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3. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [94.]. DELLA VOLPE, ET DELLA SIMIA. » p. 

PUR dianzi havea ’l Leon de gli animali Tutti per forza conquistato il Regno, E come Re de gli altri un bando fece Gridar, ch’ogni animal, che senza coda Fusse dal suo tener gisse lontano, E in esiglio da lui lontan vivesse Essendo privo de l’honor, che seco Porta la coda, che vergogna asconde. Allhor la Volpe impaurita al suono Del novo editto si metteva in punto D’abbandonar il suo natio paese, Quando la Simia di tal fatto accorta Le disse : o sciocca, a che ti metti in core Di ciò paura, se natura larga Ti fu del dono, ond’a me tanto è scarsa ? […] Conosco troppo il ver, che tu mi dici ; E che quanto a ragion m’affanno a torto. Ma che so io, che ’l Signor nostro altiero Me del numero far di quei non voglia, Che de la coda non han parte alcuna ?     Così ne mostra l’animale astuto, Che chi sotto il Tiran sua vita mena È in gran periglio di sentir la pena Del fallo anchor, che non ha in mente havuto.

4. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [8.]. DEL CORVO E ’L SERPENTE. » p. 128

IL Corvo spinto da la fame il volo Torse verso un Serpente, che tra certi Sassi del mezo giorno al sol dormiva : E fra l’ugne ne ’l prese, e volea trarsi De le sue carni l’importuna fame : Ma quel presto destossi, e raggirando L’ardito capo, che tre lingue vibra, Lo strinse sì col velenoso morso, Che lo traffisse di mortal ferita.     Onde il Corvo sentito esser già preso Da lui, che suo prigione esser credea, Et mancarsi lo spirto adhor adhora, Tra sé medesmo sospirando disse. Misero a che son giunto ? […]     Così spesso n’aviene a l’huom, che intento Tutto al guadagno senza haver rispetto Del mal, che del suo oprar ne senta altrui, Si mette a far ciò che ’l suo cor gli detta : Per che talhor dal suo proprio guadagno Danno gli nasce di tal cura pieno, Che lo conduce a miserabil fine.

5. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [24.]. DEL GAMBERO, E SUO FIGLIUOLO. » p. 322

IL Gambero riprese un giorno il figlio Spinto d’amor de la maniera brutta, Ch’ei tenea nel nuotar sempre a l’indietro : Dicendo, che più bel parea quel corso, Che move ogni animal col capo inanti, Ch’è membro principal di tutto il corpo.     Allhor il figlio, che veduto havea Il padre e tutti i genitori suoi2 Far sempre quello, ond’esso era ripreso, Disse : Padre, se vuoi, ch’io cangi stile, Mostrami prima tu di ciò la via ; Ch’io seguirotti, poi che quella norma Del vero caminar, che più t’aggrada, Appreso havrò dal tuo medesmo esempio : Perch’io non ho veduto, che giamai Habbi tu seguitato altra maniera ; Ond’io mi diedi a far quel, ch’imparai Da te, da gli avi, e da’ fratelli tuoi.     Così devrebbe ogni buon padre sempre Mostrarsi a i figli di virtute esempio, Se vuol, che ’l suo parlar, che li riprende Del vitio appreso, habbia valore e forza Da ritrarli da quello a miglior uso : Ch’è d’autorità spogliato e privo, In mover altri a seguitar virtute Colui, che sta nel vitio immerso sempre. Però devria colui, ch’altri riprende, Esser con l’opre ognihor norma a sé stesso Et con l’essempio de la buona vita Mover in prima, e poi con le parole Gli altri chiamar di quella al bel camino : Ch’a quel si ridurrian più facilmente, Persuadendo più l’opra, che ’l dire.

6. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [21.]. DEL TOPO GIOVINE, ET. la Gatta, e ’l Galletto. » p. 716

UN Topo giovinetto uscì del buco, Ove la madre non prima ch’allhora Lasciato havea dal primo dì ch’ei nacque ; Et incontrossi a caso in un Galletto Et in un Gatto, che tosto che ’l vide S’appiatò cheto in mezo del sentiero Per aspettar il Topo, che pian piano Incontra gli venia per suo diporto : E farne ad uso suo di lui rapina. Ma il picciol Gallo, che lo scorse anch’esso, Corse veloce dibattendo l’ali Verso di quel sol per solazzo e scherzo. […] Io dal timor, ch’ei non mi divorasse, Mi posi in fuga : et ei mai non restossi Di seguitarmi pien di gridi e rabbia Per fin che salvo a te pur mi condussi. […] Sappi, che l’animal, che tanto humile Prima ti parve, e di bontà ripieno, È il più malvaggio, che si trovi in terra, Perfido, iniquo, fiero, discortese, E di tua specie natural nimico : E sol ti si mostrava in vista humano Sol per assicurar tua puritade Di farsegli vicina, onde potesse Dapoi satiar di te sua ingorda fame. […] Dunque non dubitar di quel suo vano Impeto, che ti sembra in vista rio : E temi quel, che di lontan mostrossi Al tuo semplice ardir tutto gentile.

7. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [18.]. DEL SOLE, E BOREA. » p. 46

Vedi quel pellegrin, che di là viene ? Or quel di noi, che più tosto la veste Di dosso gli trarrà, quel sia maggiore De l’altro di valor, e ’l più lodato. […] Così d’accordo cominciò calarsi Verso quel pellegrin soffiando forte Quanto potea da mille parti intorno Per levargli il mantel, che indosso havea. […] Or visto alfin la sua fatica vana Il vento stanco, e in sé più che sicuro, Che ’l Sol, che meno impetuoso fiede, Far non potesse in ciò prova maggiore ; Cessò lasciando a lui di questa impresa La parte, che a ragione a lui toccava. […] La destrezza val più, che viva forza.

8. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [22.]. DEL TORO E DEL MONTONE. » p. 217

FUGGIA veloce il Toro da la vista Del possente Leon, ch’era lontano : E ’l vil Montone, che da lunge il vide Venir correndo e di paura pieno, Credendo fargli ancor maggior paura, In mezo de la via tosto fermossi Chinando il fronte, e le ritorte corna Per cozzar seco. […] O pazzo e vil che sei, Poi che tanta folia tu meco ardisci, Che con un piede sol franger potrei L’ossa tue tutte, e far tue forze vane, S’io mi degnassi di contender teco, Né da cura maggior cacciato io fussi Al corso, che vietarmi indarno tenti. E dicendo così più tra sé stesso, Che fermatosi a quel, che l’aspettava, Senza degnarlo pur d’un guardo solo Ratto fuggendo seguitò suo corso. […]     Così talhora un huom, che poco vaglia, Battaglia move a l’huom di lui più forte, E prende ardir da le miserie note Di far ingiuria al misero, che oppresso È da cura maggiore, onde si vanta Poi vanamente de le proprie forze, Mentre colui, che a maggior cose attende, Senza difesa far nol cura, o stima.

9. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [62.]. DEL CORVO, ET LA VOLPE. » p. 124

Onde l’astuta Volpe, che ’l vedea, Cominciò seco ragionar tessendo A quello in cotal modo un dolce inganno. O che bell’animal vegg’io là suso, Che vago augello di diverse piume, Di mille varii, e bei colori adorno. Dio ti mantenga o generoso uccello ; Ché, pur che ’l canto sol non ti mancasse, Degno saresti a mio giudicio certo D’esser tu sol l’augel del sommo Giove.     Allhor quel sciocco, che sentiva quali Eran le lodi, che colei gli dava, Entrato in speme di quel vano honore, Che gli augurava il suo finto sermone, Per mostrarle c’haveva e voce e canto, Incominciò gracchiar con rauco strido Sì, che dal rostro il cibo in terra cadde. […]     Corvo, fratel, tu certo adorno sei D’ogni alta dote, che d’honor sia degna, Sol de l’ingegno in ogni parte manchi.

10. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [95.]. DEL NIBIO, E DELLO SPARVIERO. » p. 

