Cavicchi Giovanni. Ferrarese, nacque il 1765 da onesta famiglia che l’avviò agli studi legali. Ma ottenuta la laurea, egli risolse di▶ non indossar la toga dell’avvocato, per abbracciar l’arte del comico. Esordì in una Compagnia ◀di▶ niun valore, dalla quale dovè uscire per disperazione. Tornato in patria ripensò all’avvocatura ; ma una giovinetta, attrice della Compagnia ◀di▶ Antonio Fiorilli gli fe’ ◀di▶ punto in bianco mutar pensiero. Scritturatosi quale secondo amoroso, ebbe subito campo ◀di▶ mostrare le sue forti attitudini, non discompagnate da ottime qualità fisiche e da una bellissima voce.
Dominando ancora le maschere sulla scena, abbandonò il Cavicchi gli amorosi per darsi tutto allo studio della maschera ◀di▶ Brighella nella quale riuscì mirabilmente, tanto che fu dal Fiorilli riconfermato per cinque anni come ruolo primario assoluto. Passò poi con la Marta Coleoni assieme alla moglie Francesca (il nome ◀di▶ famiglia non giunse a noi) egregia servetta, e assai probabilmente la stessa giovinetta, per la quale egli s’era dato all’arte. Bandite a poco a poco le maschere dalla scena, e però non trovando il Cavicchi più chi lo scritturasse, diventò conduttor ◀di▶ compagnia egli stesso. Era il 1824 all’Arena ◀di▶ Verona, ove, a detta ◀di▶ Antonio Colomberti, attore contemporaneo, recitava, se ben vecchio, con molto plauso, sotto le spoglie dell’astuto Zanni.
Ebbe numerosa famiglia, ◀di▶ cui era composta per metà la sua compagnia. Morta la moglie, maritò due figlie, una delle quali prima donna non delle peggiori, e l’altra egregia servetta. Morì d’aneurisma il 1838 in una locanda, ove s’era fermato col figlio maggiore per riposarsi la notte.
Ho seguito in questi cenni il notiziario del Colomberti ; ma, o egli ha fatto con errore evidente ◀di▶ due persone una sola, o il teatro ha avuto più ◀di▶ un Cavicchi brighella. Il 1820, in Compagnia ◀di▶ Andolfati era il Cavicchi Giovanni per le parti ◀di▶ caratterista, ◀di▶ cui dice laconicamente il Giornale dei teatri : non si può negare a questo attore un sufficiente talento ; conosce la comica ed è applaudito ; poi Cavicchi il giovine (unico per la maschera del Brighella). Ma come poteva questo Cavicchi giovine del 1820 essere il Cavicchi sentito recitar, già vecchio, nel 1824 dal Colomberti ? ? ?
Cazzola-Brizzi Clementina, nata a Sermide, provincia ◀di▶ Mantova, il dì 26 agosto 1832, dagli artisti Giuseppe Cazzola, capocomico, e Claudia Bragaglia, esordì nel 1848 al Teatro Re ◀di▶ Milano qual prima amorosa della Compagnia ◀di▶ Cesare Asti. Fu il ’48-49 con Papadopoli, Lottini e socii, il ’50 con Antonio Giardini, col quale cominciò a salire in rinomanza, il ’51-52 con Carlo Romagnoli e Achille Dondini, sotto la direzione ◀di▶ Cesare Dondini, prima attrice assoluta, nella qual Compagnia sposatasi a Giacomo Brizzi, passò dal Teatro Grande ◀di▶ Brescia a quelli ◀di▶ Trieste, Milano, Torino, Bologna, Livorno, Padova, trascinando il pubblico all’entusiasmo, che nella primavera del’55 al Valle ◀di▶ Roma diventò esaltazione, delirio. Entrò il ’60 nella Compagnia ◀di▶ Luigi Domeniconi ; diventò socia il ’61-62 ◀di▶ Tommaso Salvini, e fu scritturata il ’63 da Antonio Stacchini e il ’64-65-66, a’ Fiorentini ◀di▶ Napoli, da Adamo Alberti. Ma non potè compiere il suo contratto ; chè, sviluppatasi alacremente la tisi, dovè recarsi per consiglio de’ medici prima a Pisa, poi a Firenze, ove in capo a pochi mesi (il luglio del 1868) morì compianta da quanti la conobbero.

Clementina Cazzola non fu bella veramente, ma ◀di▶ assai viva espressione. I suoi occhi nerissimi mostravano or languidi, or lampeggianti lo stato dell’anima. Il metallo della voce, rispondente a ogni corda del sentimento, sapeva toccar l’anima, non pur degli uditori, ma degli artisti in scena con lei. Quand’era a’ Fiorentini ◀di▶ Napoli, nel ’65, Alessandro Dumas figlio, recatosi dopo la rappresentazione della Signora dalle Camelie, sul palcoscenico, disse alla Cazzola : « Io mi inginocchio dinanzi a voi. La Nazione Francese sarebbe orgogliosa ◀di▶ avere una tanta artista ; ed io sarei ben fortunato se avessi nel mio paese un’interprete come voi…. » Nè solo nella interpretazione della Signora dalle Camelie, ma in quelle ancora del Cuore ed Arte, dell’Adriana Lecouvreur, della Pamela, della Gabbriella, dell’Elisabetta, della Battaglia ◀di▶ donne, della Piccarda Donati, dei Gelosi fortunati, della Pia de’ Tolomei, e ◀di▶ cento altre opere o tragico-romantiche o drammatiche o comiche, non ebbe chi la uguagliasse, nè chi le si accostasse.

