Scala Flaminio. Nato di nobili parenti, non si sa dove, nè quando, ma fiorito tra la seconda metà del secolo xvi e la prima del xvii, fu artista sommo per le parti di Innamorato.
Francesco Bartoli, seguìto poi dal Sand e dagli altri, dice che lo Scala si pose alla testa de' Comici Gelosi che andarono a Parigi per privilegio ottenuto da Arrigo III nel 1577 ; ma il Baschet si domanda (op. cit.) se davvero figurasse in quella Compagnia più tosto questo che quel comico, e se davvero ne fosse capo lo Scala, non essendovi di ciò prove di sorta. È vero. Nè solamente pel '77 non abbiam prove della sua presenza nella Compagnia de' Gelosi ; ma nè anche per gli anni successivi. Per questi anzi se n’ avrebbe tale da escluderlo assolutamente dai Gelosi. Come mai l’Andreini che nelle Bravure del Capitano Spavento enumera tutti i componenti quella gran Compagnia, non fa cenno di lui ? Di lui, ch'egli ebbe in tal considerazione da dettare egli stesso la prefazione alle favole rappresentative, facendo dell’artista il più largo elogio ? E infatti : che ci sarebbe stato a fare quell’Innamorato accanto a due sì grandi nello stesso ruolo : Orazio Padovano e Adriano Valerini ? Ma d’altronde : come dubitare ch'ei fosse coi Gelosi al fianco d’Isabella Andreini, per la quale avea composto gli Scenarj che la misero più in voga, come La fortunata Isabella, La gelosa Isabella, La pazzia di Isabella, di cui era una parte principale egli medesimo ?
Comunque sia, se le lacune nello stato di servizio artistico dello Scala sono troppe, è certo ch'egli così in Italia come fuori fu artista reputatissimo per lungo volgere d’anni, e gentiluomo de'più diletti a principi e a letterati.
Le prove certe di lui cominciano dall’estate del 1600, in cui lo vediamo col Frittellino Cecchini a Lione, dove si publica, a sua istanza, Il Postumio, comedia del signor I. S. (Roussin, 1601). L'inverno del 1601 va a Parigi, poi forse, richiestane la Compagnia (degli Accesi) al Duca di Mantova da Maria di Boussu, dama della Corte di Bruxelles, nelle Fiandre e in Brabante.
« Fra i comici, che divertivano la Corte di Mantova nel gennajo 1606 – avverte il Bertolotti – è nominato Flavio Scala, il quale era ricercato da G. B. Spinola. »
Del 1610 abbiamo una lettera da Ravenna in data 24 marzo, che il Cardinale Caetani scrive al Duca di Modena, pregandolo di dar ordine che capitando Flaminio Scala nel suo Stato con Compagnia di comici li sia prohibito per questo anno il recitar comedie, e ciò perchè gli era stato dato da lui il maggior disgusto che potesse dargli huomo della sua conditione. E nel Rescritto della Cancelleria è detto : Scrivere a Reggio e a Carpi.
Il 1611, anno della pubblicazione della sua grande opera degli Scenarj, passò da quello del Duca di Mantova al servizio di Don Giovanni de' Medici nella Compagnia de' Confidenti, di cui fu attor principale e direttore. Le notizie certe di lui terminano col marzo del 1620. Egli assunse in teatro il nome di Flavio (lasciatoci dal Ruzzante), specchio degli Innamorati, che, bello, galante, poeta, musicista, gentile come un cortigiano, attillato come uno spagnuolo, la vince nel cuore di Fiorinetta su tutti gli altri, per quanto sfoggio essi facciano delle loro ricchezze ; e tra' suoi Scenarj cinque ve n’ha intitolati dal suo nome di teatro, e in cui egli è protagonista : La fortuna di Flavio, Flavio tradito, Flavio finto negoziante, Le disgrazie di Flavio.
Curiosa e interessante opera cotesta degli Scenarj (Venezia, Pulciani, 1611), ch'egli chiamò Il Teatro delle Favole rappresentative, ovvero La Ricreazione comica, boschereccia, e tragica, divisa in cinquanta giornate, e volle dedicata al Conte Ferdinando Riario.
