(1787) Storia critica de’ teatri antichi e moderni (2e éd.). Tome I « NOTE E OSSERVAZIONI DI D. CARLO VESPASIANO in questa edizione accresciute. » pp. 316-325
/ 112
(1787) Storia critica de’ teatri antichi e moderni (2e éd.). Tome I « NOTE E OSSERVAZIONI DI D. CARLO VESPASIANO in questa edizione accresciute. » pp. 316-325

NOTE E OSSERVAZIONI DI D. CARLO VESPASIANO in questa edizione accresciute.

Nota I.

Le sublimi e vive dipinture, e le grandiose e robuste immagini d’Omero faceano dire al celebre Statuario Francese Bouchardon: sempre che ho letto Omero, ho creduto aver venti piedi di altezza; e una volta servirono anche di scusa a un bravo Disegnatore, che essendo stato ripreso di aver fatto una figura di Capitano d’esercito alquanto smisurata, rispose: Io avea letto pur dianzi Omero, e tutto pareami più grande dell’ordinario. Egli è il vero, che ’l Poeta Greco dormicchia talora e sogna, spezialmente nell’Odissea da lui composta in vecchiezza; ma egli è pure il vero, che le sue fole, e i suoi sogni (come dice bene Longino de sublim. cap. VII) sono belle fole, e pretti sogni di Giove.

Nota II.

Il celebre Hennino Medico Tedesco riferisce che nella China si mette a una certa distanza dagli Attori un Coro di Musica, che regola da lungi le variazioni delle loro voci, e che, quantunque non si sentisse ciò che dicono, pure fa sì, che l’ascoltatore a forza di quel suono sia commosso dalle passioni, ch’essi vogliono destare.

Nota III.

Tra coloro che precedettero Tespi vuolsi noverare Arione, il quale, al dire del Patrizi nel lib. I della Poetica nella Deca istoriale, su il primo inventore del verso tragico, e del Coro similmente tragico, ed introdusse Satiri in scena a parlare in versi. Costui, al riferir del medesimo Patrizi, fiorì nell’Olimpia. de XXXVIII, cioè l’anno innanzi Cristo 628, e della fondazione di Roma 126.

Nota IV.

Eschilo, secondo il testimonio di Sofocle, e secondo che dice Callistene presso Luciano, e Plutarco nel Simposio, scrivea le sue tragedie tra’ bicchieri, quando era già caldo di vino. Anzi da Ateneo vien biasimato di aver il primo introdotto con mal esempio le persone degli ubbriachi nella tragedia, e da Aristofane nelle Rane atto V, sc. 1, fu condannato di frase asaphis non intelligibile per bocca di Euripide. Alcuni altri dotti hanno rimproverato ad Eschilo uno stile gonfio, e troppo ardito; ma questo rimprovero dovea farsi, al dire del dotto e giudizioso Ab. Arnaud, meno al Poeta che ai Greci di quel tempo; perocchè la lingua altro non suol essere, che l’espressione e l’ immagine del carattere e del costume regnante presso di una nazione.

Nota V.

Il Prometeo di Eschilo fu, secondo Andrea Dacier, una tragedia allegorica sopra i Re, e forse sopra Serse, e sopra Dario, come dice il P. Pietro Brumoy. Æschile dans son Promethée (osserva l’Ab. Arnaud) a voulu peindre l’ ame des Grands, & il y a représenté au naturel l’injustice profonde, & réfléchie de la plupart des Souverains, qui n’ont dû leur élevation, qu’aux secours & sur tout à la sagesse éclairée de leurs amis.

Nota VI.

Lo scopo della Poesia e dell’Eloquenza (dice ottimamente il Signor Raimondo di Saint-Marc) è di commuovere e dilettare; e la vera pietra di paragone de’ componimenti ingegnosi è l’impressione che fanno nell’animo de’ leggitori. Bisogna però esser dotato non che d’ingegno per esaminare, ma di cuore per sentire, e di buon senno per apprezzare; perchè altrimenti si portano giudizj strani, e si può anche giungere alla ridicolosa balorderia e scempiataggine di farsi uscire di bocca ciò che in fine della recitazione della famosa Fedra Francese disse all’Autore un Geometra di lui amico e compatriota assiderato dal compasso di Urania: È che prova cotesta vostra Fedra? Al che non si avrebbe dovuto altro rispondere, se non che, voi siete un puro e vero matematico.

