Lavaggi Gaspare. Nacque il dì d’Ognissanti del 1849 a Milano, da Giuseppe, cuoco, e da Caterina Checchi. Studiò ben poco agl’ Ignorantelli, poi, giovinetto, fu messo in uno studio d’avvocato, che abbandonò all’insaputa dei parenti per recarsi a recitare in una Compagnia Raspini al Teatro Stadera. Vagò per alcun tempo in accozzaglie di commedianti dell’ infima specie, finchè, udito da Bellotti-Bon, fu da lui scritturato, passando in breve al ruolo assoluto di primo attore giovine, in cui per l’ardore della passione e per la spontaneità non ebbe mai chi gli stesse a fronte. Con Giacinta Pezzana, Cesare Rossi, Bellotti-Bon, Annetta Campi, fu tra'primi ornamenti di quella gran compagnia, che, sbocconcellata di poi, segnò il primo passo della rovina di Bellotti. Da quello sbocconcellamento nacque la società di Pia Marchi, Francesco Ciotti e Gaspare Lavaggi, che per comica brevità solea chiamarsi la Compagnia Ciotti Lavamarchi. Una compagnia tutta freschezza, tutta passione, tutta vita, che fu per più anni la diletta dal pubblico. Lavaggi fece poi società con Zerri ; poi, sposatosi a Giuseppina Boccomini, diventò capocomico solo, con varia fortuna. Scritturatosi colla moglie nella Compagnia di Alamanno Morelli, si recò in America, dove (1881), un colpo d’apoplessia, prostrò d’un tratto quella fibra gagliarda d’artista, che, moribondo, sorretto dalla compagna sua, volle subito essere restituito in patria. Recuperata una parte delle perdute forze, si riebbe così da poter riapparire con la moglie alla luce della ribalta ; ma fu un lampo fuggevole, fu l’ultimo guizzo della lampada vicina allo spegnersi. Fermatosi a Livorno, non bastandogli l’animo di restare estraneo a quell’arte in cui visse più anni acclamato, acquistò le Arene Alfieri e Garibaldi, nelle quali scritturava compagnie di varia specie, conservando con l’ avvedutezza e con la operosità a sè e alla famiglia quella vita di agiatezze che s’ era formata col teatro.

Gaspare Lavaggi fu anche uno de'più eleganti attori della nostra scena di prosa, e se ne compiaceva. Quando non era ancor uomo, nè omai più giovinetto, ebbe la brutta e perdonabile vanità di ripudiar suo padre al conspetto dei compagni, per l’altro Lavaggi, fabbricante di fiammiferi, se non erro. Conosciuta il padre la bambinata del figliuolo, volle farsi un ritratto in perfetto costume di cuoco, con la casseruola in una mano e il mestolo nell’altra, e glie ne mandò una copia.
Del valor suo nell’arte molti testimoni abbiamo negl’innumerevoli giornali. A me basti ricordare qui che se taluno dopo di lui potè avere maggior finezza di recitazione, niuno mai lo superò nell’ardore della passione e nella spontaneità. L'Armando della Signora dalle Camelie, il Ferdinando della Celeste, lo Scoronconcolo della Notte a Firenze, e altre parti di varia indole ebbero in lui un interprete indimenticabile. A Roma pe' 'l centenario di Voltaire gli fu coniata una medaglia d’argento, ed ebbe frequenti onori di rime. Morì d’ un cancro alla faccia a Livorno, nel '98, lasciando un figliuolo, Armando, datosi da poco all’ arte, e che promette, dicono, di mostrarsi degno erede della gloria paterna.