CAPO III.
Spettacoli scenici in Inghilterra.
Si rappresentavano nella Gran Brettagna per gran parte del secolo XVI i Misteri, le Moralità e le più assurde farse. Dicesi appena del re Edoardo VI, grandemente esaltato da Cardano, che avesse composta una commedia elegantissima intitolata la Puttana di▶ Babilonia esaltata dagli antiquarii ma sfuggita all’esame de’ moderni per essersi perduta.
A gloria però delle lettere vuolsi ne’ fasti scenici inglesi registrare un nome assai sublime. La figliuola ◀di▶ Errico VIII Elisabetta, che suol riporsi insieme coi più gran principi del suo tempo Sisto V pontefice romano ed Errico IV re ◀di▶ Francia, all’amor della musica congiunse la coltura delle lettere, ed oltre alle aringhe d’Isocrate, tradusse in latino le tragedie ◀di▶ Sofoclea. Non ebbe però questa gran regina molti compagni che lavorassero a far risorgere la drammatica co’ modelli dell’antichità. Non vi fu nel ◀di▶ lei regno che il loro Tommaso Sackville che compose Gordobuc commedia in qualche maniera scritta con regolaritàa.
Sotto quel cielo non ancora abbastanza rischiarato la stessa lingua non era
allora nè polita nè fissata, quando sulle scene comparve Guglielmo Shakspear. Abbandonato questo scrittore a se stesso si
arrollò tra’ commedianti per libertinaggio, e compose poi per sostentarsi
pel teatro ◀di▶ un popolo che ancor non poteva gloriarsi ◀di▶ aver prodotto alle
scienze, alla politica, alla marina e al commercio, un Newton, un Bacone, un Locke,
ed il Grande Atto della navigazione. Non rechi dunque
stupore, se i drammi ◀di▶ Shakspear benchè mostruosi
facessero la delizia della nazione. Egli racchiuse, come i Cinesi, in una
rappresentazione ◀di▶ poche ore, i fatti ◀di▶ trenta anni: introdusse nelle
favole tragiche persone basse, prostitute, ubbriachi, calzolai,
beccamorti, spiriti invisibili, un leone, un sorcio, il
chiaro, della luna che favellano: egli non seppe nè astenersi dal miracoloso
ed incredibile, nè separare dal tragico il comico, restando perciò, non che
lungi dal pareggiare Euripide, inferiore allo stesso Tespi. Ebbe non per
tanto un ingegno pieno ◀di▶ vigoroso entusiasmo che lo solleva talvolta presso
a’ più insigni tragici, e che giustifica il giudizio datone da’ suoi
compatriotti, che egli
abbondi ◀di▶ difetti innumerabili e
◀di▶ bellezze inimitabili
. Spicca soprattutto nel
colorire con forza ed evidenza i caratteri de’ grandi uomini, segnandone i
temperamenti, i difetti e le virtù. Macbet, Hamlet, Errico IV, Othello,
Giulio Cesare, il Mercante
Veneziano, Giulietta e Romeo si considerano come i ◀di▶
lui drammi migliori.
Noi non ci addosseremo mai la fatiga per noi singolarmente ardua troppo ◀di▶ presentar partitamente analisi compinte de i drammi ◀di▶ Shakespear; ben persuasi della difficoltà che incontrano, non che altri, non pochi suoi nazionali in afferrare lo spirito, l’energia dell’espressione e la grandezza de’ suoi concetti. Sceglieremo non pertanto tralle migliori nominate sue favole l’Amlet, e n’esporremo la tessitura e le bellezze principali, senza omettere qualche scena che ci sembri disdicevole alla gravità tragica.
Atto I. Alcuni soldati che guardano il palazzo del re ◀di▶ Danimarca, si trattengono sull’apparizione ◀di▶ una fantasima spaventevole. Esce un Morto, in cui ravvisano le sembianze del defunto re Amlet vestito ◀di▶ armi, il quale, nel voler parlare, al cantar del gallo sparisce. La scena si cangia nell’interiore della reggia. Il re attuale e la regina madre del giovane principe Amlet trattano ◀di▶ alcuni affari del regno, indi il re accorda a Laerte la licenza ◀di▶ tornare in Francia. Cade appresso il discorso sulla profonda tristezza ◀di▶ Amlet, cui danno consigli ed insinuazioni perchè si sforzi ◀di▶ sollevarsi. Amlet restato solo riflette fra se alla criminosa precipitazione ◀di▶ sua madre che appena passato un mese dalla morte del re suo marito che tanto l’amava, si è congiunta in matrimonio col fratello del re, che ora ne occupa il trono. Sopravvengono Orazio e Marcello due de’ soldati che videro l’ombra del re trapassato. Dice Amlet che sempre egli l’ha presente. Orazio che egli l’ha veduto effettivamente la scorsa notte, e ne racconta l’apparizione. Amlet dopo varie domande risolve ◀di▶ recarsi nel luogo dove apparve. Si cangia la scena in una casa del vecchio Polonio. Laerte prende congedo da sua sorella Ofelia e da Polonio suo padre vecchio cicalone che con molte parole scagliando massime ad ogni occorrenza, lo spinge ad imbarcarsi. Prosegue sul medesimo stile colla figlia in proposito del principe Amlet che l’ama, versando copiosamente regole e sentenze morali in tuono famigliare, e le impone ◀di▶ più non parlargli. Torna la scena del muro della reggia, dove giugne Amlet accompagnato da i due soldati. Si ode strepito ◀di▶ stromenti musicali dalla reggia, perchè il re stà in tavola assiso banchettando e bevendo. Amlet in tal proposito moralizza a lungo. Appare il Morto. Amlet gli domanda se sia Amlet suo padre, e perchè dal sepolcro torni a vedere i raggi della luna? Il Morto gli accenna ◀di▶ seguirlo, ed Amlet gli va appresso. Giungono in parte più remota.
Aml.
Dove vuoi tu portarmi? parla; già io non passo più oltre.
Mor.
Mirami.
Aml.
Ti miro.
Mor.
É già quasi giunta l’ora ◀di▶ restituirmi alle tormentose fiamme.
Aml.
Anima infelice!
Mor.
Non compatirmi: ascolta soltanto attentamente ciò che sono per rivelarti.
Aml.
Parla; ti prometto ogni attenzione.
Mor.
Ascoltato che mi avrai, promettimi vendetta.
