(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [B] — Di Ferrara il dì 27 febraro 1618. » pp. 519-525
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(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [B] — Di Ferrara il dì 27 febraro 1618. » pp. 519-525

Bruni Domenico, detto Fulvio in commedia, comico Confidente al servizio di Madama Serenissima Principessa di Piemonte, fu rinomatissimo come innamorato e come autore di opere attinenti al teatro. La più nota e interessante è senza dubbio quella delle Fatiche comiche, stampata a Parigi per Nicolao Callemont il m . dc . xxiii, e divisa in due parti ; di cui l’una dedicata all’ Ill. mo ed eccellentissimo D. Cesare di Vandome, Duca di Vandome, di Belforte, e di Etampe, Governatore di Bertagna, ecc., e l’altra al Serenissimo Principe Tomaso di Savoja. Il volume ha una specie di autobiografia dei primi anni del Bruni, in cui è narrato per disteso il suo ingresso nell’arte, e in cui si discorre largamente e chiaramente di vari comici, quali Isabella Andreini, Gio. Battista Andreini, Pietro Maria Cecchini, Adriano Valerini, Orazio Nobili, Giovan Paulo Fabbri, Cintio Fidenzi (V.), al nome de’ quali si troveran riportate le parole di lui. Anche vi sono due prologhi da Pantalone e da Graziano di cui il lettore troverà menzione ai nomi di Pasquati e Bianchi. A questa delle Fatiche comiche segue un’operetta col titolo : Prologhi di Domenico Bruni Comico Confidente detto Fulvio, all’Ill. et Ecc. Sig. D. Emanuel di Savoja, ecc. Torino, 1621. Contiene : Prologo a S. A. S. recitato da Celia. – Affetti di Lavinia verso Madama Serenissima Principessa di Piemonte, Prologo. – Meraviglie di Torino conosciute da Lavinia, Prologo. Della nobile Torino, riserbata ad avere tanta e così gloriosa parte nella storia d’Italia, scriveva il Bruni, quasi presago dell’avvenire : « in questo luogo dove i monti tengono il piede, l’Italia il cuore, il Re dei Fiumi la cuna, Venere l’albergo, la Vittoria le palme, la Gloria i trionfi e l’Onore il seggio, ecc. » Non ho veduto questo libretto di Prologhi, ed ho però trascritte le parole di A. Bartoli (op. cit., cxxviii). Ma di altra opera importantissima dovrem parlare qui, a mia notizia non mai pubblicata per le stampe, posseduta manoscritta (e assai probabilmente autografa) dal conte Paglicci-Brozzi, addetto all’Archivio di Stato di Milano, e solerte raccoglitore di cose teatrali, il quale con abnegazione più unica che rara volle mandarmela in esame, concedendomi di pubblicare quanto fosse stato necessario al maggiore e migliore sviluppo di questo dizionario. L’opera è in quarto, di nitida scrittura (certo del ’600), e ha per titolo : Dialoghi Scenici di Domenico Bruni detto Fulvio, Comico Confidente fatti da lui in diverse occasioni ad istanza delle sue compagne, Flaminia, Delia, Valeria, Lavinia e Celia ; cioè : Orsola Cecchini, Camilla Rocca Nobili, l’Austoni, Marina Antonazzoni e Maria Malloni. Il volume non comprende che una prima parte di dialoghi, di cui ecco i titoli :

