(1813) Storia critica dei teatri antichi e moderni divisa in dieci tomi (3e éd.). Tome II « CONTINUAZIONE DEL TEATRO GRECO E DEL LIBRO I — CAPO XI. Primi passi della Commedia Antica. » pp. 2-15
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(1813) Storia critica dei teatri antichi e moderni divisa in dieci tomi (3e éd.). Tome II « CONTINUAZIONE DEL TEATRO GRECO E DEL LIBRO I — CAPO XI. Primi passi della Commedia Antica. » pp. 2-15

CAPO XI.

Primi passi della Commedia Antica.

Frattanto la parte ridicola e satiresca de’ Cori che precedettero la poesia Tespiana, appartata dalla tragedia come scoria di niun pregio, errava pe’ villaggi sotto il nome di Commedia preso dal greco vocabolo κομαζειν banchettare. Ma il diletto che sebbene grossolano recava a tutti questo spettacolo, mosse alcuni comici sagaci a migliorarne la forma togliendo ad esemplare la Tragedia. Ed osservando poi che questa si arricchiva ne’ poemi eroici di Omero, vollero anch’essi giovarsi delle fatiche di questo gran padre della poesia, e presero ad imitare l’aria urbana salsa e graziosa del di lui Margite. Vennero allora in tanta fama che furono chiamati ed ammessi a rappresentare in città, ed al pari de tragedi ottennero i comedi dal Governo le spese delle decorazioni necessarie pel Coroa. Così quelle notturne querele che secondo lo Scoliaste di Aristofane i villani oppressi da’ ricchi andavano spargendo pe’ villaggi indi per le città, trovarono da poi ne’ poeti comici tanti zelanti patrocinatori de’ loro diritti offesi; ed il magistrato Ateniese permise che si pubblicassero i loro oltraggi in teatro; ed animò con ciò i poeti ad infamar poscia impunemente i cattivi e i prepotentia.

Se la voracità del tempo avesse rispettato il trattato della Commedia Antica di Camaleone, o la Storia Teatrale scritta da Juba re della Mauritania citata da Ateneo nel quinto libro, saremmo forse meno di quel chesiamo incerti in molte cose necessarie per illustrarla. Questi libri ci avrebbero somministrati lumi maggiori e sull’origine della commedia e sull’ordine cronologico de’ poeti comici. Tuttavolta la diligenza di molti valentuomini ha supplito in alcun modo alla perdita di quella preziosa storia e di quel trattato. Lilio Gregorio Giraldi, Isacco Vossio, Giovanni Meursio, Francesco Patrizi, squadernando i libri de’ commentatori, de’ lessicografi, degli scoliasti, de’ cronisti e de’ gramatici, ed approfittandosi di quelli di Ateneo, Suida, Esichio, Giulio Polluce, Stabeo, Plutarco, gettano in tanta oscurità qualche barlume. Chi ama di essere minutamente informato di siffatte cose, consulti le opere de’ riferiti scrittori. Noi intanto limiteremo le nostre cure a rilevare quelle notizie più sicure che appaghino la curiosità e rischiarino sobriamente la storia de’ predecessori di Aristofane senza opprimere la studiosa gioventù con rancide discussioni.

