schietto e vivo entusiasmo, giacchè allora, ad allargar la cerchia del suo repertorio, e ad acquistar nova gloria al suo nome, si diede alla interpetrazione e rappresentazione di quei caratteri così detti promiscui, che lo fecero in breve il signore assoluto della scena. Ma, ahimè, il carnovale del 1822 volle forse abbracciar troppo, abusando della idolatria che i romani avevan per lui ; e, proprietario di due Compagnie nella stessa Roma, impresario del Teatro Apollo per la messa in iscena di due opere e quattro balli, vide in un attimo, gli affari volti al male, perduto ogni suo risparmio, perduta per molti anni, volendo a ogni costo far fronte sino all’ultimo centesimo agli assunti impegni, la maggior parte del suo stipendio, ch'era di 16,000 lire.

La morte del celebre artista Pertica fu la vita nuova del Vestri, il quale, chiamato dal Fabbrichesi a sostituirlo nella Compagnia Reale ai Fiorentini, ov'era ancora il celebre De Marini, benchè sulle prime vi trovasse il pubblico arcigno oltre misura, andò gradualmente trascinandolo al delirio, specie con L'odio ereditario del Cosenza, fino a essere condotto dopo una recita a casa in trionfo, cosà rara se non unica – accenna il biografo Scifoni – per un artista drammatico.
Da quella di Napoli, passò il '29 dopo la morte del Righetti alla Real Compagnia di Torino, nella quale stette fino al '41, per andare come attore e direttore di una nuova Compagnia formata da Carlo Re, proprietario del vecchio Teatro di tal nome in Milano, che esordì la quaresima al Teatro Obizi di Padova, dove si manifestarono i primi sintomi del tumor maligno da cui fu condotto al sepolcro in Bologna la mattina del 19 agosto di quell’anno medesimo, in così misero stato finanziario, da non lasciare il danaro sufficiente alla spesa dei funerali, fatti solennemente mercè pubbliche offerte, e così descritti nel giornale Il Felsineo dall’attore bolognese Augusto Aglebert :
Il giorno 21 agosto la campana della chiesa di S. Benedetto suonava il tocco dei morti, e quivi radunavasi il popolo che vivo l’ammirò, a impetrar requie all’anima di Luigi Vestri. — Pregava con tetra melodia l’ultime voci di pace la musica solenne del valentissimo maestro Marchesi, il quale ne dirigeva la esecuzione, ed egli e tutti i professori filarmonici e cantanti, artisti ed amatori che trovavansi in Bologna, prestavano gratuitamente questo doloroso tributo. Parevano più onnipossenti quelle armonie, più pene
Il Bartolini a Firenze aveva scolpito un busto del celebre artista, ridente da un lato, piangente dall’altro, che offerse a Bologna, e che fu collocato nella Galleria degli Angeli. Sul cippo è la seguente iscrizione di M.r Arcangelo Gamberini :
ALOISIO. VESTRIO
domo. florentiaqui. roscianam. laudem. emulatuscomicorum. sui. temporis. princepshabitus. estvixit. a. lx. dec. xiiii. k. sept. m dccc xxxxisodal. concordesin. scena. per. otium. agentespec. conl. posob. offerita
La bontà dell’animo suo fu quasi proverbiale. Certo a quella non corrispose l’ordine, l’equilibrio nella condotta ; chè, incurante del danaro e del domani, scialacquava a tal segno da trovarsi il più spesso, al momento di lasciare una piazza, in angustie tormentose : e si vuole che, senza tener conto della sua paga annuale, avesse potuto colle sole beneficiate lasciare ai figliuoli non men di 200,000 lire. Quando una misera compagnia si trovava vicina alla sua, si volgeva a lui per soccorso ; ed egli, se il suo dovere glie lo consentiva, accorreva subito, e con una recita la sollevava lì per lì dalle abituali ristrettezze. Mentre si trovava al San Benedetto di Venezia, con un’accolta de' più egregi artisti, quali la Internari, Lombardi, i Venier, Berlaffa, e vedeva ogni sera il teatro rigurgitare di spettatori, andò al San Gio. Grisostomo la Compagnia Toffoloni composta di mediocri artisti, e vi ebbe, naturalmente, la più meschina fortuna. Ma ricorsa all’allestimento