Torri Giulio Cesare. Attore per le parti di Zanni col nome di Zaccagnino, al servizio del Duca di Modena▶, a cui scrive la curiosa lettera seguente per ottenere la grazia di poter mutare il portinajo del teatro.
Io ho inteso i comandi di Vostra Altezza Ser.ma circa della Compagnia la qualle deba star in cori io son a ubidire li suoi comandi si come ò fatto per lo pasato ma suplico ben Sua Altezza Ser.ma a darme licenza che piccone non stia alla porta poi che questo carneuaile ma sasinato e se bufetto non parla e flaminio perche afato camerata con loro, ma questo non lo dico per la camerata, ma perche son stato a robato et de laltri compagni sono del mio umore pero scrino la mia uolunta el dotore non parla perche a meso el pitore in compagnia bufeto non parla per la camerata e perche uole il bologna suo compare il Cap.° non dice niente per amor di Girolomo suo seruo non ce altro che me otanio et pantalone che se lamentano poi che non siamo ariuati mai alla prima sera et tante e tante sere ni è stato magior popolo et paga alterata Consideri Vostra Altezza el tutto oltre che so da bona mano che e un ladro et molti compagni dicono che Vostra Altezza Ser.ma gli meso della qual cosa non e uero poi che Vostra Altezza Ser.ma a sempe detto che del portinaro non uolete fastidio che seriamo rubati sara nostro dano adunque suplico di uiuo core Vostra Altezza Ser.ma a darne tal licenza poi che non lo fo per meterli un altro portinaro ma solo quello che la Compagnia comanda poi che uengo per seruire e non per comandare la suplico di subita risposta e con tal fine li bacio vmilmente la sacra Veste di roma el dì 16 genaro 1647.
Era a Napoli il 1662 (V. Fuidoro, riferito dal Croce, op. cit., 784), con
Lavinia, similmente comediante, e si stimava che fusse e che non fusse sua moglie, et haveva acquistato con la scena e con gli amanti qualche commodità di considerazione ; questa, com’è solito dell’oziosa nobiltà napoletana, che oggi si è avanzata assai nel bordello, lussi, ignoranza e povertà, fu posta in conditione dalli donativi del Principe d’Avellino, dal Principe di Belmonte, ed altri nobili et ignobili, che con pochissima moneta la goderono. Venuto frescamente Don Vincenzo Spinelli, Principe di Tarsia a Napoli dal suo Stato, cominciò ancor lui a vagheggiar la Lavinia, che volle mascherarsi da Zaccagnino, non bastandolo quello che aveva speso in Calabria a buffoni, comedie, cacciatori, conviti, musica continua, cavalcatori, maestri di scrima, ecc.
A lui certo allude Luigi Riccoboni (op. cit., cap. VII), quando dice che Zaccagnino e Truffaldino chiusero la porta in Italia ai buoni Arlecchini.