(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [B] — Milano, 1°Aprile 1803. » pp. 318-327
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(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [B] — Milano, 1°Aprile 1803. » pp. 318-327

Belli Paolo (Blanes Pellegrino), figlio di Vincenzo Belli e di Maria Romei, fu trascinato dall’ amore dell’ arte comica, tenuta in non troppo alto conto al suo tempo, a fuggire di casa per iscritturarsi non sappiamo più in quale compagnietta di zingari. Pensò bene di mutar nome, e per conservare le iniziali ch’ egli aveva sulla biancheria, si fece chiamare Pellegrino Blanes. Nel 1799 rappresentò al Teatro del Fondo in Napoli una delle prime parti del Bruto di Alfieri, e fu applaudito. Venuto il Cardinal Ruffo in Napoli, egli fu in que’ moti politici arrestato, e dovè esulare in Francia, d’onde poi ritornato, si rimise a calcar le scene con successo rapido e prodigioso. Fu al fianco della Pellandi il primo attore per le tragedie (quello per le commedie era il celebre De Marini) nella Compagnia Reale istituita dal Principe Eugenio Beauharnais, impresa Paganini. Le sue più grandi creazioni furono Aristodemo, Icilio nella Virginia, Arminio del Pindemonte, e l’Egisto tanto nell’ Oreste che nell’Agamennone : sublime poi, anzi unico – afferma Fr. Regli – fu nel Saul. Lo troviamo nel 1812 a Tolentino colla sua regia Compagnia, della quale eran prime parti la celebre Pellandi, Luigi Vestri e Carolina Internari. Erano – dice l’anonimo delle memorie tolentinati (Tolentino, 1882) – quasi tutti avanzi gloriosi della R. Compagnia istituita dal Vicerè d’Italia, che era stata diretta fino al Carnevale del 1812, in cui si sciolse, dal celebre artista Salvatore Fabbrichesi. Dotata di un annuo assegno ed arricchita di privilegi e d’onorificenze, contribuì potentemente a sollevare quasi alla perfezione l’arte drammatica, e a diffondere per tutta Italia il gusto vero per la medesima.

Era il Blanes di alta e bella persona : i capelli aveva biondocastagni, e nella fisionomia maschia ricordava alcun poco il Foscolo. La voce era piuttosto rauca, ma nel calor della recitazione si faceva forte e pastosa. È grido che il Blanes spingesse la verità a tale esagerazione, che, nel Carlo XII, dovendo presentarsi in scena bagnato, si faceva buttar sul capo due grosse secchie d’acqua ; e rappresentando una volta l’Aristodemo, s’investì della parte a segno, che si ferì davvero e gravemente : e si racconta che la Pellandi atterrita dal fatto, e dal pensiero che un giorno o l’altro, nella veemenza delle passioni, potesse anch’ella riportar qualche ferita, impetrò allora e ottenne dal Governo che non più si adoprassero in scena armi vere. L’Alfieri soleva dire del nostro attore : « voglio che le mie tragedie sieno fatte da Blanes ; » e G. B. Niccolini ne dettò una breve e forbita necrologia, della quale ecco il principio :

Paolo Belli-Blanes, fiorentino, mancato di vita ne’ 15 ottobre 1823, ha delle sue virtù e del suo ingegno lasciato negli amici il desiderio, e nel mondo la fama. Noi, pei quali fu certo ch’egli era uom dabbene, lo credemmo volentieri egregio attore ; ma s’altri del suo valor nell’arte comica facesse giudizio diverso, non vorremo sdegnarcene, perchè teniamo la bontà in maggior conto del talento. Pur non dubitiamo d’affermare che l’Italia soffre tanta penuria di valenti comici, ch’ ella dee della morte del Blanes, come di non lieve perdita, dolersi.

E più giù :

…. osserveremo che il Blanes, calzando a vicenda il socco e il coturno, sosteneva così bene alcune parti, che poco gli emuli in lui potevano riprendere, e gli amici desiderare.

E qui intende l’Abate de l’Epée e Ciniro nella Mirra.

Il Bonazzi (Gustavo Modena e l’arte sua, Perugia, 1865) dice del Blanes che calzava con mitica dignità l’alto coturno dei classici.

