(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « I comici italiani — article » pp. 484-498
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(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « I comici italiani — article » pp. 484-498

Salvini Alessandro. Figlio del precedente, nato a Padova il luglio del 1827, fu iniziato allo studio del disegno, diventando in breve una lieta promessa nell’arte del pennello, nella quale si addestrò presso l’Accademia di Firenze. Ma morto il padre, il desiderio di calcar le scene lo vinse, e a sedici anni fece le sue prime prove col celebre Taddei, scritturandosi poi col Pellizza, secondo amoroso, poi, nello stesso ruolo col Domeniconi, sotto il fratello Tommaso primo attor giovine. Diventò in breve artista fortissimo per le parti promiscue, quali Papà Martin, Amico Francesco, Laroque, Giosuè il Guardacoste, Luigi XI, e lo abbiam più volte ammirato Jago perfetto in compagnia del fratello Tommaso. Di faccia espressiva, di voce bellissima, fu anche attore egregio nelle parti di tragedia, sebbene pel fisico alcun po'deficiente, era piccolo di statura, non gli si attagliassero troppo. Divenuto in vario tempo capocomico, n’ebbe varia fortuna ; ma più spesso non buona per cattiva amministrazione. Scrisse molte opere teatrali, in cui la sciattezza della forma era compensata da una cotal vivacità di dialogo e fecondità d’intreccio. Non poche sortirono buon successo, come La Spia, L'unico figlio, Le ragazze scherzano, ecc.

Aveva sposato Margherita Villa di Milano, non comica, e morì a Firenze il 2 febbrajo 1886 per aneurisma, e fu sepolto al Monte alle Croci.

Icilio Polese nell’Arte drammatica del 18 gennajo '73 narrava di lui il seguente aneddoto :

« Sandro rappresentava non so dove, nè quando, nè con chi Filippo di Alfieri. Faceva Carlo. A un tratto gli si piegano le gambe, e cade privo di sentimento. “Un medico, un medico,” — gridan tutti. — Accorre un medico qualunque, il quale tasta il polso all’ Infante, e constata che con un brodo ristretto e una bistecca tutto può passare. Povero Infante ! Non aveva da giorni avuto lo spesato dal suo capocomico. »

Salvini Tommaso. Fratello del precedente, nacque a Milano il 1° gennaio del 1829. Se io mi facessi a scrivere la storia teatrale dell’ultimo cinquantennio, dovrei cominciare da Tommaso Salvini, artista possente, formidabile, colossale, classico nel significato puro della parola.

Ab Iove principium !