A essa, come ho già detto, preluse con parole di molta lode Francesco Andreini, tra cui queste :
Che il signor Flaminio Scala detto Flavio in Comedia, per non far torto all’ordine suddetto, e tanto da buoni filosofi lodato, nella sua gioventù si diede all’ esercizio nobile della commedia (non punto oscurando il suo nobile nascimento) e in quello fece tanto e tale profitto ch' egli meritò d’esser posto nel numero de' buoni comici, e fra i migliori della comica professione.
Luigi Riccoboni nel capitolo quinto della sua Istoria del Teatro italiano, parla a lungo di queste favole dello Scala.
Egli dice :
Il suo teatro non è scritto in dialogo, ma solamente esposto in semplici scenarj, che non sono così concisi come quelli di cui facciamo noi uso, e che esponiamo attaccati ai muri del teatro dietro le quinte, ma che pure non sono tanto prolissi da poterne trarre la minima idea del dialogo : essi spiegano soltanto ciò che l’attore deve fare in scena, e l’azione di che si tratta, e nulla più.
E li dice cattivi e scandalosissimi, e lodati da tanti illustri uomini non già pel merito loro, ma per la loro invenzione. Andreini poi spiega il perchè della pubblicazion delle Favole in Scenarj piuttostochè in disteso, nella prefazione di esse :
Avrebbe potuto il detto signor Flavio (perchè a ciò fare era idoneo) distender le opere sue, e scriverle da verbo a verbo come s’usa di fare ; ma perchè oggidì non si vede altro che comedie stampate con modi diversi di dire, e molto strepitosi nelle buone regole, ha voluto con questa sua nuova invenzione metter fuora le sue comedie solamente con lo Scenario, lasciando ai bellissimi ingegni (nati solo all’ eccellenza del dire) il farvi sopra le parole, quando però non sdegnino d’onorar le sue fatiche da lui composte non ad altro fine che per dilettare solamente, lasciando il dilettare e il giovare insieme, come ricerca la poesia, a spiriti rari e pellegrini.
Vedasi ciò che dice Evaristo Gherardi, ottant’anni più tardi, di coloro che recitan le commedie a soggetto. Andrea Perucci più volte ricordato dà in modo particolareggiato tutte le regole del recitare all’improvviso, molte delle quali sparse in quest’ opera a' nomi de' più famosi recitanti.
Nella XIVª, quella cioè del modo di concertare il soggetto, ufficio esclusivo del Direttore di Compagnia, egli dice :
Il Corago, Guida-Maestro, o più pratico della conversazione deve concertare il soggetto prima di farsi, acciocchè si sappia il contenuto della comedia, s’intenda dove hanno da terminare i discorsi e si possa indagare concertando qualche arguzia, o lazzo nuovo. L'ufficio dunque di chi concerta non è di leggere il soggetto solo ; ma di esplicare i personaggi coi nomi e qualità loro, l’argomento della favola, il luogo ove si recita, le case, decifrare i lazzi e tutte le minuzie necessarie, con aver cura delle cose che fanno di bisogno per la comedia.
Il Perucci prende per esempio La Trapolaria, Scenario di G. B. Porta, e su di esso distende minutamente le sue regole, enumerandone prima i personaggi, assegnando a ciascuno di essi le case, prima o seconda, di destra o sinistra, dicendo l’argomento, spiegando i lazzi e assegnandoli a'varj punti della Commedia. Certo, com’ egli avverte nel Proemio al rappresentare all’ improvviso,
bellissima quanto difficile e pericolosa è l’ impresa, nè vi si devono porre se non persone idonee ed intendenti, e che sappiano che vuol dire regola di lingua, figure Rettoriche, tropi, e tutta l’ arte rettorica, avendo da fare all’ improvviso ciò che premeditato fa il poeta….
ma quando esse abbiano le qualità volute, e specialmente una pratica singolarissima del teatro, certi inconvenienti lamentabili nella recitazione premeditata, sarebber più facilmente eliminati in quella improvvisa. Per esempio : recitando all’ improvviso è più facile impedire che il personaggio che entra in iscena s’ incontri con quello che esce,
perchè parlando, ed aggiungendo parole sopra la materia, si può vedere quale scena sia occupata dal Personaggio, che sarà per uscire, e non entrare per quella ; ma per dove sarà vota. Benchè l’uscire per le scene di sopra, ed entrare per quelle di sotto è una Regola infallibile, quando la necessità altro non ricercasse.