Aml.
Perchè?
Mor.
Io sono l’anima ◀di▶ tuo padre destinata per certo tempo a vagar ◀di▶ notte, e condannata al fuoco durante il giorno, affinchè le fiamme purifichino le colpe che commisi nel mondo…
Se mai sentisti tenerezza per tuo padre…
Aml.
Oddio!
Mor.
Vendica la sua morte. Vendica un omicidio crudele e atroce.
Aml.
Omicidio?
Mor.
Sì, omicidio spietato, il più ingiusto e il più fraudolento.
Il Morto segue a raccontare come suo fratello innamorato della sua moglie e del regno lo fece avvelenare mentre dormiva nel giardino versandogli nell’orecchio certo licore velenoso sì contrario al sangue dell’uomo che a guisa ◀di▶ mercurio s’insinua, penetra tutte le vene, gela il sangue e ammazza prontamente. Così restò morto Amlet, ed il regno e la sposa fu occupato dall’incestuoso e tiranno fratello. Indi soggiunge:
Mor.
Orribile malvagità! orribile! Deh se ascolti la voce della natura, non voler soffrire che il talamo reale ◀di▶ Danimarca sia il letto dell’infamia e dell’incesto. Avverti però ◀di▶ qualunque modo tu ti accinga all’impresa a non macchiar l’anima con un delitto incrudelendo contro tua madre. Lascia che la punisca il cielo, lascia che quelle punte acute che tiene fitte nel petto, la feriscano e la tormentino. Addio, addio, ricordati ◀di▶ me.
Amlet con espressioni ed invocazioni ◀di▶ ogni maniera mostra l’orrore onde è preso, indi dice:
Ricordati ◀di▶ me? sì alma infelice; scancellerò dalla mia fantasia ogni altra idea ed impressione, eccetto il tuo comando, sì lo giuro.
Vengono i soldati. Amlet fa che giurino ◀di▶ non palesare a veruno l’apparizione ◀di▶ quella notte. Parte con essi dicendo fra se:
La natura è sconcertata… Iniquità esecrabile!… Oh non fossi mai nato a doverla punire!
Atto II. Polonio in sua casa spedisce un messo al figlio in Parigi con tante
ammonizioni miste ad inezie e minutezze che spiegano il carattere ◀di▶ un
vecchio che ciancia in tuono famigliare, basso ◀di▶ tratto in tratto, e
proprio della scena comica. Viene la figlia Ofelia, e gli narra la novità
del giovine Amlet divenuto folle. Nella reggia il re e la regina fra’
cortigiani trattano della mutazione ◀di▶ Amlet impazzito. Viene Polonio, che
prende gravemente a favellare sulla ◀di▶ lui follia, dicendo:
Vostro figlio è pazzo, e tale lo chiamo, perchè (a ben
riflettere) altra cosa non è la pazzia, se non che uno è interamente
matto.
E questa la ragione comica Plautina,
quelli sono cattivi i quali non sono buoni
.
Sopravviene Amlet legendo. Polonio gli domanda come stia;
bene
, risponde il principe.
Mi conosci
(replica Polonio)? Ed Amlet;
perfettamente; tu sei il
pescivendolo
. E va proseguendo con dir cose che
sembrano fuori ◀di▶ ragione, benchè osservi certo metodo nel dire e molta
acutezza. Sul medesimo tenore parla con Guildenstern, e Rosencrantz, i quali
d’ordine reale lo mettono in discorso per iscoprire ciò che senta
internamente. Si passa in seguito su i commedianti da esso principe
incontrati pel camino, che compongono la compagnia tragica ◀di▶ Elsingor. Essi
in fatti arrivano, ed Amlet parla ad alcuni ◀di▶ essi con famigliarità, e vuol
poi sentir declamare una scena sulla morte ◀di▶ Priamo. Egli stesso prima ne
declama con forza ed energia alcuni versi; ordina poi all’attore ◀di▶
proseguire, il quale eseguisce.
Domani
, aggiunge indi Amlet, rappresenterete la Morte ◀di▶ Gonzaga, cui io aggiungerò alcuni
versi
; e gli fa partire. Amlet rimane riflettendo al
potere della rappresentazione, per cui un attore ancor suo malgrado maneggia
gli affetti, trasforma il volto, piagne, affievolisce la voce, e
tutto si compone ad esprimere la passione per commuovere.
Or che farebbe
,
aggiugne,
se interiormente sentisse i medesimi movimenti ◀di▶ dolore
che in me sento? E pure io disgraziato rimango stupido e muto
mirando i miei torti!… Altro dunque io non so fare che piangere?… Ma
no. Udii dire che assistendo talvolta alla rappresentazione ◀di▶ una
favola alcune persone malvage furono così vivamente ferite per
l’illusione teatrale, che alla presenza ◀di▶ tutti manifestarono la
propria reità, perchè la colpa, benchè priva ◀di▶ lingua, sempre si
manifesta quando meno si attende. Io farò che quegli attori
rappresentino avanti ◀di▶ mio zio qualche scena che rassomigli alla
morte ◀di▶ mio padre. Lo trafiggerò così nella parte più sensibile del
cuore, osserverò i suoi sguardi, se cangia colore, se si agita… sò
quello che saprò far io. L’apparizione che mi si presentò, potrebbe
essere opera ◀di▶ spirito infernale, cui non è difficile il
trasformarsi. Chi sa se essendo sì poderoso su ◀di▶
una perturbata fantasia, avesse voluto valersi della mia debolezza e
malinconia, per ingannarmi, e machinar la mia ruina!… Io acquisterò
prove più solide; e la rappresentazione ordinata sarà il lacciuolo
per sorprendere e avviluppare la coscienza del re.
Anto III. Reggia. Il re desideroso ◀di▶ leggere nell’interno del nipote si
tiene in disparte per intendere ciò che Amlet dice ad Ofelia. Il principe
viene dicendo fra se.
Qual è più degna impresa
dell’animo, tollerare i colpi dell’avversa fortuna, ovvero opporsi
con tutta la fortezza e gire incontro a questo torrente ◀di▶ calamità?
Morire è dormire. Non altro?…
Prosegue lungamente su
tal punto. Si abbocca al fine con Ofelia; ma il loro dialogo delude le
speranze del re nascosto, il quale ne deduce non essere amore la cagione de’
trascorsi del nipote, e così conchiude:
Altra idea
chiude egli nell’animo che fomenta la
sua
tristezza; la quale potrebbe produrre alcun grave male.
