LETTERA DELL’AUTORE ALL’EDITOR VENETO
Alfine voi imprendete a riprodurre costà la mia storia teatrale antica e moderna? La gentil maniera meco tenuta in richiedermene l’assenso, mi astringe a concorrere alla riuscita della vostra intrapresa. Le storie ragionate che per mano della filosofia si conducono per le varie specie poetiche e singolarmente teatrali, non son dettate per appagar soltanto una sterile curiosità: ma racchiudono in se mai sempre una Poetica a ciascuna di▶ esse corrispondente, ed una Scelta de’ più cospicui esempj sì delle cadute che dei progessi che vi si fecero in diverse epoche. E siccome questi esempj ◀di▶ errori e ◀di▶ bellezze vanno alla giornata moltiplicandosi, fa uopo tratto tratto (per fortificar co’ veri principj dell’arte e col gusto più fine e più sicuro gli animi giovanili facili ad essere illusi e sedotti da cattivi modelli) tenerli instruiti de’ continui passi che con felicità o troviamento si danno nelle rispettive carriere. Io condussi la Storia de’ Teatri sino a’ tempi prossimi al punto dell’edizione napoletana in sei volumi cominciata nel 1787, e compiuta nel terminar del 1789. Gli altri anni indi trascorsi ci apprestano nuovi materiali, e le posteriori mie osservazioni su ciò che narrai intorno all’epoche precedenti, mi suggeriscono nuovi, e, se io dritto estimo, non inutili miglioramenti, che vi rimetterò come vi accingerete a pubblicarne ◀di▶ mano in mano i sei volumi che lo compongono, trattando in guisa il vostro affare, che meglio far non mi saprei, se fosse unicamente mio.
Egli è vero che a certi uomini grandi del secolo cadente, ◀di▶ se stessi pieni così che ne riboccano per ogni verso, questa, com’ essi dicono, trita materia teatrale parrà frivola e puerile occupazione da non meritar tante cure, anzi da mirarsi con una specie ◀di▶ compassione da chi si crede nato a recondite elevate imprese nelle scienze e nelle lettere. Ma che si vuol fare? Non tutti esser ponno sì alti da toccar col capo le sublimi volte del tempio dell’immortalità; ed havvi chi si contenta appena ◀di▶ contemplarne le vicinanze, non che ◀di▶ appressarsi alla soglia. Di grazia può qualunque siesi fregiarsi dell’augusto alloro de’ principi della letteratura, i quali per altro ripetendo per lo più sino all’ultima noja i più divulgati rancidumi producono libri bipalmari ◀di▶ superficie e digitali ◀di▶ profondità? Possono pretender tutti a quel sublime seggio ove siede fastoso qualche grecista ardito, il quale per cianciar su ◀di▶ alcun marmo spezzato e supplirlo a suo modo, mostra ◀di▶ vedervi quel che mai non vi si scolpì, ed inalza de’ torracchioni dappresso alle Nefelococcigie Aristofanesche?
Vero è altresì che nelle storie teatrali si suole ◀di▶ quando in quando favellar ◀di▶ comedi antichi e moderni, cioè de’ Satiri, de’ Roscj, de’ Baron, de’ Garrick, degli Scaramucci e de’ Don-Fastidj, bassi oggetti da’ quali difficile e schifiltoso rifugge chiunque presume ◀di▶ tener gran posto contando se stesso tra’ personaggi stragrandi che danno lustro e nome al secolo XVIII. Non ◀di▶ meno v’ha chi sostiene loro in sul viso esser meglio calcar le tracce ◀di▶ Aristotile, ◀di▶ Plutarco, ◀di▶ Tullio, ◀di▶ Quintiliano, e mentovar dove stia bene que’ graziosi sagaci attori, i quali seppero sulle più culte scene ritrarre al vivo i ridicoli del loro tempo, che accreditarsi nelle società come originali ◀di▶ que’ medesimi ridicoli mascherati da uomini ◀di▶ alto affare, come filosofi senza logica, come pedanti pieni ◀di▶ stomachevole orgoglio e voti ◀di▶ ogni valore e dottrina, e come pigmei in somma, la cui pelle distesa a forza ◀di▶ puro vento per via ◀di▶ replicati argomenti si gonfia e gli fa per qualche istante parer gigantoni.