Rimediare alle scene vuote e mute si può altresì più all’improvviso, che al premeditato, potendo ciascuno uscire sopra il tenore della scena antecedente, e parlare fin a tanto che venga a chi toccherà d’uscire.
Noi, grazie a Dio, non ci troviamo più a tanta libertà ; ma artisti capaci di rimediare alle così dette scene vuote, e di tenere a bada il pubblico o con un monologo o con una scena, finchè non entri il personaggio che deve entrare, ne abbiamo ancora.
Della eccellenza di Flaminio Scala nel recitare e nel dirigere abbiam testimonianza amplissima in alcune lettere dell’Archivio di Mantova, ch'ebbi per gentile comunicazione di Stef. Davari, nelle quali Don Giovanni De' Medici si oppone strenuamente a che alcuni de'suoi comici Confidenti (Mezzettino Onorati e Scapino Gabbrielli, e primo lo Scala), passino a richiesta di Lelio e di Florinda, a far parte della Compagnia che il Duca di Mantova vorrebbe inviare in Francia. La Compagnia intera è pronto a inviarla quando piaccia a S. A., dopo gl’ impegni assunti col Gran Duca, ma comici isolati no ; chè sarebbe un distruggere la Compagnia ch' egli con tanta pazienza e con tanto amore tiene insieme da circa sei anni (le lettere han la data del '18). Infatti, richiesta la Compagnia dal Duca, Don Giovanni scrive alla Duchessa (Venezia, 2 aprile 1618) che pensando potesse essere la venuta della sua Compagnia anche di suo gusto, le ha spedito ordine di voltar subito strada (era diretta a Genova), e recarsi a Mantova.
E il successo, confermato dal Duca stesso e dal Segretario Marliani, ne fu de' migliori ; e i comici tutti, lo Scala specialmente, s’ebber donativi e onori.
A nuove e più vive richieste del Duca, Don Giovanni rispose schermendosi ancora, finchè, insistendo quello, dovè (6 aprile 1619) mettersi devotamente a' suoi ordini e promettergli Scapino e Mezzettino (V. Gabbrielli Francesco e Onorati Ottavio) non che lo Scala, rassegnandosi a vedere lo sfascio della Compagnia ; chè senza tali personaggi essa sarebbe stata priva dell’ anima e dello spirito.
E dice inoltre :
Non negherò ancora Ser.mo Sig.re che amando io Flaminio Scala et desiderandogli ogni bene, nè potendo io come povero Cav.re farli di quei benefizij che i Principi grandi sanno et possono fare a loro cari servi.ri, ho cercato col tener questa compagnia insieme che egli possa sostentarsi cavandone utile che veramente mi rincresce che resti tolto a questo povero galanthuomo che sempre è vissuto in maniera da capir per tutto. Tuttavia può tanto in me il desiderio di servire et gustare V. A. che senza far reflessione sopra cosa alcuna accomoderò il mio▶ desiderio al suo gusto, nè penserò più a' commedianti, et lo Scala è tanto galanthuomo che egli medesimo instantemente mi ha pregato ch' io operi in questo affare in guisa che V. A. resti servita di conoscere ch' egli serve volontieris.° a gran Principi suoi pari senz' altro interesse che di buon ser.re, che è debito suo, rimettendo ogni altra cosa nell’arbitrio et volontà de'suoi Padroni.
Ma ahimè ! quel povero Don Giovanni non seppe più da che canto rifarsi per avere un po' di pace. I comici si raccomandavano e piagnucolavano per non essere divisi, il Duca insisteva per avere quei tre. Nell’animo del Capocomico di buon cuore prevalse la ragione de' comici, tanto più che i personaggi richiesti dal Duca non lo eran per suo particolare servizio, ma per essere inviati in Francia assieme a Lelio e Florinda.
