Delle scene
[5.1] Con le tante sconvenevolezze del ballo sogliono andare quasi di▶ compagnia non minori disordini negli ornamenti della persona e dei vestiti dei ballerini. I quali vestiti, come anche quelli de’ musici, hanno da accostarsi, il più che sia possibile, alle usanze dei tempi e delle nazioni che sono rappresentate sulla scena. E dico accostarsi il più che sia possibile; che il teatro pur vuole una qualche licenza, e forse più che in altro luogo si ha ivi da star lontano dalla stitichezza e dalla pedanteria. Ma se non si esige da’ nostri Canziani ch’e’ taglino le vesti all’antica, cosi per appunto come le ci vengono descritte dall’erudito Ferrario, non dovriano né meno farsi lecito ◀di▶ dare a’ compagni ◀di▶ Enea la berretta e i braconi alla foggia olandese52.
[5.2] Perché i vestiti fossero costumati insieme e bizzarri, ci vorrebbono i Giuli Romani e i Triboli, che diedero prova anche in tal genere del loro valore; o almeno faria mestieri che i nostri uomini che presiedono al vestiario fossero inspirati dal genio ◀di▶ quegli eruditi artefici. E molto più saria mestieri che dagli odierni pittori seguite fossero le tracce ◀di▶ un San Gallo e ◀di▶ un Peruzzi, perché ne’ nostri teatri il tempio ◀di▶ Giove o ◀di▶ Marte non avesse sembianza della chiesa del Gesù, una piazza ◀di▶ Cartagine non si vedesse architettata alla gotica, perché in somma nelle scene si trovasse col pittoresco unito insieme il decoro e il costume. Le scene prima ◀di▶ qualunque altra cosa nell’opera attraggono imperiosamente gli occhi e determinano il luogo dell’azione, facendo gran parte ◀di▶ quello incantesimo per cui lo spettatore viene ad esser trasferito in Egitto o in Grecia, in Troia o nel Messico, nei campi Elisi o su nell’Olimpo. Or chi non vede quanto sia necessario che la fantasia del pittore sia regolata dall’erudizione e da un molto discreto giudizio? Possono in ciò essergli ◀di▶ grande aiuto la lettura dei libri, la conversazione degli uomini addottrinati nelle antichità; ma a qual altri dovrà egli aver ricorso piuttosto che al poeta, all’autor medesimo dell’opera, il quale ha concepito in mente ogni cosa, e niente ha d’aver lasciato indietro ◀di▶ tutto quello che può meglio abbellire e render verisimile l’azione che egli ha tolto a rappresentare ?
[5.3] Quantunque la pittura sia arrivata al colmo della perfezion sua nel secolo felice del Cinquecento, non è però che l’arte del dipingere le scene non abbia per molti riguardi ricevuto nella trascorsa età ◀di▶ considerabili aumenti. Né altrimenti esser poteva; perché essendo sì innalzati in quella medesima età per dare ricetto all’opera tanti nuovi teatri, è necessariamente avvenuto che abbia posto lo studio nel dipinger le scene un assai maggior numero d’ingegni che fatto non avea per lo addietro. Le invenzioni ◀di▶ Girolamo Genga tanto magnificate dal Serlio, che nel teatro ◀di▶ Urbino fece gli arbori ed altre simili cose ◀di▶ finisssima seta, si riporrebbono oggigiorno tra le fanciullaggini quasi direi da presepio. Ed io punto non dubito che l’istesso Serlio, dal cui trattato sopra le scene si può ricavare per altro qualche buon lume, non si compiacesse pur assai considerando come senza l’aiuto dei rilievi ◀di▶ legname sia da noi vinta qualunque difficoltà ◀di▶ prospettiva, come in siti ristrettissimi si facciano da noi apparire ◀di▶ grandi luoghi e spaziosi, considerando sin dove sia giunta al dì d’oggi in tal parte la scienza degli pittoreschi inganni. Fanno dipoi i più belli effetti e un gioco grandissimo all’occhio le scene vedute per angolo, che con gran discrezione ◀di▶ giudizio conviene per altro mettere in pratica, e in quelle vedute ◀di▶ faccia i punti accidentali che vi fa nascere il movimento vario della pianta su cui si alzano. Di tali