Io però non chiudo in seno un cuore così pavido e pusillanime, che si atterisca de’ maligni aliti che sfumano da simili fungose escrescenze della letteratura. Nè per cicalar che facciansi quelle imbellettate invide maschere del merito, io mi ritrarrò dall’impiegar sulla mia storia teatrale le terze cure. Ben sanno i veri filosofi, i degni letterati del secolo da me con alacrità ◀di▶ animo altrove rammentati tra’ grandi ornamenti de’ nostri dì, la prestanza e l’utilità ◀di▶ un genere ◀di▶ poesia, da cui, se v’ha mezzo efficace per diffondere nel popolo una vantaggiosa pubblica educazione, debbe questa principalmente da buon senno ottenersi; siccome m’ingegnai d’indicar nel breve ragionamento che premisi alla mia storia, dirigendolo a chi ama la poesia rappresentativa. Sanno essi pur troppo ◀di▶ non doversi il buon teatro considerar come semplice passatempo, ma come industre espediente suggerito dalla filosofia per seminar nelle società dilettando, la coltura, la virtù, la morale, e per secondar le provvide vedute de’ legislatori. Sanno altresì che l’adunarsi in un luogo pubblico, qual è un teatro, giova potentemente perchè gli spettatori si osservino reciprocamente e si compongano a certa esteriore pulitezza che i solitarj non mai son per acquistare. Sanno in oltre che la poesia rappresentativa suppone talento grande e studio multiplice, troppa sapienza abbisognando a quel poeta che agogna al bel vanto ◀di▶ pubblico educatore. Sanno in fine che i migliori delle nazioni antiche e moderne in ogni tempo fecersi un pregio e forse un dovere ◀di▶ contribuire co’ loro lumi al miglioramento del teatro, e se ne occuparono con proprio piacere e con altrui vantaggio. In Grecia p. e. niuno ignora omai che gli uomini più illustri o scrissero essi medesimi pel teatro, o ne promossero lo studio, o servirono ◀di▶ scorta a’ drammatici. Platone aspirò alla vittoria Olimpica con una tetralogia: Temistocle attese a far riuscire con ogni splendidezza gli spettacoli scenici: Eschine il competitore ◀di▶ Demostene, Archia capitano, Neottolemo favorito del re Filippo, e Aristodemo ambasciadore in Macedonia, furono essi stessi rappresentatori: il sobrio filosofo Plutarco ha conservate varie memorie teatrali, ed ha profuso i più alti encomj sul gran comico Menandro. Roma stessa vantò un Lelio e uno Scipione Affricano come coadjutori ◀di▶ Terenzio: un Cornelio Silla dittatore, il gran Germanico, Cajo Claudio imperadore, furono scrittori ◀di▶ commedie: un Giulio Cesare, un Cesare Augusto, un Tito Vespasiano coltivarono la tragedia, non che un Mecenate, un Varo, un Ovidio, un Seneca, e uno Stazio: Orazio Flacco si fece ammirare da’ contemporanei e da’ posteri come critico inimitabile ◀di▶ teatral poesia. Nella decadenza del Romano Impero i padri stessi della Chiesa non isdegnarono svolgere gli scritti degli antichi drammatici e d’imitarli: san Giovanni Crisostomo leggeva con compiacenza le commedie ◀di▶ Aristofane, san Girolamo quelle ◀di▶ Plauto: il Sinesio ne compose alcune sulle orme ◀di▶ Cratino e ◀di▶ Filemone: Apollinare imitò ora Euripide ora Menandro. Al risorgimento delle lettere rinascendo il credito della teatral poesia, la coltivarono gli uomini più gravi e decorati. E per mentovarne alcuni pochi, nelle Spagne vi si dedicarono sacerdoti, teologi, magistrati, uomini ◀di▶ stato, Solis, Calderon, Montiano, Cadalso, Gusmano duca ◀di▶ Medina Sidonia: in Danimarca Klopstock: in Inghilterra il duca ◀di▶ Buckingam, il nobile Dryden, Milton l’epico della Gran-Brettagna, Adisson ministro ◀di▶ stato, il cavalier Van-Broug, il capitano Stèele: nella Francia Margherita ◀di▶ Navarra compose per la scena; Francesco I cercò d’inspirarne a’ suoi popoli il gusto sulle tracce dell’Italia; il cardinal Richelieu avrebbe voluto passare per potea teatrale, e ne promosse la coltura, onde germogliarono i Cornelii e i Racini; il celebre cartesiano Fontenelle ne scrisse la storia; Boileau Despréaux ne insegnò i precetti seguendo Orazio; il Ginevrino filosofo Gian Giacomo Rousseau volle dare il nome tra’ pregevoli drammatici. L’Italia conta i cardinali Bibiena, Delfino, Pallavicino, i nobili Bentivoglio, Ariosto, Tasso, Machiavelli, Salviati, Secco, Conti, Maffei, Rota, Costanzo, il Gaetano duca ◀di▶ Sermoneta, Ann bale Marchese, il conte Panzuti, e cento altri magnati, militari ◀di▶ distinzione, vescovi e gran magistrati intenti a promuovere gli avanzamenti della teatral poesia. E qual filosofo o altro scrittor ◀di▶ chiara fama non si pregia ◀di▶ corroborare i suoi concetti colla morale e colla politica sparsa ne’ gran poeti drammatici? Quale illustre accademia ◀di▶ amena letteratura non ha occupati i suoi valorosi individui ad illustrare o l’erudizione o la ragion poetica che concerne il teatro, ad insinuarne il vero gusto, ad arricchir le rispettive nazioni ◀di▶ tragedie, ◀di▶ commedie, e ◀di▶ pastorali? Adunque o bisogna essere stato nutrito nella feccia delle surriferite maschere, o aver sortito dalla natura matrigna la comprensione ◀di▶ un vero Tinitiva dell’Orenoco, per non ravvisare l’istruzione, i politici vantaggi e l’innocente piacere che ci appresta la poesia teatrale, e per tenere in conto ◀di▶ studio triviale quello che spendesi in descrivere l’origine, i progressi, le vicende, il buon gusto ◀di▶ un genere poetico così utile, così difficile, e con ardor sommo e con felice successo trattato da’ filosofi ◀di▶ grido, da nobili ◀di▶ primo ordine, da vescovi, da cardinali, da santi padri, da re, da imperadori. Non è però da maravigliarsene punto. Non v’ha nemico più temuto dagl’impostori letterarj, politici e morali, quanto un buon teatro; per la qual cosa essi adopreranno sempre gli ultimi loro sforzi per avvilirne l’occupazione, temendo ◀di▶ esser su ◀di▶ esso scherniti, suo principal oggetto essendo il separar l’oro dall’alchimia, la maschera dalla realità, i veri utili scrittori da que’ larghi promettitori eterni ◀di▶ opere che non si producono, i quali sono gl’insetti divoratori della messe che dovrebbe alimentar la povertà meritevole, la modesta filosofia, la virtù infelice che dà riputazione fin anco a’ paesi corrotti, la quale mentre riscuote un apparente rispetto, vien lasciata languire nell’indigenza.
Io adunque ◀di▶ bel nuovo mi occuperò della mia storia teatrale, e voi coll’accuratezza promessa stampatela colle aggiunte che vi trasmetto, e con gl’indicati miglioramenti or nell’espressioni or nelle cose, e nulla temete, perchè ad un bisogno non mancherà chi levi la mano per istrappar dal viso degl’impostori le speciose larve onde imbacuccati e camuffati si lusingano ◀di rimanere ignoti. Addio.