Nota VII.

Cimone avendo con grande stento e industria ritrovate nella conquistata Isola di Sciro le ossa di Teseo, e secondo l’avviso dell’Oracolo portatele in Atene, n’ebbero gli Ateniesi una così gran gioja, che a fine di perpetuar la rimembranza di sì fausto avvenimento, istituirono quell’annuo arringo letterario fra gli scrittori tragici, che divenne molto famoso, e che grandemente contribuì all’avanzamento delle composizioni drammatiche per l’ emulazione ch’esso destava, e per gli sommi onori e applausi, che ne riscuoteva il vincitore. V. Plutarco nella Vita di Cimone.

Nota VIII.

Sophocles (dicesi nella Vita di Sofocle tradotta dal greco per Giovanni Lalamanti) Homericam venustatem & majestatem exprimit, ut Jonicum quemdam dixisse ferant, solum Sophoclem Homero esse discipulum. Senofonte nel libro I delle Cose Memorabili dice: Homerum in carminibus Epicis, in Tragicis Sophoclem admiratus sum maxime; e Cicerone chiama doctissimum hominem, poetam quidem divinum, Sophoclem; e diceva ancora per antonomasia, an pangis aliquid Sophocleum? Plinio lib. VII, c. 29, Sophoclem tragici cothurni principem.

Nota IX.

Oltre alla prefettura di Samo ebbe Sofocle l’onore di esser fatto Arconte di Atene, e attese con lode al governo della Repubblica. Ei segnalossi non pure col suo bell’ ingegno nelle Tragedie, ma col suo gran cuore da Capitano in compagnia di Pericle nella guerra, che gli Ateniesi fecero contro quelli di Samo nel terzo o quarto anno dell’olimpiade LXXXIV. Ipsos scenicos (dice de’ Greci S. Agostino nel lib. IV della Città di Dio cap. 28) non turpes judicaverunt, sed dignos etiam præclaris honoribus habuerunt.

Nota X.

Alle censure fatte dal Signore di Voltaire contro all’Edipo Tiranno di Sofocle in alcune lettere che trovansi nel primo volume del suo Teatro dopo l’Oedipe, rispose il Conte di Calepio con una bell’ apologia; e ultimente sin anche il Sig. Geoffroy nell’Année litteraire 1783, num. II, lett. 19, ha confutato l’ignoranza, l’ingiustizia, e la mala fede del medesimo Sig. di Voltaire. Quello che non si può mettere in dubbio si è che otto Poeti Francesi, senza contare quelli delle altre nazioni, hanno lavorato intorno al medesimo soggetto, Brisson, Garnier, Prevost, Bedouin, Pietro Corneille, M. de la Motte, il Sig. di Voltaire, e ’l Gesuita Folard, e niuno ha finora potuto nemmeno dalla lunga tener dietro a questa incomparabile favola del più famoso Tragico della Grecia.

Nota XI.

Fu posta sulla tomba di Sofocle la figura di uno sciame di api per perpetuare il nome di ape, che la dolcezza de’ suoi versi gli avea procacciato; il che probabilmente fece immaginare, che le api si erano fermate sulle di lui labbra quando stava in culla.

Nota XII.

Euripide l’anno primo dell’olimpiade LXXV, cioè 479 anni innanzi alla venuta del Redentore, e 224 della fondazione di Roma, nacque in Salamina, ove per la famosa spedizione, che preparavasi da Serse contra la Grecia, si erano ritirati i suoi genitori Mnesarco e Clitona, i quali gli diedero il nome di Euripide per la celebre vittoria dagli Ateniesi di loro compatriotti riportata sopra i Persiani presso alla bocca dell’Euripo in quel medesimo giorno ch’egli uscì alla luce del mondo.

Nota XIII.

Euripide (dice Quintiliano nel lib. X delle Istituz. Orat:, c. 1.) & vi & sermone . . . . magis accedit oratorio genere, & sententiis densus & rebus ipsis, & in his, quæ a sapientibus tradita sunt, pene ipsis par, & in dicendo, ac respondendo cuilibet eorum, qui fuerunt in foro diserti, comparandus. Quindi avvenne, che que’ due gran luminari della Greca e Latina eloquenza Demostene e Cicerone, col molto esercitarsi nello studio delle tragedie di Euripide, mirabili progressi fecero nell’arte loro. A buon diritto adunque il nostro dotto e facondo Gian-Vincenzo Gravina nel lib. I della Ragion Poetica chiama le tragedie di Euripide vera scuola di eloquenza. Plutarco però nell’opuscolo de Poetis audiendis riconosce in Euripide una certa loquacità; ed Aristofane nella Pace lo tassa col nome di Causidico più che di Tragico, facendo maggiore stima di Eschilo e di Sofocle, perchè questi aspirano con molta felicit à sempre all’altezza elocutoria.