Ho detto tragico-romantiche : nella tragedia classica a lei mancava la fibra. E se, desiderosa ◀di▶ assurgere a somma altezza anche in quel genere, si diede con ogni studio e con ogni amore alla rappresentazione della Saffo e della Norma…. tragedie irte ◀di▶ difficoltà materiali, pur troppo ad esse più specialmente dovè la immatura sua fine.
Di lei così scrisse un acuto critico ◀di▶ arte, Enrico Panzacchi, ne’suoi Soliloqui artistici (Roma, Angelo Sommaruga, 1885) :
La Cazzola aveva in favor suo tutti i fascini d’una figura oltre ogni dire simpatica, della quale pareva che tratto tratto si sprigionassero gli aneliti d’un’ anima nobile, tormentata, infelice. Chi potrà mai dimenticare le sue occhiate lunghe e profonde e le sue grida appassionate rotte dal pianto ? In lei trovava sempre e ◀di▶ preferenza un’interpretazione efficacissima ognuna ◀di▶ quelle forme d’arte che erano in maggior voga vent’anni fa. Artista romantica per eccellenza. La passione era quasi sempre fra le nubi ; la voce dell’attrice la significava abbandonandosi a declamazioni deliziose come una melodia, poi a un dato momento quell’incanto ideale si risolveva in un particolare ◀di▶ verità viva e potente, quasi cruda. In questi contrasti, che parevano cercati nella poetica ◀di▶ Victor Hugo, era il massimo prestigio della Cazzola.
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E al proposito dell’Adriana Lecouvreur :
Il suo amore per il brillante e infedele principe ◀di▶ Sassonia, la Cazzola ce lo significava in una forma continuamente elegiaca. Nelle intonazioni della sua voce, nel gesto, nel muover degli occhi parea rivivere quella sensiblerie delicata e un tantino leziosa che era la forma obbligata dell’epoca e che il Taine ci ha così stupendamente risuscitata nella sua storia del Vecchio regime. Ciò doveva accadere naturalmente senza che la Cazzola si studiasse a farlo o s’accorgesse ◀di▶ farlo : fra quella sensiblerie e la passione romantica esistevano affinità segrete che in quel tempo un’artista vera doveva indovinare e cogliere per istinto.

A queste del Panzacchi faccio seguir le parole ◀di▶ due massimi artisti del nostro teatro ◀di▶ prosa.
Che dire ◀di▶ questa prediletta figlia ◀di▶ Melpomene e ◀di▶ Talìa ? Mi si perdonerà l’esorbitanza degli aggettivi qualificativi, ma certo chi ebbe la sorte ◀di▶ vederla e ◀di▶ udirla, li troverà inferiori e insufficienti ad esprimere il vero. Clementina Cazzola nacque nell’arte, e fino da bambina veniva chiamata l’enfant prodige. Figlia ◀di▶ umili artisti, possedeva dalla natura il sentimento del bello, e come dalla roccia si estrae il diamante, così Cesare Dondini tolse dall’oscurità questa preziosa gemma ◀di▶ pura acqua, alla quale sovrabbondava il fuoco, produttore dei raggi che abbarbagliano. L’intuizione psichica ◀di▶ questa attrice era unica più che rara. L’inspirazione mai l’abbandonava. La squisita e fine interpretazione dei caratteri, la minuziosa analisi d’ogni profondo sentimento, aveva in lei una riproduttrice esatta e fedele. Gli occhi, come due diamanti neri gettavano sprazzi ◀di▶ luce, e non potevansi fissare a lungo senza sentirli penetrare in voi a indagarvi ogni vostro pensiero. Le ugualissime perle della bocca servivano ◀di▶ specchio a chi le parlava, e il mesto e dolce sorriso vi svelava la candidezza dell’anima e l’esuberanza del sentimento. Nella Piccarda Donati era seducente : nella Vita color ◀di▶ rosa era meravigliosa ; nella Dama dalle Camelie era ammaliatrice ; nella tragedia Saffo, del Marenco, era immensa ; nella Pia de’ Tolomei era sublime ! In questa tragedia soprattutto raggiungeva tal grado ◀di▶ perfezione, da farvi credere ad un prodigio.
L’arte, che pur sempre si appalesa nel riprodurre la natura, si ritirava vergognosa ◀di▶ fronte all’eccellenza ◀di▶ quella realtà.
Non posso parlare ◀di▶ questo lucido astro dell’arte venuto per illuminare un momento il triste e oscuro nostro orizzonte, e poi sparito per sempre per lasciarlo nuovamente nelle tenebre. Clementina era il tipo incarnato dell’attrice romantica drammatica. Non era bella, ma la mobilità della sua fisonomia era tale, che appariva quello che ella voleva ; il suo sguardo or scintillante, or languido, esprimeva la gioja e il dolore a sua voglia o capriccio : ◀di▶ una mobilità eccezionale : più natura che arte : troppo contenuto in uno sdrucito recipiente. Chi la ricorderà nella Vita color ◀di▶ rosa, nella Donna in seconde nozze ◀di▶ Giacometti, e nella Signora dalle Camelie ? Ben pochi, forse nessuno : ma io sì : e dico con orgoglio a Clementina, e con rammarico per le altre — che ella fu grande, perchè fu vera, vera nel vero patologico e non in un forzato e ricercato verismo con combinazioni ◀di▶ nervosità che fanno della verità una menzogna, dell’arte un giuoco ◀di▶ prestidigitazione !
