Emanuel Giovanni. « Firenze, li 15. 1. 1898. – Carissimo Rasi – Tu mi chiedi di▶ parlarti ◀di▶ me. È impossibile : dovrei dirne troppo male, e la carità del prossimo me lo vieta. Sono nato a Morano sul Po, piccolo paese del Casalasco (Monferrato) or sono 50 anni, cioè l’undici febbraio 1848. Mia Madre era una Rosa Pugno, mio Padre si chiamava Guglielmo. All’età ◀di▶ 3 anni mi portarono a Torino. Finito il Liceo, mio padre mi disse, lagrimando, che non poteva più mantenermi agli studj : feci l’ impiegato gratis per qualche mese, poi per disperazione dell’avvenire oscurissimo, nel 1866 in giugno, mi aggregai a Bellotti-Bon e d’allora fo il “burattino” e dal ’73 anche il “burattinajo.” – E ti dissi anche troppo. – Tuo G. Emanuel. » Meglio non avrei potuto cominciar le note sul forte artista che con questa lettera, la quale dice chiaro nella sua concisione, nella sua modestia, non discompagnata da una certa alterezza, l’indole dell’uomo. Fu dunque secondo brillante il ’66 con Bellotti-Bon, poi primo amoroso il ’67 con Coltellini, il ’68 con Vernier, col quale creò con gran successo la parte ◀di▶ Sirchi nel Duello ◀di▶ Ferrari, il ’69-’70 con Alessandro Salvini, e il ’71 con Peracchi : poi, Capocomico. A chi ricordi il giovane atleta sullo scorcio del ’67 o sul cominciar del ’68, al fianco ◀di▶ Laura Bon, ◀di▶ Teresina Boetti, e ◀di▶ un Bianchi, pellicciaio livornese, cimentarsi nel Don Carlos e ne’ Masnadieri ◀di▶ Schiller, e toccar sotto le spoglie specialmente del tristo Moor, altezze non immaginate, non parrà strano che a soli ventiquattr’anni egli si disponesse, capocomico e primo attore assoluto, a lottare strenuamente colle maggiori difficoltà d’interpretazione, creando i caratteri più disparati comici e tragici, del teatro nostro e forastiero. Nel Mercadet ◀di▶ Balzac e nel Matrimonio ◀di▶ Figaro ◀di▶ Beaumarchais, non ebbe rivali mai ; pochissimi nella tragedia ◀di▶ Shakspeare, ◀di▶ cui fu ed è tuttavia interprete de’ più forti. E se non ci appare artista completo, ciò si dee forse a una recitazione affaticata, direi quasi ansimata, e a un’andatura curiosa in certi inceppamenti, che lo rendono monotono tal volta. Ma negli scoppi d’ira selvaggia, in alcune scene dell’ Otello, nella imprecazione del Re Lear, nella scena capitale del Bastardo, quanta violenza, quanto fuoco, in quella spontaneità. Certo l’ Emanuel dev’essere additato ai giovani come specchio ◀di▶ vero artista ; chè niuno forse accostossi ai suoi autori con rispetto maggiore e maggior diffidenza delle proprie forze !… Niuno forse, innanzi ◀di▶ cimentarsi in ardue lotte dinnanzi al pubblico, andò compiendo gli studj ◀di▶ preparazione, ◀di▶ lunga e minuziosa disamina sui fatti e sulle frasi e parole, ai quali egli suole abbandonarsi. Ma quando si presenta ai lumi della ribalta, forte ◀di▶ quegli studj, sicuro ◀di▶ sè, vissuto ben lungo tempo nel suo personaggio, fattolo spirito del suo spirito e carne della sua carne, il pubblico si trova sempre dinnanzi a un’opera ◀di▶ novazione, discutibile certo, ma certo opera d’arte, e della grande arte. A testimoniar dell’ingegno e degl’intendimenti artistici ◀di▶ Giovanni Emanuel, del suo metodo ◀di▶ studio, de’ suoi timori, della sua forza, della sua perseveranza, della sua alterezza, e soprattutto della sua sincerità, ecco alcuni brani ◀di▶ una sua lettera del 12 gennaio ’87, indirizzata al Direttore del Fieramosca ◀di▶ Firenze, a proposito appunto della interpretazione nuova e inattesa dell’ Otello, che generò discussioni e polemiche non più udite, e, direi quasi, non più visti accapigliamenti.

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Dacchè la mia mente si aperse all’arte non ebbi che un maestro : l’autore. Non ebbi che uno scopo : la verità.
