CAPO XIII.
Commedia Mezzana.
Alterossi indi in Atene il Governo, e nell’oligarchia cangiò la commedia di▶ portamento. Que’ pochi cittadini, tra’ quali tutta si concentrò la pubblica autorità, posero freno alla licenza ◀di▶ tal dramma, e più non soffrirono ◀di▶ essere impunitamente sulla scena nominati e motteggiati. Eupoli che fiorì nell’olimpiade LXXXVIII, fu la vittima della loro potenza, essendo stato gettato in mare, secondo che ci attesta Platone, per ordine ◀di▶ Alcibiade allora prefetto della flotta Ateniesea. E quantunque da alcuni si pretenda che dopo quel tempo Eupoli avesse altre favole composte, e che egli non morisse in mare ma in Egina; pure è sempre certo, che per un editto de’ Quattrocento sotto Alcibiadeb, o de’ Trenta Tiranni nell’olimpiade XCIII o XCIVc, non si potè più nominare in teatro verun personaggio vivente; e così cessò la commedia greca chiamata antica.
Da questo editto nacque la Mezzana. I poeti doveano obedire, ma volevano conservar la satira. Cercando adunque ◀di▶ conseguir coll’industria L’effetto stesso che produceva il nominare i cittadini, gli dipinsero sotto finti nomi con tale artificio che il popolo non s’ingannava nell’indovinarli, e con diletto maggiore gli ravvisava. In questa specie ◀di▶ commedia per la legge divenuta più ingegnosa e dilettevole, il Coro, nel quale più che in altra parte soleva senza ritegni spaziare l’acerbità e l’acrimonia, fu tuttavia satirico e pungente. Ma non tollerando il Governo ◀di▶ veder delusa la sua speranza ◀di▶ correggere la mordacità de’ poeti, vietò il far uso in qualunque modo ◀di▶ soggetti veri, ed impose silenzio al Coro incapace ◀di▶ cambiar naturaa. Ciò che soltanto venne permesso ai comici, fu ◀di▶ mordere i detti e gli scritti ◀di▶ altri poeti trapassati, e ◀di▶ riderne senza che loro s’impulasse a delitto, e senza soggiacere a pena verunaa.
Platone poeta comico contemporaneo ◀di▶ Aristofane è tenuto pel primo tra quelli che si distinsero nella commedia mezzana. Compose intorno a trenta commedie, delle quali a noi sono soltanto pervenuti pochi frammenti.
Assai ◀di▶ lui più chiaro in tal commedia fu Alesside ◀di▶ Turio zio o patrocinatore ◀di▶ Menandro, potendosi interpretare dell’una e dell’altra guisa la voce πατρος presso Suida. Meursio raccolse delle favole ◀di▶ Alesside intorno a centotredici titoli, che però ne scrisse dugentoquarantacinque, i cui frammenti leggonsi sparsi nelle opere ◀di▶ Ateneo, Polluce, Stobeo, Laerzio ed Aulo Gellio, e raccolti nelle compilazioni dello Stefano, del Morello, dell’Ertelio e del Grozio. La grazia e la vivacità della ◀di▶ lui satira non veniva amareggiata dalla soverchia malignità come in Aristofane. Pungeva vagamente co’ motteggi gli uomini in generale ed alcuni ceti come le scuole Pitagoriche, e spiccava nelle dipinture naturali de’ costumi e delle nazioni. Ciò rilevasi da’ frammenti che se ne sono conservati, de’ quali alcuni ne riferii con mia traduzione nel tomo I delle Vicende della Coltura delle Sicilie. Nelle Cene ◀di▶ Ateneo leggesi un bel passo ◀di▶ Alesside, in cui si esprime il lusso de’ Sibariti, de’ Siciliani e de’ Tarentini. Un altro ne adduce lo stesso Ateneo della favola Mandragorizomena, ossia lo Stupido per l’uso della soporifera pianta Mandragora. Vi si deridono le contraddizioni de i desiderii umani:
Strana oltremodo a voi la razza umanaSolo si pasce? I forestieri acclama,E i patriotti poi sprezza e i congiunti;Fasto e ricchezza in povertade ostenta:Con scarsa mano o con maligno oggetto,Spinto da vanità, non da virtude,I suoi doni dispensa. In quanto al ciboNel medesimo dì bianchi i brodetti,Indi neri gli vuol: se l’acqua è fredda,Tempesta e grida, poi vuol ber gelato,E che apprestin la neve a’ servi impone:Il vin raspante d’avidetto gustoCo’ primi labbri ei delibar disdegna,Poi mattamente barbare bevandeAcetose fumose agre putenti,Birra cervogia e ponce e rac tracanna aAh non senza ragion dissero i saggi,Bello è non esser nato, o tosto almenoUscir d’impacci e abbadonar la vita.