Nota XIV.

Veggasi il giudizio che di questa tragedia porta il dotto e assennato P. Brumoy contro M. Perrault.

Nota XV.

Pier Vettori sopra la Poetica: Hecuba Euripidis fabula duplex erit, sunt enim in illa gemini casus tragici; nam priori materiæ, quæ nex est Polydori, animadversioque in consceleratum hospitem, adjungitur interitus Polyxenæ.

Nota XVI.

Crudelitas fati tanto ingenio non debita, di lui dice Valerio Massimo lib. IX, cap. 12. Da ciò che il dotto le Fevre e M. Rollin dicono, Euripide dovette morire il secondo anno dell’olimpiade XCII, e non nella XCIII; perciocchè Aristofane nelle sue Rane, le quali furono certamente rappresentate nell’olimpiade XCII, parla di Euripide come di un uomo ch’ era già morto; e Sofocle, per quanto ci assicurano parecchi autori, sopravisse di sei anni ad Euripide, e morì nonagenario nel quarto anno dell’ Olimpiade XCIII.

Nota XVII.

Aristotile Poet. 48: Chorum Comœdorum sero Magistratus dedit; sed voluntarii erant. Lo Scaligero così illustra queste parole, Poet lib. VII, c. 7.: Dari Chorus a Magistratu dicebatur, quia sumptui non sufficeret Poeta; itaque ære publico id curabatur: neque vero parva erat impensa illa, quando magnus personarum numerus conducendus esset, atque in iis Choragus, & Coryphæus, unde illi discerent. Oportuit enim fuisse bene doctos artis Musicæ. Gratis ergo nolebant prodire, qui eo quæstu vitam sibi parabant. Idcirco ibi Philosophus ait εθελοντας se olim obtulisse aliquot ad Choros, quasi Volones dicas; hoc est ultro, non quæsitos, neque allectos precio. Ed il Piccolomini così interpreta sopra la Particella 30: Dal pubblico e dal comune su ordinato un magistrato, il quale avesse cura di quello che ai Poeti Tragici facesse per la recitazione delle loro tragedie bisogno. E particolarmente teneva cura d’aver persone atte al Coro, facendole a spese pubbliche instruire e nel canto e nell’arte del salto e del ballo: e così instruite ed instrutte a tale ufficio destinate e salariate teneva; ed a quei Poeti, che ad esso paresse che ne susser degni, ed a quelle tragedie che ad esso pareva che lo meritassero, lo concedeva. Così fatti favori non ebbe la Commedia per molto tempo . . . . Onde i Poeti Comici si servivano per il Coro, non delle persone date loro dal Magistrato, ma di quelli che eglino stessi a voglia loro o di esse, si provvedevano.

Nota XVIII.

Giano Parrasio, o sia il dotto Cosentino Gio: Paolo Parisio, nell’epistola 64 così rapporta ciò che il Signorelli asserisce sull’autorità dello Scoliaste di Aristofane: Qui Atticæ pagos habitabant, injuria a divitibus affecti, noctu peragrantes urbem querebantur. Ea res cum multum prodesset moribus Civitatis, cum unusquisque caveret a culpa, Atheniensium Magistratus ultro rusticos impulerunt, ut quæ perpessi suissent a malis civibus, interdiu propalam in theatro cum eorum qui gesserant, nomine decantarent. Deinde plebiscito facta potestas acri ingenii viris est, ut his de rebus carmina componerent, impuneque probo notarent malos indifferenter omnes.

Nota XIX.

