(1777) Storia critica de’ teatri antichi et moderni. Libri III. « Libro III — Capo III. Progressi Teatrali in Francia tardi, ma grandi nel medesimo Secolo XVII. » pp. 291-315
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(1777) Storia critica de’ teatri antichi et moderni. Libri III. « Libro III — Capo III. Progressi Teatrali in Francia tardi, ma grandi nel medesimo Secolo XVII. » pp. 291-315

Capo III.
Progressi Teatrali in Francia tardi, ma grandi nel medesimo Secolo XVII.

Sino al 1640 in circa si mantenne il teatro in Francia sul sistema delle farse di Hardy184. Tragedie insipide e basse, commedie grossolane, tragicommedie stravaganti, innumerabili, tutto pieno di sconcezze e oscenità. Nel teatro inglese non si vede nulla di peggiore della scena di Panfilo e Nifa che trovasi nella Celiana di Rotrou. L’istessa tragedia della Sofonisba di Mairet non va esente dalle soverchie dimestichezze degli amanti. Ryer compose una tragedia di Lucrezia, non conoscendosi allora in Francia a qual segno sia indecente e intollerabile sulle Scene quest’argomento. Una deflorazione rappresenta ancora la Crisanta di Rotrou. Quanto alle regole, erano neglette o ignorate in Francia. Corneille medesimo nel 1634 diceva nella prefazione della Vedova, ch’egli ne si voleva soggettare alla severità delle regole, né volea usar di tutta la libertà ordinaria del teatro francese. Un tal Durval nel 1636 le metteva affatto in ridicolo. Non so adunque, perché Lope de Vega, che mori nel 1635, al pari della censura d’Italia, per non aver osservato le regole, temeva quella della Francia, la quale avea allora un teatro tanto sregolato, quanto lo spagnuolo e ’l cinese, e inferiore di gran lunga a’ componimenti di Lope per invenzione, ingegno, nobiltà, e decenza.

Si segnalarono in tal periodo Mairet, Rotrou, Scudery, Ryer, Tristan, e Corneille. Ma quell’ultimo fin dal 1625 colla Melite andava prendendo superiorità sui contemporanei. Le sue prime sette commedie, benché difettose, promettevano un grand’ingegno nascente, il quale cominciò dal purgar le scene dell’indecenze, e terminò con diventarne il padre e ’l maestro.

Soccorso poi da Seneca, fece colla Medea un saggio delle sue forze, e spiegò il volo verso il tragico più sublime, fino a quel punto sconosciuto in Francia. E ad instigazione di M. Chalon, che l’incoraggiò a legger le commedie spagnole, sui due Cid di don Juan Bautista Diamante, e di Guillén de Castro185 compose la sua nota tragedia di questo nome, tradotta in tante lingue, ricevuta in Francia con applauso universale, censurata da Scudery e dall’Accademia Francese, e invidiata dal maggior politico de’ suoi tempi, ambizioso della gloria poetica.

La parte che avea il cardinal de Richelieu a qualche componimento teatrale, i piani che ne distribuiva a Desmaret, Boisrobert, Colletet, ed altri, i soccorsi che ne tiravano tanti letterati, la guerra ch’egli faceva al Cid, e i benefici che in ricompensa versava sull’autore, tutto contribuì a fomentare e raffinar il gusto per gli spettacoli. L’autore del Cid, perseguitato e premiato, si vide ugualmente spinto dalle critiche e da’ benefici ad elevare sempre più il suo ingegno e fulminar i pedanti e criticastri cogli Orazi, col Cinna, e col Poliuto. In quel fiero e nobile «Qu’il mourut» del vecchio Orazio sfolgoreggia una sublimità incomparabile. Cinna é una tragedia perfetta. N’é eccellente la scena, in cui Augusto chiede sull’abdicazione dell’Imperio il parere di que’ medesimi cortigiani che stan congiurando contra di lui. Nobili e patetiche son le querele di Augusto:

Tu t’en souviens, Cinna, tant d’heure et tant de gloire
Ne peuvent pas sitôt sortir de ta mémoire.
Mais ce qu’on ne pourroit jamais s’imaginer,
Cinna, tu t’en souviens et veux m’assassiner!

