Gabbrielli Francesco, figlio maggiore del precedente, celebre sotto il nome di Scapino, « fu – dice il Barbieri – il miglior Zanni de’tempi suoi ; inventor de’fantastici instrumenti, & di canzonette, & arie gustevoli ; maestro di chitarra alla Spagnuola del Re Cristianissimo, della Reina Regnante, di Madama Real di Savoja, dell’Imperadrice, mentr’era a Mantova, e di tant’altri Principi e Principesse della Francia, e fu sempre accettato tra’grandi come virtuoso, e non come buffone. » E aggiunge ch’ ebbe figli tenuti a battesimo da serenissimi Principi. Giovanni Cinelli nella sua Biblioteca volante dice che gl’istrumenti di Scappino erano in tal novero, « che per farli sentire si recitava a bella posta una commedia intitolata : Gl’instrumenti di Scappino, » per la quale fu pubblicato il sonetto senza data e senza nome d’autore, che trovasi alla Braidense di Milano, nella Miscellanea raccolta dal Padre Benvenuti, ristampato poi dal Paglicci nel suo Teatro a Milano nel secolo xvii. Di tali strumenti è notizia nell’Infermità, Testamento e Morte di Francesco Gabrielli detto Scappino, composto e dato in luce a requisitione degli spiritosi ingegni, edito in Verona, Padoa et in Parma, per li Viotti, con licenza de’ Superiori il 1638, e ristampato poi nel Propugnatore del maggio-giugno 1880 da Severino Ferrari. In esso egli lascia il Violino a Cremona, il Basso a Piacenza, la Viola a Milano, la Chitarra a Venezia, l’Arpe a Napoli, il Bonacordo a Roma, i Tromboni a Genova, la Mandòla a Perugia, la Tiorba a Bologna, il Liuto a Ferrara, e a Firenze tutti gli altri strumenti.
A lode dell’ artista poi la canzone ha infine queste tre strofe :
— È fama, che le sceneIl lugubre coloreGiurassero a Scappin loro Signore,E che nell’auuenire,E che nell’auuenire,Tragici casi sol faranno vdire,Faranno vdire.— L’allegria fu sbandita,Il riso esiliato,La festa, e ’l gioco allho prese comiato,E la gratia del dire,E la gratia del dire,Col suo caro Scappin volse morire,Volse morire.— I singulti, e sospiri,Le lagrime, e gli homeiDel moribondo son cari trofei,Cosi fra gente amate,Così fra gente amate,L’ultima fa Scappin di sue cascate,Di sue cascate.
[http://obvil.github.io/historiographie-theatre/images/rasi_comici-italiani-01-02_1897_img151.jpg]
( Da Iacopo Callot).
La canzone ci dà inoltre un elenco dei comici disperati al cospetto di Scappino morente. Essi sono : La moglie Spinetta e la figlia Diana ; poi in più famosi Dottori Bombarda, Balestrone, Campanaro, Baloardo e Violone ; poi gli Zanni Mezzettino, Brighella, Buffetto, Bagolino, Bertolino, Traccagnino e Trappolino ; poi le dame Celia, Livia, Leonora, Aurelia, Cintia, Olivetta, Flaminia, Isabella, Lavinia e Colombina ; poi le cantarine Fiammetta, Angelina e Cassandrina, e finalmente Beltrame.
Oltre al noto epitaffio di Francesco Loredano,
Giace sepolto in questa tomba oscura,Scappin, che fu buffon tra i commedianti,Or par che morto ancor egli si vantiDi far ridere i vermi in sepoltura,
abbiamo i due seguenti sonetti, senza nome di autore, inediti, nel manoscritto Morbio, descritto al nome di Andreini-Ramponi Virginia :
PER LA MORTE DI SCAPPINO COMICO
Proteo costui ben fù, che ’n mille formeSu le scene variò voce, e sembiante,Hor seruo scaltro, ed or lasciuo amante,Edippo, hor Dauo, et hor Mostro difforme.Il socco egli inalzò, più che triforme,Al coturno qual’hor uoce tonanteSpiegò, qual Gioue in Flegra, onde ’l GiganteCadde percosso, incenerito, informe.Hor sol di morte, ahimè, cinto l’horrore,Cangiato il finto in ver, verace ei mortoTramuta il riso in Tragico dolore.Ò spettacolo atroce, à cui risortoE ’l pianto, al, purgar può vero terrorePiù assai, ch’il finto, e torre ogni conforto. (?)

(Dai Balli di Sfessania di Iacopo Callot).
