Gagliardi Luigi. Artista e capocomico pregiato, padre e marito de’ più sciagurati, patriota caldissimo, nacque a Venezia il 5 ottobre del 1817 dai coniugi Antonio, veronese, e Luisa Ciappi, senese, comici nella Compagnia Andolfati, i quali passaron poi in quella di Ghirlanda, Ficarra, Martini, Ciabetti, Bianchi, Miuti, Colomberti ed altre, fino a quella di Carlo Mancini, nel ’32, ov’erano la Polvaro, il vecchio Modena, l’Adelaide Borchi, Andrea Vitaliani, Martinengo, ecc., e nella quale egli esordì a Caltanissetta colla parte di Riccardo ne’ Figli di Odoardo, acquistandosi tosto le simpatie del pubblico, che andaron poi viepiù crescendo. Fu in Sicilia con Piddo, Colombo, il celebre Pasquino, e Francesco Lombardi ; poi, il ’41 a Roma in società col Canova, e colla Vergano prima attrice. Il ’44, lasciata il Canova l’arte, la compagnia si formò in società con Livini e Majeroni. Il ’48 egli prese parte alla battaglia di Vicenza nel battaglione universitario, comandato dal colonnello Zambeccari, poi, tornato all’arte, entrò primo attore in Compagnia Perini e Cavicchi, e del ’49 a Ravenna, sposò la prima attrice Luigia Cavicchi. Fu il ’50 con Majeroni, la Rosa e Branchi ; e il ’53 formò società con Francesco Paladini e sua moglie Clotilde, la celebre servetta. Il ’60, deliberato di andare in Corsica, e non volendo i Paladini restar nell’impresa, formò nuova compagnia col cognato e col fratello, scritturando la prima attrice Luigia Perini. Il’62, lasciata l’arte, si fermò a Firenze ovè accettò il posto d’uomo d’affari e direttor di scena di quel Politeama, tuttora in costruzione. Il ’66 prese in affitto l’Arena Goldoni, che lasciò poi, dopo magri affari, restando a Firenze, sposo in seconde nozze della madre di Gigino Gagliardi, e vivendo pur oggi a ottant’ anni vegeto e robusto.

Ma non tanto come artista egli merita qui una menzione particolare, quanto come colui al quale accadder fatti straordinarj, a mala pena credibili. Egli entrò, si può dir, nella vita vissuta con una lieta avventura, ch’egli così ci racconta :
Il giorno della partenza per Napoli si presentò una vecchierella dicendoci piangendo che da 3 anni non aveva notizie di un figlio che stava in Sicilia, comico, e pregandoci di ricercarlo e fargli pervenire una sua lettera. Mio padre le fece conoscere l’impossibilità di eseguire la sua commissione, e non volle accettare la lettera. La povera madre piangeva, ed io, commosso, presi la lettera e promisi fare tutto il possibile per recapitarla. Imbarcati a Napoli sopra uno Scunner con tempo cattivo, dopo un’orribile traversata, il capitano fu costretto rifugiarsi nel piccolo porto di Milazzo. Presa pratica portammo con noi le valigie per cambiarci gli abiti, e domandai di un albergo decente, ma non troppo caro. Un giovane signore che aveva assistito al nostro sbarco, propose di condurci in un buon albergo : diede braccio a mia madre, combinò il prezzo del porto delle valigie, e ci usò mille gentilezze. Lo ringraziai e lo pregai di dirci il suo nome : « Io sono Francesco Voller, comico, » mi rispose. « Ed io ho una lettera di sua madre da consegnarle ; » e glie la diedi. Questa prima avventura della mia giovinezza mi cagionò un’immensa gioja.
La sola bella avventura della sua travagliatissima vita, in cui pare fosse guidato da un genio malefico. Infatti :
Il ’32 la compagnia mette piede a Palermo, ed ecco scoppiare il colera e infierire di tal modo da mieter 1600 vittime al giorno.