Onde esponendo sua ragion ciascuno Dinanzi a lei, che decidesse il punto De la difficultà fra loro nata, L’Aquila disse : Orsù fratelli andate A mostrarmi di ciò ragion più chiara Con l’opra del valor, che regna in voi. Che colui, che tornando a me con prova Maggior de le sue forze e del suo grado, Men darà indicio con più degno effetto, Colui da mia sentenza havrà la lode E de la maggioranza, e del valore. Così da lei partiti, ognun si mosse A quel tentar, che più potea sua forza : E dopo breve spatio a lei tornaro Ciascun mostrando a lei la preda fatta. […] Poi che con l’effetto Chiara ciascun di voi fatto m’havete Del valor dubbio, onde pendea la lite, Mia sentenza sarà, che quanto meno De l’altera Colomba il Topo vale, Tanto di nobiltate e di virtute Nibio vagli tu men de lo Sparviero. […]     Così il giusto Signor, che tien in corte Diversa gente al suo servitio ; deve Sol prezzar più colui, che maggior segno Di valor mostra de gli effetti a prova : E non colui, che con sembianze vane Di cose esterior, che ingombran gli occhi, Cerca preporsi alla virtute altrui.

11. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [53.]. D’UN MARITO, CHE CERCAVA AL CON- trario del fiume la moglie affogata. » p. 682

Tal che più d’un, che la fatica vana Scorgea di lui da carità commosso Gli ricordava con parlar cortese, Che per trovarla a la seconda andasse Del corrente liquor, che in giù trahea. Ma quel, che poco tal pensier curava Così rispose : Io non farò già questo : Perché mentre mia Donna in vita resse Fu da l’altrui parer così diversa, Così di voglia sua, così lontana Dal comune voler, così contraria A qual si voglia altrui genio e costume, Che di ragion non è da creder mai, Che natura cangiando hora ch’è morta, Deggia corso tener se non diverso Tutto, o contrario a quel, che l’onda tiene.     Cotal esempio a l’huom discreto insegna Che vitio natural difficilmente Si lascia, ove invecchiato habbia la mente Ostinato voler, che in altri regna. Chi d’alcun vitio ha in sé mostrato eccesso     Fa ch’altri, anchor che spento, il crede in esso.

12. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [41.]. DEL PORCO, ET DEL CANE. » p. 

STUPIDO il Porco disse un giorno al Cane : Non so, caro fratel, perché tu stai Vicin sempre al patron, che spesso spesso Ti batte, e più tu l’accarezzi ognihora : Tal ch’io, che mai da lui non sento offesa, Anzi nutrito son due volte il giorno, Non me ’l posso giamai veder da presso Con cor sicuro, pur temendo quello, Che tu provato ognihor par che non temi.     A questo il Cane, io ti dirò (rispose) Di ciò quella cagion, che il ver m’insegna. […] Quinci avien poi, che seco andando a caccia Mi rendo pronto a mille belle imprese : E mi pasco di starne, e di fagiani, E di mille altri cibi ottimi e rari : Tal che dolce mi sembra ogni percossa, Ch’io da lui sento a mia dottrina darmi ; Perch’utile et honore alfin m’apporta, Ond’ho cagion di starmi a lui vicino : Ma tu bene a ragion fuggirlo dei, Et più quando egli ti nudrisce et pasce Di miglior cibo ; perché allhor s’appressa (Né vorrei dirlo) di tua vita il fine ; Quando egli ha gran piacer, che tu t’ingrassi, Stando in quiete, e in dolce almo riposo Per goder poi de le tue carni un giorno. Utile è il mal, che per buon fin si pate.

13. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [45.]. DELLE FORMICHE, ET LA CICALA. » p. 112373

MENTRE che al Sol nella più algente bruma Givan molte formiche in lunga schiera Portando ad asciugar l’humido grano Fuor de la buca, ove l’havean riposto ; La misera Cicala, che di fame Già si moriva, con preghiere humili Cominciò loro a supplicar soccorso. Il che sentendo una di lor più antica D’anni, e di lunga esperienza dotta Le domandò quel, che l’està passata Ella facesse : e rispondendo quella, Che col batter de l’ali, e ’l mover tuono Dentro a le cartilagini sonanti De l’aureo ventre un’harmonia soave Formar soleva per comun ristoro De gli affannati, e stanchi pellegrini, Che sotto il fiero ardor del Sole estivo Facean passaggio per gli aperti campi.     Allhor colei, che tal risposta intese, Con accorto parlar disse ridendo. Dunque, se allhor così cantar solevi Senza pensar che far devesti il Verno, Hor ballerai per far più bello il giuoco : Il che tanto puoi far più agevolmente, Quanto hai di cibo il ventre hora men carco.     Giovani, voi che de’ vostri anni il fiore Dietro a le vanità perdendo andate, Senza pensar di vostra vita il fine, Aprite a questo esempio, aprite gli occhi : Et imparate con più san discorso, Che v’è mestiero in su la primavera Di vostra età pensar di quella al verno : Se non volete a l’ultima vecchiezza Giunger infermi, e di miseria pieni ; Che l’antico proverbio è cosa vera, La vita il fine, il dì loda la sera.

14. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [73.]. DEL PAVONE, E DEL MERLO. » p. 219

S’ERAN ridutti a general conciglio Gli augelli tutti per crear tra loro Un novo Re, che la custodia havesse De gli altri, e sopra lor dominio e regno. […]     Pensi tu forse, che del regno il peso, Che tanto importa, sostener si possa Da la vaghezza esterior del manto Più, che da la virtù d’un saggio core, E da le forze d’un ardito petto ? […] Cedi, misero, cedi a un altro il peso Di tanto grado, che di te più forte Possa più degnamente in sorte haverlo, Con sicurezza di noi tutti insieme, E de la vita, e del tuo proprio honore. […]     Così far si devria da quei, che danno Altrui la cura de l’human governo, La salute de’ popoli, e de’ regni Sol commettendo in man di quei, che sanno E posson con valor regger altrui, E sostener di tanta impresa il pondo : Lasciando lo splendor de le ricchezze, E tutte l’altre esterior grandezze, Che siano in quei, che senza ingegno od arte Mal pon regger sé stessi, e peggio altrui. […] Esser dee quel, che regge, e saggio, e forte.

15. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [89.]. DEL LEONE INNAMORATO, E DEL CONTADINO. » p. 222

che tratti di bocca i fieri denti, E l’ugne delle zampe acute e forti, Perché sicuri siam per sempre poi, Che tu non voglia, o possa farne oltraggio : E vivrem teco poi lieti e sicuri, E tu ti goderai con dolce pace L’amata sposa a le tue voglie pronta.     Udito ciò il Leon, benché assai dura Cotal condition pur le paresse, Ma forse ragionevole, concluse Alfin tra sé di voler prima i denti Perder, e l’ugne, che star vivo senza Colei, che più, che ’l viver proprio amava. Et così contentò che ’l Contadino Di sua man propria gli trahesse allhora Ad uno ad uno i denti, e l’ugne tutte : E poi gli chiese la bramata sposa. […]     La favola in virtù saggia ammonisce L’huom forte, che con altri accordo brama, A non lasciarsi tor l’armi di mano, Od altra cosa, onde sua forza penda : Perché puote avenir, che ’l suo nimico Vedendolo del tutto inerme e privo Di quel, che contra lui possente il rese, Cangi pensiero di fermar la pace ; E con guerra mortal gli mova assalto, E lo conduca a l’ultima ruina, Senza poter haver da lui contrasto. L’huomo, che brama col nimico pace,     Non lasci mai quel, che lo rende audace.

16. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [87.]. DEL CIGNO, E DELLA CICOGNA. » p. 95

La Cicogna, che in riva al fiume stava, In ch’ei lavar solea le bianche piume, Se gli fa incontra, e la cagion li chiede Del suo cantar poi ch’è vicino a morte, Che per natura ogni animal paventa, E pianger suol pur a pensarvi il giorno, Ch’ella sia per venir, benché lontana. […] Io canto di mia vita il giusto fine, Che di necessità Natura impone A tutti madre, e gran dispensatrice E del ben e del mal, come la sorte Di ciascun brama, e con ragion richiede : Io canto le miserie mie passate : Io canto appresso la futura pace, E l’eterno riposo, onde la vita È priva sempre, e da continue cure Di procacciarsi con fatica il vitto Sempre si sente in gran travaglio e pena : Et mi rallegro, che, giungendo al fine Di questo viver, giungo al fine anchora Di tanti affanni, et son per sentir sempre Nel sen de la natura de le cose, Che sono al mondo in qual si voglia o forma O stato variate dal primiero Sembiante, in ch’elle havean sostanza e vita, Quiete dolce e sempiterna pace. Ché, se ben quello io non sarò, che adesso Mi sento, onde potria dir forse alcuno Ch’io non sia per sentir mai mal né bene ; Io, che cangiato havrò sorte e figura, In quel vivrò, che mi darà fortuna Viver con quel vigor, che da me vita Trarrà sotto altra forma in mezo al grande Fascio de gli elementi in qual si voglia Di lor che ’l corpo estinto si risolva, O forse altro animal, che da lui n’esca Per gran virtù de le celesti sfere, Che danno al tutto ognihor principio e fine. […]     Così devrebbe contentarsi ognuno De la sua sorte, e de la legge eterna, Che Natura, e di Dio la voglia impone Con egual peso a gli animali tutti : E la morte abbracciar con lieto volto Come la vita si tien dolce e cara, Essendo il fin d’ogni miseria humana La morte, e questa vita un rio viaggio ; Dal qual l’huom dee bramar ridursi al porto De la tranquillità de l’altra vita Qual si voglia, che sia per esser poi, Poi che nulla di noi perder si puote, Che non vivi nel sen de la Natura Come a Dio piace ; al cui voler ognuno Dee star contento, e far legge a sé stesso De la ragion, che dal suo santo senno Con dotto mezzo a noi discende e piove. […] Se viver lieto eternamente vuoi     Non temer quel, che tu fuggir non puoi.

17. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [52.]. DELL’ASINO, LA SIMIA, ET LA TALPA. » p. 

L’ASINO si dolea che l’ampia fronte Non havea, come il Bue, di corne armata ; Né la Simia facea minor lamento Di non haver la coda, onde coprisse Le parti, che modestia asconder suole. Tal che sentito allhor la cieca Talpa D’ambodue la querela, e ’l rio cordoglio Lor si fé incontra, e tai parole mosse.     Deh perché fate invan tante querele Voi, che per altro pur felici sete ? […]     Dunque colui, che sé misero crede, Stia ne gli affanni suoi costante e forte ; E nel voler di Dio paghi sua sorte De l’affanno maggior, che in altri vede.

18. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [40.]. DEL CERVO, E ’L CAVALLO, E L’HUOMO. » p. 269

E tanto un giorno in lor crebbe il dispetto, L’odio e la rabbia, che con pugna horrenda Vennero insieme a discoperta guerra. […] Ond’ei, che disegnato Gran tempo haveva di soggetto farsi Quell’animal per li servigi suoi, Tosto pronto s’offerse in sua difesa : Ma disse ; che, se ben d’ingegno e forza Era bastante a superar il Cervo Quando quel si fermasse a la battaglia : Pur, quando ei si fuggisse, esso non era Possente di seguir sì lieve corso : Però mistier facea, ch’egli in sul dorso Là nel portasse, ove trovando il Cervo Non li giovasse la veloce fuga : Et ch’a bisogno tal egli devea Lasciarsi por da lui la sella, e ’l freno, D’accomodarsi seco, e dargli il modo D’intender la sua voglia ove il bisogno Cercasse, ch’ei per lui volgesse il piede. […]     Ma l’huom, che già l’havea nelle sue mani, E poteva domar a modo suo De le forze di lui l’alto valore, Disse : Che, s’egli in suo servitio havea Tanto sudato, che vittorioso Fatto l’havea del suo fiero nimico ; Era ben degno ancor, ch’esso il servisse Per qualche giorno in alcun suo bisogno, E che non intendea per modo alcuno Lasciarlo andar senza pagargli il costo Di sue fatiche, e nel ritenne a forza Sì, ch’ei rimase eternamente servo.     Così talhora un huomo, ch’è men forte Del suo nimico, e che soccorso chiede Ad huom, che più del suo nimico vale, Dopo le sue vittorie alfin rimane De la sua propria libertà perdente : Che quel, che vinto ha il suo nimico, ch’era Di lui più forte, assai più facilmente Può vincer lui, di cui già possessore Si sente, e haver tutte le forze in mano ; Né vuol haver per altri indarno speso Il valor proprio : ché raro si trova Chi per un altro il suo metta a periglio, Senza speranza di guadagno haverne. Forza, che d’altrui pende, è vinta e serva.

19. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [36.]. DELLA TESTUGGINE, ET L’AQUILA. » p. 230

LA Testuggine un dì vistosi presso L’Aquila, che dal cielo era allhor scesa, Per riposarsi sopra il verde piano, Venne in gran voglia di poter volare Per provar quel piacer, c’haver pensava Gli augelli di passar per l’aere a volo. […]     Il generoso augel, che non volea Al suo sciocco pensier dar argomento Di sua ruina, con parlar benigno Cercò ritrarla da quel van disio Mostrandole il pericolo imminente, Che deveva sortir sì vana impresa. Ma non valse ragion, che s’adducesse, Per torla giù di quel cieco desio, Che ’l lume di ragion cacciava al fondo ; Sì che costretta da un pregar noioso L’Aquila alfin per contentarla prese Quella su ’l dorso fra gli adunchi artigli ; E quanto pote alto levossi a volo. […]     La Testuggine allhor, che affatto cieca Resa era già dal suo folle appetito, Le rispose bramarlo oltra ogni stima ; E che pensava haver appresa a pieno Del volar l’arte dal camin già fatto Fra l’ugne sue ; sì che lasciarla tosto Ella devesse andar per l’aria a nuoto. […] Così la miserella, che non have L’ali leggiere, onde sostenga il peso Del debil corpo suo terreno e grave, Sottosopra voltandosi alfin cadde Precipitosa sopra un duro sasso ; E schiacciata finì la vita e ’l volo.

20. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [9.]. DEL CANE. » p. 133

PASSANDO un’acqua il Cane con un pezzo     Di carne in bocca, che trovò per via,     Vide nell’onda, ch’era posta al rezzo,     L’ombra maggior di quella, ch’egli havia :     Et disse. Poi ch’est’altro è un più bel pezzo     Certo, et maggiore che non è la mia,     Questa voglio lasciar, e quella prendere,     Che mi potrà più satio e lieto rendere. Così lascia la sua cader nell’onda,     E volendo pigliar l’altra maggiore,     Vede, che mentre questa si profonda,     Sparisce quella nel turbato humore :     E pargli che la sua quell’altra asconda     Sott’acqua sì, che non può trarla fuore :     S’accorge alfin, che la vana sembianza     De la sua l’havea posto in tal speranza.

21. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [82.]. DEL LEONE, ET LE RANE. » p. 141

SENTÌ ’l Leon gridar verso la sera Dentro un fosso lontan da la sua tana Immensa copia di loquaci Rane Con tal romor, che rimbombava intorno Il vicin bosco, e le campagne tutte, E stimando che qualche horribil mostro, Che novo habitator di quelle selve Fatto si fosse, disfidar volesse Le paesane belve a cruda guerra Per farsi ei sol Signor di quei confini, Uscì de la spelonca immantenente Cercando al suon, che gli feria l’orecchie, Con generoso core e d’ardir pieno Del suo sospetto la cagion fallace. Ma poi ch’ei fu da quel condotto in parte, Ove scoperse l’importuna schiera De i piccioli animai, che ’l gran romore Formar potean con l’insolente grido, Stupido tutto alfin ritenne il passo : E del suo proprio error tra sé si rise : E fatto accorto da l’inteso effetto Dal suo sospetto van, disse in suo core. […]     Così spesso l’huom vil la lingua move Con gran bravura, e porge altrui spavento Senza vera cagion ; ché tanto offende, Quanto ferisce de la voce il suono : Né più oltra può far di quel, che ’l vento Opra, che le parole in aria sparge.     Dunque stimar non dee l’huom saggio e forte L’inutil suon de le parole vane ; Ma il cor, che tace ; e da gli effetti solo Donar fomento a le sue imprese suole. Perché colui, che di valore è ricco, Non suol dal van parlare acquistar merto.

22. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [26.]. DELLA CANNA, ET L’OLIVA. » p. 70

Io, che con forze estreme     Sostener soglio ogni importante offesa,     Sarò minor di te, putrida e vile,     Che non hai pianta a tua viltà simile ? Io l’oltraggio de’ venti, e le tempeste     Sostegno ognihor co’ miei nervosi rami :      Tu, pur che minima aura in te si deste,     Batti il terren co i crin languidi e grami.     Cede qual vinta allhor la canna a queste     Parole, e par che non risponder brami     Fin che ’l tempo non venga, onde sicura     Risponder possa a tanta sua pressura. […] Ma quel, che pur non può piegarla al piano,     Da radice la sveglie, e a terra caccia. […] L’humil, che cede al suo maggior, ventura     Miglior s’acquista, e lungamente dura.

23. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — A I LETTORI. DEL PADRE, E DEL FIGLIUOLO, che menavan l’asino. » p. 721

DEL PADRE, E DEL FIGLIUOLO, che menavan l’asino. […] Ché così cesserà tanto bisbiglio     De la gente, che passa, e che mi vede     Di tua salute haver poco consiglio. […] Mentre sì carco l’animal galloppa     Ecco il primo, che ’l vede, a gran pietade     Mosso di lui, che in ogni sasso intoppa. […] Non comprendete voi, che strano mostro     Parete a chi vi mira in questa forma ? […] S’aduna intorno da tutti i confini     La turba immensa de le genti sparse     Sì de la Terra, come pellegrini A lo spettacol novo, che comparse     Non senza riso universal di tutti,     Che lo mirar tosto che prima apparse.

24. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [14.]. D’UN HUOMO, ET UN SATIRO. » p. 35

E domandato dal compagno allhora De la cagion, perch’ei così facesse, Rispose, che col caldo, che gli usciva Nel fiato fuor da la virtù del core, Dava ristoro a l’agghiacciate mani. Poi giunti alfine al consueto albergo, Sedero a mensa per cenar insieme : E d’una gran polenta, che dal foco Posta s’haveano allhor allhora inanzi, A pascer cominciar le stanche membra. […] Allhor di novo il Satiro, c’havea Da quello inteso, che scaldar poteva Col fiato quel, che gli parea di freddo, Stupido pur che fredda a lui paresse Quella pur troppo allhor calda vivanda ; Lo ricercò de la cagione anchora. […]     Frate dapoi, che da tua bocca io veggio Il caldo, e ’l freddo uscir con egual modo, Non vo’ più consentir d’esserti amico ; E dal tuo conversar tosto mi toglio. […] Prezza colui, che sempre amor ti mostra.

25. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [38.]. DELLA RANA, ET SUO FIGLIUOLO. » p. 376

E credendo poter giunger a questo Se forte si gonfiava il picciol ventre, Subito cominciò gonfiarsi tanto, Che ’l suo figliuol, che la mirava in questo, De la sua morte assai temendo disse : Deh cessa madre, da la folle impresa, Ché se più segui torneratti in danno E de l’honore, e de la vita insieme. A che, se volse e la Natura e Dio Farti una Rana, vuoi tentar indarno Di farti un Bue ? ch’a te impossibil fia : Et converrai crepar pria che tu giunga Di quella forma a la centesma parte. Però giù pon l’invidia ; ché non pate Invidia quel, che di gran lunga avanza Ordinario valor di sorte eguale. […]     Ella, che non volea per modo alcuno Folle patir d’esser minor del Bue, Né creder che colui, ch’era suo figlio, Lei madre vincer di saper potesse, Che d’anni e mesi l’avanzava assai, Nulla stimava il suo consiglio sano : Ma riputando sue parole vane, E stimando accortezza il proprio humore Tanto gonfiossi, che crepar convenne.

26. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [19.]. DELLA VOLPE, ET DEL RICCIO. » p. 427

Vana era al fin d’uscirne ogni fatica,     Sì che già stanca non si move punto,     E di mosche l’assal copia nimica. […] Venuto al fiume allhor da le sue tane     Il Riccio del suo mal forte si duole :     Et poi le dice con parole humane : Ch’egli si trova in punto, s’ella vuole,     Di scacciarle le mosche allhor d’attorno,     Co’ spini suoi, come talhora suole : Poi che del fango, ove ella aspro soggiorno     Suo malgrado facea, non potea trarla     Se ben s’affaticasse più d’un giorno. Onde la Volpe a lui, che liberarla     Come amico volea di tanto affanno,     Gratie rendendo in cotal modo parla. Non far fratello : che poco più danno     Far mi pon queste homai di sangue piene,     Di quel ch’infin adhor sì fatto m’hanno. Che s’altro nuovo stuol di mosche viene,     Affamate a la prima havranno a trarmi     Quel poco, che mi resta entro a le vene ; Onde potrei più in fretta a morte andarmi :     Tal che meglio è restar quel poco in vita     Di spatio, che dal ciel sento lasciarmi.

27. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [46.]. DELLA VOLPE, ET DEL PARDO. » p. 12

Diceva il Pardo Vedi la pelle mia di varie macchie Con ordine e misura al par del cielo, Ch’è di stelle dipinto, adorna tutta Con tal vaghezza, che stupore apporta A qualunque la vede : e tal è ’l pregio Suo, che Baccho figliuol del sommo Giove Non si sdegna coprir le belle membra D’altra mai per lo più, che di tal pelle, Che tutta la mia specie adorna e veste. […]     Se di beltà fra noi movi contesa Intender dei de la beltà più vera : La qual di quella parte esser s’intende, Che forma dona a l’animal vivente, Questa s’intende la bellezza interna, Non quella esterior, che d’accidente Esterior patir può sempre oltraggio ; E variando la primiera forma Divenir sozza a l’altrui vista e lorda. Però di questa a me ceder tu dei, Se non sei folle in tutto, ognihor la palma ; A me ; che quanto hai tu vario d’aspetto Il dorso tutto, ho vario e di colori Mille dipinto l’animo e l’ingegno Atto a fornir mille lodate imprese : E per ciò bella sono in quel, ch’importa Più, che la pelle facile a smarrire L’apparente beltà, ch’offender puossi : Onde la mia non può sentir offesa Mentre con essa mi riserbo in vita. […] Più bello è il bel del cor, che il bel del volto.

28. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [78.]. DEL PARDO, E LE SIMIE. » p. 

Corre lor dietro, e in gran timor le adduce,     Sì che come da lui lontana e presta     Di lor ciascuna a l’alto si conduce. E si salvan così da l’ugna infesta     Del fier nimico, che vuol divorarle,     Sopra un gran pin, ch’al ciel alza la testa. Il Pardo, che non può là su arrivarle,     Fatto ogni prova, alfin partito prende,     Onde possa di là con arte trarle. […] Egli sta cheto, e non respira a pena,     Fin che le crede esser ben lasse e stanche ;     E per gran pezzo soffre cotal pena. Alfin si leva, e i denti opra e le branche     Crudel fra lor pria, che si renda satio,     Fin ch’ognuna di lor di vita manche.

29. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [32.]. DE I TOPI. » p. 613

Et un di lor, che primo a parlar prese, Fu di parer, ch’un gran sonaglio al collo Legar del Gatto si devesse al fine, Che ’l suo venir al suon si conoscesse Da lor, c’havriano del fuggir tal segno. […]     Ma alfin levossi un, che più etade e senno Havea de gli altri, et disse in questo modo. Anch’io, Signori, tal consiglio approvo : Anch’io son di parer che ciò si faccia : Ma chi sarà di noi, dite, vi prego, Colui, che voglia esser cotanto ardito, Che de le forze sue sicuro in tutto Tenti porre il sonaglio al collo al Gatto ? […]     Così spesso intervien dove il periglio Si scorge in eseguir util consiglio : Però colui, che sua sentenza porge Che del publico ben cagione apporta, Dee pensar prima, che la lingua snodi, Se ’l fin del parer suo puote eseguirsi Senza pericol di chi ’l pone in opra, Se brama esser tenuto al mondo saggio.

30. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [72.]. DELL’ORSO, E LE API. » p. 400

L’ORSO del bosco fuor da fame tratto Trovò due case d’Api, e intorno a quelle Incominciò lecar il mel, che in terra Gocciolando cadea del buco fuori, Del buco, che per tutto era già pieno. […] Ond’egli irato immantenente corse Dietro a colei, che tosto entrata in casa Da la proterva sua rabbia s’ascose. Egli, ch’ad ogni modo havea desire Di far vendetta de l’havuto oltraggio, La casa fracassando a terra trasse Con fiero sdegno ; e l’altre tutte quante Destò ad un tratto, che col morso acuto, E col pungente stral de la lor coda Gli furo intorno generosamente Quello assalendo per salvar la vita A i proprii figli, e vendicar in parte De i loro alberghi la total ruina. Tal ch’ei trafitto da gli aculei strani De l’infinito stuol, che lo feriva, Senza rimedio di poter salvarsi, Ceder convenne in tutto al primo assalto E partendosi quindi si doleva Amaramente non haver sofferto Di quella in pace la primiera offesa, Che sola un poco gli ferio l’orecchia, Godendo lieto il ritrovato cibo.     Così talhor l’huom per fuggir s’adopra Un picciol mal, che sopportar potrebbe, Et quel fuggendo cade in mille danni Che d’improviso gli si movon dietro.

31. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [47.]. DELLA MOSCA. » p. 16780

GIÀ dentro un’olla, che di carne piena Era d’alesso nel tepido humore Bolliva al foco, nell’humor fervente Entrò la Mosca da la gola tratta Del grasso cibo, che nuotar vedea : Del qual dapoi, c’hebbe satiato a pieno L’ingorda brama, e ’l temerario ardire, Venne sì gonfia del mangiato pasto, E di quella bevanda a lei soave, Che non potea levarsene, e cadendo Anzi più in mezo del liquor profondo De la vicina morte in mano andava ; Onde vedendo non poter fuggire L’odiato fin de la penosa vita, Cominciò confortarsi in cotal guisa. […]     Così dee tolerar l’huomo prudente Quel, che non può per modo alcun fuggire ; E quel, che vuol necessità, seguire, Per non parer altrui di bassa mente. Quel, che schivar non puoi, sopporta in pace.

32. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [43.]. DELLA GALLINA, ET LA RONDINE. » p. 192

    Ma mentre ch’ella con amor le cova,     La Rondinella, che tal opra intese,     Come colei, che saggia era, et accorta,     La semplicetta in cotal modo esorta. Vana è, misera, l’opra e a te mortale,     A cui con tanto amor e studio attendi :     Che tu prepari a te medesma il male,     Ch’anzi fuggir devresti hor che l’intendi :     Che quando al fin d’una fatica tale     Giunta sarai, se accorta il ver comprendi,     E spererai qualche mercede a tanto     Affanno, il frutto fia sol doglia e pianto. Che i Serpi n’usciran, la cui natura     Sempre è di mal oprar ; e ti faranno     Le prime ingiurie, e da tua ria ventura     Ad ingiuriar gli altri impareranno :     E, se non ti trarranno a morte oscura     Il primo dì, che de l’uova usciranno,     Faran col tempo eterna ingiuria poi     Con tua gran pena a’ proprii figli tuoi. Lasciale dunque, e non pensar giamai     Di premio haverne usando atto gentile ;     Ché se ben cortesia merita assai ;     Chi per natura è rio non cangia stile :     E per buon’opra rende pene e guai,     Et è superbo a quel, che gli è più humile :     Né può placar un beneficio pio     Un cor, che nato sia crudele e rio.

33. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [93.]. DE GLI ARBORI, E DEL PRUNO. » p. 262

VOLEAN d’accordo gli altri arbori tutti Che l’Uliva di lor l’imperio havesse : Ma quella, che di sua sorte contenta Già si viveva una tranquilla vita, Non volse acconsentir d’haver tal carco ; E così disse : ben pazza sarei S’io, che de le mie frondi e grasse e belle Sì, che son care a gli huomini, e a gli Dei Ho sol la cura, che lieta mi rende ; Volessi abbandonar le cose mie Per macerarmi e giorno e notte sempre Ne i tristi affanni de l’altrui governo. […] Et ei rispose lor : mai cangiarei La cura, c’ho de’ miei soavi frutti, Che vincon di dolcezza il flavo mele, E ’l nettare, che in ciel gustan gli Dei, Per quell’affanno sopra ogni altro amaro, Che seco tien d’altrui regger la cura Sotto il sembiante d’un pregiato honore. […] Ma quella, che già tutta era d’intorno Coperta d’uva ben matura e bella, Lor disse : dunque vi credete ch’io, Che di tanta ricchezza allegra vivo De’ frutti miei con mio grande ornamento, Onde il cielo e la terra in pregio m’have, Possa sì facilmente al suon piegarmi De’ preghi vostri, benché d’honor pieni, Ch’io lasci di Natura un tanto dono, Che felice mi rende in ogni tempo ; Per prender poi così noiosa cura, Che non mi lasci un dì viver contenta ? […] Et ei, che né di sé, né d’altri havea Cura, che punto l’annoiasse mai, Già tutto gonfio del concesso honore Stimando sé maggior di quel, ch’egli era, Parlò superbamente in cotal forma. Dunque, s’io son Re vostro, a l’ombra mia Correte tutti ; e se tardate a farlo Qual poco ubidienti a’ miei mandati, Farò del tronco mio tal fiamma uscire, Che tutti v’arderà senza pietate, Sì che ne tremeran malgrado loro Le Quercie antiche, e i più sublimi Cedri, Che dal Libano monte al Ciel sen vanno.

34. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [85.]. DEL GATTO, E DEL GALLO. » p. 

Ahi scelerato adesso È giunto il tempo, ond’io faccia vendetta Di mille offese, che facesti altrui. Tu la notte qual pazzo e canti e gridi Sì che si desta ognun da l’importuno Suon de la voce tua rauca e noiosa, E perde il soavissimo riposo Del dolce sonno, ch’ogni male oblia. Ond’ei rispose : anzi ’l mio canto è quello, Che invita a l’opre ogni mortal, che brama Menar sua vita da l’ocio lontana, Che d’ogni mal è padre ; e gli ricorda A non marcirsi nelle pigre piume ; Né per ciò canto fuor di tempo mai. […] E che dirai profano, scelerato, Incontinente, e di lussuria pieno, S’io ti ricordo che tanto empio sei, E da rispetto di virtù lontano, Che in tutti i tempi con lascivia immensa Con le sorelle, con le figlie, e insino Con la tua madre carnalmente giaci ? Rispose a questo il Gallo : il tutto è vero : Ma lo faccio io per mantener del nostro Seme la specie ; et arricchir colui, Che m’è padrone, e mi nutrisce in casa Per questo effetto, et poi sforzato il faccio, Ché così dal padron mi vien imposto Non mi dando altri de la specie mia Da conservar, et ampliar la prole, Che le sorelle, e le figliuole, e anchora La madre stessa ; sì che a torto incolpi Me de l’altrui peccato, e a torto accusi Del ben, che tanto reca utile altrui.

35. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [97.]. DELL’ALLODOLA. » p. 325

Ma le occorse una volta il farlo in mezo D’un campo seminato assai per tempo, Sì che l’uova depose a punto allhora, Che incominciavan biancheggiar le spiche. […] Et ella allhor : nessun timor vi tocchi Figli di questo ancor ; che s’ei n’aspetta Gli amici, qualche giorno anchor ci vuole Prima, che questo campo habbia la messe. […] Et ella inteso tutto a punto il fatto Non vi prendete (dice) alcun pensiero Che vi dia noia ; s’altro non udite, Che d’aspettar, che vengano i parenti A volersi dar noia in questa cura. E l’altro giorno a trovar pasto andando Di novo gli ammonì che intentamente Notasser ciò, che seguitar devea. Così quel giorno non comparse alcuno : Onde il padron de la matura biada Giunto verso la sera in quella parte Disse al figliuol : poi che nessun si move O de gli amici, o de’ parenti nostri A prestarci lor opra in tal bisogno ; Fa’ che tosto diman, figlio, per tempo Qui due messore porti, onde ambidue Noi farem cotal opra ad agio nostro, Né ad alcun altro havremo obligo alcuno.

36. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [35.]. DI DUE ASINI. » p. 180

Così nell’acque entrati ambo di pari, Quel, che di sale havea grave la soma, A sorte in certi sassi urtando cadde Oppresso anchor da quel soverchio peso, Sì che riverso andò del fiume al fondo. […] Il che veduto l’altro, che leggiero De le spugne portava il debil peso, Credendo sciorsi anch’ei del proprio carco, A studio riversciossi entro a quel guado ; Ma non sì tosto fu di quello al fondo, Che le spugne bevendo il grave humore A doppio il caricar di doppia soma. […] Non quel, che ad un convien, conviensi a tutti.

37. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [49.]. DI PALLADE, ET DI GIOVE. » p. 508

GIÀ fu che ognun de gl’immortali Dei A suo piacer un arbore si elesse D’haver per propria insegna in sua tutela. […]     Questo veduto allhor Pallade saggia Restò sospesa di stupore alquanto, Che tale elettion fosse caduta Sovra di piante infruttuose e vane, Poi che ciascun sapea, che immensa copia Di fruttifere pur ne havea la Terra, Da farne agevolmente utile eletta : Et domandando al sommo padre Giove Modestamente la cagion di questo, Alfine hebbe da lui cotal risposta.     La cagion, figlia, che ciascun ne indusse A far elettion d’inutil pianta, Fu certo un ragionevole rispetto, C’habbiam che ’l mondo non pensasse mai, Che per l’utilità vil di quel frutto Il proprio honore alcun di noi vendesse, Onde il nome divin restasse infame. […] Vero honor non è quel, che in danno torna.

38. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [75.]. DEL LUPO, ET L’AGNELLO. » p. 155

DA capo a un fiumicel beveva il Lupo, E l’Agnello da lui poco lontano Vide inchinato far simil effetto : E come quel, che di natura è rio, Né havea cagion, e pur volea trovarla Di venir seco a lite, e fargli offesa, Cominciò tosto con parlar altero Dirgli, che mal faceva, e da insolente A turbar l’acque col suo bere a lui, Ch’era persona di gran pregio e stima, Esso vil animal di vita indegno. […] E non sapendo che risponder l’empio Contra la forza e la ragion del vero, Soggiunse irato con altera voce, Ch’era sfacciato e di follia ripieno A dar risposta a sue saggie parole ; Ch’ad ogni modo ei non volea scostarsi Da la natura de’ parenti suoi, Che gli havean fatto mille e mille offese : E che gran voglia havea di far che a lui Toccasse un giorno di scontarle tutte Per lor col merto de le sue sciocchezze.     E volendo di ciò far nova scusa L’innocente animal con dir più basso, Ma con ragioni più possenti e salde, Il Lupo iniquo, che già in sé confuso Era rimaso, adosso al miser corse ; E divorollo con disdegno e rabbia.

39. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [5.]. DEL MULO. » p. 315

UN Mulo già, che d’abondante biada Ben pasciuto era, e si godeva lieto Tutto, e lascivo un dolce ocio giocondo, Entrò folle in pensier tanto superbo, Che tra sé disse : Or qual di me più forte Vive animal in terra ? io già fui figlio D’un possente corsier, che con la sella D’argento, e con le briglie ornate d’oro Vinceva ogn’altro più veloce al corso, E gli huomini atterrava armati in guerra : E però tal esser convegno anch’io.     Avenne poi che bisognò correndo Un certo spatio di lungo camino Viaggio far a suo malgrado in fretta : E da principio cominciò superbo Correr veloce come havesse l’ali : Ma non finì sì tosto a un tratto d’arco, O poco più lontan batter il corso, Che stanco si sentì con tanto affanno, Che bisognò fermarsi, e prender lena. […]     Così l’huom nella prospera fortuna Divien superbo, e non conosce mai La debolezza del suo vil valore : Che, se in contraria sorte avien che cada, Si riconosce suo malgrado, e sente Non esser quel che si teneva in prima.

40. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [48.]. DELL’ASINO, CHE PORTAVA IL SIMOLACRO. » p. 182

UN ASINEL, che sopra il tergo vile Havea di Giove un simolacro d’oro, Ch’al Tempio il suo padron seco trahea, Mentre passava per diverse vie Era inchinato da la gente tutta, Che con divotion s’humiliava Del nume vano a quella ricca imago. Ma credendo il meschin, che quell’honore Venisse fatto al suo nobile aspetto, Del suo stolto parer tanto gonfiossi, Che preso allhor da quella gloria vana, E tosto in mezo del camin fermato Levando per superbia in alto il capo Tutto si vagheggiava ; et non volea Mirando hor qua hor là mover un passo : E d’esser nato un Asino del tutto Già si scordava, se non era allhora Il suo padron, che con un grosso fusto Percotendo le natiche asinine Gli fece di sé stesso entrar in mente Con molte busse, et con simil parole. Segui pur pazzo il tuo preso camino, Che non sei tu, ma quel, che porti, è ’l Dio, Che da ciascun, che vedi, è riverito.

41. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [74.]. DEL GALLO, E ’L GIOIELLO. » p. 503

E come quel, ch’era d’ingegno insano,     Disse, Al mio gusto poco utile apporta     Questa ventura, che mi viene in mano. La gente, che ti compra, e al collo porta,     Potria prezzarti ; io no : che stimo quello,     Che la fame mi trahe per via più corta. […] Onde l’huomo ignorante e l’odia e sprezza,     Come colui, che fugge ogni fatica,     Et ama l’ocio per accidia avvezza Ad esser de l’honor sempre nimica.

42. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [54.]. DEL CONTADINO, ET ERCOLE. » p. 291

PASSAVA un Contadin col carro carco Di biada per un calle assai fangoso, Né havendo i buoi per la stanchezza forze D’indi ritrarlo, miserabilmente Tutto otioso e di mestitia pieno Facea soggiorno, et non sapea che farsi. E così non prendendo alcun partito Con gran sospiri e gemiti pregava Ercole invitto, che dal ciel scendesse Per sovvenirlo in così gran bisogno.     Il che fatto più volte alfin commosso Da la pietà del suo grave lamento Sceso dal Cielo sopra un nuvol d’oro A lui mostrossi il glorioso Alcide, E cominciò parlargli in cotal guisa.     Oh là tu, che dal ciel chiamato m’hai In tuo soccorso, hor da’ principio tosto Ad aiutarti per te stesso, et opra Quanto è in te di valor per tragger fuori Di questo loto il già fermato carro : Stimola i buoi ; metti le spalle sotto Le gravi sponde, et sollevando alquanto Le lente ruote invita al moto il plaustro : Ch’allhor, se da persona di valore Facendo sforzo a la tua debil possa Mi chiamerai in soccorso al tuo bisogno, Sarò presente ; e col divin potere In te raddoppierò l’humane forze.     Ci dà questo a veder, che Dio non suole Porger soccorso a l’huom, ch’è neghitoso, S’ei da sé stesso del suo ben bramoso Ad aiutarsi cominciar non vuole.

43. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [98.]. DELL’ASINO, E DEL VITELLO. » p. 

PASCEANO insieme l’Asino e ’l Vitello     L’herba novella in un medesmo prato     Tutto di varii fiori ornato e bello : E sentito lontan più d’un soldato     Avicinarsi con feroce suono     Disse il Vitello : Or vedi un campo armato ; E però parmi, che sarebbe buono     Torci di questo loco periglioso,     Né il fulmine aspettar udito il tuono. Onde gli fu da l’Asino risposo :     Togliti pur di qua tu, che in periglio     Ti trovi ; ch’io di ciò non son pensoso. […] Sì ch’io non temo, che mi rompa l’ossa     Altri, che del padron il duro legno,     Sia ch’ei si sia ; né temo altra percossa. Così non prende l’huomo savio a sdegno     Il cangiar patria, e loco, e ancor Signore,     Pur che ne stia de la sua sorte al segno, Né provi stato del primier peggiore.

44. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [81.]. DELLA RONDINE, E GLI ALTRI UCCELLI. » p. 39

NON era anchora il Lin venuto in uso     Di seminarsi, quando un fu, che primo     Raccolse il seme in varie parti fuso : E volse dar principio (a quel ch’io stimo)     Di far lo stame, onde trahesse poi     Mille mistier, ch’in verso io non isprimo. […] La Rondinella, che presaga teme     Quell’opra nova, e la virtute intende     Del Lino, ogni altro augel convoca insieme : E lor mostra il periglio, che s’attende     Da quella pianta, e persuader vuole     A prohibirne il mal, ch’essa comprende : E dice, che quel seme, onde si duole,     Devrebbe trarsi pria, che n’esca l’herba :     Ma perde indarno il tempo e le parole. Ecco il Lin nasce, et ella, che pur serba     Nel cor del suo presagio il gran timore,     Disse di novo con rampogna acerba. […] Vive con l’huomo, e sempre si nutrica     D’ogni altra cosa, che d’esca o di grano,     Cibo de l’huomo per usanza antica : Così perché nell’opre di sua mano     Non gli suol mai far detrimento alcuno     Depredando le biade in mezo il piano, A quello è cara ; et ei sempre digiuno     Vive di farle offesa, e la ricetta     Dentro a’ suoi tetti, onde l’osserva ognuno.

45. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [4.]. DELL’AQUILA, E ’L GUFFO. » p. 