scene fu l’inventore Ferdinando Bibbiena, il quale con la nuova sua maniera chiamò a sé gli occhi ◀di▶ tutti. E già parvero cose pur troppo secche quelle strade, que’ viali, quelle gallerie che corrono sempre al punto ◀di▶ mezzo, dove insieme con la veduta se ne va anche a finire la immaginativa dello spettatore. Avea egli sotto buoni maestri studiato i principi dell’arte sua nel Vignola; e dotato ◀di▶ fantasia pittoresca, s’avvisò ◀di▶ muovere, dirò così, ◀di▶ atteggiar le scene a quel modo che fecero i pittori del Cinquecento delle figure dei Bellini e dei Mantegna. Ferdinando, in una parola, fu il Paolo Veronese del teatro53. E come, al pari ◀di▶ Paolo, ebbe la gloria ◀di▶ aver recato l’arte al sommo, per quanto si appartiene alla magnificenza e a un certo che ◀di▶ maraviglioso, così ancora, egualmente che Paolo, ebbe il destino ◀di▶ averla messa in fondo per conto degli allievi che crebbero sotto ◀di▶ lui. Rivolti costoro ad imitare ciò che nelle sue invenzioni vi era ◀di▶ più facile, cioè la bizzarria, e lasciato il fondamento dell’arte che le rendea verisimili, si allontanarono via via da lui, facendo professione ◀di▶ seguirlo. Le più nuove fantasie, i più gran ghiribizzi del mondo, trabiccoli, centinamenti, tritumi, trafori, ogni cosa è messo da loro in opera, purché abbia dello strano. E per non parlare ◀di▶ una certa loro arbitraria prospettiva che sonosi creati in mente, danno dipoi il nome ◀di▶ gabinetto a ciò che potrebbe a un bisogno chiamarsi un salone, o un atrio, e chiamano prigione ciò che servir potrebbe per un cortile e forse anche per una piazza. Racconta Vitruvio come, avendo un pittore ◀di▶ quadratura dipinto a Tralli una scena, e avendovi figurato non so quali cose là dove per la verisimiglianza figurarle non si conveniva, erano i cittadini per approvare quell’opera eseguita per altro con intelligenza e gran bravura ◀di▶ mano. Quando saltò su un certo Licinio matematico, che aperse loro gli occhi. «E non vedete voi», disse loro, «che se voi nelle pitture quello approvate che non può stare in fatto, la vostra città corre gran pericolo ◀di▶ esser posta nel numero ◀di▶ quelle che non hanno gran riputazione per isvegliatezza d’ingegno54?»
Ora che direbbe quel matematico vedendo come nelle nostre scene da noi si applaudisce a quei laberinti ◀di▶ architettura, dove si smarrisce il vero, a quelle fabbriche che non si possono né reggere, né ridurre in pianta, e in cui le colonne in luogo che si veggano ire a tor suso l’architrave e il soffitto, si vanno a perdere in un mare ◀di▶ panneggiamenti posti così a mezz’aria? E il simile avviene anche talora delle volte, che si rimangon zoppe o monche, posano da una banda e non trovano dove impostarsi dall’altra, quasi sogni ◀di▶ gente inferma, che non hanno nelle loro parti connessione veruna. Ma dei Licini ne saltano fuori ◀di▶ tanto in tanto anche tra noi55 . E quello che avvenne all’antico pittore ◀di▶ Tralli, ebbe a provarlo il Padre Pozzi, uno de’ più rilassati maestri nella moderna scuola; basta dire ch’egli fu il creatore ◀di▶ quel nuovo mostro in architettura delle colonne a sedere. Avea egli nella pittura ◀di▶ una cupola fatto reggere le colonne, sopra cui ella posava, da mensole; cosa alla quale si storcevano alcuni architetti, protestando ch’essi per conto niuno non l’avrebbon fatto in una fabbrica, e dandogli per ciò non lieve carico; quando tolse loro ogni pensiero, secondo che riferisce egli stesso, un professore, amico suo, il quale si obbligò a rifare ogni cosa a sue spese qualora, fiaccando le mensole, le colonne con la cupola fossero venute a cadere: magra scusa, quasi che l’architettura non si avesse a dipingere secondo le buone regole, e ciò che offende nel vero non offendesse ancora nelle immagini ◀di▶ esso.
