(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « I comici italiani — Adi 21 8bre 1678 » pp. 220-224
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(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « I comici italiani — Adi 21 8bre 1678 » pp. 220-224

Parrino Domenico Antonio, napolitano. È ben poco ciò che lasciò scritto Fr. Bartoli di questo comico egregio per le parti d’ innamorato, sotto nome di Florindo, e non meno egregio istoriografo della sua patria. L'opera : Teatro eroico e politico del governo de' Vicerè del Regno di Napoli dal Tempo del Re Ferdinando il Cattolico fino al presente, pubblicata a Napoli il 1692, ebbe l’onore di due ristampe, ch'io sappia, l’una del Gravier nel 1770, l’altra del Lombardi nel 1875. A questa aggiungiamo le Memorie delle notizie più vere, e cose più notabili e degne da sapersi, accadute nella feliciss. entrata delle sempre gloriose Truppe Cesaree nel Regno, ed in questa Città di Napoli, pubblicata dall’ autore il 1708, in 12° ; e la Guida de' Forestieri per la Città di Napoli, stampata il 1725. Il 1675 aveva stampata a Napoli con la data di Venezia una commedia tradotta dallo spagnuolo da altro comico : Amare e fingere, che fu poi ristampata davvero a Venezia, e più tardi a Bologna. Il Bartoli lo dice Comico al servizio di S. M. la Regina di Svezia, e chiude il suo breve cenno facendolo morire intorno all’anno 1730.

Nell’Archivio di Modena giacciono, tra l’altre, inedite alcune lettere di lui, o lui concernenti, dalle quali possiamo avere qualche notizia sicura sull’arte sua e sulla sua vita di comico. Il 1675 arrivò a Mantova da Napoli, comico del Duca di Modena, come abbiamo da una lettera di Alfonso d’Este, il quale chiamandolo principal parte della Compagnia e che si è strecto con promesse di Regalarlo bene, propone a quel Duca non gli si dien meno di 25 dopie, essendo questo un huomo che à testa. L'elenco della compagnia del 1675, in cui Parrino è detto Pannini per errore, è dato al nome di Areliari Teodora. Anche il 9 aprile del '76, il Duca di Mantova ringraziava quello di Modena dell’avergli ceduto Florindo pel futuro carnevale ; e promette di proteggerlo in riguardo dell’efficaci raccomandationi che Sua Altezza à di lui prò gl’ingiungeva : e il 29 marzo '77 lo rimanda a Modena, con grandi elogi all’ artista per le recite di Venezia e per quelle di Mantova.

Il 7 giugno '77 da Genova scrive distesamente al Duca di una aggressione a mano armata per opera di certo Filippo Castellano di Napoli, che n’ebbe mandato da cotal feudatario di Monferrato, il quale a sua volta avrebbe agito d’ordine del Duca di Mantova in persona, indignato contro Florindo che ricusò di servilo, allegando in iscusa il suo prossimo ritorno in patria, e passando invece al servizio del Duca di Modena. Del 15 agosto 1677 abbiamo una lettera del Dottore Gio. Antonio Lolli, nella quale si accenna ad un inganno di Florindo, che non lo mostrerebbe, a dir vero, uno stinco di santo. Egli mandava a richiedere col mezzo d’un cavaliere e d’una lettera le sue cinque casse già pervenute a Verona, ove doveva recitare nella compagnia del Duca di Mantova, e dal Lolli ritirate. Il cavaliere, avute le casse, richiese il Lolli della lettera per vedere, diceva, se il numero e la specie di esse corrispondevano alla descrizione fattane da Florindo ; e datagliela il Lolli in buona fede, quegli se la ritenne, e non volle a niun patto restituirla. Sembra poi da una lettera di certo Capello dell’ 8 dicembre al Duca di Modena, che fra le casse di Florindo ne fosse una di Finocchio, data in errore, e che non gli era possibile recuperare, perchè andata in mano d’altri. Ma Florindo scrive da Mantova il 23 agosto : « le mie Robbe consistenti in cinque casse, per un ordine fattomi fare ad un de' miei compagni a Verona, sono state consegnate non so a chi, mentre nell’ ordine s’esprimeva che si dassero al Cav.re che lo hauesse presentato. Mi persuado però che siano ancora in quella città, mentre non ne tengo altra notizia. » E si raccomanda vivamente al Duca, perchè componga la faccenda. Ma pare che il Duca di Mantova l’avesse davvero a morte col pover' uomo, il quale per non commessi delitti fece rinchiudere in una prigione, riuscendo vane per liberarnelo le intercessioni di Altezze e Potentati. Privo della libertà, fatto inabile al lavoro, privo fin anche delle robbe, frutto di tant’anni di fatiche, non ha più scampo ormai che nella morte. Ma neanch'essa lo soccorre. Ultima delle lettere in cui son descritti gli sciagurati accidenti, è quella del 21 ottobre 1678, interessantissima, che riferisco intera :

Molto Reu.do Sig.r mio Sig.r Padrone Coll.mo

Il mio fiero destino mi riduce agl’estremi, mentre doppo una si lunga serie di disgrazie, e miserie, più fiero, et implacabile, che mai si fa conoscere.

Mercordì dunque di notte, accompagnato da 5 huomini armati, trè delle guardie, e due della Casa del mio hospite, fui d’improuiso condotto fuori di Mantoua, doue fui costretto lasciare il resto delle mie poche Robbe (mentre degl’Abiti è un pezzo che sono priuo) et un mio Nipote febricitante, quale della Patria fortiuamente uenne à ritrouarmi per darmi parte dell’ultimo esterminio di mia Casa ; e li detti huomeni mi conducono per certo nel Castello di Casale ; se bene nel partire mio da Mantoua mi fecero credere di incaminarmi alla Patria con intiera libertà.