Sozione Alessandrino ne reca un altro pur trascritto da Ateneo della favola Ασωτιδασκαλος, ossia Magister Lussuriae, che può in certo modo equivalere al Mechant del Gresset e all’Homme dangereux del Palissot? Eccone la nostra traduzione:
Col nominar sì spesso Odeo, Liceo,Nulla si scerne e d’increscevol molto?Beviam, torniamo a bere, e infin che liceSenza noja viviam: d’inutil cureNon si opprima la mente. Ah non vi è cosaPiù del ventre gioconda. Ei sol ci è padre,Ei madre, ei tutto. La virtù, il dovere,Eccelsi gradi, ambascerie, comandiDi eserciti, vocaboli pomposi,E dopo un velocissimo romorePassano, al par de’ sogni, in sen del nulla.L’ora fatal sopravverrà ben tosto,E tavvedrai che, del mangiare e bereTranne il diletto, nulla al fin rimane.Cimon, Pericle, Codro oggi son polve.
Secondo Plutarco l’eccellente comico Alesside finì ◀di▶ vivere sulla scena in mezzo agli applausi essendo stato coronato per una delle sue favole. Stefano ◀di▶ lui figliuolo, secondo Suida, seguì le orme del padre coltivando anch’egli con applauso la commedia mezzana, ed Ateneo cita un frammento del ◀di▶ lui Filolacone, ossia fautore degli Spartani.
Appartiene a questa commedia ancora Antifane che fiorì al tempo ◀di▶ Filippo il Macedone, e tralle sue commedie tutle perdute si mentova particolarmente L’Auleto, ovvero il Flautista, in cui per ischerno introdusse Beralo sonatore ◀di▶ flauto inesperto nel suo mestiere, ◀di▶ che vedi Plutarco nella Vita ◀di▶ Demostene.
Fiorirono parimente nella commedia mezzana Sofilo, Sotade, Esippo, Mnesimaco, Filippide, Stratone, Anaspila, Epicrate, ed Anassandride. Nacque quest’ultimo comico in Camira nell’isola ◀di▶ Rodi, e fiorì particolarmente verso l’olimpiade CI. Ma se Eupoli fu la vittima del risentimento del Governo nel tempo della commedia antica, Anassandride lo fu nella mezzana, perchè avendo osato motteggiare del Governo contro i divieti, gli Ateniesi lo condannarono a morir ◀di▶ fame. Suida ci dice che questo comico portò la prima volta sulle scene le avventure amorose e le vergini deflorate, le qu ali cose si rappresentarono con frequenza nella commedia nuova da cui passarono alla latinaa. Si trovano citate dagli antichi venti delle favole ◀di▶ Anassandride, benchè ne avesse composte intorno a sessantacinque, per le quali dieci volte soltanto riportò la corona teatrale. Questo poeta ◀di▶ vantaggiosa statura amico ◀di▶ vestire pomposamente e ◀di▶ cavalcare, fu così altiero, che soffriva con impazienza che le sue favole rimanessero superate nel certame, e tal dispetto ne concepiva che incontinente le lacerava. Dal conoscersene però più delle dieci coronate, sembra verisimile quel che col l’autorità ◀di▶ Camaleone asserisce Ateneo nel libro IX, cioè che non prima che pervenisse alla vecchiaja, avesse cominciato ad aver tanto a sdegno l’esser vinto.