Lessi costantemente tutte le critiche, che mi si fecero ; molte ne accettai, molte ne ripudiai : non fui scosso mai dall’impressione che le mie interpretazioni destavano nel pubblico o nella critica : non sentii mai orgoglio d’un applauso, mai ribellione per un fischio : non sollecitai mai un articolo ◀di▶ lode, nè…. la croce ◀di▶ cavaliere ; unico mio giudice, inappellabile, assoluto, la mia coscienza.
Quando imprendo a studiare una gran parte, prima la copio tre, quattro, cinque volte, poi la studio letteralmente a memoria, come facevo a scuola del cómpito, poi comincio a plasmare da me e per me il mio personaggio : quando sono riuscito a contentare me, allora mi accingo al duello.
La prima impressione, che provo dinanzi ad una gran parte è la sfiducia. Dico sempre a me stesso : ah ! questa non arriverò mai a renderla come l’autore l’ ha creata ! La lascio, ci penso, mi faccio coraggio e l’attacco ; e man mano che la studio passo dalla sfiducia allo sconforto, alla paura, poi una costernazione indicibile m’invade testa, cuore, gambe, braccia, mi stringe pei capelli, mi stramazza a terra, e alla fine mi decido. Un ultimo lampo ◀di▶ viltà e d’angoscia al momento ◀di▶ entrare in scena, poi divento freddo e calcolatore come un giudice. E questa lotta per certi lavori è durata degli anni.
Prima ◀di▶ recitare il Kean volli uscire dall’assoluta oscurità : lo studiai dopo due anni che ero nell’arte, e lo rappresentai dopo dodici : non mi piacqui perchè ero troppo enfatico : lo ristudiai da capo, ed ora sono contento ◀di▶ me. Così l’Amleto, così il Mercadet, e cosi ora l’Otello.
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…..mi recai nella tua genialissima Firenze, che io amo coll’anima d’un innamorato, e mi trovai una stanza presso un buon borghese, che era stato quindici anni in Inghilterra. Era il mio uomo : era il formaggio sui maccheroni : il formaggio era lui, ed io ero il gran maccherone.
Davanti a me, sul tavolo, apersi Carcano, Maffei e Rusconi ; a sinistra il testo inglese, a dritta il Millouse, e sillaba per sillaba controllai tutte le parole ◀di▶ Shakespeare, e ad ogni dubbio, ad ogni oscurità, mi mettevo ad urlare : – Padrone, padrone ! – Eccomi ! – e quella mia vittima interrompendo il foglio delle tagliatelle (perchè faceva anche da cuoco a certi altri suoi pigionali) mi compariva dinanzi col matterello in mano. – Che cosa vuol dire : strike ? – Picchiare !… – e via ! – Padrone, che vuol dire : I prattle out of fashion ?… – ed egli : – Chiaccherare più del necessario !… – Ho capito ! non la disturberò più !… –
Ed è cosi, che ho potuto stabilire la non lievissima differenza che corre tra una traduzione e l’altra, ho potuto stabilire che la versione ◀di▶ Carcano è la più sdolcinata, quella del Maffei la più vibrata, quella del Rusconi la più chiara, e la mia (modestia a parte) la più fedele.
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O giovani, lasciate fare della filosofia all’autore : voi studiate bene le parole, le passioni, il carattere del personaggio, vestitelo secondo il costume del suo tempo, poi recitatelo con anima, senza fronzoli, senza declamazioni, senza preoccupazioni del come è vestito : leggete Alfieri, ma recitate Augier, Goldoni, Molière, Shakespeare, Macchiavelli e Plauto e Aristofane, e recitateli tutti nella stessa maniera, cioè con naturalezza ; e non lasciatevi infinocchiare dalla teoria barocca e ridicola, che per tutti i tempi e per tutti i personaggi ci vuole una recitazione diversa : ◀di▶ diverso non c’è che il carattere e il vestito : e quindi se il personaggio è serio e piange, voi dovete star serii e piangere, ma con naturalezza e verità tanto vestiti alla romana, che alla veneziana, tanto coll’elmo che colla tuba ; e se un personaggio è comico, è comico allo stesso modo tanto in Shakespeare, che in Molière, che in Goldoni, che in Augier, che in Bersezio.
Nell’ Amleto i due becchini vorrebbe averli scritti Sardou : Jago nell’ Otello sarà il tipo più umanamente vero anche da qui a mille anni, e Ofelia è la più grande creazione d’ingenua passata, presente e futura.