Va da Palermo a Caltanissetta e da Caltanissetta a Piazza, ed il mulo davanti alla lettiga ov’è l’Adelaide Vitaliani col figlio Cesare cade ; la lettiga esce dalle▶ stanghe e rotola nel vallone ; e l’Adelaide ne ha tal commozione viscerale che muor poco dopo a Palermo.
Il ’41 la compagnia parte da Palermo per Napoli, ed è sorpresa per via da un legno inglese che la saluta a cannonate ; questa volta se la cava col trinchetto dell’albero maestro spezzato.
Il ’45 i Gagliardi sono scritturati a Nizza con vantaggioso contratto, ed eccoti il Comune entrar in lite col proprietario dell’arena della quale ordina la demolizione, prima che la compagnia si trovi sul posto.
Il ’48 Luigi Gagliardi combatte a Vicenza nel battaglione universitario e la giornata finisce miseramente con la semidistruzione di que’ sciagurati e con la più rovinosa delle ritirate.
Recita il ’53 a Schio la Francesca da Rimini, e giunto all’apostrofe all’Italia, proibita dalla censura, la recita tutta d’un fiato in mezzo alle acclamazioni del pubblico, mandando a rotoli recita e stagione, e finendo poi coll’essere incatenato e tradotto come un malfattore al Castello di Mantova.
Il ’55 a Vercelli mette su uno spettacolo, I briganti calabresi, pel quale s’ingolfa in un mondo di spese : ma lo spettacolo fa furore, un forte guadagno è assicurato ; ed eccoti l’arena di legno, terminato appena lo spettacolo, tutta in fiamme, ecco ogni cosa letteralmente distrutta.
Siamo al ’60. Egli forma compagnia per la Corsica, e in vista del porto di Bastia……
Ma di questa avventura che è stata la più tremenda della vita di Luigi Gagliardi, val bene la pena ch’io qui riferisca in parte ◀dalle▶ memorie inedite di Antonio Colomberti che di essa ci lasciò una particolareggiata descrizione, e in parte da quelle pur inedite dello stesso Gagliardi.
Correva il primo giorno di quaresima dell’anno 1860, allorchè i comici da lui condotti salpavano da Livorno sulla Luisa, vapore dell’Amministrazione Marsigliese (qui v’ è errore, poichè la Luisa apparteneva alla Compagnia Valery) alla volta di Bastia, porto dell’ isola di Corsica. Oltre agli artisti da lui stipendiati per dare un corso di recite in quella città, aveva seco la moglie Luigia, nata dal comico Cavicchi, bravo brighella da molti anni estinto, e figli : una bambina chiamata Adele che non giungeva all’età di cinque anni, ed un maschio di due, il di cui nome era Ettore, ma che per esser piccolo e grasso era stato da quei comici soprannominato Tom-Pouce. Eravi pure un Cavicchi caratterista, fratello della moglie di Gagliardi, che aveva per consorte una delle attrici di quella riunione ; e inoltre varj altri passeggieri. Dopo il pranzo di bordo, terminato con l’allegria solita degli artisti comíci, allorchè sono riuniti in viaggio ad un medesimo pasto, chiesero al capitano del vapore di ballare. Il legno appena ondeggiava per la mancanza di vento, per cui, accesi i lumi, diedero principio alla danza, al suono di un pianoforte che era nella sala grande da pranzo, e che venne suonato dal tenente del vapore. Suonarono le nove di notte, e lasciato di ballare, tutti i passeggieri riunirono tutte le loro valigie, mantelli, e scialli sul ponte, attendendo il momento di entrare in porto, del quale già vedevasi il faro. Intanto, avvicinandosi alla terra il vapore, il vento erasi accresciuto, e le onde erano un poco agitate in conseguenza. Difficile è l’entrata del porto di Bastia, a cui non si giunge che attraversando un breve si, ma pericoloso canale irto di scogli dai due lati, avendo quasi la forma di un collo d’imbuto. Il capitano dal suo ponte