Secondo il prelodato Scoliaste di Aristofane ed il gramatico Diomede, il primo ad uscire sulla comica scena fu Susarione o Sannirione d’Icaria seguito da Rullo o Nullo e da Magnete. Aristotile però nella Poetica ci dice che i Megaresi di Sicilia pretesero che Epicarmo fosse stato l’inventore della commedia regolare, e che di non poco spazio preceduto avesse Connida e Magnete. Fiorì Epicarmo insigne filosofo non meno che comico illustre in Siracusa a’ tempi di Gerone il vecchio. Platone nel Teeteto lo decorò col titolo di principe della commedia, e Teocrito lo chiamò inventore di essa, avendole dato forma coll’introdurre nel teatro Siciliano il dialogo e gli attori. Il carattere delle di lui favole consisteva nel seminarvi acconciamente la sapienza pitagorica, e nella piacevolezza de’ motteggi. Plauto secondo Orazio nell’una e nell’altra cosa calcò le di lui vestigia. Licone presso Suida attribuiva ad Epicarmo trentacinque favole; ma Giovanni Meursio ne raccolse quaranta titoli, anzi dal racconto del medesimo Suida deduce che ne avesse prodotte intorno a cinquantadue. A cagione dei nomi di Niobe, Busiri, Filottete, Prometeo, Pirra, Atalanta, i Persi ecc., che si registrano tralle favole di Epicarmo, volle Martin del Rio collocarlo tra’ poeti tragici. Ma tale argomento è manifestamente fallace; perchè tutti i comici antichi che conosciamo introducevano sì bene i numi e gli eroi della mitologia, ma essi vi facevano meschina ridevole figura di scrocconi, tagliacantoni, mezzani, paltonieri, siccome la fanno in Aristofane Ercole, Bacco, Mèrcurioa. Essendo Epicarmo già vecchio era giovanetto Magnete Icariese, il quale secondo il medesimo Suida compose nove commedie, e rimase due volte vincitore. Formide, Evete, Eussenide, Milo non furono di molto ad Epicarmo posteriori. Dromone comico mentovato da Ateneo fiorì dopo di Sannirione, ed è diverso da Drumone o Drimone, il quale secondo Eusebiob fu più antico di Omero. A’ giorni di Sannirione e di Filillio vuolsi che scrivesse Diocle Ateniese o Fliasio. I titoli che ci rimangono delle di lui favole sono: Talatta nome di una meretrice secondo Ateneo, Thyestes, Bacchae, Melittae, Oniri. Corse fama secondo Suida di aver Diocle inventata certa armonia tratta dal suono di alcuni vasi di creta percossi con una bacchetta di legno.

Coltivarono l’antica commedia varii altri comici non molto dai nominati lontani, come Cratete, Archesila, Cherilo, Eviso, Apollofane, Ipparco, Timocle, di cui Ateneo ci ha conservato un frammento in lode della tragedia, nel quale afferma essere agli uomini utilissima, e Timocreonte, il quale ebbe nimistà con Simonide Melico e con Temistocle Ateniese, contro di cui scrisse una commedia. Altri se ne possono nominare, i quali o di poco prevennero Aristofane, o vissero contemporaneamente, o non molto dopo di lui. Tali sono Ermippo, Antifane, Eubolo, di cui Grozio rapporta qualche picciolo frammento della commedia intitolata Antiope; ed Esippo che scrisse una commedia detta Saffo; e Frinico comico più volte motteggiato da Aristofane, e che fiorì verso l’olimpiade LXXXVI. Alceo comico figlio di Micco era di Mitilene, e rinunziò alla patria per dirsi Ateniese. Lasciò questo comico dieci favole, una delle quali s’intitolava Pasifae, e con essa, secondo l’interprete di Aristofane nell’argomento del Pluto, contese con questo comico riputato nel quarto anno dell’olimpiade XCVII. Ma Gratino, Eupoli ed Aristofane furono i più chiari comici di tal periodo.

Trovavasi il teatro Ateniese nel colmo della gloria nell’olimpiade LXXXI, quando cominciò a fiorir Cratino poeta di stile austero, mordace e forte ne’ motteggi, dal quale si dee riconoscere il lustro di quel genere di commedia caustica e insolente chiamata Satirica e Antica. Una delle di lui favole intitolavasi Eolosicone, nella quale si satireggiavano i poeti tragici ed anche Omero. Cratino che visse novantasette anni, fu seguito, ed imitato da Eupoli poeta più grazioso, il quale compose diciassette commedie, ma solo sette volte riportò la corona teatrale. La commedia antica però ricevè tutta la perfezione dall’Attico Aristofane che sempre colla grazia e colle facezie temperava –  l’amarezza della satira.