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L’anno scorso una parte ◀di▶ codesti critici, che ora mi va addentando cosi rabbiosamente, levava ai sette cieli la mia interpretazione del Nerone per la mia naturalezza e l’abbandono d’ogni convenzionalismo : ed ora per l’ Otello fingono ◀di▶ pensarla diversamente : e si spiega la resipiscenza : abituati alla traduzione del Carcano hanno intuito che Otello è un melodramma, mentre lo splendido verso ◀di▶ Cossa, senza suono e senza rumore, li aveva persuasi, che i Romani erano uomini come noi. Leggano, leggano quei signori critici il Giulio Cesare ◀di▶ Shakespeare, e si persuaderanno forse anche più che i Romani erano uomini e non cantanti.
Ma a sentir loro, nossignori ! E per recitare l’ Otello ci vuole la maestà ! Ci vuole quel certo non so che ◀di▶ convenzionale, senza del quale l’attore copia « la gretta natura. »
O proprio sarebbe tempo, che critici ed attori non invadessero il campo altrui, e noi attori specialmente lasciassimo a chi ne ha il cómpito ◀di▶ fare e creare i personaggi. Colla mania, che hanno avuto e che hanno certuni ◀di▶ « creare » hanno travisato e resa incomprensibile l’opera dell’autore.
Oh no ! non siamo noi i « mattoidi ! » Non siamo noi che combattiamo il buon senso ! Non siamo noi gli spavaldi e distruttori dell’opera altrui !
Noi tutt’al più tentiamo ◀di▶ abbattere quella crosta, che voi avete spalmato sulle creazioni degli altri ! Se volete fare dell’artificio restringetevi ad Alfieri, ma non calunniate Shakespeare. Shakespeare fu e sarà sempre il più gran « verista » della letteratura drammatica, ed è per questo che sarà eterno.
Le leggi del vero sono intangibili, come la più grande e raffinata espressione della verità, è la semplicità. Certo che Otello in Carcano non è naturale : è un Otello sofisticato : quello sta all’ Otello ◀di▶ Shakespeare come il panettone al pane : è più dolce ma non si digerisce.
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Otello, generale della potenza più civile d’allora, non lo vogliono uomo come noi : lo vogliono africano a tutti i costi !… Ebbene, andate a vedere la Krao, la ragazza scimmia, e vedrete che cosa conta la nascita, e cosa conta l’educazione ! Pochi anni fa questa scimmia viveva nei boschi, mangiava radici e carne cruda, era una bestia : in poco tempo un uomo ha fatto ◀di▶ lei una gentile ed educata signorina.
E Otello da tanti anni al servizio della repubblica, capitano ◀di▶ ventura, nato da stirpe regia, gentile come una fanciulla, buono ed ingenuo come un bambino, dovrebbe dimostrare al pubblico un’indole selvaggia ? Andiamo via ! Quasi, quasi sto per convincermi che Shakespeare sia stato costretto a scegliere il suo eroe fra i neri, arrestandosi dinanzi alla ferocia brutale dei signori bianchi ! E « i fatti diversi » delle Gazzette d’ogni giorno stanno li per provarlo !
Lasciamo all’autore la grande responsabilità ◀di▶ creare i suoi personaggi ; noi limitiamoci a farli parlare, camminare, e gestire secondo la « gretta, e sciocca e putrida natura ! »
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La ricetta per interpretare magnificamente una parte è semplicissima. Eccovela : studiate prima a memoria le parole, poi pensate a quale classe sociale appartiene il personaggio : mettete dentro a quel personaggio tutto il vostro cuore e la vostra mente : sentite la sua passione come la sentireste voi stessi se vi trovaste nel suo caso : provate cinque, sei, sette volte quella parte alla mattina come pensate ◀di▶ farla alla sera…. e la creazione è fatta.

