Gherardi Evaristo. Figlio del precedente, nato a Prato in Toscana agli
11 di novembre 1663, secondo la bibliografia pratese, esordì alla Comedia
italiana di Parigi, dopo di aver compiuto gli studi di filosofia, il
1° ottobre 1689 colla parte di Arlecchino nella commedia Il divorzio di Regnard, rappresentata la prima volta all’Hôtel de
Bourgogne il 17 marzo 1688 con Domenico Biancolelli. Su tal proposito il
Gherardi, in una nota alla fine di essa, che è nel Tomo II del suo Teatro
italiano, lasciò scritto :
Questa commedia non ebbe alcun successo tra le mani del fu signor Domenico. Era stata
radiata dal repertorio, e le parti ne furono bruciate. Io (che non avevo mai salito un
palcoscenico, e uscivo dal collegio della Marca, ove avea compiuto il mio▶ corso di
filosofia sotto il dottor signor Balli), la scelsi per ◀mio▶ primo esperimento
(1 ottobre 1689), quando apparvi al pubblico d’ ordine del Re e di Monsignore, e tale
e tanto ne fu il successo, che procurò ai comici moltissimo guadagno.
S’io mi fossi uomo da inorgoglirmi del talento che mi fornì natura pel teatro, sia a
viso scoperto, sia colla maschera, ne’ principali ruoli e serj e comici, in cui mi s’
è visto rifulgere tra gli applausi, agli occhi de’ più gentili e intelligenti, avrei
bene di che soddisfare al ◀mio▶ amor proprio. Io direi che ho più fatto io, al cominciar
della mia carriera, e ne’ miei teneri anni, che non attori illustri dopo venti anni di
esercizio e nella pienezza de’lor mezzi. Ma io protesto che lungi dall’esser mai
montato in superbia per si rare qualità, io le ho sempre considerate effetti della mia
buona stella, piuttostochè del ◀mio▶ merito ; e se alcuna cosa ha potuto lusingar
l’animo ◀mio in tali congiunture, ciò non fu che il piacere di sentirmi applaudito dopo
l’inimitabile signor Domenico, il quale ha portato si alta l’eccellenza della
goffaggine nel carattere di arlecchino, che chiunque l’abbia visto recitare, troverà
sempre alcun che da osservare ne’ più famosi arlecchini del suo tempo.
La notizia che di lui dà Fr. Bartoli è pressochè tutta erronea. Il Gherardi recitò alla
Comedia italiana fino alla sua soppressione che fu nel 1697. E poco prima del ’700,
caduto in una rappresentazione ch’egli diede con Thorillière e Poisson a Saint-Maur,
n’ebbe tal colpo alla testa, che, tornando da
Versailles,
ove s’era recato a offrire il suo Teatro italiano a Monsignore, morì
improvvisamente il 31 agosto del ’700, mentre teneva fra le ginocchia il figliuolo che
avea avuto da Elisabetta Danneret, la cantatrice della Comedia italiana, nota col nome
di Babet la chanteuse. Abitava allora ai Petits-Carreaux in via
Montorgueil. La Danneret fece apporre i suggelli su quanto
possedeva il defunto, ottenendone la confisca. Il Gherardi ebbe il 5 febbraio 1689, da
una unione illegittima con certa Maria Maddalena Poignard, un primo figliuolo per nome
Fiorentino Giacinto.
Per una rissa accaduta alla Comedia italiana fra il Gherardi e il Costantini, vedi
Costantini Gio. Battista. Il Campardon riferisce un altro documento a proposito del Ritorno dalla fiera di Bezons, opera dello stesso Gherardi, per la quale
il commissario Lefrançois gli mosse querela, essendo in essa posti in ridicolo i
commissari del Châtelet.
Nell’opuscolo intitolato : La pompa funebre di Arlecchino (Paris,
Jean Musier, 1701), abbiamo il seguente ritratto del nostro artista :
Je commence par son portrait.
Tu ne le vis que sous le masque,
et qu’avec son pourpoint de Basque ;
il n’étoit ni bien, ni mal fait,
grand ni petit, plus gras que maigre :
il avoit le corps fort alaigre,
le front haut, l’œil foible, mais vif.