Egli pensa evitarlo facendolo partir subito per Inghilterra. Condiscendendo
pero alla proposta ◀di▶ Polonio acconsente che Amlet parli prima con la regina
dopo la rappresentazione, per tentare ◀di▶ trargli dal seno il suo secreto,
esibendosi Polonio ad ascoltare occulto quanto diranno. Sala. Amlet dà varii
avvertimenti a’ commedianti per ben rappresentare; indi uscendo Orazio ◀di▶
cui si fida, gl’ingiunge che mentre segue la rappresentazione ◀di▶ quanto egli
ha aggiunto alla tragedia scelta, tenga l’occhio attento sopra del re e
l’esamini con tutta la cura, e dice che farà egli lo stesso, e si
communicheranno poi le osservazioni che ciascuno avrà fatte, per giudicare
su ciò che indicherà il ◀di▶ lui esteriore. Viene il re e la regina con
seguito. Si suona una marcia danese. Amlet ripiglia la finzione della
follia. Si dà principio alla rappresentazione muta a suono ◀di▶ trombette.
Gli attori che sostengono le parti del re, e della regina del dramma, si abbracciano affettuosamente; la regina s’inginocchia con gran rispetto; il re la fa alzare, e piega la testa sul petto della sposa, indi si pone a giacere in un letto ◀di▶ fiori e si addormenta; la regina si ritira. Un altro attore si avvicina al re, gli toglie la corona, la bacia, versa nel ◀di▶ lui orecchio un licore avvelenato e parte. Torna la regina, e trovato morto il marito manifesta un gran dolore; l’uccisore con altri due ritirano il cadavere. L’ assassino fa premure affettuose alla regina; ella resiste un poco: affine ne accoglie gli amorosi omaggi. Ciò vedendo Ofelia dice ad Amlet:
Of.
Che è questo?
Aml.
Questo è un assassinamento.
Of.
Al parere adunque questa scena muta contiene l’argomento del dramma.
Si finge nella prima scena che il re e la regina esprimano i loro affetti. Il re mostra timore che se egli venisse a morire, ella ne prenderebbe un altro. Io? (risponde la regina)
Io!… Che al tuo fato io sopravviva e d’altriSposa diventi! E creder puoi capaceDi tradimento tal la tua diletta?No: chi un altro ne impalma, il primo uccise.
A questo passo il Re Danese commosso e colpito dice ad Amlet:
Re.
Ti sei bene informato dell’azione ◀di▶ questo dramma? Tiene alcuna cosa ◀di▶ mal esempio?
Aml.
Non signore; che mal esempio? Tutto è una finzione, un veleno ma finto; oibo! che mal esempio?
Re.
Che titolo porta questa favola?
Aml.
La Trappola. È un titolo metaforico. Il Duca si chiama Gonzaga, e la sua consorte Battista.
Viene un commediante ad avvelenare quel che dorme, ed Amlet dice:
Aml.
Vedete? Ora l’avvelena nel giardino per usurpargli lo stato… Tosto vedrete che la sposa s’innammora dell’uccisore.
A ciò il re si alza. Tutto resta sospeso. Il re parte.
Ahi! Orazio! quanto disse lo spirito è troppo certo.
Polonio lo chiama per commissione della regina. Egli manda via tutti, e
parte. Sala del palazzo reale. Il re ordina a Rosencrantz e a Guildenstern
◀di▶ partire per l’Inghilterra portando secoloro Amlet. Si pone indi ad orare;
riflette ai suoi eccessi, fida nella misericordia divina, senza pensare però
a risarcire i danni cagionati, e a discendere dal trono usurpato. Arriva
Amlet, l’osserva, va per ferirlo; pensa poi che se l’ammazza mentre stà
orando, gli assicura la gloria eterna.
Nò
, dice, l’ucciderò quando
tripudii, gozzovigli, giuochi, bestemmi, o dorma ubriaco, affinchè
l’anima sua rimanga nera e maledetta come l’inferno che dee
ingojarla.
Va dalla madre. Appartamento della regina.
Ella parla con Polonio, il quale e
vedendo venire
Amlet si ritira per ascoltare non veduto.
Aml.
Che mi comandate, o madre?
Reg.
Amlet troppo hai tu offeso tuo padre.
Aml.
Voi, madre, troppo avete offeso il mio.
Reg.
Tu rispondi con troppa libertà.
Aml.
E voi mi domandate con troppa perversità.
Reg.
Che vuol dire ciò, Amlet?
Aml.
E che vuol dire ciò, madre?
Reg.
Aml.
No, perdio, che non mi dimentico che siete la regina congiunta in matrimonio col fratello del vostro primo marito; e al ciel piacesse che così non fosse. Ah siete mia madre!
Reg.
E bene io ti porrò alla presenza ◀di▶ chi ti faccia parlare con più senno.
Aml.
Venite, sedete. Di quì non si parte, non vi movete prima che io non vi ponga innanzi uno specchio, in cui ravvisiate il più occulto della vostra coscienza.
Reg.
Oimè! Che pensi ◀di▶ fare? Vuoi tu ammazzarmi?… Chi mi ajuta, cieli…
Pol.
Ajuto chiede? oh!…
Amlet si accorge ◀di▶ essere inteso; pensa che sia il re che stia ad ascoltare;
finge che sia un topo, e lo ferisce. Polonio grida,
son
morto
. Amlet torna alla madre, L’obbliga ad ascoltarlo;
le rimprovera l’assassinamento del padre, ed il ◀di▶ lei obbrobrioso
matrimonio col regicida. La regina confusa, compunta, abbattuta, confessa il
suo torto, e lo prega a più non trafiggerla con le sue parole. Esce il Morto
veduto da Amlet, e non dalla regina.
Aml.
Oh spiriti celestiali, difendetemi! Copritemi colle ali vostre! Che vuoi, ombra veneranda?
Reg.
Aml.
Vieni forse a riprendere la negligenza ◀di▶ tuo figlio, che indebolito dalla compassione e dalla tardanza obblia l’importante esecuzione del tuo orribile precetto? Parla.
Mor.
Non obbliarla. Vengo a riaccendere il tuo ardore che par quasi estinto.
Ordina poi che parli alla madre che vede piena ◀di▶ spavento.
Aml.
A che pensate, o madre?
Reg.