[5.4] A volersi contenere dentro a’ limiti ◀di▶ una savia invenzione, non potrà mai il pittore studiare abbastanza le fabbriche, che sono tuttavia rimase in piedi, della veneranda antichità. Molti nobili esempi ce ne fornisce l’Italia e la Grecia, a’ quali siam pur debitori del risorgimento della buona architettura; e molti ne potrebbe al pittore fornir medesimamente l’Egitto, maestra primiera ◀di▶ ogni disciplina. In effetto qual cosa vi ha egli ◀di▶ più grandioso e severo, lasciando stare le piramidi, ◀di▶ quegli avanzi del palagio ◀di▶ Mennone che torreggiano tuttavia lungo il Nilo, e della Tebe dalle cento porte, che, mercè l’opera dell’accurato Nordeno, sono ora ◀di▶ pubblica ragione? Nelle forme ◀di▶ essi e ne’ sobri ornamenti che ricevono da’ colossi e dalle sfingi onde sono accompagnati, spicca singolarmente la maniera terribile e, se vogliamo cosi chiamarla, michelagnolesca, la qual potrebbe anche talvolta con buonissimo effetto mostrarsi sugli teatri.
[5.5] La Cina ancora, antico nido delle arti e colonia, come alcuni vogliono, dell’Egitto, fornir ne potria ◀di▶ bellissime scene. Non è già che io ne volessi adottare quegli strani ghiribizzi che appresso ◀di▶ noi sono entrati in luogo delle erudite grottesche ◀di▶ Gioan da Udine, dell’India e degli altri maestri ◀di▶ quel secolo. Non vorrei né meno che da noi s’imitassero quelle loro pagode e quelle torri ◀di▶ porcellana, salvo se cinese non fosse il soggetto dell’opera. Ma bensì per le deliziose e per li giardini, che spesso occorrono nelle scene, ◀di▶ assai vaghe idee si potriano ricavare da quella in parecchie cose ingegnosissima nazione. I giardinieri della Cina sono come altrettanti pittori, i quali non piantano mica un giardino con quella regolarità ch’è propria dell’arte dell’edificar le case; ma, presa la natura come esemplare, fanno quanto sanno d’imitarla nella irregolarità e varietà sua.
[5.6] Loro costume è ◀di▶ scegliere quegli oggetti che nel genere loro piacciono il più alla vista, disporgli in maniera che l’uno sia all’altro ◀di▶ contrapposto, e ne risulti dall’insieme un non so che ◀di▶ peregrino e d’insolito. Vanno tramezzando ne’ boschetti alberi ◀di▶ differente portamento, condizione, tinta e natura. Vari sono i siti che nel medesimo sito, per così dire, rappresentano. Qua ti raccapriccia una veduta ◀di▶ scogli artifiziosamente tagliati e come pendoli in aria, ◀di▶ cascate d’acqua, ◀di▶ caverne e ◀di▶ grotte, dove fanno giocare variamente il lume; e là ti ricrea una veduta ◀di▶ fioriti parterri, ◀di▶ limpidi canali e ◀di▶ vaghe isolette con ◀di▶ belli edifizi che nelle acque si specchiano. Dal sito il più orrido ti fanno tutto a un tratto trapassare al più ameno; né mai dal diletto ne va disgiunta la maraviglia, la quale, nel porre un giardino, essi cercano egualmente che da noi fare si soglia nel tesser la favola ◀di▶ un poema. Simili ai giardini della Cina, sono quelli che piantano gl’Inglesi dietro al medesimo modello della natura. Quanto ella ha ◀di▶ vago e ◀di▶ vario, boschetti, collinette, acque vive, praterie con dei tempietti, degli obelischi ed anche ◀di▶ belle rovine che spuntano qua e là, si trova quivi riunito dal gusto dei Kent, dei Chambers e dei Brown, che hanno ◀di▶ tanto sorpassato il Le Nôtre, tenuto già il maestro dell’architettura, dirò cosi, de’ giardini. Dalle ville d’Inghilterra ne è sbandita la simmetria francese, i più bei siti paiono naturali, il culto è misto col negletto, e il disordine che vi regna è l’effetto dell’arte la meglio ordinata56.
[5.7] Ma per tornare a cose più vicine a noi, che non istudiano i nostri pittori quelle che pur hanno negli occhi? Oltre agli antichi edifizi che tuttavia sussistono in Italia, le più belle fabbriche moderne, che si potriano senza inverisimiglianza trasportar sulle scene? Che non istudiano i campi ◀di▶ architettura che adornano molti quadri ◀di▶ Paolo, co’ quali ben si può dire ch’egli ha reso teatrali gli avvenimenti della storia? I paesi del Pussino, ◀di▶ Tiziano, ◀di▶ Marchetto Ricci e ◀di▶ Claudio, che nella natura hanno saputo vedere quanto vi ha ◀di▶ più bello e ◀di▶ più caro? Ed anche chi non fosse ◀di▶ gran fantasia fornito farebbe gran senno a ricopiare così a puntino que’ loro paesaggi, imitando quel valentuomo il quale, piuttosto che far del suo delle cattive prediche, imparava a memoria e recitava quelle del Segneri.