Amore di amante sprezz ato rivolto in odio.
Donna incredula.
Principio d’Amore.
Se la bellezza e la gratia sieno una cosa stessa.
Se la lontananza sia buona in Amore.
Guerra amorosa.
Amante troppo amico.
Ragioni di essere et non essere amante.
Precedenza dell’huomo e del la donna.
Chi sia Amore, lo Amante o l’Amata.
Complimenti alla finestra nel partirsi dall’amata.
Chi più ami l’huomo o la donna.
Amante ruffiano nell’amor costante.
Amanti riconosciuti nella istessa com. ª
Se in Amore prevagliono i sensi o l’intelletto.
Augumento delle fiamme amorose.
Amante giuocatore.
Sole et Luna.
Amante ingrato nella corsara.
Gelosia buona in Amore.
Giuoco della palla.
Fine del giuoco della palla.
Lode degli occhi ne’duoi pazzi.
Amanti pazzi ne’ duoi pazzi.
Zodiaco.
Amanti petrarchisti.
Moglie ragionevolmente gelosa nell’innocenza travagliata.
Precedenza del Legista e dello Artista.
Bacio, vero godimento di Amore.
Precedenza dello Armigero et del letterato.
Precedenza dei colori e della proportione.
Amanti Astrologhi.
Della Bellezza.
Giuoco dell’ Amore.
Il servire più d’una donna non è incostanza, e lo scordarsi dell’amata non è mancanza.
Giuramento involontario.
Che si deve amare chi non ama.
Non voler amare per non esser geloso.
Retorica.
Sdegni placati.
Donna semplice et a ccorta.
Partenza.
Amante volubile.
Cinque per cento.
Amorosa ostinatione superata
Donna sdegnata contro il marito.
Marito sdegnato contro la moglie.
Ritratto salutevole.
Ringraziamento.
Donna servitore.
Parlare d’intelligenza diversa.

I dialoghi per vero dire non valgono gran cosa. Ci si trova dinanzi a’ soliti contrasti dalle imagini bizzarre a grossi paroloni, dalle sottigliezze lambiccate, dalle sdolcinature iperboliche a base di sole, di luna, di fontane, di fiumi, di aurore, di tramonti, con tutti gli dei e semidei dell’olimpo. Ma quel che dà importanza e valore a questi dialoghi è l’idea ch’essi ci danno del recitar d’allora ; e forse di que’tali scartafacci o soggetti, ne’quali i comici serbavan le frasi di entrata e di uscita, i pensieri amorosi, le nuove arguzie, le nuove spiritosaggini, il patrimonio insomma dell’artista che dovea recitar la commedia all’improvviso ; poichè questi dialoghi del Bruni molto probabilmente eran incastrati volta per volta nelle varie commedie improvvise, le quali, a lungo andare, avevan poi nelle repliche la parola stereotipata per modo che si poteva col solo soccorso della memoria, trascriverle distesamente, senza nè toglier, nè aggiunger sillaba. Questo abbiamo visto accadere per l’Innavertito del Beltrame ; e questo forse accadde per la Rodiana, commedia improvvisa del Calmo, trascritta poi sulla scorta di quei primi recitatori dal Ruzzante ? (V. Beolco e Ruzzante).

Trascelgo il dialogo della Donna servitore che è tra Fulvio e Celia in abito d’uomo.

Fulvio. Dico che vi somigliate di maniera a questa Celia, che facil cosa sarebbe che se voi foste adornato da donna, si come sete vestito da huomo, che fosti preso per quella.

Celia. Queste sono delle maraviglie che suole produrre la natura che ancor che paja diligentissima si dimostri nel distinguere le persone, nel carattere dello scrivere, nel suono delle voci, et nella forma dei volti ; contuttociò molti si sono trovati che simigliantissimi tra di loro essendo, benchè nati in paesi diversi e lontani, hanno ingannati quelli che più famigliarmente con loro praticavano ; e la prova si vede nella mia persona che tanto dite assomigliarsi a questa Celia.

Fulvio. Sia come si voglia, se come vi ho detto volete venire a stare in casa mia, mi sarete caro e rimanerete beneficato dell’ajuto da voi ricevuto.

Celia. Questo giorno la fortuna mi ha condotto in questo luogo, perchè io adempisca il decreto del Destino che mi fece nascere per servirvi. Mi comandi e mi ami.