Fra le tante poesie scritte per lei scelgo il bel sonetto ◀di▶ Paolo Costa che le fu indirizzato nell’estate del 1858, a Faenza.
scese costei, che aggiorna l’età nostra ?E chi gli atti Le diede e la favellaonde fra noi siccome Dea si mostra ?Lei nova meraviglia il mondo appella,Talia fra mille a dito la dimostra,per Lei l’ausonia scena or si rabbella,per Lei, Muse, va al ciel la gloria vostra.Quand’Ella appare, da’suoi labbri movesì che fa dire altrui : Quei che comparteil ben quaggiù, La diede a questa etateper mostrar quanto può natura ed arte.
Cecchini Pier Maria. Celebre nella Commedia dell’arte col nome ◀di▶ Frittellino, nacque a Ferrara il 14 maggio del 1563. Aveva esordito come semplice dilettante il 1583, regnando a Mantova Guglielmo Gonzaga ; ce lo apprende egli stesso in questa lettera del 30 marzo 1622 pubblicata in parte dal Baschet.

Ha piacciuto a Iddio doppo tanti anni ◀di▶ visitarmi con un figliuolo, il quale mi è stato caro, sì come figliuolo, ma molto più caro per haver ritrovato al mio ritorno ◀di▶ Ferrara che l’hanno rassegnato sotto il patrocinio ◀di▶ V. A. S., alla quale spero un giorno ◀di▶ essere perpetuo vassallo si come le sonno antichiss.º seruitore, posciachè il mio servitio comintiò sin l’anno 1583, nel cui tempo fui introdotto tenero giovineto a rappresentare alcune Comedie al Ser.mo S.r Duca Guglielmo, glorioso avo dell’A. V., il cui accidente convertitosi poi in natura io ho nel corso ◀di▶ 38 anni (con poca intermitenza) sempre servito alla S.ma sua Casa. Servij all’A. V. mentre era nel ventre della madre, et spero ◀di▶ servir nel ventre della Ser.ma Consorte la sua prole, che N. S. voglia, che sia in breve come lo spero. Intanto l’aviso dell’arrivo ◀di▶ Cintio et altri, dove daremo principio in uno ◀di▶ questi Theatri marti V ◀di▶ aprile, con che in sieme con mia moglie divottam.te mell’inchino et prego da Dio ogni compiuto contento.
Di Venezia il dì 30 marzo 1622.
Di V. A.
Hum.mo et Dev.mo Servo
Piermaria Cecchini.
Il 6 gennaio del 1591 è registrato dal Bertolotti (op. cit.) sotto il nome ◀di▶ Pietro Maria Chezzini, in compagnia del Canovaro e ◀di▶ quell’Austoni (Battistino) che diventò poi amministratore nella Compagnia da lui diretta.
Lo troviamo sul finir del 1595 a Firenze, come appare da questa sua lettera, diretta allo jll.mo et ecce.mo mio S.r et Patron Coll.mo jl sig.r Gia battista londerchi meritissimo secretario ◀di▶ S. A. S. ◀di▶ Ferrara, che traggo dall’Archivio ◀di▶ Stato ◀di▶ Modena.
Confesso ◀di▶ haver fato gran torto all’obligo jnffinito ch’io tengo à V. S. Ill.ma per l’jnfiniti fauori da lei ricceuti, non essendole [ILLISIBLE] ueputo a far riuerenza alla mia partita Come erra mio debito, ma fu la subita et jnnaspetata noua che mi uene ◀di▶ douer ritrouarmi al seruicio del ser.mo Gran Ducca con una Compagnia Principallissima fata per honesto passatempo delli jll.mi Cardinali mont’Alto, e monti doue sono stato e sono hora in Firenze, essendosi per la morte del Cognato partito per Roma lo Ill.mo mont’Alto ; sò che oso troppo, e troppo ardisco à scriuere à lei che se impiega in altri negocij che in leggere cosse che uenghino da sogeto cossi basso come è il mio, pur mi affida la Gracia sua è la vecchia seruitù ch’io le tengo, che se non le agradirà, non le spiacerà almeno ◀di▶ hauer udito ch’io le resto (qual sempre gli fui) suisserato seruitore, è pregherò sempre per lei è per la sua felliccissima famiglia che jddio la prosperi e conserui, frà tanto facendole riuerenza umilmente le baccio la veste.
Di Fiorenza alli 14 9bre 1595.
Di V. S. jll.ma
Seruitor Divottiss.º
Pier M.ª Cecchini.
Andò il 1600 a Lione, direttor della Compagnia l’Arlecchino Martinelli, pel matrimonio ◀di▶ Enrico IV con Maria De Medici che si celebrò il 17 dicembre ; poi a Parigi. E tanto ebbe dal Martinelli, famoso rivoluzionario nelle compagnie comiche, l’animo inasprito, che associatosi alla rivolta la Diana (la Ponti ?) lo accusò nientemeno che ◀di▶ volerlo assassinare.