Oimè! A che pensi tu che così dirigi i tuoi sguardi dove non si vede cosa alcuna?… A chi miri?
Aml.
A lui, a lui; vedetelo… qual pallida luce esce da lui! Ahi ◀di▶ me! la sua presenza ed il suo dolore basterebbe a commuovere le pietre stesse. Ahi! Non mirarmi così, quest’aspetto contristato può distruggere i miei disegni crudeli, e far correre il pianto in vece del sangue che tu domandi.
Reg.
A chi dici tu queste cose?
Aml.
Nulla vedete in quel canto?
Reg.
Nulla, e pur vedo tutto quello che vi è.
Aml.
Nè anche ascoltaste nulla?
Reg.
Nulla, fuor ◀di▶ quello che noi due stiamo parlando.
Aml.
Mirate là, là… lo vedete?… ora si allontana…
Reg.
Chi mai?
Aml.
Mio padre, mio padre co’ suoi medesimi arnesi… vedete… ora va via.
La madre stima tutto ciò illusione pura della disordinata fantasia del figlio. Amlet la disinganna, mostrando tutta la sensatezza, e la commuove. La consiglia poi a separarsi a poco a poco dal colpevole suo nuovo sposo… Di poi ripigliandosi le dice, che anzi nol faccia, ed ironicamente le insinua ◀di▶ tosto recarsi a lui, ◀di▶ porsi nel suo letto e fralle sue braccia, ◀di▶ scoprirli che la pazzia del figlio è finta, e che tutto è un artificio. La regina l’assicura che ciò non farà mai.
Atto IV. Intende il re l’uccisione ◀di▶ Polonio, e risolve senz’altro ◀di▶ mandare Amlet in Inghilterra per sicurezza comune. Fa venire Amlet alla presenza sua, e gl’impone che si accinga subito a partir per Inghilterra. Ordina che si porti il cadavere ◀di▶ Polonio alla capella: Orazio fa sapere alla regina che Ofelia è divenuta pazza. Ella stessa viene cantando, e dà indicii che la morte del padre ha cagionato lo sconcerto della ragione ◀di▶ lei; ma ad ogni domanda che le si fa, risponde con un’ arietta musicale, e poi parte. Pieno il re ◀di▶ timori e ◀di▶ sospetti per le mormorazioni del popolo, accenna che è venuto ◀di▶ Francia il fratello ◀di▶ Ofelia, che si occulta. Si ode strepito grande. Un cavaliero chiama la guardia, e dice al re che fugga, perchè il volgo va seguendo Laerte furibondo, e l’acclama re. S’infrangono le porte. Entra Laerte pieno ◀di▶ furore col disegno ◀di▶ vendicare il padre ucciso onde provenne la follia ◀di▶ Ofelia. Il re l’assicura ◀di▶ non aver egli avuta colpa veruna nella morte ◀di▶ Polonio. Lo prega ad ascoltarlo da parte, protestando che se lo trovasse colpevole, gli cederebbe ◀di▶ buon grado il regno; ma se conoscerà la sua innocenza, si uniranno insieme cercando entrambi ogni più opportuno sollievo al proprio dolore. Partono. Esce Orazio, cui due marinari presentano alcune lettere. Orazio legge; è un foglio ◀di▶ Amlet che dice:
Orazio, come avrai letto questo foglio, dirigerai gli uomini che te lo recano al re, pel quale ho dato loro un altro plico. Dopo due giorni ◀di▶ navigazione fummo inseguiti da un pirata assai bene armato. Il nostro legno poco veliero ci obbligò a porre tutta la nostra speranza nel valore. Gettaronsi i rampiconi; io prima ◀di▶ tutti saltai sull’imbarcazione nemica, la quale nel tempo stesso si dispiccò dalla nostra, ed io rimasi solo e prigioniero. I nemici mi hanno trattato con moderazione come ladri compassionevoli, ed io gli ho ben compensati. Tu fa in modo che il re riceva le carte che gli mando, indi vieni a vedermi con tanto diligenza, come se fuggissi dalla morte. Saprai arcani che ti renderanno attonito. Gli stessi che ti hanno consegnata la lettera, ti condurranno da me. Guildestern e Rosencrantz hanno seguito il lor camino verso l’Inghilterra. Molto debbo dirti su ◀di▶ essi. Addio.
Tuo sempre
Amlet.
Il re ha raccontato a Laerte la verità dell’accaduto, gli dice poi ◀di▶ non aver potuto ancora vendicare il sangue del ◀di▶ lui padre nell’uccisore. Amlet, sì per l’amore che ha per lui la madre, come per l’affezione del popolo. L’esorta a fidarsi ◀di▶ lui. Un messo reca lettere del principe pel re e per la madre. Il re leggendo intende che Amlet è tornato nudo e solo, e che verrà domani. Palesa poi a Laerte un espediente che gli è sovvenuto per disfarsi ◀di▶ Amlet: Sul supposto che verisimilmente egli ricuserebbe d’imprendere un nuovo viaggio, per far che pera in guisa che la morte sua sembri alla madre stessa casuale, propone che celebrando la fama la destrezza ◀di▶ Laerte nel maneggiar la spada, ed Amlet essendo pieno ◀di▶ opinione ◀di▶ se stesso per la perizia nell’arte ◀di▶ schermire, pensa il re ◀di▶ fargli susurrare all’udito ◀di▶ tal sorte il valore ◀di▶ Laerte, che si dia luogo ad una scommessa, tenendo alcuni la parte ◀di▶ Laerte, ed altri quella del principe. Preventivamente si prepareranno alcuni fioretti colla punta scoperta che sarà avvelenata, e Laerte ne prenderà uno per se, con cui colpendolo lo ferirà mortalmente, e la sua morte si attribuirà al solo caso. Aggiugne il re che per assicurare il colpo farà anche ammanire una tazza pur con veleno, affinchè se venisse a fallire il fioretto, Amlet stanco ed affaticato chiedendo da bere, rimanga dal mortifero licore ucciso. La regina annunzia che Ofelia tratta dalla sua follia si è affogata nel vicino fiume; la qual cosa vie più accende la furia ◀di▶ Laerte.