Pur consideri pietosamente la Paternità Sua Molto Reu.ª, qual sia il mio stato infelice. Il Giouine, ch' assisteua al mio negozio di libri ; doppo hauere pagato di mano propria molti mesi del suo salario ; se n’ è d’improuiso fuggito in Messina in una Naue Inglese, portandosi uia tutto il buon della Bottega. Due fanciulle mie Nipoti da marito, se ne stanno in Casa de miei Padregni, con poca pace, et è facile, ch' un giorno ne siano scacciate per la mia absenza. Appresso di me non ho nulla ; ne mai ho ueduto in tanti mesi, toltone il Vitto, un soldo solo per riparare all’altre cotidiane mie necessità ; onde non mi auanza altro, che una misera, e mal condotta uita, essendo per tanti guai, peggio, che morte ; e Dio sà quello sarà di mè, doppo, che mi haueranno posto nel sudetto Castello. Eccomi pertanto tutto lacrime à piedi della Paternità Sua Molto Reverenda à supplicarla per amor di Dio à uoler fare quelle parti di pietà, che le pareranno più proprie, appresso cotesto clementissimo Padrone, perche dall’abisso di tante miserie, e calamità mi aiuti à sottrarne. Sono ridotto in mendicità estrema, e senza quel poco, che haueuo riseruato per la mia Vecchiaia alla Patria, per causa, non dico già della prontezza del mio obedire gl’altrui sourani comandi ; ma per i miei peccati chiedo pietà, e sollieuo, quale spero dalla generosa benignità di un tanto Principe, per mezzo dell’efficacissimi offizii della Paternità Sua molto Reuerenda. Non fò poco à scriuere queste due righe di fretta qui in Cremona, in doue passo costandomi più oro, che inchiostro ; si compiaccia far le mie parti con il S.r Ecc.mo e con il S.r C. Ronchi ; e per mezzo di qualche Religioso, mi facci penetrare à Casale sudetto qualche speranza e conforto, per non farmi morir disperato ; che se non fusse per la salute dell’anima ; à quest’ora mi sarei tratto fuori di tutti gl’affanni.

Mi è fuggito il poco di tempo che haueuo : me le raccomando per le uiscere di Maria Vergine, e le faccio profondissima riuerenza restandole pieno

suo schiauo
D. A. P. detto Florindo.

Il giugno dell’ '80 partì da Modena, e giunse dopo ventidue giorni a Napoli, d’onde scrisse al Duca mandandogli una descrizione in versi del suo viaggio, non rinvenuta nel carteggio. Annuncia il gran disordine trovato ne'suoi interessi, che muove alle lagrime gli stessi nemici ; ci vorran parecchi anni per saldar tutte le piaghe ; ma intanto, promettendo di essere l’ottobre a Modena, come da contratto, si raccomanda alla munificenza di S. A. perchè voglia soccorrerlo nel prossimo viaggio. Finito il carnovale a Modena, Florindo si restituì in patria, e il Duca lo raccomandò con ogni larghezza, il 3 marzo 1681, a Francesco Magnacavallo suo Agente a Napoli e al fratello di lui Ortensio, dei quali Florindo ebbe sempre a lodarsi. L' '83 egli chiedeva al Duca una lettera di raccomandazione diretta al Vicerè di Napoli, che subito ottenne. Il 28 di dicembre dell»86, augura da Napoli al Duca il buon capodanno, e ci apprende che ha già abbandonata l’arte comica : io, che a piedi dell’ Altezza Vostra sacrificai gli ultimi sudori de' Teatri, spogliandomi affatto del laborioso coturno ; mi fo lecito hora comparirle colla douuta deuozione auanti ricouerto solo della liurea d’un ossequiosissima osservanza per presentare a V. A. i Voti, ecc., ecc. Il 25 febbraio dell’ '87 manda al Duca i suoi devoti mirallegri per la favorevole impressione da lui lasciata alla Corte e in tutta Napoli, e il primo di marzo il ben tornato a Modena, raccomandandoglisi vivamente per ottenere a un congiunto dottore la provvista d’un governo, per la quale ebbe a scrivere parecchie lettere. Altre molte ne abbiamo insignificanti di augurio, o di congratulazione, o di raccomandazione, o d’invio di doni : talvolta di una cartella miniata superbamente da grande artista di passaggio in Napoli, tal altra della pianta e relazione di feste, tal altra ancora del Teatro Eroico de' Vicerè. Di più, l’Archivio di Modena conserva un sonetto, che qui riferisco, e che ci dà un saggio dello scrivere di questo artista letterato.

La lode degnissima | Ossequioso Tributo all’Eccelsa Grandezza | dell’Altezza Ser.ma di Francesco d’Este Duca | di Modona Reggio etc. | Cesare Augusto del nostro secolo.

SONETTO

Trattò Cesare il brando, à cui soggiacque
D'Ibero il Rio, co' gli erti Sassi Alpini :
E de l’Ibernia, à cui fan mura l’acque,
Fur tributarij, e riuerenti i Pini.
Trattò penna erudita, e sol gli piacque
Vsar tratti magnanimi e diuini.
Quindi al facondo dir Roma si tacque,
E gli fregiò di uerde alloro i crini.
Così fece ammirar nel Ciel la Luna,
Cosi fece stupire il Gang e' il Tago,
E la Ruota spezzare à la Fortuna.
Ma s’oggi di mirare il Mondo è uago
L'Opre d’Augusto, e le Virtudi in una :
Di Francesco à mirar uenga l’Immago.

Nuoua testimoniansa del profond. mo ossequio di Dom. co Ant. º Parrino.