Nell’ottobre del ’601 la Compagnia era ancora a Parigi, e nonostante le guerricciuole interne, tanto il Cecchini vi piacque che fu invitato, ma indarno, dalla Contessa Maria ◀di▶ Boussu a recarsi nelle Fiandre e in Brabante.
Fu in Francia una seconda volta, dai primi giorni ◀di▶ febbraio al 26 d’ottobre del 1608, e questa volta direttore e conduttore della Compagnia ; a proposito della quale il Duca Vincenzo in data 10 novembre 1607 annunziava al suo ambasciatore alla Corte Messer Trajano Guiscardi, Fritellino e sua moglie come i migliori personaggi non solo della sua compagnia ma ◀di▶ tutta Italia. A Parigi recitava prima all’ Hotel ◀di▶ Borbone presso il Louvre, poi all’Hotel ◀di▶ Borgogna pel pubblico, dietro istanza firmata da Battistino Austoni, l’amministrator della compagnia, per tutti i compagni qualificati Comici Italiani del Duca ◀di▶ Mantova.
Il successo della compagnia fu completo ; e Don Giovanni de’ Medici, che allora era alla Corte della nipote e tanto amore mostrava alle commedie, scrisse l’ 8 marzo al Duca ◀di▶ Mantova che la principal causa ◀di▶ quel successo era da attribuirsi alla valentìa e alla saviezza ◀di▶ Pier Maria detto Fritellino, che con gran perspicacia manteneva l’unione e l’accordo dei comici.
La sola volta è questa in cui Pier Maria Cecchini s’abbia una parola ◀di▶ lode concernente l’indole sua : ma è anche la volta in cui lo vediamo padrone assoluto della compagnia. E, senza dubbio, il miglior tempo della sua vita artistica fu codesto appunto, e quello (1613 e 1614) passato a Vienna alla Corte dell’Imperator Mattia che volle dargli patente ◀di▶ nobiltà.
Anche nel 1619 si adoperò, brigò, combattè strenuamente per la formazione della Compagnia che doveva andare a Parigi ; si diè d’attorno per espurgarla ◀di▶ cattivi elementi come il Pantalone pessimo comico, e la Baldina Rotari, pessima…. donna, e per rinforzarla ◀di▶ miglior gente, come un Pavolino Zanotti.
Ma le sue forze questa volta si trovaron misere ◀di▶ fronte a quelle dell’Arlecchino Martinelli, il quale aveva da vendicarsi ◀di▶ tutte le noie, che nel suo primo viaggio in Francia gli aveva procurato il Cecchini colle sue lamentazioni. Forse, chi sa, anche la seconda volta, nel 1608, il Cecchini riuscì a tornare in Francia direttore ◀di▶ compagnia a forza d’intrighi, e certo entusiasmò il pubblico e la Corte con l’arte sua. E questo ufficio accordatogli dal Duca, e questi entusiasmi forse, il Martinelli, anima indemoniata, non gli perdonò più : e mostrò la sua superiorità morale, uscendo trionfante nella lotta. Così, dopo tante assicurazioni ◀di▶ buona riuscita per parte del Cecchini, ove il Duca si attenesse alle sue proposte, vediamo il Pantalone rimanere in compagnia, e starne fuori il povero Cecchini e quel Pavolino Zanotti, divenuto, a detta ◀di▶ esso Cecchini, il grande emulo ◀di▶ Gabbrielli. Povero Frittellino !!! Che smacco ! E che accasciamento !… E come se ne doleva col Duca nella lettera che qui diamo riprodotta autograficamente.