Atto. V. Cimiterio. Aprono l’atto
due becchini
parlando ◀di▶ Ofelia che si ha da sotterrare in luogo sacro. L’uno dice che
ciò stà ben disposto dal giudice; l’altro che stà mal giudicato, perchè ella
si è ammazzata da se coll’affogarsi; scena comica bassa. Cade indi il loro
discorso sulla nobiltà ◀di▶ coloro che maneggiano la zappa, come becchini,
zappatori ecc. i quali esercitano l’antico mestiere ◀di▶ Adamo. Esce Amlet ed
Orazio. Un becchino zappa e canta. Amlet osserva l’insensibilità ◀di▶ colui
che nell’aprire una sepoltura stà cantando. Il becchino getta al suolo una
testa ◀di▶ un morto. Amlet riflette che potrebbe quella appartenere a qualche
uomo ◀di▶ stato che in vita pretese ingannare il cielo stesso, o a qualche
cortigiano infingevole, o anche a qualche cavaliere solito ad esaltare il
cavallo ◀di▶ un altro, per chiederglielo in prestito. Dopo simili osservazioni
si avvicina a’ becchini e parla con essi lungamente. La conversazione riesce
totalmente comica per le risposte che essi danno, e morale insieme per le
riflessioni ◀di▶ Amlet. Viene il re e la regina
ed il corpo ◀di▶ Ofelia accompagnato da’ sacerdoti. Si copre ◀di▶ terra il
cadavere. Laerte attacca briga con Amlet. Partono tutti. Restano Amlet ed
Orazio. Il principe racconta che mentre dormivano Guildestern e Rosencrantz,
egli entrò leggermente, e s’impossessò delle loro carte. Tornò nel suo
stanzino, aprì i dispacci, e scoprì il tradimento che gli tramava il re,
dando ordine preciso ◀di▶ ammazzarlo per assicurare la tranquillità della
Danimarca e dell’Inghilterra. Ne mostra l’ordine ad Orazio. Aggiugne che
egli scrisse in nome del re ◀di▶ Danimarca al re d’Inghilterra ◀di▶ far, per
quiete comune, morire immediatamente i due messaggi, e sugellò la lettera
col sigillo del padre che seco avea, sul quale erasi formato quello che
usava il re presente. Ciò fatto e chiuso ◀di▶ nuovo il plico, lo ripose nel
sito medesimo onde tratto l’avea, senza che il cambio si fosse conosciuto.
Il dì seguente avvenne il combattimento navale già
accennato nella lettera scritta ad Orazio. Un cortigiano adulatore viene a
manifestare la scommessa fatta dal re a favore ◀di▶ Amlet ◀di▶ sei cavalli
barbari contro sei spade francesi co’ pugnali corrispondenti. Il re
scommette che in dodici assalti Laerte darà ad Amlet tre soli colpi, e
Laerte s’impegna a dargliene nove. Amlet accetta la sfida, ed ordina che si
rechino in quella sala i fioretti. Altro messo del re vuol sapere se Amlet
pensa battersi subito con Laerte. Amlet risponde che se quell’ora è comoda
pel re, egli è pronto. Amlet confessa ad Orazio ◀di▶ sentir qualche cosa nel
suo cuore che l’affanna. Orazio vorrebbe dissuaderlo dall’impresa. Amlet
dice che egli si ride ◀di▶ simili presagi;
pur nella
morte
(aggiugne)
◀di▶ un uccellino interviene una provvidenza irresistibile;
se è giunta l’ora mia, bisogna attenderla. Tutto consiste in
trovarsi prevenuto allorchè arrivi. Se l’uomo al terminar ◀di▶ sua
vita ignora sempre ciò che potrebbe avvenire da poi, che importa che
la
perda presto o tardi? Sappia
morire
. Viene il re e la regina con tutta la corte. Il
re presenta Laerte ad Amlet, il quale gentilmente gli cerca perdono,
discolpando il passato col disordine della sua ragione. Laerte ed Amlet
prendono ciascuno un fioretto, e si dispongono all’assalto. Il re ordina che
si copra la mensa ◀di▶ bicchieri colmi ◀di▶ vino. Se Amlet dà la prima o la
seconda stoccata, o nel terzo assalto colpisce l’avversario, ordina che si
scarichi tutta l’artiglieria. Il re berà alla salute ◀di▶ Amlet, buttando nel
bicchiere una onice più preziosa ◀di▶ quella che hanno usata i quattro ultimi
sovrani Danesi. Incomincia l’assalto. Amlet dà la prima stoccata a Laerte.
Il re bee e vuole che egli beva ancora; Amlet vuol prima fare il secondo
assalto, e dà al competitore un altro colpo. La regina vuol bere alla salute
del figlio; il re cerca impedirlo; ella si ostina, e bee; il re si
contrista… Tornano i competitori all’assalto; si colpiscono entrambi, e
restano feriti.
La regina va mancando. Il re vuol
far credere che al vedere il sangue sia svenuta; ma ella grida,
no, no, la bevanda, la bevanda…. Amlet sono avvelenata…
Amlet
ordina che si chiudano le porte, e che si trovi il traditore. Laerte morendo
dice, che il
traditore è presente
.
Tu sei morto, Amlet, non ti resta che mezz’ora ◀di▶ vita; la punta del ferro che tieni in mano, è avvelenata, e… mi ha morto; io ne avea una simile, e tu sei morto… Tua madre ha bevuta la morte nel vino… non posso più… il re… il re è il malvagio autore ◀di▶ tante stragi.
Aml.
Questa punta è avvelenata? E bene faccia il suo effetto.
Trafigge il re. Amlet muore. Termina la tragedia coll’arrivo ◀di▶ Fortinbras, il quale dice che paleserà tutto tosto che saranno esposti alla pubblica veduta que’ cadaveri, ed aggiugne l’ultima disposizione ◀di▶ Amlet in favore del principe ◀di▶ Norvergia.
Ognuno vede la popolarità ◀di▶ questa
favola
originata dalla moltiplicità e varietà degli avvenimenti, e da alcune
interessanti situazioni tragiche che vi sono, come è la scena dell’ombra con
Amlet nell’atto primo, e l’altra colla madre e coll’ombra nell’atto secondo.