Degni d’un eroe sono i versi dell’ultima scena:

Je suis maître de moi comme de l’univers,
Je le suis, je veux l’être. Ô siècles, ô mémoire!
Conservez à jamais ma dernière victoire.
Soyons amis, Cinna, c’est moi qui t’en convie.

Divino poi é il pennello che ha colorita la virtuosa e sensibile Paolina, e l’appassionato e nobile Severo nel Poliuto. Che idea ammirabile ci dà ancora del gran Pompeo in questo verso,

Il fuit le monde entier écrasé sous sa chute!

e che immagine sublime presenta in quest’altro squarcio:

……………………… Il s’avance au trépas
Avec le même front qu’il donnait des États!

Rodoguna, Ottone, e Attila, son tragedie degne ancora del gran Corneille. Teodora, Eraclio, imitato dall’Eraclio di Calderòn, Pertarite, Don Sancio, Andromeda, Nicomede, Agesilao, Pulcheria, e Berenice piombarono in teatro, e i poderi non ne hanno ristabilito il credito. Edipo, Sertorio, Sofonisba, e Surena rappresentata nel 1675, quando Corneille rinunziò da buon senno al teatro, sono degne della vecchiezza d’un grand’uomo186. Non per tanto questo padre e legislatore del teatro francese, che morì, nel 1684, ha pur troppo pagato il tributo al gusto delle arguzie viziose, dominante sotto il regno di Luigi XIII, e nel principio di quello di Luigi XIV, siccome hanno osservato gl’italiani187 non meno

che i medesimi francesi. Troppo abbonda di dialoghi romanzeschi, di monologhi ristucchevoli, di pensieri che oltrepassano i confini del sublime e cadono nella durezza di certo parlare soverchio ricercato e strano188. Oltracciò egli invece di esprimer ne’ suoi amanti il carattere dell’amore, ha dipinto in essi il suo proprio carattere, e gli ha quasi sempre trasformati in avvocati, in sofisti, qualche volta in teologi189. In ammirando i grand’ingegni, in rispettando i loro lavori immortali, guardiamoci d’incensarne le debolezze190.

Nel 1666 quando si rappresentò l’Agesilao di Corneille, uscì l’Alessandro di Racine, nobile e giovane poeta, donde cominciò un genere tragico quasi novello. Nelle tragedie di Corneille grandeggia la virtù, e l’eroismo vi si maneggia con una sublimità che riscuote ammirazione: in quelle di Racine trionfa un amor tenero, semplice, vero, vivace, men proprio alla tragedia, ma più capace di commuovere. Un pennello felice, e diligente vi ritrae al vivo con maestria certi tratti delicati, di cui si trova l’immagine in tutte l’anime sensibili. La gioventù, e spezialmente le donne, parlando in generale, intendono poco, e non prendono parte gran fatto nelle vedute politiche d’un tiranno, nell’ambizione d’un conquistatore, nel patriotismo d’un eroe romano; ma favelleranno con conoscimento e passione di ciò che rassomiglia a quel che sentono nel proprio cuore. Ogni giovanetta posta nelle circostanze d’Ermione vi saprà far le medesime richieste:

Mais as-tu bien, Cléone, observé son visage?
Goûte-t-il des plaisirs tranquilles et parfaits?
N’a-t-il point détourné ses yeux vers le palais?
Dis- moi, ne t’es tu point presentée à sa vue?
L’ingrat a-t-il rougi, lorsqu’il t’a reconnue?
Son trouble avoue-t-il son infidélité?
A-t-il jusqu’à la fin soutenu sa fierté?

Tutte son capaci del dolor di Berenice, e della sorgente delle di lei riflessioni:

Je n’écoute plus rien, et pour jamais adieu…
Pour jamais!… Ah Seigneur, songez-vous en vous même
Combien ce mot cruel est affreux quand on aime?

Ciò sarebbe bastato alle tragedie di Racine per aver ogni felice successo, spezialmente nella corte di Luigi XIV che respirava per tutto amoreggiamenti anco in mezzo alle spedizioni militari. Ma Racine vi accoppiò una versificazione mirabilmente dolce, fluida, e armoniosa, leggiadria e nobiltà di stile, e un eleganza sempre uguale, ch’é la divisa che sa distinguere i poeti grandi da tutto il resto191. Tralle di lui vaghissime tragedie senza dubbio più giudiziosamente combinate, meglio graduate, e più perfette di quelle di Corneille, trionfano, a mio credere, l’Ifigenia rappresentata nel 1675, l’Atalia nel 1691, il Britannico nel 1670, e la Fedra nel 1677, la quale contenderebbe a qualunque il primo posto senza il freddo e inutile innamoramento d’Ippolito e Aricia.