Cicerone ne’ frammenti della Repubblica lib. IV parlando della Commedia antica de’ Greci saviamente biasima una sì licenziosa e sfrenata libertà in questa guisa: Quem illa non attigit, vel potius quem non vexavit? Esto, populares homines, improbos, in Rempublicam seditiosos, Cleonem, Cleophontem, Hyperbolum læsit: patiamur . . . sed Periclem, cum jam suæ civitati maxima auctoritate plurimos annos domi & belli præfuisset, violari versibus & eos agi in scena, non plus decuit, quam si Plautus noster voluisset, aut Nævius P. & Cn. Scipioni, aut Cæcilius M. Catoni maledicere. Da questo passo di M. Tullio, e più da ciò che il nostro Signorelli osserva nelle commedie di Aristofane, si scorge chiaramente che S. Agostino studiava con maggior cura e attenzione le materie della Grazia che l’antica letteratura; giacchè in un luogo della Città di Dio egli avanza, che la licenza del Teatro Greco non fu mai così sfrontata che giugnesse ad offender Pericle, il quale non che da Aristofane, venne pur da Ermippo posto in iscena.

Nota XX.

Pisandro uomo di bella statura, e che andava adorno e armato galantemente per darsi un’ aria di Eroe, avendo in un combattimento gittato le armi, venne nella Lisistrata da Aristofane così ben deriso, ch’egli passò in proverbio presso i Greci, più codardo di Pisandro.

Nota XXI.

Di quest’opera del Signor Marmontel ecco come favella M. Palissot: La Poétique de M. Marmontel, ouvrage en deux gros volumes plein d’hérésie en matiere de gout. Elle n’est pas dangereuse parcequ’on ne la lit point. Fralle altre cose rare vi si trova paragonato con somma finezza di giudizio Aristofane a Catilina e a Narciso, e antiposto Lucano a Virgilio, il quale anche graziosamente viene accusato dal Sig. Marmontel di aver comparato Turno a un asino, comparazione che non rinviensi affatto presso il Poeta Latino. Insigni ancora sono le sentenze da codesto nuovo legislatore di Poetica pronunciate contro l’Italica nazione in fatto di poesia. L’ardire e la franchezza, colla quale i Francesi (parlo per sinecdoche) soglion discorrere, giudicare e scrivere della letteratura forestiera, ch’essi poco o nulla conoscono, è un dono particolare, che la natura ha conceduto loro solamente.

Nota XXII.

Platone per mostrare più particolarmente la stima, ch’egli faceva di questo poeta, gli diede il miglior luogo nel suo Convito, ch’è uno de’ suoi più belli dialoghi, e mette sotto il di lui nome il bel discorso, ch’egli fa dell’amore, dando con ciò ad intendere che Aristofane era il solo che potesse con vaghezza e diletto parlare di questa passione. San Gio: Crisostomo mettevasi Aristofane sotto del capezzale, come Alessandro il Grande faceva di Omero.

Nota XXIII.

Orazio nell’Arte Poetica:

. . . . lex est accepta, Chorusque
Turpiter obticuit, sublato jure nocendi.

Quando principiò a fiorire la commedia mezzana, Chori loco (dice il dotto Scaligero nella Poet. lib. I c. 9.) Parabases quædam fiebant, in quibus aliorum Poetarum dicta, scriptaque sine maleficii crimine, aut pœnæ suspicione irridebantur.

Nota XXIV.

Menandro (afferma il dotto Ab. Winckelmann nella sua Storia delle Arti del disegno) il primo, a cui la grazia comica mostrossi in tutta la sua beltà, comparve sulla scena, menando seco in treno le grazie e venustà di un polito linguaggio, un’ armonica misura, un dolce concento, purgati costumi, il piacevole mescolato coll’ utile, e la fina critica condita di sale attico. Di lui scrisse Vellejo Patercolo, inveniebat, neque imitandum relinquebat.

Nota XXV.

Si vede che non ebbe vigore alcuno in Atene, almeno a’ tempi di Aristofane, quella savia legge di Solone, dalla quale veniva proibito il dir male de’ morti, a cagion che la religione porta a tenere i defunti per sagri, la giustizia a risparmiar coloro che non più esistono, e la politica a non sofferire che gli odj sieno eterni.

Nota XXVI.

Si dee sapere, che fra gli altri ciarlatani, empirici ed istrioni, che a’ nostri giorni han fatto e fanno grandissima fortuna in Parigi, vi sono con carrozza ed equipaggio un certo Nicole, e un certo Nicolet, de’ quali il primo a forza di far correre avvisi stampati per guarire il mal francese, e ’l secondo a forza di rappresentar farse e buffonerie sopra i Baluardi e alle Fiere di San Germano, e di San Lorenzo, seppero così ben fare i fatti loro, che da molti anni sono padroni di varie terre, le quali hanno titolo di Signorie.