PER LA MORTE DI SCAPPINO COMICO
Scappino è morto, ah uoi piangete, ò mutiOrbi Teatri il uostro Padre estinto,Il uostro lume eterna nube ha cinto,Lagrime amare hor sian degni tributi.Bei detti, arguti scherzi, e modi astutiTemprò souente in musico concento,Tragico ei concitò fiero spauento,Comico ei ricreò spirti canuti.I Popoli ammirar l’arte, e l’ingegno,Che mille metamorfosi poteoRappresentar, cangiando opre, e disegno.Tolto à le scene il mascherato orfeoSgridan le genti a’ morte, ahi fatto indegnoChe l’ Vniverso lagrimar ne feo.
I quali se non sono un chiaro esempio di poesia, traggon valore dalla notizia che ci danno dell’opera artistica del Gabbrielli, che evidentemente non si arrestava alla maestria varia del musicista, nè alle buffonate della maschera, ma sapeva anche spaziar degnamente nel campo della tragedia.
Come abbiam visto al nome del padre, egli desiderò di entrare al servizio del Duca di Mantova, al quale fu raccomandato dal Cardinal Caetani con lettera da Roma in data 12 aprile del 1611. Il ’15 e il ’16 egli era già nella Compagnia de’ Confidenti, come si vede da queste due lettere scritte a S. A. Impresaria il Principe Don Giovanni De’ Medici :
Ill.mo et Ecc.mo Sig.r et Pron mio▶ Col.mo
Mi è stata così nuova la nuova che per cura del Sig. Flavio ho havuta, che se non fosse la sincerità della mia coscienza che mi accerta di essere innocente di quanto mi viene apposto non solo non ardirei di scriverli, ma confuso nel ◀mio▶ mancamento cercherei con la forza del merito di altri impetrare da V. E. perdono. Si come hora conossendo non havere errato (come tutta la compagnia ne farà per me fede) lo supplico di credere che la maggiore ambizione che io habbia, è di essere ammesso tra il numero de’ suoi servitori, et che confesso che la E. V. per far grazia a me ha trapassato i segni che bastano per dimostrare una benevolenza estrema onde conossendo ciò sarei troppo colpevole abusandomi della grazia sua, e particolarmente in tempo che l’E. V. scrive alla conpagnia godere della unione nostra.
Qui non si son fatte se non tre comedie nuove le quali si sono non solo per miei affari ma per altri lette particolarmente, havendosi contentato chi le ha fatto durare questa fatica ; ne per cagion mia, ne di altri vi è stato detto pure una parola. Del recitare alla peggio, io non lo fò poi che sarebbe un offendere me stesso per far dispetto ad altri. Ma perchè ◀mio▶ pensiero è solo di far conossere all’ E. V. che solo bramo di servirlo, mi scordo il torto fattomi da messer Battistino nello scrivere queste falsità al Sig. Flavio onde vivendo a V. E. servitore et a lui compagno li auguro da N. S. ogni felicità, di Milano il di 12 Agosto 1615.
Di V. E. Ill.ma
Devotiss.mo Servitore
Fran.co Gabrielli d.º Scapino.
Ill.mo et Ecc.mo Sig. Nostro
Per cura del Sig. Flavio portataci da Battistino habbiamo inteso la volontà e gusto di V. E., onde habbiamo di comune gusto e consenso riaccettato la sig.ª Valeria tra di noi, con la quale di nuovo uniti cercheremo di mantenerci in quella pace tanto a noi necessaria, e con tanta fatica per nostro honore da V. E. procurata.
Messer Battistino suo marito starà come ci vien scritto fuori di compagnia, ne sarà ammesso in qual si voglia benchè minimo negozio, da che potesse pretendere più di quello che nella lettera del Sig. Flavio ci viene prescritto, poi che ogn’uno di noi solo ha per fine il mantenersi in grazia di V. E. quale sarà sempre anteposta a qual si voglia interesse, strettezza di amicizia o vincolo di parentella che sia tra di noi, si come ogn’uno di Compagnia augurando a V. E. ogni felicità con la sottoscrizione di propria mano affermerà quanto di sopra è scritto, di Lucca il dì 8 settembre 1616.
Di V. E.
Devotissimi Servitori, i
Comici Confidenti sottoscritti
Jo Marc’Antonio Romagnesi – Pantalone
jo Francesco Gabrielli – Scappino
jo Francesco Antonazzoni – Hortensio
jo Domenico Bruni – Fulvio
jo Marcello di Secchi – Aurelio
jo Ottavio Honorati – Mezzettino
jo Nicolao Barbieri – Beltrame.
E coi Confidenti lo troviamo ancor nel ’18 a Venezia, di dove Don Giovanni De Medici scriveva al Duca di Mantova con data del 30 marzo, ricusandogli Mezzettino e Scappino (richiesti a istanza di Lelio e Florinda), sui quali egli dice fondata la Compagnia dei Confidenti, che mise assieme per suo gusto da circa sei anni, e che andava conservando sempre con ogni suo potere, tenendogli uniti et obligati (a me) come particolari servitori.