Bandiremo adunque (dirà taluno) l’amor dalle tragedie? Degrada dunque tal passione il teatro tragico francese? Io non so per qual gotica stranezza di gusto i critici pedanti rendono problematiche le verità più manifeste. L’amore é una delle passioni umane, più attive, e può al pari d’ogni altra adoperarsi a eccitar terrore e compassione per corregger l’uomo. Chi può dubitarne? Muovasi un Polifonte per ambizione all’esterminio della famiglia di un re legittimo, o apporti un Paride per la bellezza d’un Elena le fiamme nella sua patria, un ingegno grande farà servir l’uno e l’altro affetto per destar commozioni proprie della tragedia. Ma quel Polifonte e quel Paride si convertono in petits-maîtres puramente francesi, saranno pretti personaggi comici. L’amore, perché sia tragico, dee esser forte, disperato, funesto, dominante: se é subalterno, mediocre, episodico, allora é ciò che i Francesi chiamano galanterie famigliare192. Ippolito innamorato d’Aricia nulla ha di tragico; ma Fedra innamorata d’Ippolito figliuol di suo marito perturba ed atterrisce. Ében tragica la situazione di Fedra:

………………………………… Je sais mes perfidies,
Oenone, et je ne suis point de ces femmes hardies
Qui, goûtant dans le crime une tranquille paix
Ont su se faire un front qui ne rougit jamais.
Je connais mes fureurs, je les rappelle toutes.
Il me semble déjà, que ces murs, que ces voûtes
Vont prendre la parole, et prêts à m’accuser
Attendent mon époux pour le désabuser!
Mourons.

E nell’atto IV.

Moi jalouse? Et Thesée est celui que j’implore?
Mon époux est vivant, et moi je brûle encore?
Pour qui? Quel est le cœur où prétendent mes vœux?
Chaque mot sur mon front fait dresser mes cheveux!

Tragico é lo stato di Torrismondo, e disperato il suo amore:

………………………………… Ove ch’io volga
Gli occhi, o giri la mente e ’l mio pensiero,
L’atto che ricoprì l’oscura notte,
Mi s’appresenta, e parmi in chiara luce
A tutti gli occhi de’ mortali esposto.
Ivi mi s’offre in spaventosa faccia
Il mio tradito amico: odo le accuse ec.

Al contrario sparisce ogni idea tragica in Corneille, allorché Cesare dice, ch’egli ha combattuto con Pompeo ne’ campi di Farfuglia per gli belli occhi di madama Cleopatra. Qui si dilegua l’immagine dell’eroe romano, e vi resta quella d’un marchesino francese. Si perde nel medesimo poeta l’idea di Sertorio gran capitano e gran politico, e vi si trova un vecchio visconte o colonnello innamorato193. La Sofonisba di Mairet anco per testimonio di Saint-Evremond194, ci nasconde affatto la figliuola di Asdrubale, e ci manifesta una coquette ordinaria. Nulla più lontano dal vincitor di Dario e dalla gravità tragica che l’Alessandro di Racine195. L’Oreste da lui dipinto, che costò la vita al commediante Montfleury, é inferiore all’Oreste degli antichi tragici, e fu a ragione criticato da’ francesi stessi. Nel suo Mitridate, a riserba del nome, non si trovi altro di quell’irreconciliabil nemico de’ romani, e non é che un barbaro innamorato che si vale d’una astuzia comica per iscoprir gli affetti di Monima. Ma senza tali cose da non imitarsi, né approvarsi, Racine che conoscea sì bene i greci, studiava l’uomo, e si esprimeva con inimitabil nobiltà, leggiadria, ed eleganza, che mai avrebbe lasciato alla gloria della posterità? Così in Francia pose il suo seggio una tragedia forse inferiore alla greca per economia, semplicità, naturalezza e apparato, ma certamente da ella assai diversa, e forse più nobile per i costumi, e fondata su di un principio novello. I greci che nella poesia ravvisarono l’amore per l’aspetto del piacere de’ sensi, non l’ammisero nella tragedia, reputandolo fuor di dubbio ad essa non conveniente. I moderni, scortati dal Petrarca, attinsero nella filosofia platonica un’idea più nobile dell’amore, e ne arricchirono la poesia, e quindi così purificato passò sul teatro. Fu Racine il primo a introdurlo nella tragedia con tutta decenze e delicatezza, e la francese ne acquistò un carattere tutto suo. La francese adunque e la greca tragedia nel medesimo genere ci presentano due spezie sì differenti, che giudicar dell’una col rapportarla all’altra é veder le cose abbagliate, quali si veggono d’alto mare le terre che sembrano un gruppo di fosche azzurre nuvolette.