Le nez très-significatif,
et qui promettoit des merveilles.
La bouche atteignoit ses oreilles ;
son teint étoit d’homme de feu,
son menton se doubloit un peu,
son encolure assez petite
le menaçoit de mort subite.
Pour voir au vif son vrai portrait,
il faut voir le fils qu’il a fait,
a mon avis il lui ressemble,
hormis qu’il est un peu vulcain,
ce que n’étoit pas arlequin :
ou pour le moins il me le semble.
L’opera maggiore del Gherardi è quella del Teatro italiano, dopo la
pubblicazione degli Scenarj di Flaminio Scala, la più importante per
la storia dei nostri comici. Essa racchiude le scene francesi che furono, si può dire,
incastonate
ne’ loro soggetti, de’ quali non sarebbe stato possibile dare
distesamente lo sviluppo. E la ragione di tale impossibilità è così descritta dal
Gherardi stesso nel principio della premessa all’opera sua :
Non si creda di trovare in questa raccolta delle intere comedie, poichè la comedia
dell’ arte non potrebbe essere pubblicata distesamente. I comici italiani non imparan
nulla a memoria ; a loro basta, per recitare una commedia, di averne visto il soggetto
un momento prima di andare in iscena. Di tal guisa la maggior bellezza delle opere
loro è inseparabile dall’ azione, dipendendo il successo di esse esclusivamente dagli
attori che dànno loro maggiore o minor pregio secondo il maggiore o minore spirito, e
secondo la situazione buona o cattiva nella quale si trovano recitando. Da tal
necessità d’improvvisazione nasce la difficoltà grande di sostituire un buon comico
italiano, venuto sciaguratamente a mancare. Non vi ha chi non possa imparare a memoria
e recitar da la scena, ciò ch’egli ha imparato a memoria : ma dal comico italiano si
richiede ben altro. Chi dice buon comico italiano, dice un uomo di
fondamento, che esercita assai più la fantasia che la memoria, che compone, recitando,
ciò che dice, che sa coadiuvare il suo interlocutore, vale a dire ch’egli sposa così
bene le parole e l’azione con quelle del suo compagno, ed entra di punto in bianco in
tutto il movimento drammatico dall’altro richiesto, di tal maniera da far credere agli
ascoltatori che tutto sia stato anticipatamente combinato.
Il Gherardi aveva pubblicato un primo volumetto nel 1694, la cui buona accoglienza
suscitò l’invidia di alcuni compagni, i quali temendo che la pubblicazione di quelle
scene potesse nuocere alla rappresentazione delle commedie da cui furono tratte,
riuscirono a far togliere al Gherardi da Monsignor Cancelliere il privilegio accordato.
Ma la loro irragionevolezza sta nel fatto che i novecento esemplari depositati presso il
collega Ottavio (Gio. Battista Costantini) furon da lui venduti ai varj librai di Parigi
in ragione di trentadue soldi l’uno, dopo di averne bruciati due o tre fogli, e di aver
fatto credere che tutta l’edizione ne fosse stata distrutta. Il volumetto, benchè
proibito, andò via a ruba, tanto che se n’ebber contraffazioni non solo in Olanda, a
Bruxelles e a Liegi, ma in quasi tutte le provincie del Regno, e se ne pubblicò
un’aggiunta di due volumi, uno col titolo di Supplemento al teatro
italiano, privo di qualsiasi pregio, composto a quel che si dice dall’autore
dell’Arliquiniana (Cotolendi) o della Vita di
Scaramuccia (Angelo Costantini, Mezzettino), e l’altro col titolo di Terzo volume, rubato manoscritto al Gherardi, e in ogni scena mutilato per
meglio celarne la frode. La nuova edizione, apparsa il 1700,
comprende sei volumi in 12°, arricchiti di incisioni in rame non firmate, ma assai
probabilmente del Bonnart, importantissime per la storia del costume teatrale dei nostri
comici sullo scorcio del secolo XVII.