Egli rappresentò la prima volta colla Pellandi la sera del 15 gennaio 1813 la Polissena di G. B. Niccolini al Teatro Nuovo di Firenze, e la prima volta, pur del Niccolini, l’Edipo nel Bosco delle Eumenidi alla Pergola di Firenze il 17 marzo del 1823 ; rappresentazioni che dovetter colle repliche fruttar non poco al Blanes, se il Niccolini, in una lettera all’amica Angelica Palli a Livorno, scagionandosi dell’accusa che l’Internari gli aveva mossa di voler guadagnare sulla recita della Matilde, riportava questa parte del battibecco colla valorosa artista.

« Ah, malvagia ! gridai, ringrazia il sesso e la sventura…. puoi tu crederlo ? Non ti è noto che a Blanes pagai fino i biglietti d’ingresso, a Blanes che guadagnò sull’Edipo una somma considerabile empiendo la Pergola in un modo inusitato ? (Lettere, ediz. Vannucci. Le Monnier, 1866).

Quanto ai costumi e all’indole del Blanes, possiam quasi ciecamente attenerci all’ottimo giudizio del Niccolini, se ci facciamo a pensare al suo testamento dettato dinanzi al notaro Cecchini e ai testimoni Dott. Bertini, Dott. Franchi, Dott. Magher, Gio. Batta Niccolini e Francesco Avelloni il 13 ottobre 1823, dal quale, dopo una viva raccomandazione dell’anima nelle mani del Signore, della Beatissima e Gloriosa sempre Vergine Madre Maria, del Patriarca S. Giuseppe, e di tutti i Santi protettori ed Avvocati, acciò lo assistano nel punto estremo di sua vita, si apprende come dopo aver lasciato alla Carlotta Corazzi sua diletta consorte (sic) (era una nobile signora veneziana che sposò nel 1817, e dalla quale poi visse diviso) il medesimo trattamento che riceveva vivente il marito, e di avere nominato erede universale il figliuolo Alessandro ch’egli ebbe legittimamente dalla moglie, lasciasse otto scudi fiorentini al mese sua vita natural durante a Coriolano figlio naturale ch’ egli ebbe dalla signora Margherita della Rose, dimorante a Milano e presso un farmacista Cataneo, il quale prega vivamente di cure e assistenze speciali a detto figlio sinchè non sia pervenuto all’età maggiore.

Il Belli-Blanes dimorava a Firenze in Piazza degli Agli, N. 898 : e un mese dopo circa la sua morte fu fatto l’inventario degli oggetti trovati in casa e del corredo di teatro, che constava fra l’altre cose di 14 manti in saia, velluto, lana, ricamati in oro e argento, e di 22 tuniche rosse, amarante, bianche, turchine, arancione, pel valore complessivo di L. 3964. Il valore degli ori, argenti e gioie fu di L. 6111, delle quali 1866 per una verghetta doppia con 20 brillanti : quello dei libri di L. 1383. Eran anche tra gli oggetti due ritratti del Belli a olio su tela, che per quante ricerche io abbia fatte, non mi fu dato rintracciare ; e figurava tra’suoi crediti un’obbligazione di Luigi Ve stri di L. 5754 in data 7 febbraio 1822.

Ebbe anche il Belli-Blanes la malinconia di scrivere, ma fortunatamente per lui non quella di dare alle stampe. Ho qui sott’ occhio un fastello di letterine domestiche, in alcuna delle quali, d’indole affatto intima, traspaiono l’austerità dei costumi e la nobiltà dei sentimenti. È certo che alle tasche del Belli facevano capo e madre e fratelli e figli di fratelli, alla cui educazione egli attendeva severamente. A queste lettere vanno aggiunte una lunga tiritera morale, affettuosa in prosa a’ parenti di ogni specie, e un polimetro, specie di cantata, alla quale ha posto il titolo di Sentimenti affettuosi di Paolo Belli nel rivedere la sua Patria Firenze, i suoi genitori, e la famiglia de’ suoi, e la quale comincia così :

Care, beate mura
cui lambe intorno con sue limpid’onde
il rapid’Arno ! oh de’ natali miei
fortunato soggiorno
omai chiesto favor di stelle amiche
e a’voti miei seconde, a voi mi porta
salubre a ricercar dolce riposo
alle mie lunghe tragiche fatiche.