di un nuovo lavoro spettacoloso : Vita, delitti e morte del celebre assassino Giuseppe Mastrilli, vinse la curiosità del pubblico, il quale fu tanto colpito dalla novità dell’opera, e sopr'a tutto dal valore artistico del Gallina, che ne sosteneva il protagonista, che per ben venti sere affollò il teatro, lasciando deserto il San Benedetto. Immagini ognuno la sorpresa e la bile del grande artista ! Come fare ? Egli annunziò subito la goldoniana Bottega del Caffè, commedia di sicura attrattiva, specialmente a Venezia e recitata dal Vestri, sperando di scuoter di nuovo l’apatia del pubblico per la sana commedia e l’arte sana : triste delusione ! Il teatro non contò quella sera oltre cinquanta spettatori. Egli allora si tolse la parrucca, si mise il cappello, si buttò sulle spalle un mantello, e si recò in platea, dove, ordinato all’orchestra di cessare dai suoni, cominciò a dire : « Grazie anzitutto, o Signori, della vostra fedeltà ; ma io desidero che non restiate qui ad annojarvi in questa specie di deserto ; e in cambio della Bottega del Caffè, vi do una sala della Trattoria del Selvatico, dove dividerete con me una modesta cena che ardisco di offerirvi. Naturalmente, io e i miei siam pronti a recitare ; e non avete che a fare un cenno, secondo il vostro diritto, perchè io corra a dare gli ordini. » Prima un silenzio glaciale, poi uno scoppio di risa accolse lo strano invito ; ancora qualche parola del Vestri, ancora qualche titubanza del pubblico ad accettare. Ma, in conclusione, la recita non ebbe luogo, e di lì a due ore, parte degli spettatori si recò davvero al Selvatico, ove trovò imbandita una sontuosa mensa con gran dovizia di cibi e di bevande, rallegrati dai motti di spirito e dall’umor gajo e giocondo dell’anfitrione.
Anche dell’arte sua incomparabile abbiam testimonianze grandissime, di cui metterò qui alcune delle più chiare e men sospette di poca sincerità.
Di Niccolò Tommasèo :
Luigi Vestri rifaceva ripetendo, eseguendo creava. Dolce e chiara favella, viso trasmutabile per ogni guisa d’affetto, l’ingegno non digiuno di lettere, onesto il sentimento. Volgeva le chiavi del riso e del pianto ; della vita sentiva il duplice aspetto, e lo ritraeva con libera agevolezza, per quasi innata facoltà. Erano in quella persona l’arte consumata e la schietta natura in mirabile modo più che unite, miste. All’udirlo, la moltitudine si commoveva di allegria e di pietà, l’artista rimaneva pensoso ammirando. Con un cenno ei rendeva un carattere ; con una modulazione di voce avvivava una scena.
Di Felice Scifoni :
A vederlo, pareva che la natura lo avesse creato non ad altro che al genere comico : era pingue della persona, aveva il ventre sporgente innanzi ; alto però quanto si conveniva, non notavi nelle sue membra alcuna increscevole sproporzione. Piacevole fisonomia ; negli occhi, nelle labbra e nella fronte, potenza di esprimere le più interne commozioni dell’animo, senza stento nella severità o nella tenerezza, senza sconcezze nel ridicolo ; sì che più volte non proferendo parola, non movendo mano, seppe con un solo sguardo scuoter la moltitudine attonita, atterrirla o rallegrarla secondo che dimandassero le trattate passioni. Da quel punto ch'egli entrava sulla scena fino a che non ne fosse uscito, era tutto immedesimato nel personaggio che prendeva a rappresentare : nè v' era imprevista circostanza che mai potesse farlo uscire dalla qualità ch' ei vestiva : non lo vedevi dardeggiare gli sguardi nei▶ palchi o nella platea, mentre l’altro attore ch'era in scena con lui favellava ; non ammiccare al suggeritore ; non mendicar le parole ; non distrarsi insomma in quelle cose, da cui anche gl’ infimi tra' nostri comici sarebbe ormai tempo cessassero, perchè non addimandano sublimità d’ingegno, ma solo diligenza ◀nei proprj doveri, amore dell’ arte che professano, rispetto verso quel tremendissimo giudice innanzi a cui stanno.