Ebbero appena i comici imitando i tragici data forma alolor poema, che gonfii della riuscita presero a gareggiare co’ loro modelli, e ne sostennero arditamente il paragone e colla magnificenza dell’apparato e colla pompa poetica de’ cori. Impazienti poscia dell’uguaglianza ambirono di sovrastare, e per iscemare l’ammirazione che sino a quel punto riscossa avevano i loro emoli, valendosi delle proprie armi, cercarono di attenuare il merito de’ passi migliori delle tragedie col renderli ridicoli per mezzo di alcuni leggieri maliziosi cangiamenti. In ciò consisteva la parodia che fu l’anima della commedia antica. La vittoria si dichiarò per gli comici, se ad altro non si miri che al pregio dell’invenzione ed al piacere prodotto dalla novità degli argomenti. Imperciocchè i tragici ricavavano i loro soggetti dalle favole di Omero e dalla mitologia; ma i comici soccorsi soltanto dalla propria immaginazione gli traevano, per così dire, dal nulla, e presentavano uno spettacolo tutto nuovo. Di là uscirono quelle maravigliose dipinture allegoriche le quali incantavano la Grecia. Accoppiavansi in esse all’esatta imitazione della natura i voli più bizzarri della fantasia, e si nobilitavano colla poesia più vigorosa, colla morale più sana e colla politica più profonda i soggetti all’apparenza più frivoli e meno interessanti. Con tale artificio erano lavorati quegli strani Uccelli geroglifici eloquenti di certi cittadini viziosi nati in Atene; quelle Vespe immagini de’ magistrati ingordi e venali; quelle Rane simboli de’ molesti verseggiatori ciclici; quelle Nuvole colle quali si satireggiava l’ipocrisia morale e l’inutilità de’ calcolatori fantastici.

Ma se l’emulazione rendè gloriosa questa commedia, la fece oltremodo ardita il governo popolare Ateniese, nel quale i comici e gli spettatori erano membri della sovranità. Osò per questo un poema così straordinario internarsi impunemente nel segreto dello stato, trattar di pace, di guerra, di alleanze, beffeggiare ambasciadori, screditar magistrati, manifestare i latrocinii de’ generali, e additare i più potenti e perniciosi cittadini, non solo con una vivace imitazione de’ loro costumi, ma col nominarli e copiarli al naturale colle maschere.

E per ultimo riuscì tal commedía fuor di misura sfacciata e insolente a cagione della prosperità della Repubblica. La felicità continuata corrompe gli animi, spogliandogli del timore, potentissimo freno delle passioni eccessive. Atene che trovavasi in si alto punto di prosperità e per conseguenza di moral corruzione, mirò senza orrore il fiele che sgorgava da questo fonte; si compiacque della indecenza che vi regnava vedendovi il ritratto fedele de’ suoi costumi; e applaudì a quella malignità che mortificava i potenti che essa abborriva e i virtuosi che la facevano arrossire. Qual maraviglia adunque che i comici insolentissero a segno, non che d’insultare i Cleoni poderosi, ma di offender Pericle? Cicerone la detestò per questoa. Essa perseguitò in Socrate la medesima virtù, motteggiò empiamente la religione, rimproverò a tutti i cittadini ciò che leggesi nel dialogo tenuto nelle Nuvole dal Ragionar Dritto e dal Tortob.

Risulta dalle cose indicate che ciò che ora chiamiamo commedia punto, non rassomiglia alla Greca Antioa, Allegorica, Satirica, la quale per invenzione, per novità, per grandezza di disegno, per sale e per baldanza si allontana da ogni favola comica moderna. I frammenti che ci rimangono de’ primi comici non basterebbero a darne compiuta idea, se il tempo non avesse rispettate undici delle commedie di Aristofane, le quali a sufficienza ce ne istruiscono. Non voglionsi però leggere colla speranza di trovarvi avventure piacevoli, intrighi amorosi, dipinture di caratteri simili a quelle delle commedie de’ nostri tempi. Altr’aria, altre mire, altri comici ordigni vi campeggiano, i quali non appariscono agevolmente senza la fiaccola de’ principii surriferiti, senza la cognizione della polizia e de’ costumi Ateniesi, e senza la pratica necessaria delle Vite di Plutarco e della guerra del Peloponneso che durò ventisette anni e che fu stringatamente e con tanto politico sapere descritta da Tucidide.

Non sanà forse senza profitto della gioventù che conoscer voglia il teatro Greco e l’arte usata da que’ repubblicani nel maneggiar la commedia antica, il presentarle qualche estratto più circostanziato che non feci nel 1777 nella Storia de’ Teatri in un solo volume, delle favole di Aristofane da tutti nominato, da pochi letto, e forsa da pochissimi compreso.