Oh meglio per lui le tragiche fatiche, che han potuto ispirare delle gentili iperboli come queste :

SONETTO

Con l’auree chiome abbandonate ai venti
eran le Dee di Pindo in sen di Flora,
e al dolce suon dei modulati accenti
ride la Terra, e il Ciel viepiù s’indora.
Dante il padre degl’Itali concenti
salutavan con voce alta e canora,
Clio par che altera Macchiavel rammenti,
Di Galileo la tomba Urania adora.
Melpomene e Talìa sol men giulive,
niun fra i Toschi in veder di lor ben degno,
quasi invidia sentian dell’altre Dive.
Blanes comparve, e alzando ambe le braccia
« Dell’Italica scena ecco il sostegno »
gridàr contente, e si baciaro in faccia.
Di Lisauro Megarense
Pastore Arcade

(V. Omaggi poetici alla incomparabile Anna Fiorilli Pellandi ed all’egregio attore Paolo Belli-Blanes. Firenze, Carli, mdcccxiii).

E dall’Archivio di Milano (Presidenza Melzi, – Polizia, Carta 19), il conte Paglicci-Brozzi mi manda questa nota e questo sonetto :

Ieri sera al teatro della Scala si riprodusse il Cincinnato, e non furono tralasciate le espressioni proibite dal Presidente Lucini : al terzo atto fu gettato dal loggione il sonetto del quale unisco copia. Assieme a questo per effetto di satira furon gettati dei fogli del libro dell’opera scaduta intitolata La schiava dei due padroni. Nessun francese si vide in teatro ieri sera (1803, 2 Aprile).

a PELLEGRINO BLANES
nella tragica arte insigne
perfetto di natura imitatore
nel rappresentare
oreste, aristodemo, cincinnato
valentissimo, egregio, ammirabile

SONETTO

E alfin la prisca glorïosa traccia
Ricalca, e a noi Melpomene sorride
E funeste, tremende, parricide
Opre pingendo di terror ne agghiaccia.
Chi truce il ferro in sen materno caccia
Vendicatore de l’inulto Atride ? (Oreste).
Chi fra i rimorsi in trono egro s’asside
Torvo il guardo, irto il crin, pallido in faccia ? (Aristodemo).
Blanes, tu sei che a nuova vita spingi
Eroe che giacque in muto avel sepolto
E nudo spirto di tue membra cingi (Cincinnato).
Ed or per te rivive a noi quel tanto
Prode Roman, che un di a l’aratro tolto
Tornò guerriero in dittatorio manto.
Domenico Vicerè.

Belli-Blanes Enrico, nacque a Foligno il 1°aprile del 1844 da Anna Miani e da Francesco Belli-Blanes, nipote del precedente. Ormai il nome di Blanes col quale salì in tanta rinomanza lo zio, non poteva essere abbandonato dal nipote che si dava alle scene : quel nome era come un augurio…. pe ’l suo avvenire artistico. Ma Francesco Belli-Blanes non seppe alzarsi oltre il grado dell’aurea mediocrità. Figlio d’Arte dunque, il nostro Enrico fece le sue prime prove nei Due Sergenti, nell’Andromaca o Pirro e in altri lavoroni di simil genere che formavan la delizia de’pubblici d’allora, recitando or da maschio, or da femmina conforme se ne offeriva l’occasione. Fu con Giuseppe Moncalvo, il famoso Meneghino, o Beltramino, e più grandicello con Giorgio Duse, zio della celebre Eleonora : ma la sua vita artistica, può dirsi datare dal ’62, nel qual anno entrò come secondo amoroso e generico giovine in Compagnia di Luigi Bellotti-Bon, attore brillante insuperato e insuperato direttore. Passò con lui sedici anni, i migliori, non è a negarsi, della sua carriera artistica ; ed altri ancora forse avrebbe passati, se futili motivi ch’ egli oggi riconosce e rimpiange non lo avesser separato da lui che gli fu maestro, amico e padre. Dalle parti di generico giovine passò a quelle di generico di spalla, dalle quali dopo un solo anno, mercè la forte interpretazione del Duello di L. Gualtieri, passò a quelle di generico primario : da queste poi, a quelle di caratterista e promiscuo, ultimo grado della sua vita artistica, sul quale egli si trova tuttavia a fianco di Claudio Leigheb e di Flavio Andò, molte volte applaudito, sempre rispettato da ogni pubblico.