Dallo spoglio degli Archivi di Modena risulta che al Gabbrielli e compagni venuti da Venezia furon dati il 27 maggio 1620 da S. A. Ducatoni 350 d’argento per haver fatto in Castello tre comedie in occasione del Ser.mo Principe Tomaso di Savoja, compreso le spese della venuta loro da Venezia e per ritornarsi, fanno L. 2205.
Il ’24 e ’25, secondo un documento pubblicato dal Baschet (op. cit.), egli era a Parigi con Gio. Battista Andreini e Niccolò Barbieri. A loro e a’ lor compagni furon date il 17 dicembre 1624 lire 2400 per aver recitato commedie alla presenza di S. M. nei mesi di settembre e ottobre.
Tornando a ricercar nell’Archivio di Modena, vediamo il Gabbrielli a Firenze inaugurar colla Celia, Maria Malloni, un corso di recite, il 26 settembre 1626, alla presenza dei signori Cardinali Legato e Sacchetti, del Gran Duca, e dei Principi Gio. Carlo e Mattias col seguito di molti Prelati, Cavalieri e letterati, ch’eran stati il giorno a un’adunanza degli Accademici della Crusca nel Palazzo de’ Bardi. Vi andò pure la Serenissima Arciduchessa. A Firenze erano ancora il 31 ottobre, come si ha da un ricorso a Cesare Molzi per le noie che loro cagionava Fabrizio Napoletano (Domenico Antonio Parrino), ricorso ch’ebbe per effetto la immediata espulsione di esso da Firenze e dallo Stato.
Il gennaio del 1627 Francesco Gabbrielli era a Ferrara, come si vede da questa lettera del 6, senza indirizzo, ma scritta ad Antonio Costantini, segretario del Duca di Mantova, la quale io traggo inedita dall’archivio dei Gonzaga e pubblico intera, per le notizie importanti che ci dà di alcuni comici :
Dal Ill.mo S.r Marchese Nicolò Tassone domenica alle quattro hore di notte mentre recitavo mi fu datta una sua, la quale aperta a casa, dall’intendere il buon animo che S. A. tiene verso di me, d’allegrezza mi venero quasi le lachrime agli occhi. Godo che S. A. facci capitale di me, di mia moglie, del dottore, del Capitano, di Citrullo e di Flavia, si come mi dispiace che siano messi inanzi a S. A., Fritellino, la moglie, Cintio, Lavinia, Ortensio, il Pantalone della podagra e finalmente Mezzettino. Il perchè più brevemente che potrò con questa mia lo paleserò a V. S. et lo potrà mostrare a S. A., essendo che non metterei in carta cosa che non fosse vera. Se cominceremo a dir della S.ra Lavinia, io dico, che difficilmente la potrà havere senza Beltrame, essendogli compadre e creditore de scudi 500, la qual cosa altre volte la felice memoria di S. A. morto l’ha desiderata, ma non volero venire se prima non gli era pagato il debito e fatto un donativo ; del che il Sig.r Hercole Marliani et il Luchesino ne potranno fare fede. E poi, o Sig.r Antonio, la Lavinia non vale all’improviso, talchè la compagnia non si potrebbe servir di lei in altro che nel premeditato. Suo marito ha fatto un tempo da secondo inamorato, ma per odiar il studio si è messo a fare da Capitano Italiano, qual non gli riesce. Cintio per suoi interessi non si partirà dalla Franceschina, e suo marito che in tutto fanno tre parti manco un quarto ; e dove è un’altra serva non ci ha a che fare mia moglie e per conseguenza manc’io. Mezzettino non casca, e quel che importa non si disseparerà dall’Olivetta, che sarebbe un altra serva. Fritellino è buono da farsi odiare non solo da comici, ma da tutto il popolo, e lo vediamo con isperienza poichè se volle compagni bisogna vadi per forza de prencipi, o che li pagi ; lasso il voler tirare più parte degli altri. Et a sua moglie essendo vecchia molto gli disdice il voler fingere una semplice fanciulla, essendo che a questo tempo la scena vuol la gioventù. Il Pantalone della Podagra è così mal trattato da detto male che l’anno passato con noi in Venetia non si potea vestire ne allacciar la maschera, e per mettere nna statua in scena, che non mova altro che la lingua, non mi par bene. Non voglio che S. A. creda a questa mia, ma facci scrivere, che vedrà non poter haver Cintio senza grande giunta, ne Lavinia et Ortensio senza pagare debiti e far donativi, Mezzettino senza Olivetta. Chi vorà Fritellino bisognerà pagare le antigaglie e pigliare l’istessa discordia in compagnia, e