Mentre quelli due grand’ingegni portavano a tal eccellenza la poesia tragica, non mancarono altri che pur la coltivarono con applauso. Nell’istesso inverno che si rappresentò il Cid, comparve la celebre Marianna di Tristan, nella quale declamò con tal vigore il commediante Mondori che vi perdé la vita. Essa continuò a rappresentarsi sulle scene francesi per lo spazio dipiù di cento anni196. Il giovane Corneille scrisse ancora qualche tragedia applaudita, e ’l suo Timocrate (componimento per altro cattivo e mal verseggiato) fu richiesto tante volte dal pubblico, che i commedianti infastiditi dovettero pregarlo di permetter loro finalmente di rappresentar altre cose197. Dopo ciò e simili altri esempi chi fonderà il giudizio delle opere teatrali sugli applausi popolari e sulla lor durata ne’ pubblici teatri? Riouperoux autor dell’Ipermnestra, Campistron, dell’Andronico e del Tiridate, La-Mothe, della Inés de Castro, e La-Fosse, del Manlio Capitolino e della Polissena, furono buoni tragici, benché inferiori d’assai alla sublimità di Corneille, alla delicatezza ed eleganza di Racine. Duché, aiutante di camera di Luigi XIV, compose alcune tragedie sacre pel teatro della sala di madama de Maintenon, dove rappresentava la duchessa di Borgogna e ’l duca d’Orleans col famoso commediante Baron. L’abate Genêt ne scrisse altre rapprentate dalla duchessa du Maine colle sue dame.

Pietro Corneille che portò la tragedia francese alla virilità, lasciò la commedia nella fanciullezza. Il suo Mentitore, rappresensato nel 1641, é una giudiziosa traduzione d’una commedia spagnuola. Il gusto di quel tempo correva dietro al viluppo romanzesco, agli avvenimenti notturni, errori di nomi, travestimenti, e lettere intercettate e perché spiccano in questo genere le commedie spagnuole, Scarron, Boisrobert, Desmaret, Tommaso Corneille, ed altri, ne tradussero un buon numero. Ma la dipintura dilicata de’ costumi attendeva il celebre Molière, cui la gloria riserbava il titolo di Padre della buona commedia francese.

Dopo le guerre civili che durarono fino al 1652, cominciò Molière a girar colla sua compagnia comica per le provincie, e nel 1653 rappresentò in Lione, indi in Beziers, Grenoble, e Roano sino all’età del 1658, con general applauso lo Stordito, il Dispetto Amoroso, ed alcune farse piacevoli, benché irregolari, di cui ci restano i soli nomi. Nell’Autunno del medesimo anno la sua compagnia rappresentò in Parigi la tragedia di Nicomede in presenza della corte, e ’l Dottore Innamorato, una delle farse di Molière, e ’l Re le permise di stabilirvisi, e rappresentar alternativamente al Teatro del Piccolo-Borbone colla compagnia italiana.