Enrico Belli-Blanes non fu mai ciarlatano ; aborrì da ogni mezzo che non fosse legittimamente artistico per ottenere un successo. Artista nell’anima, coscienzioso, preciso al cospetto del pubblico, doventava un semplice e modesto mortale fuor della scena…. Ripensando il tempo della maggior gloria di Bellotti-Bon, che fu quello in cui egli aveva un’unica, e quale ! compagnia, non è cui non si riaffacci alla mente la superba figura di Enrico Belli-Blanes, il generico primario per eccellenza. Egli portò quel ruolo a tale grandezza che il più delle volte, lui in iscena, il pubblico non d’altri poteva occuparsi. A codesto ascendente ch’ egli aveva sullo spettatore, a codesta specie di fascino ch’ egli esercitava su di lui, molto certo contribuiva la perfezione dell’esteriorità, se così posso dire, nella quale son raccolti l’abbigliamento, il portamento, la truccatura (camuffagione) ; la truccatura più specialmente ; chè quando Belli-Blanes appariva sulla scena, ci si trovava ogni sera di fronte a un quadro nuovo e meraviglioso, come nella Gerla di Papà Martin, nel Romanzo di un giovine povero, nella Patria…. Che Sarançon, che Marchese De la Roque, che Duca d’Alba !

Belloni Antonio, vicentino, figliuolo di un maestro di spada e di una lavoratrice di mode, come dice Fr. Bartoli, si diede all’arte comica giovanissimo. Dopo di avere aiutato la madre nella sua professione, entrò nella Compagnia di Giuseppe Lapy, in cui divenne in poco tempo attore egregio per le parti d’Innamorato ; e seppe con l’arte e con la bontà così ben meritare dell’affetto e della stima del suo Capocomico, che ne ottenne una figliuola in moglie per nome Luigia. Il Bartoli dice che l’arte del comico e del lavorator di mode andava alternando e che per la squisitezza de’modi e l’avvenenza della persona, era accolto e gradito dalle dame di ogni città. Morto il padre Lapy, passò con la moglie nella Compagnia di Maddalena Battaglia, ove stette sino all’autunno del 1795, per recarsi poi a Roma ove stette tutto il carnevale ’96. Dal ’96 al ’98 fu in compagnia di Antonio Goldoni e di Pietro Perotti. Dal ’98 al 1802 ebbe Compagnia in società con Giacomo Modena, e si trovò il ’99 in Napoli, allo scoppio della rivoluzione, nella quale, entrato il Cardinal Ruffo e alzato il patibolo pei congiurati, fu tra gli altri appiccato anche il Padre Giuseppe, domenicano,fratello del Belloni. Alle suppliche della moglie atterrita, alle sue lagrime incessanti egli dovè cedere finalmente : e, passando di pericolo in pericolo, potè varcare il confine e recarsi a Roma sottraendosi così a morte sicura alla quale, per le sue idee liberali, era già stato dalla Commissione reale condannato. Recitava allora a quel Teatro Valle la Compagnia Perotti, della quale anni a dietro fu parte il Belloni ; e venne subito scritturato con la moglie seconda donna, sino al 1806. Fu una parte del 1806 primo uomo e capocomico in società col Ferro (V. Battaglia). Dal ’6 al ’10 fu poi colla Compagnia reale italiana del Fabbrichesi, dalla quale si tolse per formar società con Meraviglia, Calamai ed Elisabetta Marchionni la madre della celebre Carlotta : società che andò innanzi a gonfie vele sino a tutto l’anno comico 1822-23. In quest’anno rinnovò società col solo Meraviglia, poi, dopo quattro anni, diventò il direttore della Compagnia di Tommaso Zocchi. Maritatasi la figlia al Colomberti nel ’27, Antonio Belloni si ritirò dall’arte, istituendo una agenzia d’affari per l’arte comica in Bologna, ove morì nel ’42, a 83 anni.

Fu egli amoroso egregio, egregio primo attore, ed egregio padre e tiranno : ebbe a compagni la Battaglia, la Pelandi, Demarini, Pertica e Blanes ; e, vissuto onestamente, non gli venner mai meno l’affetto e la stima dei compagni.