Ognuno ne vede altresì l’irregolarità ed il disprezzo delle sagge regole del
verisimile. Ma i dotti stranieri ed Inglesi convengono tutti del difettoso e
del mirabile del dramma, delle bellezze e delle mostruosità che vi si
notano. Basti per tutti il sentimento del Voltaire intorno
al merito dell’autore dell’Amlet, dell’uomo ◀di▶ lettere il più degno ◀di▶
giudicarne. «Shakespear
(egli disse) non ha presso
gl’Inglesi altro titolo che ◀di▶ divino. Pur le sue tragedie sono altrettanti
mostri. Quanto può immaginarsi ◀di▶ assurdo, ◀di▶ stravagante, ◀di▶ mostruoso,
tutto si trova in esse. Sulle prime io non sapeva intendere, come mai
gl’Inglesi potessero ammirare un autore così stravagante; ma in
progresso mi accorsi che aveano ragione… Essi al par ◀di▶
me vedevano i falli grossolani del loro autor favorito; ma ne sentivano
meglio ◀di▶ me le bellezze tanto più singolari per esser lampi che balenavano
in una oscurissima notte. Tale è il privilegio del genio; esso corre senza
guida, senz’arte, senza regola, per incognite non corse strade, ma lascia
dietro ◀di▶ se tutto ciò che altro non è che ragione ed esattezza.»
Abbiamo osservato nel parlar de i drammi Italiani l’esattezza ◀di▶ tanti industriosi scrittori intenti a far risorgere l’arte teatrale de’ Greci. Osserviamo ora in Shakespear la mancanza ◀di▶ erudizione, ◀di▶ emoli e ◀di▶ modelli supplita dall’ingegno che lo scorgeva ad’ internarsi nell’uomo, a studiare i movimenti del proprio cuore, e a prendere dal vero i colori delle passioni. Egli non conobbe l’arte, e copiò egregiamente la natura.
Tè questo pennello,La genitrice ritrarrai con essoa
Che tragico incomparabile non diverrebbe chi sapesse bene accoppiare l’uno e l’altro studio!
Ma questo gran tragico inglese studiando la natura mancò ◀di▶ giudizio nell’imitar ciò che in società si riprenderebbe. Non è inverisimile (disse pur Voltaire per iscolpar se stesso nel Figliuol Prodigo) che mentre in una stanza si piange un morto, dicasi da un buffone qualche motto che muova a riso. Ma questo vero indiscreto non dee sulla scena imitarsi; in prima perchè la parte più sana riprenderà l’impertinenza del buffone, e perciò, sembrando tal mescolanza sconvenevole nella conversazione, dovrà come in fatti avviene, dispiacere ancor nella scena, dove la natura dee comparire scelta e conveniente b. In secondo luogo il poeta giudizioso non lavora mai contro se stesso. Or che altro fa colui che volendo intenerire e commuovere impedisce egli stesso la riuscita del suo disegno distraendo lo spettatore colla buffoneria intempestiva?
Shakespear istudiò la natura, e pure nelle sue espressioni
non ◀di▶ rado la perde ◀di▶ vista. Non l’ebbe presente ne’ rimproveri che ne’
Due Gentiluomini ◀di▶ Verona fa il duca ◀di▶ Milano al
Valentino. Nella sola orazione ◀di▶ Antonio nel Giulio
Cesare, in quella orazione che Martino Sherlock
stima il capo d’opera dell’eloquenza da preferirsi
alle
orazioni tutte ◀di▶ Omero, ◀di▶ Virgilio, ◀di▶ Demostene, ◀di▶ Cicerone
, in
quell’orazione che
in ogni parola abbraccia mille bellezze
ignote ai profani: si osservano espressioni ricercate frivole e contrarie
alla semplicità della bella natura.
Quando piangevano i
poveri
(dice Antonio)
Cesare lagrimava
; l’
ambizione doveva esser fatta ◀di▶ una materia più dura
.
Questa materia più dura delle
lagrime è forse una
bellezza naturale? Oltre a ciò la falsa ragione che si adduce, non distrugge
l’accusa ◀di▶ ambizioso data a Cesare. L’orgoglio l’alterigia vizii composti
◀di▶ presunzione e ◀di▶ ferocia, sono quelli che rendono l’uomo disprezzante
duro insensibile agli altrui mali; ma l’ambizione non rare volte si copre ◀di▶
umanità e ◀di▶ dolcezza. Sherlock che ha studiato venti anni
i drammi ◀di▶ Shakespear, ha studiato troppo poco il cuore
umano.
Notate come il sangue ◀di▶ Cesare lo seguiva
(cioè
seguiva il maledetto acciajo ◀di▶ Bruto) come
sforzandosi ◀di▶ uscire per sapere, se fosse possibile, che questo era
Bruto.
Longino, Orazio e Boileau, de’ quali con
privilegio esclusivo il Sherlock vantasi ammiratore,
avrebbero ravvisato del patetico e del sublime in questo
sangue
che si sforza ◀di▶ uscire per seguire il ferro e per sapere se era Bruto
il feritore
? Merita simil concettuzzo ◀di▶ preferirsi a quanto vantò
◀di▶ grande la latina e la greca eloquenza?
L’unica vera bellezza dell’orazione ◀di▶ Shakespear è quella appunto che è sfuggita alla diligenza del Sherlock che da venti anni lo stà studiando. Il merito del Shakespear in tale argomento consiste singolarmente nell’essersi approfittato delle notizie istoriche sull’ammazzamento ◀di▶ Cesare, e nell’aver renduta capace dì rappresentarsi in teatro l’aringa fatta da Antonio al Popolo Romano riferitaci dagli scrittoria; spiegandovi un patetico risentito e forte che accompagna lo spettacolo alle parole; e per questo merito, ad onta delle false espressioni accennate, si manifesta un esperto poeta drammatico. Ma questo merito tutto appartiene al teatro, nè senza ridicolezza si metterebbe in confronto colle orazioni de’ Tullii e dei Demosteni. Di grazia questi due prodigiosi principi dell’eloquenza si sono mai trovati in un caso simile? Non sa il Sherlock quanti aspetti diversi prenda l’eloquenza dagli oggetti e dalle circostanze? Non comprende l’enorme differenza che corre trallo spiegar la pompa oratoria nel Foro o nel Senato Romano e nel Pritaneo ◀di▶ Atene contro l’ambiziosa politica ◀di▶ Filippo e le ruberie ◀di▶ Verre, e tral mettere in azione sul teatro un cadavere insanguinatò? Volle il Sherlock paragonare ancora (si aggiunga ◀di▶ passaggio) il poeta melodrammatico Metastasio coll’epico poeta romanziere Ariosto. Longino gli ha mai dati esempi ◀di▶ simili paragoni impossibili? E pure egli stesso riprende coloro che comparano Racine e Shakespear, perchè il primo (ei dice) ha fatte tragedie; e l’altro soltanto composizioni drammatiche. Dunque a’ ◀di▶ lui sguardi è più stravagante il confronto ◀di▶ due drammatici, che ◀di▶ un romanziere con un drammatico?
