Diana. « Celebre e brava commediante – dice il Bartoli – che s’acquistò molta fama col valor suo in Italia e oltre i monti. La sua valentia nel recitare era sì grande che propriamente incantava gli spettatori. Nelle cose all’improvviso era vivacissima, ed insieme con Silvio, che dal di lei nome fu cognominato della Diana, recitava delle Scene di grande impegno, dove i frizzi gustosi, i motti pungenti, gli sdegni e l’amorose tenere espressioni vi campeggiavano a meraviglia. Sapeva altresì cantar dolcemente, e suonava varj strumenti con maestrìa. » Questo per l’artista. Quanto alla donna, pare ch’ella non fosse di troppo riserbo, se personaggi di rango e teste coronate profusero a favore di lei l’immensità de’ loro tesori, scialacquati poi da Silvio che sapeva estorcerglieli colle carezze più d’amante che di compagno. « Fu Diana – aggiunge il Bartoli – creduta una bellezza, ma le arti del sesso formavano in lei un incanto, che fu poi scoperto fallace. » Ahimè ! Sciagura volle che un giorno la magnifica dentiera, l’ammirazione di tanti adoratori, le cadesse di bocca, scoprendo un inganno che fu per molti lustri celato.
Morì nel 1730 circa a Palermo dopo di avere scorsa l’ Europa, conquistatrice di mille cuori.
Il Bartoli riferisce in sua lode il seguente sonetto caudato in lingua veneziana :
Zonta, che me xe sta la niova carache in Rezo siè arivà, bella Dianaxe corsa a sbatochiar la gran campanade Pindo la mia musa campanara.Ah ! qual donna de vu ghe xe più rara,de beltà, e d’eloquenze soraumana,se xe la vostra boca una fontanasingolarmente in su le scene chiara !Senza dubio nissun, vu sè la stella,che porta luse ai più sublimi inzegnicon la vostra dottissima favella.Tanto i vostri concetti è d’amor pregni,e ogni altra qualità xe in vu sì bellache se Dea dei Teatri a mille segni.Per eccelenza i sdegnifenzer savè, ma i gha sol quel color,no podendo sdegnarse el vostro cuor.Veri affetti d’amorpalesè ben a chi ve varda in viso,perchè portè in tei occhi el Paradiso.Se el matto de Narcisove vedeva al so tempo, el ve chiapava,e de lu stesso el no se inamorava.E tanto vu se bravain la soavità del canto, e ’l sonpiù del musico Trace, e più d’Anfion.Che s’un tolse a Plutonso Mujer, e se l’altro tirò i sassi,vù a Febo fe’ fermar el ziro, e i passi.V’assalto in versi bassi ;xe vero, ma però parlo sì schietto,che de coscienza un pel mi no ghe metto.Perchè in sinciero efettodona se per virtù, grazia e beltàda tegnir tuti i cori incatenà.M’ho mo desmentegàde vegnirve a veder, perchè ve osservosenza paura de partirme un cervo.Perchè vu el cuor protervono ghavè de Diana, se ben checol nome de Diana ve chiamè.Ma una Diana seche con rete amorosa de splendorichiapè a vostro poder a mille i cuori.I vostri alti colorisuperar de Diana el lume vuol,resplendendo qua in terra un niovo sol.E dir po al fin se puolda mi, e da gente che non porta in gropache la Fenice se de tutta Europa.
Questa donna, grande nell’arte, a segno da incantar gli spettatori, che aveva la dentiera posticcia, che aveva scorsa l’ Europa, conquistatrice di mille cuori, e che fu protetta da teste coronate, non potrebb’ essere quella Cecilia Rutti, la Romana, che recitava, separata dal marito, le prime amorose nel ’33, col nome teatrale di Diana, artista deliziosissima, nonostante i cinquant’anni che gli ornamenti e il belletto non potevan nascondere, recatasi a Vienna coi Sacco, e divenuta l’amante dell’ Imperator Giuseppe I, che morì nel 1711 ?
Troppe volte ci siam trovati col Bartoli a errori di data. Egli nacque nel ’45 e scrisse le notizie nell’ ’82 ; nè l’una dunque, nè l’altra Diana conobbe ;…. e i venti anni di differenza che mette nella morte delle due Diane, posson essere facilmente erronei. (V. Gabbrielli Giulia, Ponti Diana, Costantini Corona Teresa). Di un’altra Diana trovo notizia nella lettera dell’Archivio di Stato di Modena▶, che qui riproduco :
Bramoso d’incontrare in ogni opportunità le soddisfattioni di Vostra Altezza, hò dato ordine alla Diana Auerara di portarsi à recitare in conformità di quelli dell’ Altezza Vostra, la qual pregando uiuamente à porgermi frequenti occasioni di seruirla, come ne sarò sempre ansioso, mi raffermo con tutto l’animo
Di V. A.
Affett.mo Seru.re e Cugino
Torino li 22 Marzo 1698.
V. Amedeo.
Al Sig.r Duca di ◀Modena.