Capo VIII
Vuoto della Storia Teatrale.
Si può chiamar vuoto della storia teatrale il lungo periodo interposto dalla corruzione della poesia drammatica fino alla perdita della lingua latina, avvenuta per l’incursione delle nazioni barbare nell’imperio romano.
Non é già, che sotto gl’imperadori de’ tre primi secoli fosse cessato il gusto degli spettacoli scenici in Roma e altrove. Anzi allora più che mai abbondarono i teatri, e sfolgorarono di▶ lusso e magnificenza. Roma contava quattro gran teatri nella regione del circo Flaminio, cioé, il pompeano perfezionato da Caligola e riedificato da Claudio, il Teatro Lapideo, quello ◀di▶ Cornelio Balbo, e quello eretto da Augusto sotto il nome ◀di▶ Marcello, capaci ◀di▶ più ◀di▶ trentamila persone100. Napoli, Baia, Pozzuoli, Nola, Ercolano, Pompei Capua, Benevento, Teano, Minturno, Aquino, Casino, Alba Fucense, Taranto e altre città ◀di▶ quelle provincie che ora compongono il regno ◀di▶ Napoli, ebbero i loro teatri, de’ quali veggonsi anche oggi alcune vestigia. In grecia esistevano ancora i teatri ◀di▶ Corinto, Tebe, Delo, Atene, Sparta. Bisanzio ebbe un gran teatro, che fu ruinato col resto della città, quando fu presa per fame dalle truppe ◀di▶ Severo101. Antiochia ne avea ancora, e i suoi istrioni furono cagione della trascuraggine e della mina ◀di▶ Macrino102. In Tebe d’Egitto si vuole che vi fosse teatro, e che ◀di▶ là avesse preso Pilade certe novità introdotte nell’arte pantomimica. Erode Ascalonita ne edificò uno magnifico in Gerusalemme103.
Mai non furono più sontuosi e frequenti i giuochi scenici, quanto in tal tempo. Gl’istrioni musici, declamatori, e ballerini, si multiplicarono oltremodo. Fin dal regno ◀di▶ Tiberio erano essi sì numerosi, e riceveano paghe sì esorbitanti, ch’egli si vide obbligato a rimediarvi104. Ma non per quello ne diminuì il numero, anzi andarono talmente crescendo, che ◀di▶ sole ballerine forestiere, secondo Ammiano105, si contarono in Roma più ◀di▶ tremila, le quali co’ loro cori, e con altrettanti loro maestri, furono privilegiate ed eccettuate da un bando ◀di▶ sfratto dalla città intimato per timore ◀di▶ carestia a tutti gli stranieri filosofi, retori ed altri professori. Il predominio poi che acquistò la gente ◀di▶ teatro su gli animi degl’imperadori degeneri, fu eccessivo. Caligola non si tratteneva dal baciare in pubblico l’eccellente pantomimo tragico M. Lepido Mnestere; e quando egli ballava, se qualche spettatore inconsiderato faceva il minimo romore, comandava che gliel recassero innanzi, e ◀di▶ propria mano lo flagellava106. Vitellio resse gran parte dell’imperio a voglia ◀di▶ molti Istrioni107. Eliogabalo distribuì le maggiori dignità dell’imperio fra’ pubblici istrioni-ballerini; molti ne destinò procuratori delle provincie; ne pose uno nell’ordine de’ cavalieri, un altro nel senatorio, un altro che da giovane avea rappresentato nell’istessa Roma, fu da lui creato prefetto dell’esercito108.
Ma non ostante il numero e la magnificenza de’ teatri, e le ricchezze e ’l favore degl’istrioni, noi cominciamo ◀di▶ qui a trovar il vuoto della storia teatrale, perché la poesia drammatica in tal periodo non acquistò veruno scrittore greco o latino che meritaste ◀di▶ passare a’ posteri. In Roma si ripetevano appena l’antiche produzioni, e ’l popolo trovava insipido ogni altro spettacolo scenico fuorché i pantomimi e i mimi, i quali occuparono interamente i teatri. In tempo ◀di▶ Antonino Pio da Capitolino si fa menzione solamente ◀di▶ Marco Marullo, attore e scrittore ◀di▶ favole mimiche, il quale ebbe l’ardire ◀di▶ satireggiare i principali personaggi della città, senza eccettuarne l’istesso imperadore; Marco Aurelio, ◀di▶ lui figliuolo adottivo e successore, diceva, che le commedie de’ suoi tempi altro non erano che mimi, Dagli Antonini fino alla divisione dell’imperio romano non si trova nominato, ch’io sappia, altro scrittore drammatico a riserba d’una commedia in prosa poco degna ◀di▶ lode, scritta da un autore incerto ad imitazione Aulularia ◀di▶ Plauto, e così pure intitolata109.
E come trovarne dalla morte ◀di▶ Teodosio I fino allo stabilimento de’ longobardi in Italia, periodo il più deplorabile per l’umanità per lo concorso ◀di▶ tante calamità, ◀di▶ guerre, incendi, fame e peste, che desolarono l’Europa colla venuta ◀di▶ tanti barbari?