Come seguir codesto genio nella metamorfosi rapida dell’arte, senza provare un senso di stupefazione, direi quasi, d’incredulità ? Nel '43 in Compagnia Bon e Berlaffa appare su la scena con la veste e il dialetto di Pasquino nelle Donne curiose di Goldoni ; dopo pochi mesi vince la prova con Gustavo Modena, recitando il racconto di Egisto nella Merope di Alfieri ; e gli sono affidate tutte le parti di primo attore giovine. Il '45 è, in quel ruolo, ai Fiorentini di Napoli, e il '46 con Domeniconi e Coltellini. Il '47 è collo stesso Domeniconi, al fianco della Ristori, già forte promessa nel Paolo della Francesca da Rimini, nel Romeo di Giulietta e Romeo, nel Carlo del Filippo, nell’Egisto della Merope ; il '48 a Roma è consacrato attore tragico, suscitando nel pubblico l’entusiasmo coll’Oreste di Alfieri. A diciannove anni ! Prende parte il '49 strenuamente all’assedio di Roma, ed è carcerato prima a Genova col Saffi, poi a Firenze, alle Murate…. col Guerrazzi. Uscito la quaresima del '53 dalla Compagnia Domeniconi, si riposa a Firenze, ove si dà allo studio di nuove parti ; e il '54 entra in quella di Astolfi con la Santoni e il Pieri. Ma eccolo dal '56 al '60, i quattro anni che accrebbero e cementarono la sua riputazione di artista, con Cesare Dondini, di cui diventa socio più tardi, a fianco di Clementina Cazzola, che doveva poi essere la donna del suo cuore e la madre dei suoi figli. Il '57 va a Parigi e vi ottiene, specie con l’Otello, un clamoroso successo. Il '60 è scritturato primo attore e direttore della Compagnia Reale de'Fiorentini in Napoli ; il '61 è capo di una Compagnia elettissima, di cui son parti principali la Cazzola e la Piamonti, Alessandro Salvini suo fratello, Privato, Woller, Coltellini, Biagi ; si unisce il '62 ad Antonio Stacchini, e il '65 ritorna ai Fiorentini di Napoli, e questa volta insieme alla Cazzola ; e prende parte a Firenze alle feste dantesche, recitando al Pagliano alcuni canti del poema divino, al Niccolini per la prima volta la parte di Lanciotto nella Francesca di Pellico. Torna capocomico il '67, e scrittura il '68 Virginia Marini (ammalatasi la Cazzola, morì consunta dalla tisi il luglio di quell’ anno, e Salvini sposò pochi anni appresso una giovanetta inglese, mortagli a ventiquattr'anni il dicembre del '78). Va il '69 in Ispagna e in Portogallo, il '71 nell’America del Sud, il '73 nell’America del Nord, e il '74, di nuovo…. in quella del Sud ; il '75 a Londra, al Drury-Lane ; il '76 di nuovo a Londra ; il '77 in Austria e Germania, poi a Parigi ; il '79 in Italia, e nuovamente a Vienna ; l’80 in Ungheria, in Russia, in Rumenia ; e, il novembre, nell’America del Nord per recitar prima, il 29, a Filadelfia, poi a New-York, egli solo, in italiano, con una compagnia di attori americani. Il dicembre '81 e gennajo '82 in Egitto, il marzo e l’aprile in Russia, l’ottobre nell’America del Nord ; poi in Italia, a Roma, Firenze e Trieste. Alla fine del febbrajo '83 in Inghilterra e in Iscozia ; l’inverno in Sicilia. La primavera dell’ '85 in Ukrania ; alla fine dell’anno, per la quarta volta, nell’America del Nord con una compagnia inglese, prima a New-York, poi a San Francisco di California, poi di nuovo a New-York, Filadelfia, Boston, recitandovi l’Otello con l’illustre Edwin Booth, Jago. Tutto l’87 riposo ; l’ 88 recita in Italia e torna l’ 89 nell’America del Nord. Nel carnovale '90-'91 interpreta per la prima volta la parte di Jago al Niccolini di Firenze con Andrea Maggi, Otello : poi torna in Russia, acclamatissimo come a' primi tempi, poi si aggrega a questa o a quella Compagnia per dar di quando in quando alcuna rappresentazione in pro della Cassa di previdenza per gli artisti drammatici, di cui egli è Presidente ; poi, finalmente, nell’anno di grazia in cui scrivo (1903), egli crede di dare un addio alle scene a fianco di suo figlio Gustavo, recitando l’Otello, la Morte Civile, e l’Oreste (Pilade), e mostrando ancora, (tranne forse ne'rari momenti, in cui ricordavano i suoi ammiratori di altri tempi il cannoneggiar d’una frase), tutta la freschezza e la musicalità della recitazione, tutto l’impeto della passione, tutta la profondità dell’interpretazione. E ho detto crede di dare, poichè oggi, a quattro mesi di distanza da quelle recite di addio, egli sta trattando per recarsi l’aprile e il maggio del 1904 nell’America del Nord. A settantacinque anni !

Di tra i giudizi dati all’illustre Uomo, scelgo il seguente di Ernesto Rossi :

Vidi Tommaso Salvini rappresentare la parte di Egisto nella tragedia classica, Merope di Maffei : e come lo vidi allora, lo tengo sempre scolpito in mente. Le creazioni indovinate lasciano lunga ed incancellabile memoria. A facilitare l’interpretazione di quel carattere concorrevano ad esuberanza le sue facoltà fisiche : imperocchè, giovane, bello del volto e della persona, con una voce fresca, limpida, armoniosa, tonante, pareva fatto e tagliato a posta per allettare e sedurre la sensuale madre di Oreste. A me parve che in quella parte egli raggiungesse la perfezione. Una sfumatura di meno sarebbe stata freddezza, una di più esagerazione. Giudicai Tommaso allora classico per eccellenza. Dubitando di poterlo seguire in quella eccellenza classica, anche richiesto non volli mai rappresentare quella parte, nè quella tragedia.

E di tra le tante testimonianze di ammirazione e di gratitudine ch'egli ebbe da tutti i pubblici nostri e di fuori, scelgo il bel sonetto di Paolo Costa che la Direzione degli Spettacoli di Faenza gli offriva il 20 luglio 1861 :

a TOMMASO SALVINI insigne attore italiano nel duplice aringo di melpomene e di talia a niuno secondo la direzione degli spettacoli in segno di altissima ammirazione

Se avvien che l’uom per questa selva oscura
de la vita mortale il guardo giri,
e vegga con che legge iniqua e dura
amore i servi suoi freda e martiri ;
e quale avara ambizïosa cura
faccia grame le genti, e i Re deliri,
esser non può, se umana abbia natura,
che al destin non si dolga e non s’adiri.
Ma se poi l’arte orrendi casi e fieri
dinanzi alla pietà di gentil core
rechi, e gl’inciti sì, che pajan veri :
a gli occhi manda l’anima dolente
lagrime dolci nel suo dolce errore,
e chi t’ode e ti mira, o Prode, il sente.