Non è meraviglia che quel focoso viaggiatore preso dal farnetico ◀di▶ ragionar
◀di▶ letteratura vada tirando ◀di▶ taglio e ◀di▶ punta contro i fantasimi che egli
stesso infanta, e giudichi de’ popoli colla più deplorabile superficialità.
Non è meraviglia che abbia scarabocchiato un libercolo picciolissimo in
tutti i sensi per provare che in
Italia la poesia non è uscita
ancor dalla fanciullezza
; non consistendo la sua grande opera che
in pagine 104 in picciolo ottavo, delle quali (sebbene protesti ◀di▶ voler
produrre un libro picciolo) ne impiega ben quaranta solo
in esagerate lodi della sua innamorata, cioè ◀di▶ Shakespear. Non è meraviglia che nella medesima brochure o scartabello che sia, cancelli con una mano quel
che con l’altra dipigne; e nell’atto che dichiara gl’Italiani
fanciulli in poesia
, affermi che abbondino ◀di▶
eccellentissimi poeti lirici
in ogni genere; non avendo ancora
imparato che l’
entusiasmo, la mente più che
divina, il sommo ingegno, la grandezza dello stile, doti da Orazio richieste
nel vero poeta, convengono singolarmente alla poesia lirica. Non è
meraviglia ancora che mentre nega il nome ◀di▶ poeta grande ad Ariosto,
confessi poi che sia egli
gran poeta descrittivo
, con
altra palpabile contraddizione, perchè le bellezze dello stile, la copia, la
vaghezza, la vivacità e la varietà delle immagini, formano le principali
prerogative della poesia onde trionfi del tempo. Tutte queste incoerenze, io
dico, delle quali si compone il bel Consiglio a un giovane
del Sherlock, potrebbero recarci stupore, se fossero
profferite da un altro che non ci avesse puerilmente ed à
propos des bottes fatto sapere ◀di▶ aver
molto studiato
la matematica
, e ◀di▶
credere d’avere della precisione
nelle idee
.
Si faccia parimente grazia a codesto preteso matematico del non aver conosc
iuta la storia letteraria Italiana, com’è dimostra proponendo per cosa
tutta nuova all’Italia lo studio de’
Greci: a quell’Italia, dove anche nella tenebrosa barbarie de’
tempi bassi fiorirono intere provincie, come la Magna Grecia, la Japigia e
parte della Sicilia, le quali altro linguaggio non avevano che il greco, e
mandarono a spiegar la pompa del loro sapere a Costantinopoli i Metodii, i
Crisolai, i Barlaami: a quell’Italia, che dopo la distruzione del Greco
Impero tutta si diede alle greche lettere, e fu la prima a communicarle al
rimanente dell’Europa, cioè alla Spagna per mezzo del Poliziano ammaestrando
Arias Barbosa ed Antonio ◀di▶ Nebrixa,
ed all’Inghilterra per opera ◀di▶ Sulpizio, ◀di▶ Pomponio Leto e del Guarini,
maestri de’ due Cuglielmi Lilio e Gray: a quell’Italia,
dove, per valermi delle parole ◀di▶ un elegante Spagnuolo)
la
lingua greca diventò sì comune dopo la presa ◀di▶ Constantinopoli, che,
come dice Costantino Lascari nel proemio ad una sua gramatica,
l’ignorare le cose greche recava vergogna
agl’Italiani, e la lingua greca più fioriva nell’Italia che nella
stessa Grecia
a: a quella Italia in
fine che oggi ancor vanta così gran copia ◀di▶ opere, nelle quali ad evidenza
si manifesta quanto si coltivi il greco idioma in Roma, in Napoli, in
Firenze, in Parma, in Pisa, in Padova, in Verona, in Venezia, in Mantova, in
Modena, in Bologna, in Milano, che vince ◀di▶ gran lunga l’istesso gregge
numeroso de’ viaggiatori transalpini stravolti, leggeri, vani, imperiti e
maligni, tuttocchè tanti sieno i Sherlock e gli Archenheltz
b. E chi vorrà
incolpare
quest’Irlandese ◀di▶ picciola levatura del non essere istruito della
letteratura Italiana, quando egli ha mostrato nella sua opera grande ◀di▶
cinquanta carte ◀di▶ esser pochissimo versato nella stessa letteratura della
Gran-Brettagna? Facciamolo osservare a’ nostri lettori. Egli adduce in lode
◀di▶ Shakespear l’unanime consenso degl’Inglesi, d’indole
per altro tanto, al suo dire,
singolare che
difficilmente se ne trovano due che si somigliano
; ed afferma che
in Inghilterra
in quasi duecento anni non vi è stata una sola
voce contro ◀di▶ Shakespear
. Bisogna istruirlo e fargli ascoltare su
questa osservazione letteraria alcune voci sonore al pari ◀di▶ quella ◀di▶
Stentore uscite dall’isole Brittanniche contro ◀di▶ Shakespear per renderlo informato ◀di▶ ciò che ignora de’ suoi
medesimi nazionali.
Inglese era Dryden, erudito e poeta drammatico, e pure
nella dedicatoria della tragedia Troilus and Cressida
afferma ingenuamente che nelle composizioni scritte da Shakespear nel
secolo XVI
scorretta era la frase, sregolata la dicitura, oscura ed affettata
l’espressione
; aggiugendo che al principio del secolo susseguente
quel padre del teatro inglese pensò a ripulire il linguaggio nelle ultime
sue fatiche, e
a levare alquanto ◀di▶ quella ruggine, ◀di▶ cui
troppo erano imbrattate le prime
.
Inglese era Samuel Johnson, e dopo del Rowe e del Pope e del vescovo Warburton, è stato comentatore delle opere del Shakespear pubblicate in Londra in otto volumi nel 1765; e pure nella prefazione dice ◀di▶ lui moltissimo bene e moltissimo male, che è quello appunto che fanno gli esteri imparziali. Io tanto più ◀di▶ buon grado ne trascriverò qualche osservazione, quanto più mi sembra conducente a far meglio conoscere per mezzo ◀di▶ un nazionale il carattere del poeta drammatico inglese.