Vale la pena ch' io dia qui intera la lettera che Don Giovanni scrisse da Venezia il 21 marzo 1620 a Ercole Marliani, nella quale son notizie di grande interesse intorno alla Compagnia de' Confidenti :
È venuto da me per licenziarsi per costà il nostro Sig.r Flaminio Scala, et io quasi quasi gli avevo consigniato non so che ostriche per Mad.ª Ser.ma, ma domandandogli poi, che buon vento lo spingeva in costà, mentre si assettavano i bariletti, mi mostrò una lettera di V. S. degli 11 marzo scritta su le 6 hore, la quale letta da me mi indusse subito a dirgli che non occorreva ne per acqua ne per terra che egli venissi in costà, se non haveva altro negozio in che servire S. A. che di far la compagnia per mandare in Francia, poichè il concerto fatto con esso, io sapevo che non poteva in modo alcuno havere effetto. In quanto però appartiene alla compagnia de Confidenti, che sta ancora sotto la mia protezione, essendosi mitissimamente ristabilita, nella quale ancor' egli si ritrova et che quanto a altri comici che S. A. fa trattenere costì, soggiunsegli che non vedevo quello che egli vi havesse che fare, et dissigli di più, che mi maravigliavo che essendo egli informatissimo della rissolutissima volontà et stabilimento de compagni, pensasse a venir costà con le mani piene di vento, et soggiungendomi egli che si moveva per ubbidire, io gli supplicai, che già che egli sapeva non poter servire a cosa alcuna nel concertato suo con S. A. che mi pareva prima di dovere io scrivere a V. S. quanto passava acciò egli non facesse un viaggio a sproposito ; et così lo fermai di testa. Dico adunque a V. S. che al ritorno di Monferrato del detto Scala, con la lettera di S. A. io risposi all’A. S. come ella può sapere, che all’ hora haverebbe la compagnia satisfatto all’ obbligo che haveva qui in Venezia, e poi a quaresima harei procurato per quanto potevo di servire all’A. S., et in vero credetti poterlo fare, perchè vedevo quasi tutti alborottati et con molte difficultà nel mantenersi uniti, come è solito de Comedianti. Et io gli lasciavo (come si dice) cuocere nel loro grasso, ma venuta la quaresima, che le minestre son più magre, quando l’uno e quando l’altro cominciorno a venirmi a rompere gli orecchi, ma tutti a una non domandavano se non, unione, unione. Et poi tutti insieme, non una volta, ma ben quattro, mi son venuti a dire et protestare che assolutissima.te non si volevan disunire di sieme, et havendogli io più volte detto et ridetto che non mi volevo impacciare di questo affare ma che gli farei sapere quanto mi pareva bene per utile loro et il ◀mio▶ desiderio, mi tornorno tutti a dire, con humiliss.e preghiere di non gli abbandonare, che erono rissolutiss.i di non si voler disunire, ne separare in modo alcuno, et che però in tal modo io gli comandasse che erano prontiss.mi ad ubbidire, ma altrimenti più tosto harebbono eletto di andare dispersi, perchè vedevono la loro manifesta rovina, mentre si disunissero et dovendo rovinare col dividersi, più tosto harebbono eletto di fare ogni vil mestiero che più recitare, e tutto hanno fondato, secondo me, sul vedere il buon guadagno che hanno fatto quest’ anno. Io Sig.r Hercole ◀mio▶ per parlar con V. S. alla libera vedendo in quel che consiste e da quel che depende la loro risoluzione, non ho saputo, ne anche voluto (per dire il vero) fargli forza, perchè come povero Cav.re di spada et cappa non ho il modo a dare a ciascun di loro 500 scudi per ciascuno, il vitto e'l vestire per loro e per le loro famiglie per tutto l’anno, come ogni uno di loro