CAPO IV.
Stato presente degli spettacoli
teatrali.
Il nostro secolo filosofico e calcolatore non permette che s’ignorino in verun angolo dell’Europa le principali regole del verisimile, nè che si sprezzino se non dagli stolti. Chi in tanta luce ardirebbe presentar sulle scene nell’atto I un eroe nascente in Bisnagar e nel III canuto nel Senegal? chi si farebbe protettore di simili scempiataggini senza aver perduto il cervello? Ma questa filosofia, questo spirito giusto, esatto, accurato basta a produrre opere grandi nella poesia, nell’eloquenza, nelle arti del disegno e nella musica? Al contrario ove lo spirito filosofico tutta riempia la mente del suo rigore per modo che paga del metodo e dell’analisi nulla si curi di arricchir la fantasia e fomentar l’ardor poetico che nutresi d’immagini, questo spirito compassato agghiaccia l’entusiasmo, snerva la passione, irrigidisce il gusto. Non so se quindi solo derivi quella spezie di decadenza che osservasi nelle belle arti; ma sembra che ora si abbondi meno in grandi artisti che in calcolatori, sofisti, falsi letterati, e gazzettieri.
Nel settentrione continuano i drammi regolati, e si rifiuta in generale la buffoneria grossolana: ma Weiss, Klopstock, Lessing hanno emoli che gli superino, che gli rettifichino, che gli si appressino?
Una manifesta decadenza osservava, sono alquanti anni, nel teatro di Londra il dottissimo ab. Arnaud: “Non vi si rappresentano (diceva) che le antiche favole, alcune insipide imitazioni delle commedie e novelle francesi scritte senza ingegno e senza spirito, e un gran numero di farse satiriche”. La stessa cosa ne scrisse il sig. Linguet. La satira sotto quel cielo non rispetta nè particolari, nè ministri, nè governo, e porta spesso il suo fiele sulle scene. Una farsa contro il ministero sotto Giorgio II fu denunziata alla Camera de’ Comuni, che propose un bill per soggettare gli scenici componimenti all’ispezione d’un ciambellano. Il conte di Chesterfield pronunziò un eccellente discorso contro il bill, che però passò in legge. Contuttociò sul teatro di Foote e poi di Drury-lane si è rappresentata una farsa col titolo di Escrocs, in cui si motteggiano i metodisti setta novella fondata da Withefield forse vivente ancora.
Nella Spagna ecco quello che si osserva ciascun anno ne’ teatri di Madrid. Apresi il teatro dopo la quaresima con quelle composizioni del secolo passato che conservano le due compagnie come loro fondi. Inoltrata la state si sospendono le recite di giorno, e per la notte si cantano le nazionali sarsuole, o le traduzioni delle nostre opere buffe, e vi compariscono ancora tradotte alcune commedie francesi ed italiane. Fu in questo tempo che si videro su quelle scene tradotte la Sposa Persiana, il Cavaliere e la Dama, il Burbero benefico del Goldoni. Nel mese di agosto del 1786 (quando più fremevano gli Huertisti e i Lampigliani contro del Signorelli) chi avrebbe potuto immaginarsi che dovesse rappresentarsi senza interruzione di sainetti e tonadiglie la di lui Faustina? E rappresentata chi avrebbe sperato che si ripetesse sette volte nel teatro del Principe con applauso, e con profitto della cassa, avendo dato ai comici di entrata de’ nostri docati 123080? Ma appena incomincia l’ottobre torna a rappresentarsi di giorno, spariscono le buone commedie, le commedie stesse nazionali dello scorso secolo, ed allora si scatenano i demonj, le trasformazioni, gl’ incantesimi, le machine, i Sette dormienti azione di più centinaja d’anni, e l’Origine dell’Ordine Carmelitano di Antonio Bazo che contiene un titolo che non finisce mai, e un’ azione di 1300 anni, cioè dagli anni del mondo 3138 sino a’ tempi di papa Onorio III. Ed Ormesinda? e Sancio Garcia? e le commedie d’Yriarte? del giovane Moratin?
