Arbes (D’) Cesare, il più gran Pantalone del suo tempo, nacque circa il 1710 a Venezia. Innamoratosi dell’arte comica, abbandonò quella dello specchiaro, nella quale (V. Fr. Bartoli) sapeva assai bene travagliare, e fuggì dalla casa paterna.
Ecco come Carlo Goldoni ci descrive il primo colloquio avuto col D’Arbes a Pisa ; colloquio che ci dà un’idea ben chiara di questo bel tipo di comico.
Vedo un uomo dell’altezza di quasi sei piedi, grasso e grosso proporzionatamente, che traversa la sala con canna d’India alla mano e cappello tondo all’inglese. Entra nel mio▶ studio a passi contati, ed io mi alzo : costui fa un gesto propriamente pittoresco per dirmi che non m’incomodassi ; s’avanza, e lo fo sedere : ecco il nostro colloquio.
D’A. Signore, io non ho l’onore di esser conosciuto da voi ; voi però dovete conoscere in Venezia ◀mio▶ padre e ◀mio zio ; in una parola, sono il vostro servo umilissimo D’Arbes.
G. Come ! Il signor D’Arbes ? Il figlio del direttore della Posta del Friuli, quel figlio che si credeva perduto, di cui s’erano fatte tante ricerche, e che si era così amaramente pianto ?
D’A. Sì, signore : quel figliuol prodigo appunto, che non si è ancora prostrato alle ginocchia di suo padre.
G. Perchè adunque differite voi a dargli questa consolazione ?
D’A. La mia famiglia, i miei parenti, la mia patria non mi rivedranno, che gloriosamente cinto d’alloro.
G. Qual è dunque il vostro stato, o signore ?
A questa domanda si alza il D’Arbes dalla sedia, batte la mano sulla sua pancia, e in tuono di voce misto di fierezza e buffoneria :D’A. Signore, fo il comico.
G. Tutte le doti sono stimabili, purchè chi le possiede sappia farle valere.
D’A. Io sono il Pantalone della Compagnia, che attualmente trovasi in Livorno ; nè posso chiamarmi l’infimo tra i miei camerati, e il pubblico non isdegna di concorrere in folla alle rappresenrazioni, alle quali io prendo parte. Il Medebac, nostro direttore, ha fatto cento leghe per dissotterrarmi ; non fo disonore ai parenti, al paese, alla professione, e senza vantarmi, o signore (dandosi in questo mentre un altro colpo sulla pancia) se è morto il Garelli è subentrato il D’Arbes.
Nell’atto appunto, che son per fargli i miei complimenti di congratulasione, egli si mette in una tal positura comica che mi fa ridere e m’impedisce d’andare avanti.D’A. Non crediate, o signore, che per vanagloria io vi abbia esagerato i vantaggi di cui godo nella mia professione : ma son comico, mi fo conoscere ad un autore, ed ho bisogno di lui.
G. Voi avete bisogno di me ?
D’A. Sì, signore ; anzi vengo al solo oggetto di chiedervi una commedia ; ho promesso a’miei compagni una commedia del signor Goldoni, e voglio mantenere a loro la parola.
G. (sorridendo). Voi dunque volete una mia produzione ?
D’A. Si ; vi conosco per fama ; so che siete garbato quanto abile, non mi darete una negativa.
G. Ho molte occupazioni, non posso farlo.
D’A. Rispetto le vostre occupazioni ; farete questa composizione quando vorrete, a tutto vostro comodo.
Il Goldoni si schermì ancora, ma dovè poi cedere alle più che gentili insistenze del D’Arbes (gli aveva messo, come acconto, nella scatola da tabacco alcuni ducati d’oro) ; e chiestogli per lettera se la commedia doveva essere col Pantalone in maschera o a viso scoperto, ebbe questa risposta, che delinea ancor più la comicità e, diciam pure, furberia di quel bel tipo che ci pare di vedere e di sentir discorrere, e che chiameremmo a base di birignao. Ecco il brano della lettera riportato dal Goldoni :
Avrò dunque una commedia del Goldoni ? Questa, sì, questa sarà la lancia e lo scudo, di cui armato andrò a sfidare i teatri tutti del mondo. Quanto sono adesso felice ! Ho scommesso cento ducati col Direttore che avrei avuto un’opera del Goldoni ; se vinco la scommessa il Direttore paga, e la rappresentazione resta a me. Benchè ancora giovine, benchè non abbastanza noto, andrò a sfidare i Pantaloni di Venezia, il Rubini a S. Luca, e il Currini a S. Samuele. Attaccherò il Ferramonti a Bologna, il Pasini a Milano, il Bellotti, detto Tiziani, in Toscana, il Golinetti nella sua solitudine, il Garelli nella tomba.