finalmente chi vorà il Pantalone della podagra haverà un zocco di natale. Ma quando S. A. sentisse la compagnia che V. S. ha sentito qui in Ferrara, a benchè una sol comedia, a lungo andare S. A. cognoscerebbe che la Celia al premeditato et improviso è la prima donna che reciti, poiche se la Compagnia od altri mettono fuori opere o comedie nove lei subito le recita, che la Lavinia ne altra donna non lo farà, se prima di un messe non si hanno premeditato quello che nel soggietto si contiene. Della Flavia non ne parlo, poichè è la meglio seconda donna che reciti, sì per il premeditato quanto per l’improviso. Trovarebbe ancora il nostro Pantalone buono sì per la lingua matterna, quanto per la pratica dei soggietti antichi e moderni. Bagattino nostro secondo Zane, che non casca ma vola qual V. S. non ha potuto sentire per esser amalato lo troverebbe un secondo Arlichino. Non dirò di me, di mia moglie, del Dottore, del Capitano e di Citrullo, poichè gratia di S. A. siamo tenuti per buoni. È ben vero che l’innamorato non sono ne Cintio, ne il morto Aurelio, ma troverebbe bene dei giovani studiosi, quali in Fiorenza dove è la scuola della lingua Toscana sono stati sommamente graditi, con speranza ch’habbino da riuscire mercè el studio al paro di qualunque altro metti il piede sopra la scena, e quel che importa senza prettensione, nè giunta alcuna. Sovvengavi o Sig.r Antonio che l’A. del Duca Vincenzo fel. mem. padre di S. A. che hora vive gli venne l’istessa volontà che hora è venuta a S. A., cioè di mettere insieme i meglio comici che recitassero ; onde per gli interessi e le discordie loro n’ebbe infinitissimi disgusti. Per tanto V. S. mi facci gratia di leggere a S. A. questa mia che non vi sij altro che V. S. e S. A. e significargli ch’io non parlo da Scapino, ma da Francesco, il quale si rimette a tutto quello che vuole S. A. e che verrò a servirlo con la lingua per terra io, la moglie, la madre, figliuoli e servitore, che fanno in tutto quatordeci persone. Mi perdoni V. S. se questa mia non è stata lettera, ma un processo, tutta via mi scusi, essendo che quello che ho fatto, ho fatto per bene e per avisare S. A. di tutti gl’interessi comici. Sin hora non ho havuto alcuna lettera del S.r Marliani, ma se l’haverò farò quanto verrà da S. A. per mezzo di quella imposto. E con questo fo fine ricomandandomegli di tutto cuore. Di Ferrara il dì 6 genaro 1627.
Di V. S. Ill.ma sempre per servirla
Francesco Gabrielli detto Scapino.
La moglie di Gabbrielli era Spinetta (forse quella Luisa Gabbrielli-Locatelli che abbiam visto recitar nella Finta Pazza dello Strozzi, sorella o figlia di Trivellino, sposata a Scappino ?).
Il Capitano era Girolamo Garavini, Capitan Rinoceronte.
Flavia era sua moglie Garavini Luciani Margherita.
Fritellino era Pier Maria Cecchini.
La moglie era l’Orsola Cecchini detta Flaminia.
Cintio era Jacom’Antonio Fidenzi.
Lavinia era Marina Antonazzoni.
Ortensio era Francesco Antonazzoni suo marito.
Il Pantalone della Podagra era Federigo Ricci.
Mezzettino doveva essere Ottavio Onorati.
Celia era la Maria Malloni. Non la prima celebre, ma non men celebre e Maria Malloni anche questa, colonna dei secondi Confidenti.
Per quante ricerche fatte non mi fu possibile identificare nè Olivetta, nè Citrullo, nè Aurelio. Quest’ultimo, che fu ed è materia di studio de’più pazienti ricercatori delle cose nostre di teatro, potrebbe identificarsi per quel Marcello Di Secchi che il 1615 era colla moglie Nespola nella nuova Compagnia de’ Confidenti ?
Il carnovale del 1633 Scapino era a Venezia, l’autunno del ’34 a Ferrara, e l’estate del ’35 a Milano (vedi Paglicci Brozzi, op. cit.). Aveva fatto istanza per recitare il carnovale del ’36 a Roma, ma pare non vi andasse altrimenti. Di altre stagioni fatte dalla Compagnia dei Comici Confidenti al servizio di Don Giovanni De Medici abbiam date precise in molte lettere concernenti il capo di essa Flaminio Scala (V.) detto Flavio in Commedia.
Francesco Bartoli fa cader la sua morte intorno il 1654, ma non sapremmo di essa precisare nè la date, nè il luogo. (V. pel tipo di Scapino al nome di Bissoni Giovanni).