Savorini Galeazzo, di▶ Bologna. Comico rinomatissimo per le parti ◀di▶ Dottore, fiorito sul finire del secolo xvii, fu al servizio del Duca ◀di▶ Modena con Anna Arcagnati sua moglie, detta in commedia Rosaura. Abbiamo ◀di▶ lui un passaporto dei più ampii, rilasciato il 15 febbrajo 1689, quando i Savorini dovevano recarsi da Bologna in varie città d’Italia, e firmato Francesco-Carlo Pio ◀di▶ Savoja. Nell’elenco però della Compagnia (V. Torri) non figura che il marito, al quale sono assegnate ◀di▶ paga venti doble al mese. Una lettera del 18 febbrajo 1690 al Duca, firmata dal Savorini e da Marco Antonio Zanetti detto Truffaldino (V.), ci apprende come la Compagnia fosse stata costretta a scorrere la primavera in Pescia e Camajore, l’ estate in Lucca e Livorno, e l’ autunno in Firenze senza recite con avversa fortuna, e con tante traversie, malattie, e dispendî, che oltre ai gravi incomodi e patimenti, era rimasta impegnata con un debito ◀di▶ 150 doppie, oltre li debiti particolari ◀di▶ ciascuno, ai quali Dio sa quando si sarebbe potuto provvedere.
Il Duca ◀di▶ Modena aveva loro ordinato ◀di▶ andare per proprio conto a Modena, e ◀di▶ là a Genova, dopo il carnovale ◀di▶ Roma. Ma gli scriventi, dopo ◀di▶ avere annunziato essere in trattative con certo Don Ferdinando Baldese per la stagione ◀di▶ Pasqua a Napoli, ove sarebbero andati a tutte sue spese con teatro e abitazione per la Compagnia, pagati, e con altre condizioni molto vantaggiose, si dichiarano pronti a eseguire gli ordini ◀di▶ Sua Altezza, raccomandandosi in ogni modo, acciocchè voglia somministrar loro il bisognevole per fare un viaggio tanto dispendioso. Il Duca Francesco ordinò al Tesoriere Zerbini ◀di▶ pagare in Roma a vista all’ abate Ercole Panziroli doppie dieci d’Italia, da darsi al Truffaldino e al Dottore per valersene nel viaggio da Roma a Modena a conto delle loro provvisioni : una miseria codesta, se vogliam credere che il bisogno fosse reale. Infatti i comici tornarono all’ assalto l’11 marzo, e questa volta ricevettero dalla Munificenza ◀di▶ Sua Altezza per mezzo del medesimo abate quarantacinque scudi d’argento con l’ordine reciso ◀di▶ partir subito da Roma.
Rosaura, la moglie ◀di▶ Savorini, non era con lui a Roma, e abbiamo un nuovo ordine del Duca allo stesso tesoriere, ◀di▶ pagare degli effetti ◀di▶ cassa segreta al Marchese Decio Fontanelli lire 360, per darle alla Rosaura in conto ◀di▶ sue provvisioni, che dovevan principiare a decorrere dal giorno ◀di▶ arrivo a Modena, per unirsi al resto della Compagnia.
Altra supplica dei Savorini abbiamo al nuovo Duca, morto Francesco, con la quale espongono la loro critica posizione e domandano un ajuto. La istanza fu passata pei provvedimenti al Conte Cesare Rangoni (1695).
E altra finalmente da Bologna in data 1° ottobre 1699, in cui si discorre delle solite miserie, e s’implorano i soliti soccorsì, fatti a ciò arditi gli umilissimi serventi dalla Munificenza ◀di▶ tutti gli eroi della Serenissima Casa Estense, Epilogata nella persona ◀di▶ Sua Altezza Serenissima.
Alla coltura del Savorini accenna Luigi Riccoboni nel capitolo settimo della Storia del Teatro Italiano, là dove dice : « Nell’anno 1690, all’età ◀di▶ tredici anni, io cominciava a frequentare il teatro : tutti i comici ◀di▶ quel tempo erano ignoranti. Tranne Giovanni Battista Paghetti, che rappresentava la parte ◀di▶ Dottore, e Galeazzo Savorini, che dopo lui sosteneva le medesime parti, non potrei nominare uno, ch'avesse fatto i suoi studi. »
In data dell’'88 abbiamo una lettera al Duca ◀di▶ Modena, in cui si lamenta ◀di▶ non aver ricevuto la sua parte del donativo passato ai comici, e dice ◀di▶ aver lavorato per nulla, carico ◀di▶ famiglia. Domanda soccorso. Dice che quando il Duca fu ammalato corse per tutti i monasteri ◀di▶ Bologna a far pregare, e massime in quello ◀di▶ Santa Caterina. Altrettanto fece a Corte Maggiore per altra malattia.