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Noi abbiam già assistito alle lotte noiose e dolorose, da lui sostenute con Giovan Battista Andreini (V.), delle quali non sappiam bene se si dovesse cercar la causa nel carattere bestiale della moglie Orsola che, gelosa ◀di▶ Florinda, gelosa della Rotari, gelosa ◀di▶ tutte, irruenta, violenta, aggressiva sempre, incitava il marito alla rivolta. Le lagnanze dell’uno trovan sempre a riscontro le lagnanze dell’ altro. Però, nella interessantissima lettera dello Scappino Gabbrielli (V.), mentre si sparla unicamente dell’arte ◀di▶ Lavinia, ◀di▶ Cintio, ◀di▶ Ortensio, ◀di▶ Mezzettino per metterli in disgrazia del Duca, venuto a parlar ◀di▶ Cecchini « Frittellino — dice — è buono da farsi odiare non solo da comici, ma da tutto il popolo, e lo vediamo con isperienza, poichè se volle compagni bisogna vadi per forza de prencipi, o che li pagi ; lasso il voler tirare più parte degli altri. » E più innanzi : « Chi vorrà Frittellino bisognerà pagare le anticaglie (allude alla moglie Orsola già vecchia per parti ◀di▶ fanciulla) e pigliare l’istessa discordia in Compagnia…. »
Non sappiamo se per potenza d’amore, o per ragion d’amor proprio o ◀di▶ mestiere o d’interesse, il Cecchini subisse codesto diavolo in sottana : ma è certo che nell’una cosa o nell’altra si dee ricercar la causa della lor serbata unione. Nel primo caso (e dati gli sforzi epistolari del Cecchini, e il suo delitto a tutela dell’onore ci appare il più probabile) c’ è davvero ◀di▶ che compiangere un povero marito ! Qual peccato che sia stata sin qui senza frutto la ricerca delle cento ottave e dei quaranta sonetti del cav. Marino !…
Il delitto, che vediam confermato nell’oroscopo tolto come gli altri da un codice della Nazionale ◀di▶ Firenze, è stato messo la prima volta agli occhi del pubblico dal conte Paglicci Brozzi (Il Teatro a Milano nel secolo xviii ). Si tratta ◀di▶ una supplica diretta dal Cecchini a Don Giovanni Fernandez de Velasco, Contestabile ◀di▶ Castiglia, Governatore ◀di▶ Milano, colla quale egli mira a ottenere un salvacondotto per recarsi da Torino a Milano a esercitar con sicurezza l’arte sua ; dacchè si trova a esser bandito in contumatia dalla città ◀di▶ Turino per la morte ◀di▶ un Carlo De Vecchi, anch’ esso comico. Il salvacondotto fu accordato in data del 3 giugno ’6oo, e il Cecchini si recò subito a recitare a Milano. Le cagioni della morte del De Vecchi sono chiaramente spiegate, nella dedicatoria al Marchese Ottavio ◀di▶ Scandiano delle Lettere facete e morali, in cui egli dice :

Un’ altra cagione (pur ◀di▶ momento) mi ha persuaso a raccomandarli questo puoco Volume, et è stato lo raccordarmi, ch’ io stesso fui caramente raccomandato alla protettione dell’ Illustrissima Sua Casa nel tempo, che riscaldandomi gli ardori della gioventù, mi rendevano tal’ hora bisognoso ◀di▶ un saluo ricouero per fuggir non so s’io debba dir lo sdegno, o pur il costume della Giustitia, la quale con il mezo dell’autorità, et bontà della felice memoria dell’ Illustrissimo Sig. Marchese suo genitore, mutò per me più volte il nome, & addimandossi Misericordia, ricercando così anche l’ honorate cagioni da me intraprese.
Non mi par cada dubbio sul significato dell’ honorate cagioni. Ma la Cecchini, da quella donna navigata che era, traeva poi argomento da tutto per mostrarsi ◀di▶ rigida austerità al cospetto del marito, sia per provargli il torto d’ingiusti sospetti, sia per farsi perdonare i falli trascorsi. A venti anni ◀di▶ distanza, quando l’Arlecchino Martinelli potè ottenere dal Duca ◀di▶ Mantova il diritto ◀di▶ far stare a dovere Frittellino, comandandogli come a soggetto, il fratello ◀di▶ lei, per nome Nicola, buona schiuma, amico, dice il Martinelli, sol ◀di▶ ladri e gente cattive, prese le difese del cognato, minacciando ◀di▶ morte tutti coloro che aveangli fatto dispiacere.
Di Pier Maria Cecchini abbiamo due opere teatrali : La Flaminia schiava ; pubblicata il 1610 a Milano, e L’Amico tradito, il 1633 a Venezia.
Ma le opere per le quali dobbiamo essere grati a Pier Maria Cecchini son quelle d’indole didattica, nelle quali unicamente abbiamo, come più volte ho detto, l’idea ben chiara ◀di▶ quel che potesse essere il comico a quei tempi e il suo modo ◀di▶ recitare.
I Brevi discor si intorno alle comedie, comedianti et spettatori, dove si comprende quali rappresentationi si possino ascoltare et permettere (Venetia, Pinelli, m dc xxi), sono una difesa delle Comedie oneste contro i lor detrattori fatta con molta chiarezza e molta vivacità, in cui troviamo qualche notizia interessante pel teatro e pei costumi.
Commentando, per esempio, il passo ◀di▶ S. Gio. Grisostomo che condanna gli attori come rovina dell’altrui patrimonio, conchiude :
Diremo adunque che quel glorioso Scrittore non hebbe altra intentione che ◀di▶ far sapere, che quelle genti erano instrumenti per far distruggere i patrimonij a quelli che avviticchiavano la mente in le lor tresche ; onde posiamo credere, che si come egli sempre santamente scrisse il vero, che così hoggi, vivendo, darebbe nome a i nostri comici ◀di▶ conservatori degli altrui patrimonj ; posciachè un miserabile scudo serve per lo trattenimento d’un mese a chi si diletta ◀di▶ veder comedia, con il qual prezzo si compra ancora quel tempo, che da molti potrebbe esser speso in quei trattenimenti, che somministrano viva cagione ◀di▶ spender non solo il denaro, ma con esso la robba, la sanità, la vita, la reputatione e l’ anima.
