Paganini Onofrio. Milanese. Compiuti gli studi di lettere umane, si diede alle scene, recitandovi gl’innamorati col nome di Odoardo, e restando lungo tempo nella Compagnia di Antonio Marchesini. Essendo a Torino il 1748, dedicò a Madama di S. Gili nata Carpanè l’ Esopo in Corte del Boursault, tradotto da Gaspare Gozzi. Si fece poi capocomico e fu al San Gio. Grisostomo di Venezia al servizio di S. E. Grimani. Nel 1753, andato Antonio Sacco in Portogallo, il Paganini lo sostituì con nuova compagnia per quel teatro, che però non piacque. Costretto a rifornirsi di nuovi elementi, scritturò tra gli altri Giuseppe Zanarini e la moglie Rosa Brunelli (V.), mantenendo così la promessa fatta nell’ Addio, recitato l’ultimo giorno del precedente carnevale dalla prima attrice Francesca Torri, di cui ecco alcune strofe :
Chi di Sorte il cieco donoamò più del suo decoroloro infuse l’abbandonoper saziar sua fame d’oro.E noi pochi e senza lena,travagliammo con gran pena.Senza forze e senza Attori,o almen pochi ed ignoranti,privi affatto degli Autoriche i lor parti dieno e tanti,come mai darvi piacerenel difficile mestiere ?Come mai…. Ma verrà un giornoch'io tornando a queste sceneavrò nuove genti intornodi bel spirito ripiene,che le cose altrui ben chiaresapran meglio recitare.
Tornato Sacco, Paganini condusse la sua compagnia in Toscana, nel Genovesato e in Lombardia, nè mai più pose piede a Venezia. Nel '63, recandosi per mare da Genova a Livorno, fu sorpreso da tal burrasca, che si dovette gettar in mare tutto il carico della compagnia, lasciando nella nave la sola mercanzia di un ricco negoziante il quale, giunti in salvo nel porto di Livorno, risarcì pienamente il Paganini del danno sofferto. L'autunno di quell’anno andò al teatro della Sala in Bologna, con una Compagnia di cui eran parte principale la Brunelli e il secondo innamorato Carlo Magni. Passò il carnovale dalla Sala al nuovo teatro pubblico, accordato per la prima volta a'commedianti, e tornò a Bologna al teatro Formagliari il carnovale del '65 ; ma la compagnia, privata della Brunelli, non vi fece incontro. Fu in Portogallo e in Ispagna, con poca fortuna : e, tornato in Italia, pensò di riformar la compagnia, scritturandovi per un anno la Faustina Tesi. Morì improvvisamente a Venezia la quaresima del 1776. Dice Fr. Bartoli ch'egli parlava egregiamente all’improvviso, che giocava il secondo Zanni a meraviglia, e scriveva in poesia con molta grazia ; la sua figura teatrale non era delle più adatte al personaggio dell’innamorato, perchè piccola e pingue oltre misura. Il Bartoli, secondo il solito, si scaglia, in difesa del Paganini, contro il Romanzier del Teatro che a pagine 45 e 64 del primo volume, così lasciò scritto :
Trovai l’Impresario. Era questi un uomo picciolo e grosso, con una faccia rotonda, e sanguigna. Aveva una voce imbrogliata ed oscura, e pareva che le sue parole uscissero dall’esofago d’uno che mangiasse. L'ho trovato in veste da camera, con una berretta bianca in testa, fatta a pane di zucchero. Apriva la cassetta de'denari, e pria di cavarne, baciava certa immagine stampata che là dentro teneva. Ogni volta, mi disse, che incomodo il mio scrignetto, dò questo bacio, e finora tanti ne diedi, che più non c’è numero. Cominciai a sospettare che fosse un Ipocrita. Sbrigati ch'ebbe alcuni operaj che attendevano soldi, mi chiese, con un’eloqueuza da scena, in che potesse avere la bella sorte e l’onor di servirmi. Gli dissi che un qualunque posto io bramava nella sua Compagnia. Mi oppose subito cento difficoltà, e quando seppe ch'io non aveva mai recitato, quasi quasi mi tolse d’ogni speranza. Dissemi essere necessario ch'io parlassi colla prima Donna per raccomandarmi a lei. Sono Impresario, soggiunse, ma deggio, in molte cose, da essa dipendere. Ella è brava, ma per dirvela in confidenza, il Diavolo è qualche cosa più buono di lei. Se le dò il menomo disgusto non si contenta d’onorarmi col titolo di giumento, ma mi balza agli occhi come una furia, e se non usassi prudenza menerebbe le mani. Finito l’anno corrente, la lascio per chi la vuole, e gramo quel misero che se la piglierà. Intanto, Figlia mia, tenetevela pure con essa ; se volete ottenere quanto bramate, e col tempo…. chi sà ?