Il Goldoni, dietro invito di lui, scrisse il Tonin bella grazia, sul modello di un’antica commedia dell’arte, intitolata Pantalone paroncino, per la quale poi, il D’Arbes aveva richiesto il Goldoni d’un sonetto di chiusa. La lettera con cui fu inviato il sonetto, ed il sonetto medesimo, li trascrivo da Francesco Bartoli.
Ecco il Sonetto del Paronzino. L’ ho servito subito, perchè so che gli preme. Ho cominciato quello del Giocatore, ma non ho avuto tempo di terminarlo. Può darsi che domani lo termini e lo spedisca. Lo prego de’ miei affettuosissimi saluti al nostro carissimo signor Girolamo, a cui ora non iscrivo per non moltiplicar lettere superfluamente ; siccome la prego de’ miei complimenti alla Signora Sua, ed a tutta la gentilissima famiglia. Mi scordai costì prendere due boccette di acqua della Regina, che mi erano state ordinate ; onde la prego istantemente favorirmi di provedermele, e spedirmele subito per il procaccino, o per altra congiuntura più comoda, ed avvisarmi del prezzo per rimetterglielo subito, raccomandandogli che l’acqua della Regina sia perfetta. La nuova Commedia non è ancora sbarazzata dalle Meteore, che la circondano, ma quanto prima, superata la convalescenza, uscirà dalle catacombe. Mi conservi la sua stimatissima grazia, ed in fretta mi confermo,
Tutto suo
NEL PARONZIN
sonetto
Finalmente anca mi son arrivàa aver al fianco un tocco de muggier ;contento son, e spero de godertutte le più compie felicità.Ma sento alcuni, che disendo va :quanto, quanto s’inganna el to pensier ;quello del matrimonio l’è un piaserche prestissimo passa, e se ne va.Xè giusto la muggier come la rogna :el gusto del gratar piase all’eccesso ;ma po’ resta el brusor e la vergogna.Diga ognun quel che vol, mi son l’istesso ;colle donne, lo so, soffrir bisogna,e qualcossa donar bisogna al sesso.
Il Tonin bella grazia che piacque tanto al D’Arbes, e più ancora ai comici, ebbe alla sua prima rappresentazione a Venezia, per conseguenza, oserei dir naturale, un clamoroso successo…. di fischi, tanto che il povero Goldoni fu obbligato a ritirarlo.
Allora per compensare l’artista del fiasco, fu messo in iscena l’Uomo prudente, che ebbe un ottimo successo e pel quale fu il D’Arbes proclamato l’attore più perfetto - dice Goldoni – che fosse allora sul teatro. Ma ci voleva, a meglio stabilire la sua riputazione, anche una parte che gli desse agio di mostrarsi a viso scoperto.
Nel D’Arbes – continua Goldoni – conobbi due pregi opposti ed abituali nella macchina, nella figura e nell’azione. Ora era l’uomo più allegro e più vivace del mondo, ora prendeva l’aria, i tratti e i discorsi d’un inetto, di un balordo ; queste variazioni poi succedevano in lui senza pensarvi, e con la maggior naturalezza. Una scoperta di tal sorte mi risvegliò l’idea di farlo comparire sotto questi differenti aspetti in una rappresentazione medesima.
E furono scritti I due gemelli veneziani, che piacquero immensamente, contribuendo infinitamente al loro buon successo « la maniera incomparabilmente sostenuta dal Pantalone, che si vide al colmo della gloria e del contento. »
Nel carnevale del 1749 il D’Arbes, richiesto alla Repubblica di Venezia dal ministro sassone per passare al servizio del re di Polonia, lasciò immediatamente la Compagnia di Medebac, per non occuparsi che della sua andata a Dresda.