Chi mi suggerisce ora le parole e le imagini per dare non già un ritratto al vero, ma una pallidissima idea di questa gigantesca figura di Giove tonante ? Vi hanno frasi di tragedie e di drammi passate nella illustrazione sua in proverbio.

Questa per esempio di Giosuè il Guardacoste :

Ma che Ammiraglio ! Non c’ è Ammiraglio che tenga ! Fatemi arrestare, bastonare, voi ne avete il diritto ! Ma colui che verrà a dirmi : « Ohe, Van Broust, — cosa c’ è ! ? — Eh, nientemeno…. tuo figlio ha rubato…. » Sia Ammiraglio, sia Principe, sia Re, sia Dio…. in terra, io gli dirò : non è vero !!!!!

Dall’Ammiraglio a Dio era una parabola ascendente, maravigliosa : ah ! quel Dio ! che volata ! che cannonata ! Non si sarebbe potuto comparare che ai famosi do di petto de'più gagliardi tenori, e ancor con discapito di questi.

E l’altra frase di Otello :

Or non ha dunque
più foco il ciel…. la folgore a che giova ?…

Con una intonazione altissima, disperata, proferiva sul fondo della scena la prima parte della frase, e correva poi con magnifica armonia di movimenti alla ribalta, proferendo l’ultima parte con una voce di basso, rauca, sorda, terribile, che metteva un fremito nella folla.

E quest’altra di Arduino d’Ivrea :

Ei venga, e in vetta troverà dell’Alpi
d’Italia il serto d’Arduin sull’elmo,
ma nol vedrà, chè di mia spada il lampo
vince il riflesso della mia corona.

Che quantità e varietà di note in questi quattro versi ! Strana, e pur tanto efficace ! quell’alzata rapida, acuta di voce all’ultimo mia, con rapido abbassarsi a corona.

E la chiusa della scena con Arnolfo, pur d’Arduino :

Ard. Prete !
Il prestigio volgar che vi circonda,
me non accieca…. e in mio poter tu sei !
Guardati !
Arn. Insano, ch'osi tu ?
Ard. Prostrarti
del tuo Signore al piè.
Arn. Me ? Tu vaneggi !
La sacrilega man ritraggi, o Iddio….
Ard. È Dio dei forti e sta con me, ti prostra.
Arn. Sacrilegio ! Empietà !
Ard. Gracchia, ma piega,
giù nella polve !
Arn. Empio mi lascia !… Aita !…
……………
Ard. Indietro !
Nella polve lasciatelo : dinnanzi
ad Arduino Re, quello è il suo trono.

E il famoso :

Spavento
m’è la tromba di guerra ; alto spavento
è la tromba a Saùl

e il non men famoso :

Ma è poco a mia vendetta ei solo.
Manda in Nob l’ira mia, che armenti e servi
madri, case, fanciulli uccida, incenda,
distrugga, e tutta l’empia stirpe al vento
disperda

di Saul ?

E la descrizione della lotta col leone in Sansone ? E Il figlio delle selve ? E Il gladiatore ? E Spartaco ? Vi furon opere, scritte a posta per lui, che niun altro per la mancanza di quei mezzi fisici onde natura gli fu prodiga, avrebbe potuto rappresentare. Nè si creda ch'egli sia stato artista colossale soltanto per quelle parti in cui specialmente occorrevano la colossale persona e la voce poderosa ; chè accanto alle frasi in cui si richiedevan quella persona e quella voce, altre ve ne avean di sommesse consacrate dal pubblico e dalla critica. Salvini ha potuto della sua voce far tutto ciò che ha voluto. Dal ruggito della tigre passava con incredibile facilità al belato dell’agnello. Niun meglio di lui seppe sospirar la parte di Bonfil ; niuno, meglio di lui, i versi di Orosmane…. : il racconto dell’evasione nella Morte Civile era tutto un poema di sordine. Nessuno della presente generazione può farsi un’idea del come egli sapesse trar partito da una parola, da un monosillabo, da una esclamazione, da un sospiro per suscitar l’entusiasmo della moltitudine. Chi ricorda il non è vero di Giosuè il Guardacoste ? E il prete di Arduino d’Ivrea ? E il Non intesi di Pilade ? e l’Ah fratello di Lanciotto ? E il Chi mi trattien di Orosmane ? E il Dannata la cortigiana vil di Otello ? E i sospiri del Figlio delle Selve alla rivelazione dell’amore ? Egli aveva la consapevolezza piena della sua forza, si piaceva giocar con le difficoltà dell’arte. Quando gli accadde di dover recitare con Ernesto Rossi, altro colosso di ben altra specie, che il pubblico riguardava assai più come suo antagonista, che come suo emulo, lasciava a lui con generosa sommessione la scelta della parte. In Francesca da Rimini l’insuperato Paolo restò Paolo, Salvini si mutò rassegnatamente in Lanciotto : in Oreste l’insuperato Oreste restò protagonista, Salvini si mutò in Pilade. Ma nella gran metamorfosi artistica, Paolo ed Oreste ebber, si può dire, la peggio : Lanciotto, entrato fin allora nel criterio del pubblico con veste di odioso tiranno, fu, da allora, il più amabile e commiserabile de'personaggi della Francesca ; e il piccolo Pilade doventò un colosso di parte. Ho detto più su che Tommaso Salvini fu classico nel significato puro della parola, chè non mai s’ebbe da notare nella sua esposizione la esuberanza spontanea, e pur tal volta nella spontaneità grottesca de'romantici : ne'suoi scatti di passione, ne'suoi scoppi di furore era sempre la misura contegnosa, direi quasi plastica della forma : plasticità che non tradiva mai la fatica dello studio, ma usciva elegantissima e varia sempre e rapida in una spontaneità apparente. Se mi fosse lecito un paragone, direi che l’anima del sommo artista era un superbo corridore, passante di vittoria in vittoria, sorretto dalla man forte di un savio condottiero : la mente.