… siete Ragazza, bella, spiritosa, d’una nazione che piace, e forse forse diverrete la più famosa delle Commedianti. Ciò detto mi toccò una guancia con una compiacenza più che paterna, s’ingalluzzò, e mi fece avvertita che al Vecchio volpone ancora piacevano i pomi, benchè non avesse più denti.Quel botticino, recitava sul gusto del passato secolo, e aveva la smania di far ancora quelle parti, che gli stavano bene quarant’anni avanti. Nel mondo comico gli uomini sono soggetti ai pregiudizj del sesso Donnesco, quando si tratta di età. Non vogliono persuadersi mai d’esser vecchi, e senza denti in bocca balbettano cose amorose. Negli inviti al Pubblico ci entrava sempre il procureremo di superar noi medesimi ; e quando invitava per qualche Commedia del Goldoni, qualunque fosse, la chiamava la più bella che avesse fatta quel celebre Autore. Recitando all’improvviso diceva sempre le stesse cose, colle stesse parole ; eppure da'Commedianti che stavano tra le ventitrè e le ventiquattro, era riputato uno degli ultimi grandi uomini dell’arte. Chiamava ognuno suo Monarca volesse, o non volesse, e adulava perfettamente.
Riferisco anch'io volentieri i sonetti pubblicati dal Bartoli, come saggio dello stile poetico del Paganini, e come prova della stima in cui lo tennero uomini egregi.
Per l’acclamata memoria della perfetta arte Comica professata dalla Società dipendente dal governo del Signore Onofrio Paganini, avendone dato un cospicuo saggio nel pubblico Teatro della Città di Pisa nelle sue recite di varie commedie l’estate dell’anno 1762.
Qual mormorio di voci si festiveoggi quà s’ode a rallegrarne i Cori ?fors’è che Apollo coll’Aonie DiveSparga delle sue glorie Inni Canori ?Di pace amico stuol quà dalle rivedell’ Adria, cinto il crin di rose e allorivantando il suo valor tra Fole argivesen venne a sollazzar gli alfei Pastori.Il genio teatral candide piumespiegando, va tra l’aure più serenesull’ Arno, ove n’appar suo chiaro lume.Del Paganini il nome alle Tirrenesponde vivrà, che per nuovo costumesenno e onestà trionfa in dotte scene.
Risposta d’ Onofrio Paganini al suddetto
Le tue dotte, Signor, rime festivesanno incantare ed obbligarsi i cori,tal che superbe le Castalie Divevanno, a ragion, de'versi tuoi canori.Aman tuo vago stil d’Arno le rive,che altro non fa, che meritarsi allori,quai meritò là sulle arene argivePindaro eccelso in fra gli achei Pastori.Per l’aereo sentier candide piumespiega Cigno sublime, e le sereneaure sormonta ov'è più chiaro il lume.E il tuo nome, o Signor, l’onde Tirrenerendan sempre immortal, qual per costumerend’io gli Eroi sull’erudite Scene.Per le rime antecedenti, Sonetto a Odisio e ad Onofrio dell’avvocato Gio. Francesco Lami.
Mentre voci sciogliete alte e festive,Odisio e Onofrio, a sollevare i cori,fanno nascer d’onor le Aonie Divebella gara tra voi, Cigni Canori.Vedo già risuonar d’Arno alle rivei nomi vostri, e a coronar d’alloriil vostro crin, dalle contrade argivecorre Apollo tra Ninfe e tra Pastori.Spiegaste entrambi l’onorate piumedi gloria a replicar l’aure serene,ond’io resto abbagliato a tanto lume.Veggan pur con stupor l’onde Tirrene,che di calcar seguite il bel costumeuno i dotti Licei, l’altro le Scene.