Il modo di rappresentare, l’arte di cattivarsi la benevolenza del pubblico, il favor di Luigi XIV, e i capi d’opera che andava producendo, resero famoso Molière. Nacque nel 1620 con disposizioni naturali alla rappresentazione comica più che alla seria. Da che vide il Teatro di Borgogna manifestò un’inclinazione potente verso gli spettacoli scenici. Coltivò i suoi talenti colle lettere, ed ebbe la forte d’ascoltar le lezioni filosofiche di Pietro Gassendi. Studiò poi l’uomo e la sua nazione scorrendo per le provincie, e i cortigiani frequentando Versailles. Accomodò i suoi primi componimenti al gusto dominante per le commedie d’intrigo, ed avendo acquistato credito, si rivolse a cercare il ridicolo ne’ costumi del suo tempo. Seppe dipingere al naturale e proverbiar con grazia le maniere ridicole de’ signorotti, il pedantismo de’ medici, la ciarlataneria degli eruditi, l’affettazione delle donne preziose e letterate, e fin’ anche l’umor brusco e la rusticità de’ virtuosi malinconici. S’arricchì delle spoglie degli antichi e de’ moderni. Trovansi nel Cittadino Gentiluomo, e nel Tartuffo alcune scene tratte dalle Nuvole e dal Pluto d’Aristofane. L’Anfitrione 198 e l’Avaro sono imitazioni di Plauto. I fratelli della Scuola de’ Mariti sono gli Adelfi di Terenzio. Gli accidenti del velo nella medesima Scuola de’ Mariti, e nel Siciliano, il Convitato di Pietra, la Principessa d’Elide, e una parte della Scuola delle Donne, appartengono al teatro spagnuolo. Prese molto dal teatro italiano. Varie scene e astuzie di Scapino e di Sbrigani nel Pourceaugnac son del Porta. Giorgio Dandino viene da una novella del Boccaccio già dall’istesso Porta trattata in una commedia. Il Dispetto Amoroso é traduzione d’una commedia di Niccolò Secco. Il Cornuto Immaginario venne dal Ritratto; gl’Importuni dalle Case Svaligiate; lo Stordito da Arlecchino Servo balordo; e ’l Tartuffo dal Bernagasso, tutte commedie della compagnia italiana199, ed era stato in quell’ultima prevenuto anco dall’Aretino col suo Ipocrito. Quindi risulta il torto evidente di Giambatista Rousseau, il quale affermava che Molière nulla dovea agl’Italiani, a riserba del modo di rappresentar pantomimico di Scaramuccia, e del Cornuto Immaginario, e della commedia del Secco200.

Bisogna però confessare ingenuamente, che Molière abbelliva a meraviglia le altrui invenzioni, e dava loro un brio e un abbigliamento così proprio de’ Francesi e del suo tempo, che gli originali sparivano a fronte delle copie, quando lavorava senza fretta. Niuno al par di lui ha posseduta l’arte di trovare il ridicolo di qualunque cosa, niuno ha meglio copiata la natura, niuno ha innalzata la poesia comica fino al Misantropo, alle Donne Letterate, e al Tartuffo. La poca felicità notata da’ critici negli scioglimenti delle sue favole, qualche passo dato talvolta oltre il verisimile sol per far ridere, alcuna espressione barbara, forzata, o nuova nella lingua, ripresa da Fénélon, La-Bruyere, e Bayle, molte composizioni scritte per necessità con soverchia precipitazione, la mancanza di vivacità che pretendono di osservarvi gl’Inglesi, tutte quelle cose, ancor, ché fossergli con tutta giustizia imputate, dimostrerebbero in lui l’uomo; ma tanti e tanti suoi pregi, fino a quell’ora trovati coll’esperienza inimitabili, lo manifestano grande a segno, che al suo cospetto divengono impercettibili i contemporanei e i successori. Abbiamo veduto il gran Corneille succeduto da Racine, e da altri gran tragici del secolo seguente; ma Molière é ancor solo. Morì nel 1673 in casa sua, nella quale fu trasportato moribondo dal teatro dopo la quarta rappresentazione dell’Ammalato Immaginario:

L’aimable Comédie avec lui terrassée
En vain d’un coup si rude espéra revenir,
Et sur des brodequins ne peut plus se tenir.

Mentre egli fioriva, scrissero molti altri ancora farse e commedie; ma senza arrestarci in Poisson, Montfleury, e Boursault, e ne’ commedianti Hauteroche, Chammesle, Baron, ed altri che ne composero, o prestarono il nome ad autori che non vollero comparire, trarremo dalla folla la Mère Coquette di M. Quinault impressa nel 1664, i Visionari di M. Desmaret, morto nel 1676 e i Litiganti di M. Racine pubblicati nel 1668. M. Regnard, morto nel 1710, si dimostrò il miglior imitatore di Molière nel Giocatore, nel Distratto, e nel Legatario 201. M. Dancourt, morto nel 1725, fu un commediante di mediocre abilità, ma può passare per uno de’ migliori autori. Le sue commedie hanno un dialogo felice e grazioso, e vanno in dieci tomi, benché si vuole, che molte ne pubblicassero alcuni anonimi sotto il di lui nome.

