(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [C]. I COMICI ITALIANI — article » pp. 644-646
/ 335
(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [C]. I COMICI ITALIANI — article » pp. 644-646

Cenzo (De) Gaspare, nato a Napoli il 1800 da gente di piccola borghesia, recitò sotto la maschera di Pulcinella, esordendo a diciott’anni nel Teatrino di Donna Marianna. « Al 1820 – trascrivo dal Di Giacomo – Gaspare de Cenzo fu chiamato al San Carlino da Silvio Maria Luzi. Vi rimase un anno, poi emigrò a Roma ; e di là tornato in patria prese scrittura al teatro Partenope. Finì per mettersi in giro per le provincie, direttore d’una compagnia infantile. Morì verso il 1875. »

Egli ebbe una figlia, Silvia, che col marito Giuseppe Crispo, amoroso, apparteneva il ’48 alla compagnia del S. Carlino rinnovata dal Luzi.

Ceresa Giovanni. Milanese, uno de’più forti artisti moderni per le parti di primo attore, cominciò nel 1867 a gittar la solida base del monumento ch’ei si sarebbe alzato più tardi, in Compagnia di Luigi Pezzana al fianco di Adelina Marchi, dopo di essere stato con Evaristo De Ogna, Michele Sivori e Michele Paone, impresario del Fondo di Napoli.

Il Giorgio Gandi, la Celeste, la Marcellina, il Michelangelo e Rolla, il Romanzo d’un giovane povero, eran altrettante creazioni. Passato dalla Compagnia Pezzana qual primo attore assoluto in quella della Sadowski, diretta da Cesare Rossi con la Campi prima attrice, potè sviluppar maggiormente il suo genio artistico, e mostrar quanto alto egli avrebbe potuto salire. Lasciò la Compagnia Sadowski per entrar in quella di Luigi Bellotti-Bon, dalla quale fu strappato per rammollimento cerebrale che dopo vario tempo di vita ebete lo spense a Milano sua patria, in una casa di salute, il 18 febbraio 1884, a ore 3 di mattina. Non vi fu compagno d’arte che nel limite de’suoi mezzi non cercasse di addolcirgli la lunga agonia.

La domenica 24 dicembre dell’ ’82, la Compagnia di Francesco Pasta chiuse il corso delle sue recite al Teatro Manzoni di Milano con una commovente solennità artistica a favore del povero Ceresa, al quale pervenner oltre duemila lire. In quella sera Felice Cavallotti improvvisava durante lo spettacolo un’ode che lesse l’Annetta Campi-Piatti, prima attrice della Compagnia, e che trascrivo qui, perchè mirabilmente compendia in poche strofe l’arte veramente grande di Giovanni Ceresa.

Sul letto di lunghi dolori
sta il pallido artista sognando ;
passeggia fra ignoti bagliori
dai vivi lo spirito in bando :
E mentre le strofe dei canti
sommesso parlando gli van,
gli passan, gli passano avanti
le larve di un giorno lontan !…
« Timandra ! che fuggi ? che temi ?
Oh lascia che infuriino l’ire !
Ancora alle fide triremi
vuol teco Alcibiade venire !
Si dolce, si bello è il tuo viso !
Oh piombi di Grecia il furor,
se mite mi doni un sorriso
s’io bacio la chioma tua d’or ! »
E dolce la bionda figura
nel sogno sorrider gli pare ;
poi lieve via via nell’oscura
tenèbra dilegua, scompare….
Ma in aria invisibili canti
pur sempre parlando gli van
e passan, ripassano avanti
le larve d’un giorno lontan !
« Cleopatra ! Superba regina !
perchè, perchè fugge la nave ?
oh guarda che immensa ruina
pel lampo d’un guardo soave !
La gloria, l’impero del mondo,
ahi, tutto quest’ora perdè !…
Or meglio morir nel profondo
dei flutti, regina, con te ! »
Sdegnosa tacendo lo guata,
la bella codarda sovrana….
Sui molli guanciali sdrajata
fuggendo pel mar s’allontana….
E mentre dolcissimi canti
dall’onde sorvolano il pian,
al mesto ripassano avanti
le larve di un giorno lontan.
« Oh, no, non morir Margherita !
Armando, il tuo Armando non vedi ?
Disgiunti il destino ci ha in vita….
Ma Armando ritorna a’tuoi piedi….
Mill’anni di vita angosciosa
compensa un istante d’amor !
O mia Margherita riposa
del povero Armando sul cor ! »
Or mentre nell’ occhio fiammante
la pugna del core indovina,
sul labbro del pallido amante
la smorta fanciulla si china….
« Oh Armando ! pei nostri due cori
mai ora più bella non fu !
Mio povero Armando, tu muori….
a viver che resto quassù ?… »

E felice è stata l’ispirazione del poeta di chiuder l’evocazione de’personaggi ne’ quali il Ceresa nitidamente rifulse, con quello di Armando, ch’egli soavissimamente incarnò, e in cui ben pochi ebbe che gli si accostassero. Nè ormai si fermò all’interpretazione del teatro moderno : chè tutti i varj tipi della gamma artistica, dal Fulgenzio di Goldoni all’Amleto di Shakspeare, recitò con egual giustezza di concezione, con egual finitezza di rappresentazione. Quando il 1° dicembre del 1871 si mostrò per la prima volta al rigido Re Vecchio di Milano sotto le spoglie di Kean, fu un grande avvenimento artistico : l’arduo cimento in cui s’era messo l’ardito giovane, fu superato trionfalmente. Era nella voce del Ceresa e nella dizione un fascino potente : forse nella rappresentazione della commedia moderna si sarebbe potuto notare, a rigor di termini, una tal quale volgarità di persona e di volto ;… ma qualsiasi menda rimaneva assorbita da quella dizione limpida e pura, soave nel sentimento, gagliarda nella passione, ma sempre vera, incomparabilmente vera.