La sua voce era chiara, aggradevole, risonante ; se non che nelle più alte commozioni degli affetti forse con troppa forza tuonava ; ma altri che il Vestri avria potuto in quel punto rattenere la foga delle passioni, egli non già, che troppo sentiva altamente. Nel pronunziar delle sue parole udivi tutta la gentilezza del favellare toscano, ma vi trovavi, dallo studio e dal continuo correre per l’Italia, rimosso ogni senso di aspirazione. Ogni personaggio, per quanto fosse di poca importanza nel dramma, diventava nelle sue mani importantissimo, ed ebbe in ciò una rara potenza creatrice, perchè appunto il suo recitare non era di sole parole, ma scrutando con sottilissimo accorgimento e filosofia nel costume che l’autore aveva espresso nel personaggio ch' ei prendeva a rappresentare, ogni volger di occhio, ogni movenza della persona informavasi da quello….
Di Luigi Carrer :
Potrebbe chiamarsi quasi la mostra del gusto predominante in un popolo, secondo ch' egli si studia maggiormente piacere per via della serietà, o dello scherzo, potentissimo com’egli è in doppia prova. Mirabilmente attemprandosi ai diversi caratteri che rappresenta, non mai sveste certa aria sua naturale che può dirsi il tuono fondamentale d’ogni sua musica. A molti parrà questo difetto ; a me sembra l’indizio più sicuro e palese del genio, che modifica una parte di sè, giusta i diversi soggetti che tratta, ma serba intatta una parte per farsi conoscere nella sua essenza, che mai non muta. Però non manca chi il dice monotono in alcuni suoi lazzi e movenze : pur v'è chi risponde esservi in lui la stessa monotonia che nella natura. Se in generale fosse men nobile ne' suoi portamenti, le genti, avvezzate al peggio, mal saprebbero rimproverargli le alcune volte ch' ei rinnega sè stesso per seguire il mal vezzo degli' istrioni dozzinali : e ciò, perchè non si dica soverchiamente sfoggiato il mio panegirico.
Ma il Carrer dettava queste parole, quando il Vestri era ancora a Napoli col Fabbrichesi : e lo Scifoni, accennando al difetto, quando l’artista era in Compagnia Reale Sarda, così conclude :
Notavano in esso gli intelligenti che alcuna volta, troppo compiacente all’ uditorio, nel rappresentare le parti comiche scendeva alquanto dalla sua dignità, abbandonandosi a certe facezie che poco si convenivano. Erano queste a dir vero come lampi che rompono il tranquillo sereno di una notte estiva, ma pure spiacevano in un artista che aveva ingegno e forza da correggere in questa parte il mal gusto popolare. Or dunque il Vestri aveva anche tolto da sè quella menda, facendo come Goldoni, che prima blandì l’universale per farsene signore, e poi, quando lo potè trarre a voglia sua, lo indirissò pel retto cammino.

A cotesto difetto, per altro, dello strafare accenna anche Francesco Righetti (op. cit.), proprio al tempo in cui il Vestri era nella Compagnia Reale Sarda, accusandone piuttosto il pubblico che l’artista ; ma poi, dopo di aver detto che Vestri sa commovere il cuore quando la circostanza d'una scena patetica lo esige, conclude : nessun altro attore in Italia, al pari di lui ha saputo destare tanto diletto nelle parti ridicole, e cattivarsi l’aura popolare.
Nè men larghi di lode al genio dell’artista furono gli stranieri. Il Byron nel suo diario, alla data del 6 gennaio 1821, a Ravenna, scrive :
Parlato col conte Pietro Guiccioli del comico italiano Vestri, che è ora a Roma. L'ho veduto spesso recitare a Venezia. Un assai buon attore : un po' manierato, ma eccellente nell’alta commedia, come nel sentimentale patetico. Egli mi ha fatto spesso ridere e piangere : effetti non facili entrambi da prodursi ora sul mio animo, almeno da un commediante.
Il Platen, alla data del 15 ottobre 1824, a Venezia (Viaggio in Italia), scrive :
In S. Benedetto oggi si è data una commedia di Goldoni : Il Burbero benefico, degna almeno di essere ascoltata. Vestri che faceva il Burbero è un attore che non ha il suo simile. Egli non può mostrarsi senza essere subito applaudito. Oggi egli fu chiamato fuori al secondo atto. Venne, si allontanò di nuovo, ma il pubblico non era ancora contento, ed egli dovette venir fuori un’altra volta.