quest’ anno s’è guadagnato, che prima che scriverlo, creda pur V. S. che l’ ho voluto molto ben vedere e toccar con mano. Et per vita sua la prego a dirmi, come potevo io dire, tu hai da andare, tu hai da restare, tu che sei primo diventar secondo, et fra huomini dove è libertà et compagnia persuadere per accettabile la superiorità et la suggezzione ? Che carità christiana harei havuta verso questi poveri huomini et loro famiglie ? Che atto di cortesia o di gratitudine harei io dimostrato a costoro che per 7 anni continui mi hanno obbedito al cenno, se io gli havessi rovinati et sprofondati, come loro tengono d’ essere quando saranno disuniti ? Sig.r ◀mio▶, son povero sì, ma son generoso, et confesso il vero, son persona dolce, ne so far male a chi mi riverisce. V. S. sà che 'l mondo si governa con l’opinione ; questi poveri huomini pensano col disunirsi di rovinarsi, ond’ io per le ragioni dette, non ho saputo trovar parole da principiare non che da persuaderglielo. Però gli ho risposto che faccin bene che io gli aiuterò sempre, e così li ho licenziati. Mi sono ben fatto promettere da ciascuno in particolare, che sempre, che per qual si voglia accidente si disunischino, ogni uno di loro farà quel ch' io vorrò. V. S. vede ch' io non ho lasciato di fare quel che potevo ma visto che non bastava per complice a quel che harebbe voluto S. A. ho fatto alla cortigiana ; et più tosto volevo tacermi che scriver cosa di poco gusto, nondimeno perchè la lettera di V. S. presupponeva le cose in altro stato, ho giudicato bene dargliene parte acciò S. A. ne resti informata, confidando che la distrezza di V. S. gliene porgerà in quella maniera che è proporzionata al sommo desiderio che ho sempre di servire a S. A. in ogni cosa. Io che conosco i nobiliss.i concetti dell’A. S. et la sua molta prudenza, non ho creduto veramente ch' egli habbia a voler premere tanto in questo negozio, ch' egli habbia a voler mandare spersi questi poveri huomini senza suo servizio particolare, perchè credami V. S., che questi separati, non darebbono ne in ciel ne in terra, anzi che S. A. manderebbe in Francia la torre di Babel e non una compagnia de comici, se disunendo questi gli mescolassi con altri. Troppo dolce suona negli orecchi il nome della libertà, et etiam gli animali vivuti qualche poco in sieme non si fanno dividere quando si viene all’atto et al fatto. Sono Sig.r ◀mio▶ notissimi et conosciuti i Lelij, le Florinde, le Flamminie, i Frittelini et gli Arlichini tutti huomini desiderosiss.i et ambiziosi di dominio et d’impero, talchè questi poveri huomini usi a una fratellanza fra di loro, mai si ridurrebbon con essi in una servitù pacifica et quieta, et questi altri mai si divezzerebono dal voler dominare et comandare, perchè si san troppo usi, et hanno rotte troppe scarpe in quel mestiero, et io gli ho per scusati, perché ancor' io più volentieri ho comandato che ubbedito, et questo è desiderio innato in ciascun’ huomo, et però ardisco di dire immutabile, anzi che cresce cogli anni. Però creda V. S. ch' io stimo che sia servitio di S. A. che di questo negozio non se ne tratti, perchè non è proporzionato alla sua Grandezza, che quattro commedianti si allontanino dal suo gusto, et che lasciando in parte il dovuto rispetto non stiano mai d’accordo in sieme, come al certo non starebbon questi, et tanto meno in Francia nel Teatro di sì gran Corte ; e V. S. tenga per certo ch' io non mi inganno, perchè mi ricordo degli esempj de casi seguiti al tempo della fel. mem. dell’A.za del S.r Duca Vincenzo, padre dell’A. S.