gridò al momento di penetrarvi : Tribordo ! Ma l’ordinasse troppo presto, o i macchinisti non eseguissero l’ordine unitamente al timoniere, ne fu conseguenza un urto fortissimo contro una delle due scogliere che spense tutti i lumi del vapore. Ordinò subito il capitano di forzare la macchina per ritirarsi ; il comando fu eseguito, ma al secondo tentativo per entrare, un nuovo e più terribile urto spaccò la prua del bastimento che incominciò ad affondare. Ai due urti fecero eco due urli di spavento, non solo dei passeggieri, ma di tutti i marinaj ; ed ognuno può immaginare il terrore e il tremito, dai quali tutti furono invasi, sentendo il legno colare a fondo. Mentre i passeggeri gridavano tutti, chiedendo soccorso, il solo Gagliardi conservò il suo sangue freddo correndo dal capitano, e pregandolo a mani giunte di non disperare, e dar gli ordini di salvamento ; ma quello, seduto con i gomiti appoggiati alle ginocchia, ed il volto coperto ◀dalle▶ mani, non si mosse, nè rispose. Forse conobbe superfluo ogni tentativo. Intanto i marinaj tagliavano le corde del battello grande, situato al fianco della nave, e quelle della yole, per calarli in mare ; ma per l’oscurità, e per la confusione, la yole rimase attaccata, e non fu calato che il battello, entro del quale discesero alcuni marinaj, respingendo violentemente chiunque tentava seguirli. Fu però inutile anche per loro la previdenza, perchè essendo troppo piccolo per la quantità che vi saltava dentro, fini col ribaltarsi, gettandoli tutti in mare. Mentre ciò accadeva, il Gagliardi vedendo perduta ogni speranza di salvezza, ed essendo bravissimo nuotatore, pregava la moglie di seguirlo sul mare, attaccandosi a lui, ma essa gli rispose : – Luigi, prima di me, pensa a’tuoi figli ; salva prima essi, poi, se lo potrai, vieni in mio soccorso. Va, e che Iddio ti protegga. – Invano egli insistè ; la risoluzione della povera martire fu invincibile. Allora egli prese la bambina ; e dicendole di tenerlo stretto al collo con le braccia, gettossi in mare, e si pose disperatamente a nuotare verso la riva ; ma il vento erasi rinforzato, le onde un poco agitate, e non aveva corso che un piccolo tratto, allorchè quelle gli rapirono la fanciulla. Disperato, si volse indietro per ritornare al vapore, ma quella massa nera era sparita. Intanto egli sentiva passare sotto di lui fra due acque i morti, o i moribondi naufragati ; e più per istinto di salvezza che per riflessione, nuotava, finchè afferrata una piccola riva fra gli scogli, cadde esanime sull’arena. Nel tempo che accadeva sul mare la terribile sventura, nella prima locanda di Bastia si preparava per i comici un’ottima cena. L’amministrazione dei battelli a vapore era riunita al porto attendendo l’arrivo della Luisa, avendone già veduto i lumi colorati, ma l’improvviso spengersi di questi fece subito sospettare una disgrazia……
Della compagnia comica e degli altri passeggeri non si salvarono che Luigi Gagliardi e l’apparatore della compagnia che non sapeva nuotare : dell’equipaggio sei marinaj. Il capitano, che dopo il suo secondo tentativo per entrare nel porto, vide tutto perduto, preferì di morire a bordo del suo legno, ad un processo che lo attendeva a Marsiglia. Il disgraziato lasciò la vedova con sei figli.
E qui passo la parola al Gagliardi :
Quando tornai in me, ero circondato dal nostro console e da un medico, i quali mi avevano fatto portare in un albergo : non ero ferito, ma pieno di contusioni riportate dall’ aver battuto negli scogli nel prendere terra, dove estenuato dalla fatica, oppresso dal dolore, ero stato trovato svenuto.