Ricavò la Francia dall’Italia in tal periodo due nuovi spettacoli scenici, la commedia italiana istrionica, e l’opera. Fin dal 1577 vi era comparsa una compagnia di commedianti italiani, intitolati i Gelosi, ma non ebbe sussistenza. Un’altra vi rappresentò fino al 1662, però senza stabilimento fisso. Finalmente una terza compagnia fece più fortuna, e rappresentò alternativamente colla compagnia francese nel Teatro di Borgogna, nel Piccolo Borbone, e nel Palazzo Reale. Ma sette anni dopo la morte di Molière, essendosi unite le due compagnie francesi nel Palazzo di Guénégaud, il Teatro di Borgogna restò interamente alla compagnia italiana fino all’anno 1697, quando il re comandò che si serrasse. Ella per lo più rappresentava le commedie dell’arte ripiene di apparenze, incantesimi, e trasformazioni, nelle quali trionfava il carattere dell’Arlecchino.

L’opera italiana fu introdotta nella corte nel 1647 dal cardinal Mazzarini. Egli fé venir da Firenze una compagnia di cantanti, i quali rappresentarono nel Teatro del Palazzo Reale in presenza del re il dramma intitolato Orfeo ch’era stato posto in musica dallo Zarlino, e rappresentato la prima volta in Venezia. E nel matrimonio di S. M. l’istesso ministro fece rappresentar nel Louvre Ercole Amante, che non piacque a’ Francesi202. L’abate Perrin pensò, che questo spettacolo farebbe meglio ricevuto nella lingua nazionale, e compose un’opera pastorale intitolata Pomona, la quale nel 1659 posta in musica da Cambert, fu ricevuta con applauso universale. Il cardinale la fé rappresentar molte volte in Vincennes in presenza del re. Morto Mazzarini, l’abate non desisté dal progetto di stabilire un’Accademia d’opera francese, e ottenutone nel 1669 il permesso, si associò con Cambert per la musica e col marchese di Surdéac per le decorazioni, e per otto mesi continui nel 1671 fu rappresentata l’opera di Pomona. Ma il sig. di Surdéac sotto pretesto d’aver anticipato molto denaro, s’impadronì del teatro e della cassa, cacciò fuori il Perrin, e si valse della penna di Gilbert, il quale compose le Pene, e i Piaceri d’Amore, seconda opera francese posta pure in musica dal Cambert e rappresentata nel 1671. Quelli furono i principi del teatro lirico francese, il quale da Surdéac passò a Giambatista Lulli Fiorentino, famoso maestro di musica, favorito da Luigi XIV. I drammi furono del grazioso Quinault, già cameriere di Tristan. Quell’ingegno raro portò l’ opera francese, appena nata, all’eccellenza, e i di lui più pregevoli drammi sono Armida, Ati, Alceste, e Teseo. La grazia caratterizza la di lui Musa; ma una grazia che talvolta degenera, e correndo dietro à l’esprit e alle arguzie, si dimentica delle bellezze della natura, e diviene assettata e ridicola. Duché, Campistron, Tommaso Corneille, e Fontenelle si segnalarono fra’ poeti che scrissero con Quinault pel teatro musicale eroico. L’opera comica francese nacque tra gli spettacoli delle fiere di San Germano e San Lorenzo, e ’l primo scrittore fu M. Le-Sage, autore di vari componimenti drammatici, e di romanzi.