E più giù :
In Bologna, dove per lo più si recita il Verno, et dove sono sempre chiamate le buone compagnie ; al mio arrivo, già anni sono, mi fu detto da un Mastro Dionisio Bruni padrone d’ una bottega ◀di▶ carte da giuoco, le precise parole : « S’ io non amassi tanto voi e le vostre virtù, e s’ io non avessi qualch’ altro comodo fuori del mestier delle carte, non potrei fare ◀di▶ meno ◀di▶ non vi maledire, et desiderarvi ogni male, acciò lasciaste ◀di▶ venire in questa città, poichè siate cagione, che i ridotti si chiudono, e che con essi la mia bottega fallischi. »
Le Lettere facete e morali (ivi, m dc xxii) gli procacciaron da molti poeti una bellissima corona ◀di▶ sonetti, che poi non fece imprimere, egli dice modestamente, essendosi accorto, che per abbassare il suo povero stile non ci voleva altro che l’altezza de’ loro concetti (Lett. III).
Di molte sentenze son esse ricche, in cui è la prova evidente che il Cecchini era un profondo e fine osservatore. A un tale, per esempio, ricchissimo e non dabbene, egli scrive crudissime verità ; dice (Lett. XII) :
Credete ch’io non sappia che ricevete dispiacere da questa mia ? Io lo so ; ma, perchè non voglio nulla del vostro, per questo parlo con soverchia libertà. Dormite prima ◀di▶ rispondermi, il che doveva far anch’ io prima ◀di▶ scrivervi. State sano.
Ad altro, avvezzo alle adulazioni ◀di▶ una mala pratica, scrive (XLIII) :
S’io dicessi d’ amar assai più la vostra della mia salute, e ch’ io vorrei poter aggiunger a i giorni della vostra vita que’ della mia, userei ◀di▶ quelle parole, che sogliono usar i corteggiani desiderosi ◀di▶ farne baratto in tante pensioni : Ma perchè da voi altro non voglio, se non corrispondenza a non voler nulla da me, vi dico, che non più ◀di▶ me, nè quanto me v’ amo : ma sì ben tanto, che niuno dopo me amo più ◀di▶ voi.
A chi sparlava della sua nobiltà avuta dall’ Imperator Mattia, risponde (Lett. VI) :
Le meraviglie che mi scrivete, che s’ han fatto molti nell’arrivo della nuova, che Sua Maestà Cesarea m’ ha privilegiato ◀di▶ Nobiltà, non sono così grandi, come son quelle, ch’ io mi fo, quando veggo uno, che per antichità sia nobile, e per natura dissoluto ; dimostrando egli col giuditio, confermando col discorso, e approvando con le opere che molti villani sono più civili ◀di▶ lui. Sappiano quelli che si son maravigliati, e credano tutti, ch’è assai meglio l’ esser giudicato meritevole d’ esser gentiluomo, e perciò fatto, che ◀di▶ già essendo, si dica non esserne degno. In me comincia et in te finisce, mi ricordo d’haver letto che disse un filosofo ad un pretensore ◀di▶ nobiltà vitioso.
E per codesta nobiltà che con decreto ◀di▶ Vienna del 12 novembre 1614, firmato da Mattia e munito del sigillo imperiale, lo estolleva sopra al numero de’ Cittadini, ponendolo nella schiera de’ gentil’ huomini et pretendenti, come se ◀di▶ quattro Avi Paterni et Materni fosse nato nobile, e con tant’altre prerogative, tante noie ebbe a patire cagionate dalla invidia e sopr’ a tutto dalla incredulità, che risolse ◀di▶ pubblicar per intero il Decreto stesso, il quale si trova alla fine de’ Brevi Discorsi intorno alle Commedie.

Frittellino.
(Da una serie ◀di▶ dodici acqueforti antiche, riproducenti alcuni tipi della Commedia Italiana).
Dei Frutti delle moderne Comedie et avisi a chi le recita (Padova, Guareschi, 1628) abbiam già riportato i varj capitoli al nome dei personaggi che li concernono (V. Andreini Francesco, Andreini Gio. Batta, Bianchi (De) Ludovico, ecc.). Nulla ci ha detto sul modo ◀di▶ rappresentare la parte sua in genere, alla quale solo è accennato al principio del capitolo sul Primo e Secondo Servo : è cosa molto necessaria et molto dovuta nella comedia che dopo la parte ◀di▶ un servo astuto et ingegnoso il quale spiritosamente attendi senza buffonerie al maneggio della favola, che ne succedi un altro totalmente dissimile, ecc. ecc., e qui si dilunga a parlar dell’Arlecchino. Ma nel monologo, in cui Frittellino chiude il terzo atto della Flaminia Schiava, è ben descritta tutta la furfanteria e furberia del servo raggiratore ; e alla fine dell’Amico tradito Frittellino, presentandosi in scena esclama : « Eccovi, o Signori, il ritratto ◀di▶ tutte le scelleraggini, il compendio ◀di▶ tutte le furberie, e per dirvi tutto in una parola : eccovi Frittellino. » E a Cintio che gli consiglia ◀di▶ divenir quello che non fu mai, cioè huomo da bene, Frittellino risponde : io ho una cosa molto difficile : il far un esercizio che non si abbia mai imparato. Abbiam dunque nella sostanza un Brighella che ha semplicemente mutato ◀di▶ nome.