Fulvio. Vi amo ; e per mostrare quale verso di voi sia la confidenza mia, vi costituisco secretario delle mie passioni amorose, confidando la mia salute nella vostra diligenza. Ho amato quella Celia che dissi, ma l’alterezza di questa balordella (benchè adesso il suo amore mi prometta e mi preghi) mi ha di maniera contro di lei alterato, che ad ogni mio potere mi sono disposto, aborrendo le sue nozze, di conseguire una giovine che alberga in quella casa il cui nome è Lauinia, figlia d’un mercante honorato, e non disuguale a me di parentado, alla quale risolvo di scrivere una lettera, e farne voi il portatore, sì come sarete a lei il primo palesatore delle mie affettioni.

Celia. Benchè habbi letto :

Pazzo chi al suo Sig. r contradir vuole,
se ben dicesse hauer ueduto il giorno
splender le stelle e a mezzanotte il sole,

con tutto ciò, non per contradire, ma per non simulare, dirò che la vostra incostanza conosciuta per difetto dalla Sig.ª Lauinia, si opponerà all’acquisto che bramate ; onde infine il tempo perduto seruirà di penitenza delle contentezze che Celia ui offerisce nel suo matrimonio : questa risolutione offende Celia, Celia ha il nome dal Cielo, e chi offende il Cielo, all’inferno è dannato ; guardate che il disprezzo di questa meschina non vi condanni all’inferno della disgratia di quest’altra. Io ho inteso che i nomi hanno in loro un non so che di fortunato e d’infelice ; per me questo di Lauinia non mi piace ; poichè Lauinia, quella cantata da Virgilio originò incendio al Latio, la morte a Turno, e trauagli a Enea : oltre che se voi pigliate la seconda sillaba di questo nome che è Vi, e la fate prima, componete un nome che dice Vilania. Le vilanie dishonorano gli huomini, dove si può concludere che dall’acquisto di questa Donna, solamente dishonore ne acquistarete.

Fulvio. Sete molto pratico delle cose del mondo, il mio Lucio.

Celia. Se V. S. mi conoscesse bene, farebbe altro giudicio : ma che risponde V. S. in questa materia ?

Fulvio. Dico, che quando anco la scienza della nomandia nel nome di Lauinia mi facesse prevedere la mia morte, che in ogni modo a confusione di Celia l’amerei, et se il nome di quella con l’anagramma da voi formato dice Vilania ; e quello di Celia per inversione di lettere dice Alice. Alice è quel pescetto che, salato, serve per aguzza appetito e non per vivanda ; che forse ha voluto significare che Celia, perch’io possa satiarmi di Lauinia, per aguzza appetito mi ha servito.

Celia. L’Alice dopo morte, mercè del sale, per gusto dell’uomo molto tempo si conserva ; e Celia benchè morta nella vostra gratia, mercè della costanza sua, per vostro gusto, credo, si conserverà vostra sino tanto che si conserverà il mondo.

Fulvio. Vi scuso, o Lucio, poichè hauendoui detto che tanto assomigliate a Celia ; è ben di dovere che difendiate la causa di chi tiene la vostra sembianza.

Celia. E la volontà.

Fulvio. Come ?

Celia. E la volontà, poichè dite che lei vi desidera, et io solo bramo di compiacervi.

Fulvio. Torno a dire che ragionevolmente fate della sua persona buon giudicio : mouendoui a ciò, potrebbe essere la forza delle stelle che forsi nel uostro natale, nello stesso modo all’uno et all’altro concorsero. Ma fermandoui nella conoscenza di dovermi ubidire, acchetateui ; io vado a scrivere ; uoi per portare la lettera uenite da qui a poco a pigliarla.

Celia. O Fulvio, mi ferisci il cuore e vuoi ch’io taccia ? Mi condanni ingiustamente a morte, e non uuoi ch’io parli ? E di Amante fattami messaggera d’Amore, termini la pretensione delle mie speranze nello affaticarmi per l’altrui contento, et nel consumarmi per le altrui delicie ? Di quai tempre s’arma il mio cuore per resistere alle uiolenze di questi colpi ? Di qual forza si ueste il mio corpo per sostenere lo sforzo di tanta sventura ? Non si trova che il solo silenzio, che lo possa esprimere, poichè per essere incomprensibile non si può narrare. Con tuttociò le crudeltà di Fulvio sono per me di tanta dolcezza animate, che minacciandomi rovina, pare che mi promettino salute. Onde conviene che ringrati Amore che mi porge occasione di sopportare lo impossibile per il gusto di una sì bella causa, misurando il mio cuore alla grandezza delle mie passioni. Vengo dunque, o Fulvio, a servirti, sperando ancora nella notte così horrida della mia sventura, e nel mare così procelloso de’miei sdegni, di trovare con la forza della sofferenza, e sole e porto.