Egli é qui da notarli però, che l’opera francese eroica differisce assai dall’italiana oggidì; mercé che ella nacque dalla nostra, qual’era in Venezia e nella Toscana al secolo XVII, quando i nostri drammatici tiravano gli argomenti dalla favola, ed altro oggetto non aveano che di parlare ai sensi con tante macchine e decorazioni. Ma l’opera italiana presente imita le cose sumministrate dalla natura, e gli eroi umani, dopo che vi si sono adoperati i Salvi, gli Stampiglia, gli Zeni, e i Metastasi. Quella dunque oggidì, benché ammetta argomenti più complicati de’ tragici, azioni più rapide, eventi più vari, e decorazioni più pompose, tutta volta cerca di approssimarsi, per quanto può, alla tragedia, né mai si sottrae dall’imitazione della natura, principio universale d’ogni buona poesia. L’opera francese all’incontro tira dal fondo dell’immaginazione un ammasso di miracoli e stravaganze, più mostruoso di quello che i Francesi riprendono nel teatro spagnuolo. Il palazzo del Sole, la regia di Plutone, divinità, furie, silfi, fate, incantatori, trasformazioni, apparenze, edifici alzati e distrutti in un instante, anelli che rendono invisibili le persone, che pur si veggono dallo spettatore, pugnali che vibrati nel seno altrui, danno la morte a chi li vibra, uomini prodigiosi dalla barba turchina ec. sono le ricchezze del teatro lirico francese. Un certo M. de Leyre passato in Italia, non ricordandosi più di ciò che si faceva in Francia, scrivea da Parma in Parigi, che simili cose rappresentate ne’ teatri dell’Arlecchino, alimentavano l’ignoranza e gli errori popolari. Ma le rappresentazioni arlecchinesche sono buffonerie conosciute per tali anco dalla plebe femminile, né vi é pericolo che producano in Italia tale effetto. Ben però un critico dell’umore di M. de Leyre potrebbe con maggior fondamento dubitare che simile sconcezza avvenisse in Francia per le rappresentazioni liriche, nelle quali in istile grave e con tutta la serietà si espongono l’istesse stravaganze che alimentano, secondo la sua frase, l’ignoranza e gli errori popolari. Diceva l’abate le Batteux203, e M. de Marmontel nella Poetica, che la loro rappresentazione lirica é il divino dell’epopea posto in ispettacolo. Ma non dicono ancora i Francesi, facendo un aforismo delle parole di M. de Voltaire204, che i numi della favola, gli eroi invulnerabili, i mostri, le trasformazioni, e tutti gli abbellimenti convenevoli a’ Greci, Romani, e Italiani del XV, e XVI secolo, son proscritti tra’ francesi ancor dall’epopea. Perché dunque con un gusto contraddittorio ammettono tutte quelle cose nella poesia drammatica, dove parlano gli uomini e non il poeta, e dove si rendono incredibili perché smentite da’ sensi? Se questo sistema, al lor credere, non può aver la verità conveniente all’epopea, come l’avrà sulla scena? La maggior parte de’ critici francesi abbonda di grazia e di brio quanto manca di solidezza; essi dovrebbero essere ragionatori più conseguenti, o più ingenui. Il solo M. Diderot ha conosciuto in Francia l’assurdità del teatro lirico, e ha deplorato il grand’ingegno di Quinault impiegato in un genere cattivo205. S’egli sarà ascoltato, un giorno i Francesi ravveduti imiteranno l’opera italiana, o non avranno più teatro lirico.

Tralle arti sceniche migliorate in Francia in questo periodo, conviene registrar la danza. I balletti vi si trovano trasportati pur dall’Italia fin dal secolo passato. Baltassarino, colà chiamato Beaujoyeux, uno de’ migliori violini italiani, mandato dal marescial di Brisac alla regina Caterina de’ Medici, la quale lo fece suo valletto di camera, vi avea introdotti i balletti comici. Uno ne fece nelle nozze del duca di Joyeuse e di madamigella di Vaudemont, aiutato nella musica da Beaulieu e da Salmon, e ne’ versi da Chesnaye, il quale li ballò nel 1582206. Questi balletti furono migliorati nel principio del secolo, di cui stiamo parlando, dal Rinuccini che seguì Maria de’ Medici. Non erano di gusto molto dilicato quelli che diede poi il cardinal de Richelieu. Luigi XIII danzò una volta nel 1625 in un balletto, che non prometteva la delicatezza che di poi acquistò in Francia la danza. Nell’adolescenza di Luigi XIV erano di moda sarabande, correnti, pavane, follie, e altre danze spagnuole. Questo monarca ballò in pubblico nell’opera italiana dell’Ercole amante insieme colla regina; e di poi la varie commedie-balletti di Molière coi principali personaggi della sua corte e cogli attori e ballerini fino al 1670 trentesimo secondo dell’età sua, quando scosso da alcuni versi del Britannico di Racine207, si astenne di ballar più in teatro. Il genio del monarca e la coltura del secolo incamminarono il ballo verso la perfezione, in cui oggigiorno é pervenuto. Sotto di lui erano stimati per ballerini eccellenti Chicanneau, Noblet, Saint-André, Magnus ec.