Le quali parole sono anche una riprova del come egli si venne acquistando la fama ◀di▶ direttore preclaro. Alcuni ◀di▶ quei comici, e ve ne han pur tanti, che lottan colla fame, e imprecan contro l’arte, e…. non infilan quattro parole al lume della ribalta senza uno sproposito, trovaron ridicole ed esagerate le esigenze artistiche ◀di▶ Emanuel ; e le sue furie per una papera, per una battuta ritardata, per una intonazione sbagliata, chiamarono pazzia. Ma…. quanti ◀di▶ coloro che, appena mediocri, apparvero al suo fianco più che sufficienti, oggi tornati, lontano da lui, men che mediocri, dovran ricordarsi del loro grande maestro ! E ◀di▶ lui direttore, per una recita della Fedora ◀di▶ Sardou al Valle ◀di▶ Roma, scrisse il D’ Arcais nell’aprile dell’ ’83 :
Ad onor del vero, il merito del successo ◀di▶ Fedora è dovuto, in gran parte, all’esecuzione. L’ Emanuel, a mio credere, ha trovato la via per la quale, nell’interesse dell’arte drammatica, sarebbe stato a desiderare che si fosse posto prima ◀di▶ ora. Egli appartiene alla schiera poco numerosa degli artisti che non solo hanno un gran valore personale, ma sanno, in breve tempo, formarsi degli allievi fra gli attori che li circondano. Come artista, raccoglie senza dubbio l’eredità del Salvini e ◀di▶ Ernesto Rossi, scomparsi dalle scene italiane per recarsi in traccia d’allori e ◀di▶ quattrini all’estero. Ma in lui, al pari dell’artista, è sommo il direttore, il maestro, e, sotto quest’aspetto, egli mi rammenta Gustavo Modena, che fu il rinnovatore dell’arte della recitazione in Italia. È dunque da desiderare che rimanga a capo ◀di▶ una compagnia, e che ◀di▶ questa compagnia faccia una scuola, come ora sta facendo. L’esecuzione della Fedora è un prodigio ◀di▶ esecuzione complessiva ; tace il suggeritore, l’intonazione ◀di▶ tutti gli artisti è perfetta, nei minimi particolari si osserva una cura diligente ch’è prova al tempo stesso ◀di▶ una intelligenza superiore. L’ Emanuel sarebbe davvero uno dei direttori indicati per una compagnia stabile, nella quale abbondassero, come ◀di▶ dovere, gli elementi giovani. - Intorno all’artista, al primo attore, c’è poco da aggiungere a ciò che più volte ho detto io stesso. Chi ha udito al Valle l’ Emanuel nella Odette, nel Nerone e in questa Fedora, è costretto a riconoscere non esservi oggidi in Italia chi gli contenda il primato. È l’attore più vero e più efficace che si possa udire ; col progredire negli anni sono scomparse anche le piccole mende d’un tempo, e finchè avremo artisti ◀di▶ questa fatta non dobbiamo disperare interamente del teatro italiano.
Fra le curiose originalità ◀di▶ Giovanni Emanuel era quella ◀di▶ parlare al pubblico, ogni qualvolta gli se ne porgesse l’occasione.
A Roma del ’70, poco innanzi l’entrata delle truppe italiane, egli, caduto ◀di▶ leva, desiderò ◀di▶ abbandonar la compagnia per tema ◀di▶ esser dichiarato disertore. Negatogliene il permesso, si fece presso alla ribalta, mentre si recitava l’ Elisabetta d’ Inghilterra, e si diede a discorrer de’ fatti suoi al pubblico in cosiffatta guisa che poco dopo fu arrestato e imprigionato.
Una volta, recitando in Asti a teatro vuoto, pensò bene la terza sera, in costume ◀di▶ Oreste, ◀di▶ rivolgere allo scarso pubblico le seguenti parole : « Mentre ringrazio i benevoli che son venuti in teatro, dichiaro che in Asti non recito più, finchè il gusto artistico ◀di▶ questa città non sia mutato. Questa città dette i natali a un grande, a Vittorio Alfieri, ma egli, se ebbe la disgrazia ◀di▶ nascervi, ebbe anche il buon senso ◀di▶ non rimanervi. »
Un’altra curiosità nella vita ◀di▶ Emanuel. Gli amici, più che i medici, gli affibbiarono, sin dal ’67, una tisi, per la quale egli fu spacciato una ventina ◀di▶ volte al meno. A ogni nuovo trionfo, il buon pubblico pietoso, che ha sempre come bisogno ◀di▶ mettere un ma stridente a ogni gaiezza della vita, solea sclamar sospirando : « Che peccato ! Un così bell’artista ! Una così forte promessa ! Ce ne avrà ancora per poco !… » E la dolorosa sentenza ebbe origine da una velatura ch’egli recava nella voce dai primi anni ; velatura che andò poi coll’esercizio attenuandosi, fino a permettergli da un buon trentennio ◀di sputar, non sangue, ma polmoni, rinnovantisi ogni sera, sotto le spoglie de’ molti e svariati personaggi del gran repertorio.