(1764) Saggio sopra l’opera in musica « Saggio sopra l’opera in musica — Conclusione »
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(1764) Saggio sopra l’opera in musica « Saggio sopra l’opera in musica — Conclusione »

Conclusione

[Concl.1] Moltissime altre cose ci sarebbono state da aggiugnere in una materia, come è la presente, composta di tante parti; ciascuna importante per sé, ampia, nobilissima. A me basterà di averne accennato quel tanto che s’è fatto insino a qui; non altro essendo stato l’intendimento mio, che di mostrar la relazione che hanno da avere tra loro le varie parti constitutive dell’opera in musica, perché ne riesca un tutto regolare ed armonico. E tanto pur dee bastare perché, col favore di qualche principe virtuoso, possa forse anche un giorno risalire nell’antico suo pregio una scenica rappresentazione che per più riguardi meriterebbe di aver luogo tra’ pensieri di coloro che sono preposti al governo delle cose. Vedrebbesi allora un bello e magnifico teatro essere un luogo destinato non a ricevere una tumultuosa assemblea, ma una solenne udienza dove potriano sedere gli Addisoni, i Dryden, i Dacier, i Muratori, i Gravina, i Marcelli. Che già non avrebbono più ragione di dire esser l’opera una composizione sconnessa, mostruosa e grottesca; ma per lo contrario ravviserebbono in essa una viva immagine della greca tragedia, in cui l’architettura, la poesia, la musica, la danza e l’apparato della scena si riunivano a crear la illusione, quella possente sovrana dell’uomo, e in cui di mille piaceri se ne formava uno solo ed unico al mondo59.

[Concl.2] Ma poiché l’argomento o il libretto contiene in sé, come si disse da principio, ogni parte, ogni bellezza dell’opera, e da esso ne dipende principalmente la riuscita, ho creduto meritasse il pregio il dover qui aggiugnere due esempi di dramma, lavorati nel modo che s’è andato divisando. L’uno di essi è Enea in Troia, l’altro Ifigenia in Aulide 60. Quello è come in embrione; questo è spiegato in ogni sua parte e compito. E perché portò già il caso che io dovessi distendere quest’ultimo in francese, in francese l’ho lasciato per essere quella lingua fatta oramai tanto comune, che non vi è in Europa uomo gentile che non la possegga quasi al pari della propria. Il primo dramma non è altra cosa che il secondo libro della Eneide messo in azione con qualche leggieri mutazioni solamente, perché ogni cosa, come è dovere, si riferisca ad Enea, che è il protagonista della favola. Il secondo è la medesima azione che fu da Euripide esposta sul teatro di Atene, e di Grecia trasferita dipoi in Francia dal tenero Racine. In alcune parti del dramma ho seguito l’antico poeta, e in alcune altre il moderno; facendomi però lecito di recedere tra le altre cose dall’uno con lo aver reso l’azione semplicissima, e di recedere dall’altro con lo aver rappresentata Ifigenia di costume eguale. Ama essa la vita per sentimento di natura; e come di sangue regio e greca, se ne va con fortezza d’animo alla morte. Non è paurosa e supplichevole da principio; e con subito cambiamento non apparisce da ultimo tutt’altra, come la rappresenta Euripide, per la qual disuguaglianza e anomalia di costume egli vien tassato da Aristotile nella Poetica 61. Dove ho seguito Racine mi san servito, per quanto ho potuto, delle sue parole medesime; e dove Euripide, della traduzione del Brumoy; ben sicuro che il poeta greco non si poteva meglio esprimere in francese. Nel rimanente ho procurato supplire col mio di maniera che il lavoro non dovesse aver sembianza di musaico, parte composto di pietre dure e parte di pezzuoli di vetro. Da somiglianti saggi, che danno corpo alle idee e le pongono meglio in luce, potrà anche ognuno recarne un più fondato giudizio: vedere se elle sono praticabili o no; e se io non fo per avventura come colui il quale, dopo date le più belle regole del mondo sulla tattica, non sapeva poi far fare a diritta a una picciola mano di moschettieri.