[5.8] Una cosa importantissima, alla quale non si ha tutta quella attenzione che si vorrebbe, è il dover lasciar nelle scene le convenienti aperture, onde gli attori possano entrare ed uscire in siti tali, che con l’altezza delle colonne abbia una giusta proporzione la grandezza degli stessi attori. Veggonsi assai volte i personaggi venir dal fondo del teatro, perché ◀di▶ là solamente ci è l’uscita nella scena; ed ognuno può avere avvertito con quanta disconvenienza ed offensione dell’occhio. La grandezza apparente ◀di▶ un oggetto dipende dalla grandezza della sua immagine congiunta col giudizio che si forma della distanza ◀di▶ esso. Cosicché, posta l’immagine della stessa grandezza, l’oggetto sarà veduto tanto più grande, quanto più sarà giudicato lontano. Quindi è che appaiono come torrioni ◀di▶ giganti quei personaggi che si affacciano dal fondo della scena, facendocegli giudicare oltre modo lontani la prospettiva e l’artifizio appunto ◀di▶ essa scena. E cotesti giganti impiccoliscon dipoi e diventan nani ◀di▶ mano in mano che si fanno innanzi ed all’occhio più vicini. Lo stesso è delle comparse, che non si vorrebbon mai far andare colà dove i capitelli delle colonne giugnessero loro alle spalle o alla cintola, dove venissero a toglier via l’illusione della scena. E generalmente parlando, nel mescolare il vero col falso sono necessarie le più grandi cautele, perché l’uno non ismentisca l’altro, e il tutto paia ◀di▶ un pezzo.
[5.9] Un’altra cosa importantissima, a cui non si bada più che tanto, è la illuminazione delle scene; ed a torto. Mirabili cose farebbe il lume, quando non fosse compartito sempre con quella uguaghanza e così alla spicciolata, come ora si costuma. Distribuendolo artifiziosamente, mandandolo come in massa sopra alcune parti della scena e quasi privandone alcune altre, non è egli da credere che producesse anche nel teatro quegli effetti ◀di▶ forza e quella vivacità ◀di▶ chiaroscuro che a mettere ne’ suoi intagli è giunto il Rembrante? E quella amenità ◀di▶ lumi e d’ombre che hanno i quadri ◀di▶ Giorgione o ◀di▶ Tiziano, non saria forse anche impossibile trasferirla alle scene. Ben può ognuno ricordarsi ◀di▶ que’ teatrini che vanno attorno sotto il nome ◀di▶ vedute ottiche matematiche; e sogliono rappresentar porti ◀di▶ mare, combattimenti tra armate navali e simili altre cose. Il lume vi è introdotto a traverso ◀di▶ carte oliate, che ne smorzano il troppo acuto; e la pittura ne viene a ricevere un tale sfumamento, un tale accordo, che nulla più. Ed io mi ricordo, in occasione ◀di▶ uno ◀di▶ quei sepolcri che soglionsi fare in Bologna, ◀di▶ alcune grossolane pitture ◀di▶ quadratura ch’erano su per li muri della chiesa, e ◀di▶ alcune statue che meglio si direbbero fastellacci ◀di▶ carta, le quali ricevendo similmente il lume a traverso ◀di▶ certe carte oliate poste ne’ lunettoni, parevano finite con l’anima, benché vicine all’occhio, e ◀di▶ purissimo marmo. In un teatro illuminato a dovere si verrebbe a manifestare più che mai il vantaggio che noi abbiamo sopra gli antichi, ◀di▶ fare le nostre rappresentazioni sceniche ◀di▶ notte tempo. E già non è dubbio che, vistesi in tale teatro delle scene inventate da bravi pittori con decoro e con giudizio, non piacessero sopra tutte le strane fantasie che sono ora tanto in voga, e vengono tanto esaltate da quelli che niente considerano e ◀di▶ ogni cosa decidono. Avverrebbe in questo ciò che avvenne in Francia, quando, dopo gli arzigogoli spagnuoli che vi avevano lungo tempo sfigurato Talia, usci primamente la commedia ◀di▶ Molière costumata e naturale. Grandissimo fu il colpo ch’ella fece in virtù dell’imperio che sugli animi del pubblico ha il vero; e il Menagio ebbe a dire esser venuto il tempo ◀di▶ abbatter quegl’idoli dinanzi a’ quali avevano i Francesi sino allora abbruciato l’incenso.