E questa partenza mise più d’ogni altra cosa in impicci il povero Goldoni, giacchè partito il D’Arbes, e non sapendo ove battere il naso per sostituirlo, nel giovedì grasso furono disdetti tutti i palchi per l’anno seguente. Fu allora che Goldoni ricorse allo spediente della famosa promessa delle sedici commedie nuove. Mantener la quale lo inquietava assai meno della difficoltà di trovare un attore abile e piacevole quanto il perduto Pantalone. (Fu poi sostituito da Antonio Mattiuzzi vicentino, del quale discorreremo a suo tempo).

Ebbe il D’Arbes in quella Corte straniera onori non comuni, e fra gli altri la soprintendenza nell’uso de’ giuochi d’invito e d’azzardo, onde – scrive Fr. Bartoli – potè farvi qualche fortuna, e ritornò in Italia ben provvisto e fornito d’abiti e di denaro.
Per quanto concerne la dimora del D’Arbes a Dresda, abbiamo dal Barone ö Byrn (op. Cit.) come, rappresentato per la prima volta all’Accademia Reale di musica a Parigi il 5 dicembre 1749, il Zoroastro di Rameau con parole del nobile signor di Cahusac, sotto la direzione scenica del veneziano Pietro Algeri, Giacomo Casanova che viveva allora a Parigi, e che oltre quella del Faraone, aveva anche di sfuggita, la occupazione di scrittore, fosse dal grande successo dell’opera invogliato a tradurla in versi italiani e ridurla per le scene di Dresda. Compiuto il lavoro fu accettato, e rappresentato il 7 febbraio 1752, probabilmente nel grande teatro dell’opera, sotto la direzione anche’ sta volta di Pietro Algeri, venuto a bella posta da Parigi, e con musica nuova del suonatore di viola da braccio, e compositore della musica pe’ balli, Johann Adam. – Della musica di Rameau furon serbati la sinfonia e il primo coro.
Ecco l’elenco de’ personaggi e degli artisti :
Zoroastro, Institutore dei Maghi | Bernardo Vulcani. |
Amelia, Erede pretendente del trono di Battro | Marta Bastona Focher. |
Abramano, Primo sacerdote degli Idoli | Giovacchino Limperger. |
Erinice, Principessa di Battro | Giovanna Casanova. |
Zopiro, Uno delli sacerdoti degl’Idoli | CESARE D’ARBES. |
Zelisa, Giovane Battriana | Isabella Vulcani. |
Cefia, Giovane Battriana | Paola Falchi Noè. |
Abenide, Giovine selvaggio indiano | Gio. Batta Toscani. |
La Salamandra | Paola Falchi Noè |
Un Silfo | Gio. Batta Toscani. |
La Vendetta | Pietro Moretti. |
Una Voce che sorte dalla Nuvola in fiamma | Focher. |
Altra voce sotterranea. |
Battriani e Battriane, Selvaggi Indiani, Maghi,
Sacerdoti, Demoni, ecc. ecc.
Fra le comparse del ballo era anche la signora Casanova ; « forse, aggiunge il Byrn, Maria Maddalena Augusta, la ventenne figlia della commediante, che era ancora in casa di sua madre nel 1745. »
Cesare D’Arbes, lasciata poi la Corte di Dresda, e tornato in Italia, si scritturò con Antonio Sacco, il celebre Truffaldino, col quale stette fino al 1769. Da quella del Sacco passò nella Compagnia Lapy al Teatro S. Angelo, poi in quella di giro di Vincenzo Bugani, dalla quale entrò in quella della Maddalena Battaglia, nel 1776, allorchè le fu concesso il Teatro di S. Giovan Grisostomo. Ammalatosi gravemente, stette alcuni mesi in cura a Bologna ; ma tornato, appena convalescente, a Venezia, all’intento di riprender l’arte, vi morì nel’78 (24 febb.).
Fr. Bartoli dice che egli « sapeva giocar di scherma, ed insegnavala a
chi voleva da lui impararla. » E dopo di aver citate le parole del Piazza (Il Teatro, tomo II) : « Il Pantalone era tanto
stimabile per la sua abilità, che per la bontà del suo carattere. Buon marito,
ottimo padre, sincero amico, non aveva altro difetto, se pur difetto può dirsi, che
quello di un cuor troppo grande, e superiore alle forze sue…. »
,
aggiunge :
dopo lui non è rimasto all’arte comica un Pantalone, per
cui da altri possa nutrirsi la speranza di vederlo in questi tempi uguagliato
giammai.