Ma un’opera ancor più interessante del Cecchini giace tuttavia inedita, per quanto io mi sappia, nella Biblioteca ◀di▶ Torino. Essa ha per titolo :
Discorso sopra l’Arte Comica — con il modo ◀di▶ ben recitare — ◀di▶ — Pier Maria Cecchini Comico — Acceso detto Frittellino,
Mira tall’ hor il pastorello erranteDel Biondo Dio, che ’l sacro Delfo adoraSuperbo il tempio, e riverente odoraDi pretioso licor l’ara fumante.È giunto al fine al chiaro nume accanteTosto s’inchina, el sacro fuoco honoraDi latte solo, e poverello infioraDi rose il legno placido, e sonante.Tal’Jo ch’umile a riverir or vegnoHeroe celeste, in picciol carte accoltoVostra pompa, è ’l mio cor mostrar m’ingegno.T’ofro l’imago mia, poichè men degnoPregio mortal d’immortal lode è molto.
L’operetta consta ◀di▶ una introduzione, della breve raccolta in latino de’Sette preclarissimi Dottori, fatta da S. Tommaso, e che è già a stampa innanzi ai Discorsi citati, e ◀di▶ Sette Capitoli :
1. Modo ◀di▶ ben recitare. Qual sorte ◀di▶ persone dovrebbon recitar le Comedie.
2. Del gesto.
3. Della parola come si pronuncij.
4. Distintione delle parole secondo le parti.
5. Della Voce.
6. Sopra le parti ridicole.
7. Breve istrutione in generale a chi recita Comedie.
Molte volte, come nel gesto, o nella voce, ti vien fatto ◀di▶ trovar parole e frasi già dette ne’Frutti delle moderne Comedie, e non saprei dire se questi sieno un rifacimento in ristretto ◀di▶ quelli per la stampa, o se quelli sieno una parafrasi ◀di▶ questi pronta per una nuova edizione. A ogni modo vi si trovan concetti o meglio chiariti o nuovi ◀di▶ zecca, i quali mostran come al Cecchini stesse a cuore l’estetica in ogni sua parte, e i quali potrebber senza togliere e aggiunger loro un ette, attagliarsi a’comici dell’età presente.
Di codesti capitoli verrò trascrivendo quelle cose che più mi pajon degne ◀di▶ nota.
(Dal Cap. I) :
Prima che si lasciasse comparire alcuno in su le pubbliche scene, bisognerebbe intendere quel ch’egli sa, perchè vuol recitare, e se è instruito dell’ordine che si tiene, che in questo modo molti che vengono a far comedie per non lavorare, tornerebbero a’ lavor senza far comedie, e certo che questo sarebbe cagione ◀di▶ molti beni.
Il primo e più importante sarebbe, ch’inviolabili s’ osserverebbono le leggi del recitare, nè s’inciamperebbe per balordaggine in parole, che punto si allargassero da gli honorati e lodevoli confini del honestade, nè ci sarebbe tanta copia ◀di▶ sviati e Ciarlatani, che così spietatamente lacerassono questa povera comedia, la qual mi par tuttavia ◀di▶ udire che pianga e si lamenti per esser non solo per le bocche ◀di▶ molti ignoranti ; ma ne’meccanici banchi, su le pubbliche piazze strascinata.
Un altro bene seguirebbe doppo questi, che ristretto il numero de’recitanti, quel poco sarebbe così virtuoso, et esemplare che non si vedrebbe altro che soggetti nuovi e corretti, e colui che gli mettesse fuori, sarebbe scarico ◀di▶ quel peso ◀di▶ leggere a un solo mille volte un solo soggetto, che in quello stesso fa poi anco mille errori, et si leverebbe quella spezie ◀di▶ gente, ◀di▶ che fa menzione l’eccellentissimo Garzoni nella sua Piazza Universale del Mondo, che si vede per le cittadi vestiti alla divisa con pennacchi, che prima che fossero suoi, furono ◀di▶ mille altri, con cappe bandate ◀di▶ veluto che inanzi che sia diventata banda era calzone affaticato prima nella cittade e poscia in villa. O povera Comedia…..
(Dal Cap. II) :
Voi che fate professione ◀di▶ parlare in pubblico, raccordatevi d’aver pronto l’occhio, la mano, il piede, anzi tutta la persona, non meno che habbiate la lingua, poichè il concetto, senza il gesto, è appunto un corpo senza lo spirito, havertendo che non si vuol gesticolare in quel modo che molti sogliono fare, e ch’io molte volte ho veduti, che se girano gli occhi pajono spiritati, se muovono il piede sembrano ballerini, se le braccia barbagiani che volano, e se voltano il capo, scolari ◀di▶ Zan della Vigna ; però il capo, le braccia, i piedi, gl’occhi si deono muovere a tempo, con modo, con ordine e con misura, havertendo ancora che non è poco vitio adoprar sempre un sol braccio, o una sola mano, ma che si dee hor l’ una, hor l’altra et hora tutte due muovere, come più comporta il discorso che si recita. Lo stare avviluppato nel ferrajolo a chi fà parte ◀di▶ moroso non piace, però bisogna hor sotto mano, hor sopra tutte due le spalle, et hora in un modo, et hora in un altro andarlo accomodando, mentre camina, o passeggi…..