Al degna almeno di essere ascoltata del Platen, va attribuito un significato in contrapposto alle produzioni straniere e italiane inascoltabili, ond’ eran invasi i nostri teatri. Al principio del diario di Venezia (24 settembre) egli dice infatti :
Abbiamo finalmente da otto giorni qui una Compagnia che recita al teatro S. Benedetto di proprietà della famiglia Gallo. La Compagnia Fabbrichesi è reputata la migliore in Italia, e infatti essa ha un pajo di artisti – De Marini e Vestri – che nel loro genere non lascian nulla a desiderare ; ma delle commedie che furon date finora una fu sempre peggio dell’altra…. Sempre gli stessi intrighi : è in tutte una scena di riconoscimento, un figlio perduto, ecc. Sarebbe una fortuna straordinaria vedere almeno una commedia di Goldoni e ne' costumi del paese ; poichè i lavori dati finora eran tedeschi, olandesi o inglesi.
Nella vastità e varietà del suo repertorio eran da notarsi, come quelle che gli avevan data maggior fama, le opere seguenti : La Restituzione, commedia in 5 atti di ignoto tedesco, tradotta liberamente da Filippo Casari, e rappresentata al Giglio di Lucca il 12 giugno del’ 26 per beneficiata della caratteristica Francesca Fabbrichesi ; Il Berretto nero del barone Gio. Carlo Cosenza ; L'Odio ereditario pur di Cosenza ; Dev'esser uno e sono quattro, traduzione di Filippo Casari ; Gli Eredi della WaisenThurn del Teatro Imperiale di Vienna ; Il Benefattore e l’ Orfana di Nota ; Il Medico e la Morte ; La Bottega del Caffè di Goldoni ; La Serva amorosa di Goldoni ; Filippo di Scribe ; Malvina di Scribe ; La famiglia Riquebourg di Scribe ; La Leggitrice e il Cieco ; Don Desiderio del Giraud ; Il Poeta fanatico di Goldoni.
Fra le tante carte del Vestri che io posseggo è anche l’inventario dei mobili esistenti nell’alloggio ch'egli occupava a Torino, e che vendè a Samuel Levi e C. per 1500 franchi, quando abbandonò la Compagnia Reale Sarda. I mobili dovevano essere consegnati entro i primi di marzo del 1841, e la nota in cima all’inventario porta colla firma di Luigi Vestri, la data de' 10 agosto 1840 : un anno prima della sua morte.
Curiose erano anche le sue più vecchie scritture teatrali. Io ho quella di Luigi Forti colla data del 22 gennajo 1822, tutta riempita di mano del Vestri e da lui firmata. Consta di quattro articoli brevissimi, e comprende una paginetta e mezzo di stampa a grossi caratteri.
Delle sue tante lettere riferisco in fac-simile, ma un po' rimpicciolita, questa, indirizzata all’impresario Pietro Somigli, in cui è accennato al come si trovasse male nella Real Compagnia di Torino : alla quale si riferisce un’altra a Domenico Righetti da Torino, senza data, in cui risponde negativamente alla domanda di lui di voler conoscere il motivo della sua partenza dalla Compagnia, e conclude : « Ciò che ora mi ha determinato si è di tal peso che niuna cosa potrebbe rimuovermi, ed il maggior dispiacere lo forma il non potertene ora manifestare il motivo. »
Recitando egli nel R. Teatro del Giglio in Lucca nella primavera dell’anno 1826, gli ammiratori del suo merito gli offerirono il seguente sonetto, la sera di sua beneficiata, che fu il 10 di giugno :

Grecia favoleggiò che in forme centoProteo cangiasse ognor modi e sembiante ;ma sol oggi Tu avveri un tal portentovantato a lungo, e non mai visto innante.Che se destar vuoi'l riso, e s’ hai talentoche in pianto sciolga il popol circostante,il clamor cessa, ed il represso a stentosingulto a contener non è bastante.Ebbe i suoi ludi, è ver, Roma ed Atene,ma di motti scurrili, ed immodestilazzi contaminâr le patrie scene.Non così Tu, che a senno tuo sapesticiò che lice imitar, ciò che sconvienea' detti arguti, ed a' giocosi gesti.