Con la imponenza de'mezzi fisici, la commedia del salotto oggi gli si attaglierebbe meno che la vasta opera tragica : oggi, mentre non si comprenderebbe un Saul o un Sansone diverso da lui, mal si comprenderebbe nella gigantesca persona figurato il tipo, a esempio, di Armando. Ma quando Salvini era Salvini, sia che, Sansone, si pigliasse di un tratto su le spalle il padre, e con quel fardello non lieve (il padre era Giustino Pesaro) salisse a corsa l’erta non facile, sia che, Armando, gemesse infantilmente a'piedi di Margherita, il pubblico era afferrato, soggiogato : io lo ricordo in una intera stagione (agosto 1868 al Politeama fiorentino) ; e ricordo la sua grandezza inalterata nel Sansone, nella Suonatrice d’arpa, nella Francesca da Rimini, nel Torquato Tasso, nel Giosuè il Guardacoste, nella Zaira, nell’ Amleto, nel Sofocle, nella Pamela nubile, nel Gladiatore, nell’Oreste, nella Missione di donna, nella Virginia, nella Vita color di rosa, nella Morte Civile, nel Sullivan, nell’ Otello, nello Scacco matto, nel Re Lear, in Giulietta e Romeo (del Ventignano), nel Milton, nella Colpa vendica la colpa !

Quanto all’indole dell’uomo, si direbbe ch'egli volle cader di proposito nell’opposta esagerazione del suo grande Compagno d’arte. Come sul suo petto non brillò quasi mai una delle tante decorazioni, pur da lui possedute, che coprivano nelle officialità il petto dell’altro, così, all’opposto dell’altro, egli fu in ogni tempo e in ogni dove sprezzatore del più piccol mezzo che procacciandogli successo, gliel venisse intimamente attenuando. Ei si guadagnava il terreno a palmo a palmo, senza strombazzature, quasi direi senza preavvisi. Salvini ? Chi è Salvini ? Si domandaron la prima volta a Parigi ; e andaron la prima sera a teatro in pochi : vi andarono più la seconda, e si rimandò la gente alla terza. Sempre così egli vinse : con la sola potenza dell’arte.

In riviste inglesi e italiane pubblicò alcuni studj delle sue interpretazioni, e in un volume del Dumolard (Milano, 1895) i suoi Ricordi : iniziò a Or San Michele di Firenze le letture dantesche, e a Palazzo Riccardi, pur di Firenze, lesse intorno al teatro del '500. L'ultimo e nuovo suo trionfo può dirsi oggi la lettura della miglior parte di una tragedia inedita di Cimino, Abelardo ed Eloisa, nella quale egli sa risvegliare tutta l’antica forza. Oggi il Ministro della Pubblica Istruzione gli ha fatto coniare una medaglia d’oro per solennizzare il suo sessantesimo anno di vita artistica. Quando un artista a quasi sessant’anni affronta per la prima volta il personaggio di Coriolano, e a oltre sessanta quello di Jago, e a settanta infonde lo spirito a nuovi personaggi con la sua bocca forte, e a settantacinque pensa attraversar l’oceano per sostener le fatiche dell’artista in ben trenta rappresentazioni e nelle più importanti opere del suo repertorio, noi siamo certi di poter chiedere alla sua fibra titanica una nuova e gagliarda manifestazione del genio nel giorno primo di gennajo del 1909 : solennissimo giorno, nel quale il vecchio e il nuovo mondo si uniranno in un amplesso fraterno di arte a dargli gloria.