(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « I comici italiani — article » pp. 35-37
/ 261
(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « I comici italiani — article » pp. 35-37

Lollio Carlo. Nacque a Bergamo nel 1832, e, terminati a pena gli studi ginnasiali, entrò aspirante nel Tribunale di prima istanza ; ma, perseguitato dal governo austriaco pei suoi sentimenti patriottici, fu costretto ad esulare, e consacrarsi alle scene, esordendo nell’autunno 1852 con la drammatica compagnia di Nicola Cola. Venuto a mancare il primo attor giovane in Compagnia Domeniconi, egli fu chiamato a sostituirlo, facendo subito bella prova con la parte di Emanuele nel Segreto. Passò, dopo un triennio, nella Compagnia di Luigi Santecchi, ov'era Enrichetta Abati, che divenne poi sua moglie, indi, assunto il ruolo di primo attore assoluto, nella lombarda diretta da Zamarini. Tentò il capocomicato in società con Federigo Boldrini, ma con poca fortuna ; e si scritturò, terminato l’anno, e per un triennio, con Giuseppe Trivelli, col quale ebbe la fortuna di recitare al fianco di Gustavo Modena, sostenendo le parti di David nel Saul, di Nemours nel Luigi XI, di Lowendegen e del Duca d’Alba nel Cittadino di Gand.

Da quella del Trivelli passò nelle Compagnie di Gaspare Pieri, di Pieri e Dondini, di Colomberti e Casilini, e di Lupi. Entrò poi in società con Augusto Bertini e Leontina Papà, e diresse, a Napoli, la Compagnia del Teatro Nuovo, impresario il Luzi. Fu inoltre nella Compagnia n.º 2 di Fanny Sadowski, diretta da Luigi Monti, da cui si sciolse il '76 per la morte della moglie, diventando di bel nuovo capocomico, e inaugurando il giugno di quell’anno il Politeama Alfieri di Genova. Fu con la Pezzana in Ispagna e Portogallo, e, tornato in Italia, con Bollini ; passando poi di società in società fino all’anno, in cui fu nominato Professore secondario alla R. Scuola di Recitazione di Firenze.

Ebbe dall’ Abati una figliuola, Antonietta, già seconda donna, poi prima, moglie dell’artista Giuseppe Strini, e sposò in seconde nozze l’attrice Annetta Cavallotti, da cui ebbe due figliuoli.

Dire della squisitezza dell’animo e della integrità di Carlo Lollio non potrei. Mite, affettuoso, debole financo, si faceva leone contro la umana ingiustizia. Di fronte al suo dovere di uomo onesto non conosceva ostacoli. E questa sua rettitudine senza pari gli costò la vita. Disfatto dalla malattia di cuore, impotente quasi a muoversi dal letto di morte, con uno sforzo supremo un giorno levò il capo, e si diede a sciamare con voce rotta dal pianto : « perdono ! perdono !… perdono tutti ! perdono tutto !… » E dopo qualche giorno, il 22 nov. 1893, morì ; e io nulla ho più da aggiungere, ubbidiente e devoto all’amico, al padre, al protettore e difensore mio ; ma voglio qui, in questo libro, ov'è trasfusa tanta parte di me, chiudere i cenni della vita di Carlo Lollio con una parola : gratitudine !

Lombardi Bernardino. Recitava le parti di Graziano nella Compagnia dei Comici Confidenti, che tanto grido levaron tra noi e in Francia nella seconda metà del sec. xvi. Non è ben chiarito in quale epoca si recassero a Parigi, ma non prima, pare, del '75 ; nè in quale si fondessero coi Gelosi, formando la Compagnia dei Comici Uniti, e da quelli poi si risciogliessero. Al nome di Alberghini-Angelica, è pubblicato il madrigale di Cristoforo Corbelli che generò la notizia data dal Quadrio della loro unione circa l’ '80. Ma una supplica pubblicata dal Belgrano abbiam nell’'83 di Bernardino Lombardi a nome degli Uniti Confidenti per recitare a Genova nei mesi di aprile, maggio e giugno, ed altra ne abbiamo nell’'86 al Senato Genovese, de'soli Confidenti.

Fu il Lombardi anche autore di una commedia in prosa, intitolata l’ Alchimista, e dedicata a Giulio Pallavicino (Ferrara, Baldini, 1583, poi Venezia, Sessa, 1586, e Spineda, 1602), in cui, scrive Adolfo Bartoli nella sua introduzione agli Scenarj, « noi troviamo quello che è così raro nella commedia italiana del secolo xvi, qualche carattere studiato e disegnato. La satira dell’Alchimista è ben fatta, e Momo, Lucrezia, il servo Volpino hanno qualche originalità, si staccano dal solito e monotono convenzionalismo di quasi tutti i personaggi drammatici del cinque e seicento. Le stesse Nafissa vecchia ed Angelica cortigiana si può asserire che non sono come tutte quelle altre infinite cortigiane e vecchie della scena italiana. »

Alla fine di essa è un suo sonetto, non brutto, al Pallavicino, che il Bartoli riferisce nel suo cenno : ma io preferisco metter qui una scena del Graziano (la 3ª dell’atto II), la quale ci darà meglio un’idea dello scrittore e dell’artista :

III

Pocointesta & Gratiano

Poc. Che cosa vorrà il suo seruitor dal mio patrone cosi allo scuro, che non ne habbiamo anchora tredici del Mese ? & sono decinoue miglia sonate in torre di Nona, & non ho finito ancho il primo sonno, & la patrona della sua serua mi manda, per ch'io parli col mio padrone : ma eccolo a fede mia, e nò burlo già, che volete voi da me ?

