Tesi Faustina, di Crema, moglie di Domenico Tesi comico bresciano, « il quale – dice Fr. Bartoli – sarebbe stato un abile commediante se non avesse trascurato il mestiere a segno di ridursi a recitare tra' Comici Castelleggianti, e a suggerire tra vaganti compagnie, » fu attrice valorosa specie nelle parti tragiche. Recitò nella prima giovinezza le parti di serva, e vi fu ammiratissima ; in una particolarmente, nella quale eseguiva un volo pericoloso : tal che una sera al S. Samuele di Venezia cadde a terra dall’alto, levandosela con pochissimo danno. Cominciò a recitar da prima donna il 1756 nel Teatro della Sala di Bologna, e vi piacque assai sì nelle commedie improvvise, come nelle scritte.
Separatasi dal marito, si diede▶ allo studio della musica, e calcò alcun tempo le scene liriche, tornando poi, pel mediocre successo, alle drammatiche, scritturata il 1770 al S. Gio. Grisostomo di Venezia con Girolamo Medebach. Si tolse da esso l’anno dopo, fuor di tempo, « e dall’amicizia – dice Bartoli – di nobile cavaliere letterato ricavar seppe a vantaggio suo delle favorevoli disposizioni » ( ?).
Passò poi con Onofrio Paganini, tornato allora di Spagna, ma gelosa degli applausi della nuora, se ne staccò subito, e andò con Pietro Rossi, col quale stette un anno. Unitasi a Cristoforo Merli, primo innamorato (V.), formò il 1776 una Compagnia di buoni artisti, colla quale percorse decorosamente le migliori piazze, quali Bologna, Parma, Trieste, Milano, Brescia, Mantova, ecc., e della quale un foglio volante di Sassuolo ci dà l’elenco : Faustina Tesi, Cristoforo Merli, Giovanni Valentini, Vittorio Mattagliani, Antonio Fiorilli, Gio. Batta Gozzi, Ferdinando Colombo, Francesco Panazzi, Domenico Conti, Luigi Delicati, Maria Nasi.
Andò il 1777 con esso Merli e con Giovanni Valentini a Napoli, d’onde rimpatriò dopo un solo anno, continuando a condur Compagnia con favorevole successo ad onta dell’età non più giovine e di alcuni incomodi ; ma sopr'a tutto della sua indole collerica e sdegnosa, che la faceva intrattabile. E questo prova, mi pare, quanti e quanto grandi fossero i pregi suoi di artista. Magnifica di figura e di voce, ricca d’intelligenza, parlatrice elegante, piena di cuore verso i suoi compagni, era una specie di Ristori d’allora. Ma la pienezza di sè attenuava di molto e talvolta distruggeva agli occhi di chi l’accostava i pregi suddetti.
A mezzo anno pianta Medebach, poi Paganini, poi si separa dal marito, poi sbraita contro le sconvenienze del pubblico, poi si ribella ai compagni, poi…. diventa odiosa a tutti. Il Bartoli si prova, naturalmente, di dare un colpo al cerchio e uno alla botte, dedicandole un de'soliti sonetti, e condanando il Piazza di aver avuto per lei « parole puntate che dalla penna di pulito scrittore non devono uscire giammai ; » ma per la Tesi, almeno, non osa, come per altre, accusarlo di calunniatore.
Vale la pena che io le metta qui per intero (Il Teatro, tomo I, art. VI-VII).
…….passai alla camera della prima donna, ch'era poco lontana. Trovai una persona di vantaggiosa statura, ma un po' avanzata negli anni. Me le presentai con un’aria di sommissione, che gonfiò la sua vanità. Fui accolta a braccia aperte da lei, che nelle parole e negli atti, non poteva essere più cortese e obbligante. Mi regalò un bacio che mi sconvolse lo stomaco per il fetor del suo fiato. Glielo restituii su una guancia, con tutti i riguardi di sanità. Palesandole il bisogno ch'io aveva della sua protezione, la trovai si disposta a farmi del bene, che rimasi stupita. Cominciò a parlarmi de'suoi compagni e loro fece una raccomandazione, che non mancava di alcun requisito.
Seppi la storia della prima donna, che da quì inuanzi io chiamerò col nome di Megera. Trasecolai nell’ udirla, e qui non la inserisco, perchè scrivo la mia, non quella delle altre ; ma dirò alcuni tratti particolari, che divertir potranno chi legge.
In un mese di tempo aveva ella cangiate ventisei serve. Ognuna, che se le presentava, le accomodava, pareva fatta per lei, e non passava un giorno che la buona diventava cattiva, ed era licenziata, o andava a sua posta. Per mangiare s’era servita a tutte le osterie di Milano, e per necessità facevasi cuocere in casa ; perocchè nessuno voleva più aver a fare con lei. Acconciavasi da sè non trovando un parrucchiere tanto paziente che potesse reggere alle sue stravaganze. Brava per bestemmiare, non la cedeva a un vetturino napoletano ; ardita nelle risse, pareva un granatiere infuriato che minacciasse rovine e morte, ma se trovava una faccia dura, che agli urli suoi non si sgomentasse, quella Tigre diveniva una pecora che si cacciava tra le gambe la coda, e cedeva vergognosamente il campo della battaglia. Un giorno, dopo aver strapazzato ingiustamente il garzone d’un caffettiere, che la serviva ed era uno svizzero, gli ◀diede▶ uno schiaffo. Il ragazzo soffri le parole, ma non i fatti, e le scagliò in faccia tutta la roba di bottega che seco aveva, segnandola in fronte, e scottandola col caffè. In luogo di continuare la zuffa, misesi a gridar : ajuto, misericordia, son morta. Pianse, urlò, mise la contrada sossopra, e fece entrare una sentinella nel casino, come se trattato si fosse d’un omicidio. Una lavandaja, accusata da lei d’averle rubata una camicia, e certe altre pezze, e venendo chiamata una ladra, una brutta B…. le ◀diede due guanciate pesanti, al cui suono echeggiò la camera. Ella se le prese, pianse, e si fece venire le convulsioni. Che più ? Lo stesso suo amante, il nido della tolleranza umana, la bontà personificata, un uomo di miele, fu costretto più volte a batterla come un tappeto, ed erano poche sere che prendendo seco il fresco di notte vicino alla Porta orientale, le aveva scossa la polvere dell’ andrienne co' colpi della sua canna. Questo poco serva a far meglio conoscere quella donna ; il molto che io taccio, empir potrebbe un volume.
Accasciata dal male, stette alcun tempo lontana dal teatro ; e morì in Brescia il 14 novembre del 1781.