Giuro avanti Dio che se V. A. mi dà una carità convenevole, volere andare a trovare la sacra M. della Regina sua sorella, e portarli un santo Ritratto qual dovevo portare alla felice memoria dell’ Imper. Leonora, come da una sua lettera che tengo può vedere, e l’ assicuro che gli sarà ◀di▶ gran sollievo nelli presenti bisogni, contento all’anima, se si degnerà lasciarmi comparire davanti la ◀di▶ lei serenissima persona sentirà l’ historia, dirò solo che sono stato dall’'83 sino all’'88 in Livorno nascosto.
Ma è questa lettera sibillina veramente del Savorini, o forse del Muzio, dottore anch'esso il 1688 al servizio del Duca ?
Sbodio Gaetano. Nato a Milano il 10 novembre 1844, è stato uno de' più forti sostegni, dopo Ferravilla, della Compagnia dialettale creata da Cletto Arrighi. A quindici anni, abitava allora a Roma con la famiglia e faceva il mestiere dell’orefice, si arruolò volontario nella legione Cacciatori del Tevere.

Emigrato a Torino, pensò poi ◀di▶ andarsene a Milano, desideroso com’era ◀di▶ rivedere la cara patria. Quivi tornò a far l’orefice per campar la vita, esercitandosi la sera in una società ◀di▶ dilettanti a recitar le parti ◀di▶ amoroso in italiano. Col Meneghino Caironi sostenne una sera del carnovale '64 o '65, la parte ◀di▶ Fornaretto con grande successo, e da allora deliberò ◀di▶ farsi attore. Entrato in Compagnia Codognola, esordì al Teatro Chiabrera ◀di▶ Savona con tale successo ◀di▶ fischi e ◀di▶ risa, che dovette cambiar aria, e andò ad aggregarsi a una Compagnia miserissima, che recitava in un granajo ◀di▶ Finalmarina. I fischi non ci furon più, ma non ci furon più nè anche i mezzi per isfamarsi. Deciso ◀di▶ tornarsene a Milano, si recò a piedi sino a Finalborgo, dove potè ricavare il bisognevole per giungere a Milano, recitando poesie giocose e cantando canzonette nel caffè. Il '69 finalmente fu scritturato, dopo altri due anni ◀di▶ pene, da Cletto Arrighi, facendosi ammirar subito nelle scene dialettali, e in ispecie nel famoso Barchett de Buffalora, per una grande intelligenza nel concepire i caratteri, e una grande spontaneità e verità nel rappresentarli : ammirazione che si mutò nel più schietto entusiasmo alla recita del Sabet gras e del Milanes in mar, e alle canzonette popolari.

Da quel momento Gaetano Sbodio, « ambrosiano del vecchio stampo, dal cuor largo, dal buon senso caratteristico, dall’amore tradizionale per la rettitudine e per la giustizia, condita con quel pizzico ◀di▶ umorismo onestamente mordace, che rende i Lombardi formidabili negli incruenti duelli della parola e nell’ espressione dei loro giudizj (Ferravilla e Compagni, Milano, Aliprandi, 1890) », potè anche dirsi il più popolare degli artisti milanesi.
Toltosi dal Ferravilla, pensò ◀di▶ mettere su una Compagnia milanese in società con Davide Carnaghi, la quale avrebbe dovuto camminar su le orme della famosa del Toselli e ◀di▶ quella veneziana del Benini : una Compagnia insomma, che ai Massinelli, Panera, Incioda contrapponesse la vera e sana commedia, originale o tradotta, con dialetto e ambiente milanesi. Il successo artistico fu assai buono, ma quello finanziario mediocre. Oggi Gaetano Sbodio recita ancora, ma collo scemargli della vista gli è venuto scemando l’antico vigore. Fu anche autore ◀di▶ più opere or con buona or con cattiva fortuna, tra cui migliore ◀di▶ tutte La mamma ◀di gatt.