Gra. Desedet zucca senza sal, tu duorme an ualenthom, Oh quand qstu no dorm l’è pur vizilant as pò ben dir che essendo con mi, ch'ai sia insiem du huomn dlla caplina lu in te la tutia, e mi in quel ch se sa. Dim Pocintesta, che cosa voi similitudinar quel che t’hà in quel Alcest ?

Poc. Mad. s’io vo dal patrone, volete ch'io mi leui di questo letto, o pure ho d’andarui cosi ignudo : horsu apritimi la porta, e fatemi lume, che gli è vn giorno di notte, che par di mezzo Agosto. o bel solaio alla sala del mio patrone ; ho patrona dite al messere, che non voglio leuarmi.

Gra. A son masculin, e no famulin, & ti no nie in casa, ne in tal lett es t’auuri i occhi t vedrrà se ti no srà orb, dim vn poc, mat purta qle rob, cha t’ho scritt in qella plizza.

Po c. Eccoci il giorno, ma chi mi ha portato qui senza mia licenza, & m’ha riuestito, che paio vn huomn di legno ? patrone son qui ; perchè M. & il mio messere con Pocointesta madorono la casa del seruitore in villa p portare in vn cesto le corna del bufolo caprino, che voi sete, suo amico.

Gra. Tn sa dir al to concet, zuè la tua vpilation, tu vuo dir Mad. la qual parland cun mi vuol vnfrir l’infurnad parol, che te ne par, nonella qsi ?

Poc. Signor si, eccomi viuo da donero ; e s’io muoro mai più, che possiate essere castrato ; mi pareua hora dormendo, che haueuate perduto il ceruello, & che il mio per cercarlo era restato pegno per la vettura del cauallo alla Storta.

Gra. Non tant derimonie, at domand le robeno al ceruel.

Poc. O vi dirò. il messo, che mi fù portato dalla lettera, dicea cosi. Per vn presente ti lauerai il viso, come voglio, che tu pigli co tre pesci in porto, e vn passo in mezo il Teuere co 'l dissegno d’vna tetta vecchia, & che tu metta vna buona cura alle cose del hamingo, accio resti sano, & teghi l’acqua, & ch'io venissi col subito per vna cossa ch'importa. si che intendete il presente. la lettera no me la diede ; il viso me lo lauai ; i tre pesci eccolli, il passo in mezo il Teuere lo farò, se voi pagate la spesa del ritorno ; il disegno della tetta vecchia non se ne troua ; il Fiamingo, perchè non è stitico, non volse la cura ; ne li diedi l’acqua, perchè li piaceua più il Vino : il subbio eccolo. che ve ne pare ? non son’io lesto ? & se non mi credete ecco la lettera.

Gra. Ti n’ sa liezer, lassa far à mi, da qui che te m’hà srui in ti garit ; la dis qsi ascolta quest è al suzett, al tintor della littera, pr la patent t’haurà auis, com’a vuoi, ch t’ pii al cumtrapes, e vn cumpas mezan, cum al dsegn d’ceuetta vecchia, & met bona cura alle cos del fiameng azzò che le tiengan ben l’aqua ferma, .. subi pr vna cosa dè porca : mo fat qui, va in tal mia studi, e tuà al mia cumtrafat dpint int l’voli dal naturai, e puortal alla sgnora Angzielica da mia parte, e dii cha vuoi parlar cun lià stà sira sacchettamente, chin dit ? t’bastard l’amit d’far l’imbastarda con la và.

Poc. E di che sorte ; dirò così. M. ritrat mi manda da voi la cortigiana, acciò le mandiate vn sacchetto di mente per il bastardo, da far l’amito al basto del mio patrone, & contrafarà nello studio del Pittore l’olio nell’rerinale, non va così ?

Gra. Si si o bon tia al più bon rutori al più bel vrlador pr dir la to intintation, che sia ma vsci dalla scola d’Zezaron, potta d’Zuda, s’Roma perdes qstù, a mi la free po castrà da vera, va mit zo qste rob, e tua quel cha t’hò dit, e vsa bona salcizza da Vdine di gratia intorno à Fiora, che vaga a cà d’la sorella d’la patrona, sat Pocintesta garbat ? e mi andarò dal mia cumpar per vn mia disegn.