In somma Sig.r Marliani il dominio delle volontà non è cosa terrena, ne da lontano si posson rimediare gli inconvenienti. Non voglio anche tacere a V. S. un ◀mio▶ pensiero che io tengo per sicuriss.° che la prudenza di S. A. conosca tutte queste cose molto meglio di me, ma che l’ importunità di tutti cotesti comici di cotesta compag.ia trattenuti costì gli faccia per strano dare orecchie, et dare qualche ordine in queste materie, nel qual caso poi, per dirgliela confidentemente, io non mi curo punto di rompere una Compag.ia che dipende da me per dar gusto a commedianti che per invidia hanno concertato et vorrebbono urtarla, cozzarla et disfarla. La Compagnia de Confidenti invero (se ben cotesti et altri la disprezzano) ha gran fama, et per tutto hoggi è stimata più d’ogni altra, onde il romperla sarebbe proprio (come si suol dire) quasi peccato, e tanto più senza cavarne il profitto che forse si spera. Sono stato lungo, ma era necessario parlar chiaro et senza maschera, se ben si tratti de commedianti, perchè non siamo in commedia, et io dico da buon senno. Se adunque lo Scala non viene, V. S. scusi me, et non lui, perchè egli, come buona persona, veniva a toccare una nasata, et io che hoggi mai ho la barba più bianca che nera, ho stimato sia meglio così et rimettere il tutto nella prudenza di V. S. che saprà con la conveniente circuspezione et riverenza ritenere alquanto con dolcezza, certi impeti vivaci, soliti a regnare nelle menti de gran Principi, che dai buoni ser.ri devon’ essere desiderati quieti et conforme all’honesto.
A questo punto cessano le notizie della vita artistica di Flaminio Scala, di colui che, se non migliorò la commedia dell’arte, la sviluppò certo, dandole nuovi e più varj atteggiamenti.
Da questa lettera di ringraziamento, che esso Scala inviò al Duca non appena giunto a Venezia, vien fuori un nuovo personaggio, la Livia, che parrebbe, all’ascendente che esercita su lui, una moglie in calzoni.
Subito giunto a Venetia andai in Villa a dare le lett.e di V. A. all’Ecc.mo S.r D.n Giovanni ◀mio▶ Sig.re, al quale feci relatione del regalo fatto a ciascuno della sua compagnia, ma in particolare poi dell’honore fattomi da V. A. La Sig.ra Livia curiosa di veder l’habito negro a pena mi diede tempo di mandarlo a pigliare et perchè à giudicato che non sia per me pover huomo, me ne ha dette tante che m’ha havuto a far perdere la patienza, ond’in vece di far una grossa spesa per acconciarlo a ◀mio▶ dosso, mi converrà tenerlo per reliquia cara del ◀mio Ser.mo Sig.re. Starò attendendo i comandamenti de V. A. et sia certa che la servirò conforme la mia obligatione et in quanto potrò.
Parmi ozioso il fermarsi sul granchio preso dal Quadrio, che fa moglie dello Scala Orsola, detta in commedia Flaminia, ch'era la moglie del Frittellino Cecchini. Il Valeri (Un Palcoscenico del seicento, Roma, 1893) dall’errore del Quadrio e dall’essere stato il Cecchini valentissimo allievo dello Scala, trae la probabile ipotesi che la Cecchini fosse una figlia del maestro maritata allo scolare.
Delle tante poesie dettate in onor dello Scala dall’Achillini, dal Campeggi, dall’Orsino, dal Lazzari, dal Petracci, dal Marliani, dall’Andreini, pubblicate in fronte all’opera delle Favole, metterò qui un madrigale del Petracci, e il sonetto dell’Andreini, che dicon chiaro le lodi dell’autore e dell’opera :
Detta Flaminio, e poiciò si ben rappresentaFlavio gentile a noi,ch'ogni alma trasse ad ascoltarlo intenta.O d’arte e di Natura eccelso dono !Questi e Quegli uno sono ;ma qual s’avanzi stai dubbioso intanto,di Flavio il pregio, o di Flaminio il vanto.Giacean sepolte in un profondo oblìole Muse, quando tu Flavio gentilele richiamasti, e con leggiadro stileprincipio desti al nobil tuo desìo :per te godon le scene il lor natìohonor ; e già se 'n vola a Battro a Thileglorioso il tuo nome, e l’empia e vileinvidia paga il doloroso fio :Godi dunque felice un tanto honore,che 'l mondo in premio delle tue fatichelieto ti porge, e ne ringrazia il Cielo :Quindi avverrà ch'ogni or le Muse amicheavrai, e colmo d’amoroso zeloa le scene darai gloria e splendore.