(Dal Cap. VII) :
Prima guardarsi ◀di▶ parlar con il popolo, raccordandosi che non vi si prossume persona in quel luoco, se non quello con cui si parla in scena, et se per sorte si parla solo fra sè stesso, si dee andar discorendo, se della sua donna si querella, alla casa ◀di▶ quella si volta gli occhi, se d’amore, se ◀di▶ fortuna, o d’altro, hora il cielo, hora alla terra, et hor in un luoco, et hor nell’altro, e non far come quelli ch’ apostano nel auditorio uno o due amici, et a quelli vanno dicendo le loro raggioni, questo precetto è ◀di▶ tanta osservanza, quanto mal osservato quasi da tutti.
Il secondo havertimento sarà, ch’ essendo sopragiunto in scena da un altro personaggio si taccia subito, non impedendo il luoco a quello che cominciar dee a parlare e troncar qual si voglia bel discorso per non lasciar mutto colui, che ◀di▶ novo è giunto, havertendo però chi dee uscire ◀di▶ star sin tanto che conoschi esser giunto al fine del suo raggionamento quello ch’ è in scena, e poi uscito, dir si puocho, che quello che dianzi parlava non resti come una statua, se però non deve dir cosa aspettante al soggetto, il quale ha molto bene da essere impresso nell’ascoltante, raccordandosi insieme ch’il dir breve e compendioso è quello solo che piace, et ch’ osservar si dee, non repplicando le cose dette più volte per non venir a noja, e secondo la necessità apporta la replica rassumer il discorso, si che solo si tocchi quello che già save il popolo. Raccordandosi l’autor della Comedia che il mettere in obbligo ◀di▶ ridir più volte una cosa che ◀di▶ già per parola e per effetto s’è veduta ed udita, recca nausea a chi ascolta, così anco fa bruttissimo vedere il personaggio che recita star attaccato alla scena, o venir troppo inanzi a recitare, non essendo in niun attione tolerabili gl’estremi.
Circa al merito artistico del Cecchini, scrive Domenico Bruni nelle sue Fatiche comiche :
Ma che dirassi ◀di▶ Pietro Maria Cecchini che nel tempo che recitava inanti la Sacratissima Maestà dell’Imperatore Matias fu dalla Cesarea Maestà sua con privilegio amplissimo ammesso nel numero de’Nobili, dichiarando lui e i suoi discendenti per tre gradi passati nobili ? E ciò fece perchè quello et altri comici moderni, non sono del numero ◀di▶ coloro che poco intendendosi ◀di▶ comedie pervertiscono l’arte, rendendosi indegni d’ esser posti nel numero de’ buoni, tal che, è necessario lo studio, e studio assiduo. Oltre ◀di▶ ciò, bisogna che la natura con un privilegio particolare assista il comico ; se no la fatica sarà gettata come a miei giorni è avvenuto e molti che professi nelle scienze ma dalla necessità astretti per liberarsi dal Pedantesmo, vollero farsi comici ; che alla prima scena accortosi poco valere il sapere, senza il dono della natura, si ritirarono fuori de’ Teatri, confessando l’arte esser troppo difficile.
Da una lettera del Forciroli, datata da Roma il 19 gennaio 1619, nella quale si annunzia l’arrivo in Roma da Napoli della Compagnia del Cecchini sappiamo anche la paga ch’egli aveva stabilito per ciascheduna rappresentazione in case particolari ◀di▶ nobili, cioè : 25 scudi per comedia col rinfrescamento appresso ◀di▶ robbe mangiative ; e aggiunge il Forciroli ch’eran soliti a recitarne due commodamente tra il giorno e la notte. Paga enorme a quel tempo, con la quale, ben nota lo scrivente, se ne sarebber tornati via con le borse piene.
In una lettera da Mantova (15 gennaio 1611) del Cecchini sono i ringraziamenti a Cosimo II per una medaglia con catena, portante il nome e il ritratto ◀di▶ esso Granduca, e per una pomposissima veste ◀di▶ che la Serenissima Arciduchessa si è compiacciuta ◀di▶ ornar la moglie Flaminia.
E donativi ◀di▶ ogni specie egli ebbe in ogni tempo e in ogni luogo da ogni Signore : la qual cosa sta a provare in che gran conto fosse tenuto l’artista. Il ciarlatanismo non doveva certo esser discompagnato dall’alto valore, se ci facciamo a pensare a quel suo disprezzo per tutti quei che lo circondavano, e che, naturalmente, indignati per la tirannia gli facevan guerra apertamente e copertamente. « Mi abbandonate ? — egli diceva — E che m’importa ! Non ci sono io ? Io basto a tutto. » Era una specie ◀di▶ attore-omnibus, ◀di▶ Giove onnipotente, il quale voleva torreggiar su tutti. Amante dell’arte e rispettoso ◀di▶ sè, tentava ogni mezzo ◀di▶ mettere assieme compagni ◀di▶ gran pregio…. Ma guai a dover piegare il collo ! allora il sentimento dell’arte doveva cedere alla boria ; e il gran capocomico si mutava ◀di▶ punto in bianco nell’ eterno matador circondato da una muta ◀di▶ cani. (V. Bachino Gio. Maria).
Ma se in onta ◀di▶ ciò ; se in onta alle requisitorie dell’ Andreini, del Martinelli, del Gabbrielli, ecc. ecc., egli potè artisticamente restar saldo sul suo piedistallo ◀di bronzo, ammirato, onorato da Re, da Principi, da popolo, è segno manifesto che i pregi dell’artista soverchiavan d’assai i difetti dell’uomo.