Dopo Crebillon e Voltaire▶ havvi più qualche degno tragico in Francia? Dopo Regnard e Des Touches e qualche altro de’ primi anni del secolo, havvi più un solo comico? Monache disperate, gelosi arrabbiati che danno a mangiare alle spose i cuori de’ loro amanti, uomini dabbene che vanno a rubare in istrada e son destinati al patibolo,
le sombre Falbaire,& Beaumarchais, & l’ennuyeux Mercier
(diceva Carlo Palissot), e Diderot col suo Figlio Naturale in prosa
dans le grand goût du larmoyant comique,
come cantava scherzando ◀Voltaire▶, ecco i tragici e i comici successori degli autori di Radamisto, dell’Alzira, del Giocatore. Ma fra questi comparisce sovente in iscena a farli arrossire l’autore del Misantropo e del Tartuffo? Pensatelo voi!
De Moliere oublié le sel est affadi,
E i bei versi di Racine hanno perduto l’impero de’ cuori? Cedono ad una lugubre prosa soporifera; ond’è che ◀Voltaire▶ scriveva all’imperadore della China, che oggi in Francia
Le tragique étonné de sa metamorphose,Fatigué de rimer, ne va parler qu’en prose.
Tutto (se ascoltate i medesimi nazionali ◀Voltaire▶, Freron, Palissot &c.) tutto è divenuto un tessuto di tirate, di epigrammi, di definizioni metafisiche, di antitesi stentate; tutto il bello è sparito a fronte della smania di mostrar dello spirito a costo del buon senso, e, quel che è peggio, di certa chiamata filosofia armata come un istrice di aguzzi motti enimmatici e di lamenti neologici scagliati con intrepidezza per insultare o coprir di ridicolo tutto ciò che non sa d’empietà dichiarata. Una nazione ricca di eccellenti modelli tarderà ancora a rinvenir dallo stordimento? Io mi lsingava del contrario sin dal 1777: ma essa ha pure applaudito il Bouru bienfaisant, e non per tanto dopo tanti altri anni non osa rientrar nel camino della buona commedia e ne’ confini prescritti dall’invariabile Ragion Poetica.
Quanto all’Italia, lasciando a parte que’ melici allori colti dal Zeno ed a piena mano dal figlio dell’armonia e delle grazie Metastasio emulo illustre de’ Rasini e de’ Cornelj, essa ha ben dati nella tragedia e nella commedia e lieti frutti e speranze più liete ancora. Se il Maffei non vinse i tragici più insigni, tra essi al certo degnamente si frammischia e passeggia onorato. Se il Varano, il Marchese, il Conti, il Granelli, il Bettinelli, l’Alfieri ed altri già lodati si discostano di molto da ◀Voltaire e Crebillon, sovrastano senza contrasto a i Belloy, a i Colardeau, a i Dorat, agli Arnaud, a i Le Miere, a i Marmontel. Se il Goldoni che ha mostrato a’ Francesi coll’ ultime sue favole la vera guisa onde scuotere e gettar via il fosco corrotto de’ Sedaine e de’ Diderot, se l’Albergati, il Pepoli e qualche altro, scrittori non ignobili di vere commedie, lasciano pur vuoto il seggio di Moliere, a quanti ed a quanti comici della Senna non son essi superiori? Ma che prò! se la gallica peste lagrimante spazia ed infetta i commedianti Lombardi che la diffondono? se i novelli venuti in Parnaso ad essi consacrano il loro tragico cittadinesco e comico lugubre? se fin anco qualche elegante scrittore prende di simil genere bastardo il patrocinio, e certi fogli periodici che in lui sol giurano alla cieca, ne comunicano le opinioni di ogni maniera a coloro che studiano la letteratura nelle gazzette? Onde dunque sperare senno e salute? Dalla sola noja inseparabil compagna di tali disperati uniformi pantomimi, la quale, intepidito che sarà il furore della moda capricciosa, dee guarir l’Italia dell’umore anticomico del Lillo e dell’anglomania comico-lugubre francese. Ma chi guarirà certi letterati furiofili della loro demonomania delle mascherate infernali e de’ prestigj mitologici della verga incantata? Quella non curanza e quella desolazione a cui trovansi negli scrigni de’ loro per altro rispettabili autori condannate le Danaidi ed apparentemente i Meleagri, senza la quale l’Italia correrebbe rischio di piombare irreparabilmente fin anco in braccio a i Silfi ed alle Barbe torchine.