Non ne somministra il rimanente del secolo VI, quando i popoli cominciarono a respirare alquanto, rroviamo in esso i giuochi e i disordini teatrali, e Giustiniano imperadore e legislator famoso che chiama a parte del suo letto e dell’alloro imperiale la mima Teodora; ma non troviamo scrittori drammatici.
Non ne troviamo nel VII, VIII, e IX secolo, ne’ quali sparì dal cospetto degli uomini pressoché interamente ogni vestigio ◀di▶ politica, giurisprudenza, arti, e letteratura romana, e s’introdussero nuovi governi, nuove leggi, nuovi costumi, nuove vesti, nuovi nomi a uomini e ◀di▶ paesi, e nuove lingue, cangiamenti maravigliosi che non poterono accadere senza l’esterminio quali totale degli antichi abitatori.
Non empiono questo gran vuoto i soli ignorati o negletti sei dialoghi ◀di▶ Rosvita monaca ◀di▶ Gandersheim, intitolati Commedie, che appartengono al secolo X. Sono esse scritte in un latino assai barbaro, e ripiene ◀di▶ apparizioni e incoerenze, La prima ◀di▶ esse é divisa in due parti, o atti, e s’intitola Gallicano, ch’é un pagano generale ◀di▶ Costantino, il quale va a combattere gli sciti, n’é vinto, é ricondotto da un angelo contra ◀di▶ essi, é vittorioso, si battezza, e fa voto ◀di▶ castità; e nella seconda parte l’imperadore non é più Costantino, ma Giuliano, dal quale Gallicano viene esiliato, e riporta la corona del martirio. Le altre cinque commedie ◀di▶ un atto solo sono intitolate, Dulcizio, Callimaco, Abramo Eremita, Pasnuzio, e la Fede, la Speranza, e la Carità. Ciò che reca maggior maraviglia in tali dialoghi si é, che l’autrice amava gli antichi, e traduceva Terenzio. Gli stessi capi d’opera dell’antichità si lessero pressoché in tutti i tempi e in tutti i luoghi; or perché non riprodussero sempre gli’ stessi effetti? Oltre a i riferiti dialoghi, o commedie, in tutto il secolo X, e nel XI, e XII, sebbene si videro comparire alcune informi poesie nelle nuove lingue, non ve ne furono a patto veruno teatrali110.
Don Blàs de Nasarre, letterato spagnuolo, mancato da non molti anni, in una sua dissertazione pubblicata nel 1749, faceva sperare monumenti drammatici, nella letteratura araba, ricavati dalla libreria dell’Escuriale111. Fu illusione del suo desiderio. Tra gli arabi non si trova, se non quello ch’ebbero tutte le nazioni anche rozze, cioé musica, balli, e travestimenti adoperati ne’ loro giuochi ◀di▶ canne, quadriglie, e tornei. Furono pur versificatori, ma si limitavano per lo più a’ componimenti ◀di▶ non molti versi, ne’ quali facevano pompa ◀di▶ acrostichi, antitesi, e giuochetti sulle parole, e sembra che i loro talenti poetici non fossero atti a soffrire il peso d’un componimento grande e seguito come il drammatico. Certamente nel saggio della poesia araba del signor Casiri inserito nella Biblioteca Arabico-Ispana, da cui Nasarre si prometteva tali monumenti, si dice nettamente, che gli arabi non conobbero gli spettacoli teatrali112. E sebbene il Casiri aggiugne, che a suo luogo avrebbe parlato ◀di▶ una o due commedie arabe, scartabellando la ◀di▶ lui biblioteca non trovai pure un solo componimento drammatico, non dico de’ secoli ◀di▶ cui ora parliamo, ma né anco de’ seguenti fino all’intera espulsione de’ mori dalle Spagne. Altro non vi si legge senonché qualche dialogo, ma non teatrale, appartenente al secolo XIV e XV. Il primo del 746 dell’Egira, scritto in versi e in prosa, é ◀di▶ Mohamad Ben Mohamad Albalisi, e v’interloquiscono 51 artefici che si beffeggiano vicendevolmente. L’altro dell’anno 845 dell’Egira é ◀di▶ un anonimo, e s’intitola Comoedia Blateronis, in cui da diversi interlocutori si tratta ◀di▶ tre cose differenti; nella prima parte della vendita d’un cavallo, nella seconda delle furberie ◀di▶ alcuni vagabondi, nella terza ◀di▶ certi innamorati, S’ingannò adunque Nasarre, e seco trasse Velazquez che gli credé buonamente. Costui nelle Origini della Poesia Castigliana asserisce primamente, che i romani portarono in Ispagna i giuochi scenici, ◀di▶ che gli saremmo tenuti, se ne avesse addotta qualche prova; ma egli non appoggia la sua assertiva con veruna ragione o autorità113, e solo prorompe in invettive contra Filostrato, perché nella vita ◀di▶ Apollonio affermò, che la Betica in tempo ◀di▶ Nerone neppur conosceva gli spettacoli scenici. Soggiugne poi, che i goti non permisero alla poesia drammatica ◀di▶ allignare in Ispagna; e conconchiude, che gli arabi (che non l’aveano) ve la portarono, adottando senza esame l’opinione ◀di▶ Nasarre, ◀di▶ cui abbiamo veduta la solidità.