I critici (dice Johnson) hanno rimproverato a Shakespear il troppo studio d’imitar la natura universale. Hanno detto che i suoi Romani non erano vestiti del proprio costume; e che ai re da lui introdotti mancavano le dignità richieste nella loro classe. Dennis si offende, dice Johnson (e Dennis, signor Sherlock, era anche nato in Inghilterra) perchè Menenio senator ◀di▶ Roma faccia il buffone; e Voltaire crede che sia violar la decenza il dipingere che fa nell’Hamlet l’usurpatore Danese ubbriaco, Ma Shakespear sacrifica tutto alla natura, e alla verità. Esigeva la sua favola de’ Romani e de’ re, ed egli altro non vide che gli uomini. Avea egli bisogno ◀di▶ un buffone, ed il prese dal Senato ◀di▶ Roma, dove se ne sarebbe come altrove trovato più d’uno. Voleva mettere sulla scena un usurpatore e un omicida, e per renderlo dispregevole ed odioso, aggiunse a i ◀di▶ lui vizii l’ubbriachezza, sapendo che il vino esercita la sua possanza su i re come su gli altria. L’intreccio delle sue favole (parla il medesimo Johnson) in generale è debolmente tessuto, e condotto senza arte. Egli trascura le occasioni ◀di▶ piacere o interessare che presentagli naturalmente lo scioglimento. Perchè componeva per vivere, avvicinandosi al termine del lavoro si dava tutta la fretta per ritrarne frutto al più presto… Non ebbe riguardo veruno a’ tempi ed a’ luoghi, e senza scrupolo attribuiva ad un secolo, e ad una nazione i costumi e le usanze e le opinioni ◀di▶ un altro tempo, e ◀di▶ un altro popolo… Quando vuole esser comico, la sua piacevolezza è rozza, e l’allegoria licenziosa. Gli uomini e le donne civili nè parlano nè operano diversamente dalle genti del contado. Quando vuole essere oratore (attento, signor Martino) diviene freddo e snervato; imperciocchè allora egli è grande quando si contiene nella natura… Esprime sovente ◀di▶ una maniera ingarbugliata un pensiere comune, e cela una picciola immagine in un verso pomposo… Quando vuole intenerire dipingendo la grandezza che ruina, o l’innocenza che pericola, più sensibilmente manifesta l’ineguaglianza del suo ingegno. Non può essere lungo tempo tenero e patetico… Il difetto più notabile del nostro poeta è il gusto singolare che avea pel giuoco puerile delle parole; non v’ ha cosa che non sacrifichi al piacere ◀di▶ dire un’ arguzia ecc. ecc.
Inglese per finirla era Gray autore del componimento scenico intitolato Come la chiamate voi? Farsa tragico-comi-pastorale, nel corso della quale non meno che nella prefazione viene finalmente, e con grazia comica deriso il teatro ◀di▶ Shakespear, in varie guise, formandosi fin anche de’ versi ◀di▶ lui piacevolissime parodie.
Adunque non è punto vero ciò che afferma il signor Martino, che in Inghilterra non vi è stata mai una voce sola contro Shakespear; non è punto vero che quivi sono tutti ciechi adoratori non meno delle bruttezze, che delle bellezze ◀di▶ lui. In compenso però può oggi questo famoso poeta tralle altre sue glorie contare ◀di▶ essere stato dichiarato l’innamorata del tenero Sherlock che consiglia con tutto gusto e giudizio la gioventù. Mi vieta il mio argomento l’andar ricercando dietro ad ogni particolarità della scrittura ◀di▶ costui, nella quale trovansi sparse senza che vengano citate moltissime cose che leggonsi altrove, ed altre non poche a lui da questo e da quello Italiano sugeritegli, le quali ha egli registrate senza esame, e senza ben ricucirle col rimanente del suo libretto. Io ne ho voluto accennare soltante quel che riguarda la drammatica, non curandomi ◀di▶ mettere al vaglio tante mal digerite opinioni spacciate sulla poesia italiana e francese, ove pesta non iscorgesi nè ◀di▶ gusto, nè ◀di▶ giudizio, nè ◀di▶ quella precisione d’idee, ◀di▶ cui crede piamente potersi pregiare. Per umiltà avrà egli voluto occultarci i progressi da lui fatti nelle matematiche, ragionando a bella posta così incongruamente, e con frequenti contraddizioni; e per la stessa umiltà avrà voluto fingersi poco o nulla istruito della letteratura straniera, e ◀di▶ quella della propria nazione. Ma chi bramasse distinta contezza delle madornali eresie letterarie del Sherlock, legga le Tre Lettere dell’erudito Alessandro Zorzi veneziano impresse in Ferrara nel 1779, anno alle lettere fatale per la perdita fatta ◀di▶ questo dotto laborioso Italianoa.
Shakespear scrisse pure commedie, e gl’Inglesi veggono sempre con piacere il ◀di▶ lui Cavalier Falstaff, e le Commari ◀di▶ Windsor. Egli scriveva un medesimo componimento parte in versi, e parte in prosa. Nato in Strafford verso il 1564, morì nel 1616; e per onorarne la memoria gli fu eretto un magnifico monumento nell’Abadia ◀di▶ Westminster.
Nel medesimo secolo XVI fiorì il cavalier Fulck Grevil Brooke chiaro nelle armi, e nelle lettere, che fu l’intimo amico ◀di▶ Sidney favorito della regina Elisabetta. Grevil compose due tragedie Alaham e Mustapha, nelle quali introdusse il coro alla maniera greca.
Contemporaneo del Shakespear fu Giovanni Fletcher, il quale anche contribuì agli avanzamenti del teatro brittannico. Tralle ◀di▶ lui favole passa per eccellente quella che intitolò Il Re non Re.
Non si vuole però omettere ◀di▶ notare che sin da que’ dì sulle scene ◀di▶ quell’Isole cominciò ad allignare un gusto più attivo e più energico che altrove. Gl’Inglesi amano sul teatro più a vedere che a pensare. Da quel tempo spiegarono una propensione particolare al grande, al terribile, al tetro, al malinconico, più che al tenero, ed una vivacità e una robustezza, e un amor deciso pel complicato, più che per la semplicità; e questo carattere ◀di▶ tragedia si è andato sempre più disviluppando sino a’ nostri giorni.