Ma parliamo della vita del nostro artista. Dalle Fatiche comiche sappiamo che fu figlio di un artista della Compagnia de’Gelosi, e che nacque…. ma lasciamo che cel dica egli stesso.

L’anno del mille cinquecento novantaquattro, che fu il quatordicesimo dell’età mia, dopo lo avere passato per tutte le angustie e patito tutte le necessità, che la carestia universale (gravissimo flagello di Dio) così vivamente gli anni inanti fece sentire, intendendo che mio Padre si ritrovava in Firenze, essendo di ritorno di Sicilia e di Napoli ; esortato dal magnifico Adriano Riccardi (la bontà del quale di molte miserie in quella età mi sollevò) di andare a ritrovarlo ; chiesto licenza alla madre, dopo molte lagrime ottenutala, involto in un pelliccetto, ed un paro di sottocalze per le saccoccie, delle quali spingevo fuori le braccia, mandate a punto dallo stesso M. Adriano allo Speziale di S. Maria nuova in Firenze ; montato con questo ornamento sopra d’un Mulo carico di mezza soma di ferro oltre la mia persona, uscii di Bologna il di 15 di Gennaio la sera. Se volessi raccontare le sventure nelle quali incorsi, ed i pericoli che passai in quei tre giorni e mezzo che mettessimo da Bologna a Firenze, forsi parrebbe favola, e pure è vero, poichè in Savena ci avessimo ad annegare, a Scarica l’Asino il vento mi gettò da cavallo, o giù del Mulo. La scesa del Giogo bisognò farla a piedi ; a Firenze non mi volsero lasciare entrare la sera perchè avevo troppo del giudoncello ; dove bisognò che due crazie che avevo servissero per albergare ed iscaldarmi ; che del magnare, se non era l’ostessa che mi donò un poco di pane, digiunavo la vigilia di Santo Bastiano con tutte le circostanze. La mattina entrato, dopo l’avere a molti chiesto lo albergo dove mio padre alloggiava, trovatolo in fine, il desiderio che avevo d’abbracciare il padre, mi fece abbracciar l’oste che anch’egli come mio Padre era convalescente ; e dichiarandomi per suo figliuolo, provocai sua moglie a dirmi bastardo, a gridar col marito, quasi a mettere la casa sottosopra. Pure a’cenni il pover’uomo (poichè dove una donna grida, bisogna farsi intendere a’cenni, essendovi debole ogni voce) la pregò di tacere. Ottenutolo, ed inteso da me quello che dimandavo, con la scorta d’una serva mi mandò sopra in un camerino dove trovai il Padre, col quale non occorsero molte parole, per dirgli ch’io fossi ; poi che in vedendomi, benchè non mi raffigurasse per figlio, sentendosi commuovere, gli vennero le lagrime a gli occhi ; ed accertatosi dell’esser mio, abbracciatomi e di li a poco fattomi vedere a’suoi compagni : date le sue sottocalze allo Speziale, e mutato il pelliccietto in un vestito di panno il Sig. Francesco Andreini marito della famosissima Isabella mi fece imparare un Prologo, che da me recitato fu il pronostico che sempre dovevo perseverare in questo esercizio, poichè il prologo fu questo :

(V. Andreini Francesco (pag. 56) dove il Prologo è pubblicato per intero).