L’armatore Giuseppe Valery mi mandò una valigia di biancheria, dal sarto mi fece fare due abiti completi, e mi fornì di denaro : tutte queste premure fecero sì che io non intentai la causa per risarcimento di danni. Le povere vittime trovandosi su coperta del legno sommerso furono tutte trovate, meno mia moglie e la mia povera Adelina. Il Maire concesse un posto gratuito nel cimitero ; e tutte le arti prestarono l’opera loro gratuita per erigere un bel monumento che esiste ancora, e che io faccio conservare a mie spese. Fu fatta una sottoscrizione che mi fruttò una bella somma, e il Maire con tutto il Consiglio, le corporazioni, le bande militari, e la numerosa colonia italiana assisterono al funebre corteo. La mia riconoscenza non verrà mai meno per l’ottima cittadinanza di Bastia. Molti giorni dopo fui avvisato che all’isola della Maddalena era stato trovato il cadaverino di una bambina vestita di nero con guarnizione di ge ; le cifre della biacheria che portava erano un A e un G ; e il Sindaco, supponendola mia figlia, l’aveva fatta seppellire in chiesa, ponendovi una lapide ; fu per me una triste consolazione ! Tutti i miei cari riposavano in terra benedetta, meno mia moglie……
Eravamo ai primi di marzo. Mi alzai prestissimo, corsi al porto, noleggiai una barca, e mi feci condurre sul luogo del disastro. Sorgeva il sole, l’acqua del mare era chiarissima, e si scorgeva quasi il fondo. Il cuore mi batteva forte, forte : aveva posto l’anima ne’miei occhi. Mi parve vedere sott’acqua la forma di due gambe. Comincio a spogliarmi ; il barcajuolo voleva opporsi, ma vedendomi risoluto, volle a forza legarmi una fune alla vita. Tuffatomi, abbrancai le due gambe fluttuanti e tentai portare il corpo a galla ; ma trovai resistenza. Salito su, dissi al marinajo che avevo trovato mia moglie ! Il buon uomo piangeva ; si convenne che dopo che mi fossi tornato a tuffare, egli mi avrebbe ajutato tirando la fune : abbracciai il corpo a mezza vita, l’uomo tirò a sè la fune, e venni alla superficie carico del mio funebre fardello. Postolo in barca vidi che all’ estremità delle sue lunghe treccie di capelli, l’alga marina aveva formato due grosse palle, le quali impedivano a quel povero corpo di venire a galla ! Meno una ferita alla fronte, il corpo era intatto e punto trasfigurito.
La signora Valery mi mandò della biancheria e un abito di lana nera ; la cosa fece chiasso in città ; furono fatte solenni esequie, e baciata un’ultima volta la povera morta, la deposi nella tomba vicino al figlio ed al fratello.
Confesso che la gioja di averla trovata mi fece al momento scordare il dolore di averla perduta !
E dopo tanta, ineffabile sciagura, credete voi che la stella maligna del Gagliardi sia tramontata ?
Estenuato ◀dalle▶ fatiche e dal dolore, abbandona l’arte militante, e si rende a Firenze, ove accetta, come s’è detto, un posto al Politeama non ancora finito. I primi di giugno del ’64 se ne fa la solenne inaugurazione con opera e il ballo Carlo il Guastatore. Si organizza per la sera di S. Giovanni una gran festa da ballo. Vi son cinque grandi lumiere cariche di candele, viticci a cinque candele dappertutto, e gran padiglione di percalle sulla scena, intrecciato di veli e di trine. Alle nove si comincia ad accendere ; un operaio urta colla canna in una candela accesa che va a cader sopra un festone di trina. Il fuoco si propaga in un baleno. Gagliardi ordina di tagliar le corde delle lumiere, ma nella confusione si taglian quelle del padiglione che precipita sulle centinaia di candele, comunicando le fiamme al soffitto, che si sfascia e distrugge. Anche sta volta si salvaron soli il Gagliardi e un secondo macchinista.
E ora basta davvero ! Ora il povero vecchio, già tanto travagliato, circondato ◀dalle amorose cure della più buona delle mogli, dall’affetto della più affezionata delle figlie – sono sue parole – attende tranquillo la fine di una vita tanto avventurosa.