Questo fu il primo prologo ; e così entrato nelle Commedie, e con mio Padre vivendo tra’ Commedianti, conobbi l’arte non essere così facile come molti che, non la praticando se non con gli occhi, la credono ; poi che vi sono persone di così poca pratica, che giudicano esse mestiero d’ogni ignorantello il farsi vedere sopra i teatri, parlare in pubblico, e ad una infinità di popolo dare più che mediocre satisfazione. È vero che anche ogni cestaruolo può toccar denari per soldato, ma non seguirà però che l’uno sia Commediante, nè l’altro Capitano. Lo studio è necessario per sapere occorrendo trattare di tutte le materie non solo in Commedia, ma nelle Accademie, poichè pure vi sono Accademie illustrissime che per testimonio che i comedianti, che fanno l’arte loro come si conviene, non sono indegni d’essere ammessi nelle loro adunanze ; hanno accresciuto il numero degli accademici accettando e uomini e donne, che ordinariamente comparivano in iscena…. ecc. ecc.

Il Bruni fe’dunque le prime armi ne’Gelosi, sciolti i quali dopo la morte d’Isabella, entrò nella formazione de’ Confidenti. Quanto all’indole, pare che egli non fosse uno stinco di santo, se ci diamo a richiamar le scene violente di gelosia artistica fra la Lavinia (Marina Antonazzoni) e la Valeria (….. Austoni), della quale il Bruni, amante palese, pigliava accanitamente le parti. Al nome dell’Antonazzoni son quelle scene particolareggiate, specialmente in due lettere di lei e del marito a S. E. Impresaria Don Giovanni de’ Medici, il quale, seriamente seccato, minacciò di scioglier la compagnia. E quando, vinto dalla umile e calda intercessione di Flaminio Scala, il direttore, scrisse di continuar la protezione a’comici con patto di fraterna concordia, il Bruni che a detta dell’Antonazzoni aveva più volte affermato voler fare d’ogni erba fascio, ove dovesse restare in compagnia, e che sembra fosse stato davvero la pietra dello scandalo, mandò pel primo a Don Giovanni colla seguente lettera le sue giustificazioni e le sue proteste di obbedienza e di reverenza.

Ill.mo et Ecc.mo Sre et Pne colendissimo,

Per non mi concedere l’obbligo a cui volontariamente mi sottoposi, et la riverenza che ragionevolmente devo all’E. V. di obligarmi ad altri, nè di procurarmi ad altrui persuasione o mio capriccio compagnia, mi ha trattenuto che in niuna rivolta fattasi tra di noi, habbi nè aderito nè promesso, et hora che la volontà di V. E. mi viene notificata per la lettera scritta alla Compagnia, torno di nuovo a promettere che Sig.r Flavio per parte sua m’imporrà, che mi governerò, non potendo interesse di odio o di benevolenza farmi bramare nè ricusare più uno che altro compagno, nè ambire a preminenze o negare obedienza. Il Romagnesi et Mezzettino anche loro facendo riverenza, et ringraziando la E. V. della grazia in che li mantiene ; di nuovo si obbligano di non volere se non quanto dalla volontà di V. E. li sarà imposto, et meco augurandoli da N. S. ogni compita felicità lo supplichiamo di essere mantenuti nel numero de’suoi più humili servitori.

Di V. E. Ill.ma
Dev.mo Servo
Domenico Bruni.

Al principio delle notizie autobiografiche del Bruni, ne ho messa in diverso carattere l’età, la quale esclude in modo irrefutabile ch’egli sia l’autore delle Difese delle Donne che a lui attribuiscono. L’opera di Messer Domenico Bruni da Pistoja, ch’io posseggo stampata in Milano da Giovanni Antonio degli Antonij, e che non è nè men la prima edizione, ha la data del 1559 ; mentre il nostro Bruni nacque nel 1580, cioè ventun’anni dopo. E la supposizione di alcuni, che il Bruni, pistoiese, fosse lasciato colla madre a Bologna, intanto che il padre scorrea colla compagnia il mezzogiorno d’Italia (e non saprei poi perchè più tosto a Bologna che nella città natale), cade dinanzi all’oroscopo che traggo, come gli altri, dalla Biblioteca Nazionale di Firenze, il quale ci dice il Bruni bolognese.