Il segno fu, che quei, che di vaghezza, Di leggiadria, di gratia, e di beltade Vedesse di gran lunga avanzar gli altri, Quelli esser di lui figli ella credesse. […] Onde dal cantar loro horrido tratta Tosto vi corse : e giudicando quelli I più deformi che vedesse mai, Di lor satiossi alfin l’avido ventre Non senza doglia della sozza madre, Che di lontan con gran timor la scorse Devorar tutto il suo infelice parto : Tal che fuggendo poi colma d’affanno Al marito narrò l’horribil caso.     Egli, che con gran pena intese questo, Tornò fra poco al mal guardato nido Forte piangendo il ricevuto torto : E trovando per via l’altero augello Compagno, e del suo mal cagion novella, Che di ritorno sen veniva altero Battendo il vento co i possenti vanni, Con aspra insopportabile rampogna Cominciò del suo mal seco a lagnarsi. […] Soggiungendo, che mai per le parole, Ch’egli le fece de la gran beltade De la sua prole, non havria creduto L’openion dal ver tanto lontana. […] Così talhora l’huom, che da l’amore Di sé medesmo fatto in tutto cieco Stima le cose sue più, che non deve, Resta schernito quando più si crede Esser per quelle rispettato al mondo : E duolsi a torto del giudicio altrui, Che drittamente a sé contrario vede.

46. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [84.]. DEL LEONE INVECCHIATO, ET LA VOLPE. » p. 16

E via cercando, onde scacciar la fame Potesse, e prolungar sua vita quanto Gli concedesse la natura e ’l cielo ; Tentò con l’arte far quel, che vietato Era a sue forze indebolite e vane, Nova astutia trovando a sua salute. […]     Dunque ubidillo il Corvo, e sparse intorno Tosto di ciò l’ingannatrice fama Tal che di giorno in giorno andava a quello Alcun de gli animai da quel confino Come inteso l’havea tardi o per tempo Per visitarlo : ma quando a lui presso Se lo vedea il Leon, che ’l mezo morto Fingea, l’unghiava con le zampe adunche, E lo sbranava, e ne ’l rendea suo pasto. Così più giorni fece insin che venne L’astuta Volpe, che da un poco sangue, Che vedea presso a lui, sospetto prese, E più oltre passar non volse prima Che ’l salutasse, e da la sua risposta Meglio congietturar potesse il fatto : E tosto accorta a salutarlo prese Lontana un poco per mostrar gran doglia Del suo languire sospirando alquanto ; E a dirle del suo stato lo pregava.     Le rispose il Leon con voce grave, E ch’a pena parea che suono havesse ; E l’invitava ad accostarsi a lui, Che meglio intenderia de la sua sorte, Senza dargli fatica in parlar forte. […]     Così da picciol segno alcuna volta L’huom savio impara con sua gran ventura A scoprir de’ malvaggi il rio secreto : De’ quai bisogna sol creder a l’opre, E non a quel, che in lor la lingua suona.

47. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [56.]. DEL TOPO CITTADINO, E ’L TOPO VILLANO. » p. 352

Ma fu primo il villan, che ’l caro amico Nel suo povero albergo ricevesse. E tra le canne, che servian per muro De l’humile capanna d’un pastore, Di cece, e ghiande, che in più giorni accolse, Tutto contento, e pien d’amico affetto Gli fece lauta e copiosa mensa. […] Del qual poi che appagato hebbe ciascuno Più che a bastanza la golosa sete, Quivi posar le ben pasciute membra Con gran temenza, il resto de la notte Tutto passando con disagio e pena Senza mai chiuder occhio, o mover piede, Tanto sospetto havean d’ogni periglio. […] Non son forse elle altro che cece, o ghiande ? […] Ma ben dirò ; che m’è più dolce assai Roder la fava, o la tarlata noce Nel pover tetto mio lieto e sicuro ; Che in questo loco di paura pieno, E senza mai posar sicuro un’hora Gustar l’ambrosia, e ’l nettare di Giove.

48. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [25.]. DEL CANE, E ’L GALLO, E LA VOLPE. » p. 252

IL Cane e ’l Gallo un gran viaggio insieme Presero a far per varii boschi e ville Passando per dar fine al lor camino : Ma non giungendo al destinato loco Prima che nascondesse il Sole il giorno, Fra lor fecer pensier di far dimora Per quella notte, fin che ’l novo albore Rendesse il lor camin via più sicuro. […]     Ma poi ch’apparve in Oriente il raggio Del matutino Sol con lieta voce Diede il Gallo principio al canto usato : E replicando diè di sé novella A la Volpe, che poco indi lontana Havea ’l suo albergo : et tosto al canto corse Dove era il Gallo ; et con parole amiche Salutollo ridendo, e supplicollo Con sermon efficace, ch’ei volesse Scender del tronco, ov’egli alto sedea, E benigno di sé copia facesse A lei, che forte del suo amor accesa Già si sentia del suo leggiadro aspetto, E de l’alta virtù del suo bel canto : Onde abbracciarlo come caro amico Ella voleva, et nel suo albergo trarlo Per fargli a suo poter cortese accetto. Il Gallo, che cognobbe il finto viso, E ’l parlar simulato de l’astuta, In cotal modo anch’ei saggio rispose. […] Però ti prego acciò che quinci io scenda Picchia a quell’uscio, e ’l portinaio desta Che m’apra il passo, ond’io per dentro al tronco Venga a trovarti, et abbracciar ti possa Come ben cara a me novella amica. […] Tal ch’egli desto a l’improviso suono Tosto uscì fuor de la sentita voce, E veduta la Volpe immantinente Le corse adosso, et atterrolla in breve, Facendo a lei quel, ch’essa haveva al Gallo Di far pensato con l’astutie sue, Senza che pur la ria se n’avvedesse.

49. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [80.]. DELLA LEPRE E LA TESTUGGINE. » p. 226

Or dato il segno, onde ciascuna havesse A cominciar il destinato corso Per giunger tosto a la prefissa meta, La Lepre, che colei nulla stimava, Si fé di mover piè sì poco conto Vedendo la compagna tanto lenta, Ch’a gran fatica par che muti loco, Che addormentossi ; confidando troppo Nella velocità del presto piede Tutto l’honor de la presente impresa. In questo la Testuggine, che ’l corso Con solecito passo affrettò tanto, Che giunse alfine al terminato segno, Di tutto quell’honor prendea la palma, Quando la Lepre desta alfin s’accorse Del preso error de la sua confidenza, E colei riportarne il pregio tutto Di quella impresa, si pentì, ma in vano De l’arrogante negligenza sua.     Così fa spesso l’huom d’ingegno e forza Dotato in concorrenza di colui, Che molto inferior di ciò si vede, Quando opra tenta, onde l’honore importi ; Che confidato nella sua virtute Pigro dorme a l’oprar continuo e lungo, Sperando in breve spatio avanzar tutte Le fatiche de l’altro, e ’l tempo corso : Né s’accorge, ch’un sol continuo moto, Benché debole sia, giunge al suo fine Più tosto assai, ch’un più gagliardo e lieve, Che pigro giaccia, che la confidenza A la sciocchezza è figlia, e a l’otio madre ; Onde ne nasce l’infelice prole Biasmo, e vergogna, e danno in ogni tempo. Quinci con gran suo scorno intende e vede Il suo rival, che debole seguendo Con un continuar facile il passo Nel camin di virtù, ch’a honor conduce, A sé stesso precorso, e tor di mano De la vittoria la felice palma Da le fatiche de’ suoi lunghi studi A poco a poco assai più forte reso : Ond’ei quasi perduto haver si sente Quell’antico vigor, ch’ardeva in lui Per colpa sol de la pigritia nata Da la sua negligenza infame e stolta, Che pieno il fa d’un pentimento vile, E d’una doglia sì malvagia e poltra, Che non sa cominciar cosa che voglia, Vedendo sé di sotto di gran lunga A molti e molti, ch’ei nulla prezzava : E tutto il resto di sua vita vive Con tedio estremo assai peggio, che morto, Senza speranza haver d’honore alcuno.

50. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [60.]. DELL’ASINO, E DEL LUPO. » p. 187

L’ASINO un dì passando in certo loco Fermò sopra d’un chiodo a caso il piede, Onde restò trafitto amaramente Da quel, che dentro tutto entrato gli era. […] Ond’ei chiedendo il pattuito dono L’Asino, che pagar già nol poteva, Lo pregò caramente a rimirarli Meglio per non so che, che l’affligea, Nella ferita anchor restata aperta : Che grato poi del premio gli sarebbe. Il che facendo il medico mal atto, Ei levando le groppe in un momento D’ambidue i piè nel fronte e nelle spalle Così gagliardamente lo percosse, Che ’l lasciò quasi morto in mezo ’l campo ; E fuggì ratto al consueto albergo.

51. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [30.]. DELLA VOLPE, E DEL GALLO. » p. 671

VIDE la Volpe da lontano il Gallo Posarsi d’una Quercia in cima un ramo, E per farlo da quel scender al piano, Onde potesse poi di lui cibarsi, Trovò un’astutia : et là correndo in fretta Così si diede a ragionar con lui,     Buon dì, fratello ; O che felice nova Ho da contarti. […] E mandan me per messaggiera intorno A publicar d’un tanto ben la fama Fra quanto può girar questo paese, Com’anchora mandato hanno altri messi In altre varie parti de la terra, Perché ognun vada al destinato loco Per allegrarsi co i novelli amici ; E giurar fedeltade e buona pace Con gli altri, che là giù soggiorno fanno. […]     Io ti rendo sorella ogni maggiore Gratia, ch’io possa di sì caro aviso : Ch’a tutti porgerà pace, e salute : E credo ben che la novella intorno Tosto si spargerà per tutto il mondo, C’homai ne dee sentir gioia infinita : Poi che due cani veltri anchor lontani Veggio venir ver noi correndo in fretta Forse per far l’ufficio, che tu stessa Facendo vai di messaggier del fatto.     Udito ciò la Volpe, che credea Che pur venisser da dovero i cani, Per più non dimorar con suo gran danno Oltra lo scorno, ch’avanzar potea, Di fuggirsene allhor disegno fece. […]     Così l’huom savio, che burlato viene Da chi profession d’accorto face, Sovente suol da l’accortezze altrui Trovar difesa, e trar con doppio scorno, Chi coglierlo volea nel proprio inganno.

52. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [91.]. DEL TAGLIALEGNA, E MERCURIO. » p. 173

TAGLIAVA legna un Contadino un giorno Sopra la riva d’un corrente fiume ; E la scure per caso a lui di mano Uscita andò di quello insino al fondo : Onde il meschin piangea dirottamente La sua disgratia sì, ch’a pietà mosse Mercurio, che cortese entrò in pensiero Di voler aiutarlo allhor allhora : E pescando nel fondo a l’aria trasse Un’altra scure, ch’era d’oro tutta ; Domandando a colui s’era la sua. […] E già venuto nel medesmo loco Per tagliar legna, quel, che il suo compagno A caso fece, fece egli con arte Di lasciarsi cader allhor la scure In mezzo il corso de le rapide onde : E finse lagrimar con gran sospiri, E gran querele la sua dura sorte. Onde Mercurio, che sapea l’inganno Del fraudolente, immantenente apparve A lui dinanzi ; e finto anch’egli seco Di volergli trovar la scure sua, Fuor de l’onde una d’or tosto ne trasse, Ch’al peso, e a l’occhio era di gran valore, Domandando al Villan, s’era la sua. Allhor colui tutto ridente e lieto Non sì tosto la vide, che mentita Mente affermò che quell’istessa, quella Quella sola, e non altra era la sua ; La sua, che dianzi pur caduta gli era.     Compresa allhor Mercurio la bugiarda Mente di quel Villano empio e sfacciato, Quella d’oro non sol dar non gli volle, Ma non essergli pur anchor cortese De la sua, che di ferro era nel fiume ; E da sé lo scacciò con brutti scherni.

53. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [96.]. DEL VESPERTIGLIO, ET DELLA DONNOLA. » p. 172

ERA caduto il Vespertiglio a terra Uccel, che per natura odia la luce, E senza piume sol di notte vola, Onde di Vespertiglio il nome prese, Benché Nottola anchora il volgo il chiami, Che sol de la Civetta è proprio nome. […] Et mentre ei la pregava humilmente Che de la vita gli facesse dono, Ella rispose di non poter farlo Senza gran fallo, essendo egli nimico Di tutti gli altri augei, che intorno vanno, De’ quali essa ministra era e soldato. Allhora il Vespertiglio le rispose Ch’augel non era ; et ciò provava a i segni Del proprio corpo senza piume tutto, E che del pel del Topo era vestito, Con cui conformità per specie havea. […]     Ma sendo un’altra volta a caso incorso Nel pericolo stesso in man d’un’altra Donnola, che mangiarselo volea ; E supplicando a lei, che de la vita Don gli facesse ; udì da quella, ch’essa Non potea farlo con ragione alcuna, Sendo egli un Topo, la cui specie sempre De la sua propria fu crudel nimica : Onde rispose il Vespertiglio allhora, Ch’ella prendea di ciò non lieve errore : E l’ale a lei mostrando aperte e larghe, Con cui per l’aria si levava a volo Specie d’augello esser provava, e mai Non essersi alcun Topo in parte alcuna Trovato adorno di sì nobil dono. […]     Così l’huom savio e di prudenza adorno Far dee qualunque volta si ritrova Del proprio stato in gran periglio posto : E secondo il bisogno e l’occorrenza Cangiar nell’oprar suo sermone e stile : E servirsi hor di questa, hora di quella Forma di ragionar, che più ricerca La propria occasion di sua salute Ne i simili accidenti, e ne i diversi.

54. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [16.]. DELL’AGNELLO E DEL LUPO. » p. 98

VIDE l’Agnello in cima al tetto stando Da la finestra di lontano il Lupo ; E cominciò con orgogliosa voce A provocarlo, e fargli ingiuria et onta Con dirgli tutto quel, che dir si puote D’una bestia crudel, vorace, e ria. […] Sciocco tu non sei tu quel, che mi dice Tal villania ; ma questa casa, dove Ti stai rinchiuso, e colà su sicuro Dal mio valor, che ti faria risposta Degna de’ merti tuoi, se in questo prato Fosti in tal modo di parlarmi ardito. Questa, dico, è, che tua viltà sicura Da me rendendo, tai parole move, E fammi ingiuria in atto sì villano.

55. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [50.]. DEL GRANCHIO, ET LA VOLPE. » p. 116

E la Volpe, che intorno iva cercando Da satiar la fame, che già quatro Intieri giorni le rodeva il ventre, Visto quel di lontan subito corse, E tosto l’afferrò per divorarlo. Ei che s’accorse del crudele effetto, Né scampo a sua salute haver poteva, Lagrimando tra sé disse : Ben merto Lasso, meschino, e questo e peggior male, Poi c’havendo nel mar cibo bastante Di condur la mia vita insino al fine, S’io di Nestore ben vivessi gli anni, Ho voluto cercar novella strada Di pasturarmi fuor del luogo usato, In parti entrando a mia natura avverse ; E d’animal marin terrestre farmi, Perdendo col mio albergo ancor la vita.     Così fa l’huom, che da troppo desio Di cose nove la sua patria lassa, E temerario arditamente passa Ove misero cade in stato rio.

56. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [15.]. DELLI DUE VASI. » p. 378

Ma perché quel di terra assai più lieve Scorrea sicuro ; l’altro, che temea Per la gravezza sua girsene al fondo, Cominciò con parole affettuose A pregar l’altro in lusinghevol modo, Che d’aspettarlo non gli fusse grave : Et legatosi seco in compagnia Volesse far quel periglioso corso : Onde l’altro gli diè simil risposta.     Non m’è discaro l’esserti compagno ; Ma l’esserti vicin poco m’aggrada : Perché, s’avien che l’onda ruinosa A me scorrendo, o a te percota il fianco Sì, che stando congiunti ad un ci urtiamo, Come allhor salvo la tua forte scorcia Te renderà dal suo furor protervo ; Così la mia, che per sé stessa è frale, Agevolmente fia rotta, e spezzata.

57. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [33.]. DI DUE RANE VICINE DI ALBERGO. » p. 69

Or sendo giunta la stagione estiva, Ch’ardendo secca d’ogni humor la terra, Quella che nel vicin stagno albergava, Invitò l’altra con benigno affetto A lasciar quel sì periglioso albergo Esposto a gli occhi d’ogni passaggiero, Et abondante d’ogni altro disagio, Per albergar con lei dentro a l’humore, Ch’ella eterno godea lieta e sicura. […]     Così interviene a chi nel vitio vive, Che spesso pria, che fuor ne traggia il piede, De l’infelice vita al fin si vede ; Perché l’huom non sa quel, che Dio prescrive. Pria che morte ti colga esci del vitio.

58. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [86.]. DELLO SPARVIERO CHE, seguiva una colomba. » p. 

Onde a pregar si diè con humil voce Colui, che preso in man stretto il tenea Per dargli morte, acciò sicuro fosse De gli altri augelli, ch’ei prendea, lo stuolo, Che lo lasciasse, perché esso giamai Non gli havea fatto ingiuria, o danno alcuno. […] Et che ti fece Quella innocente e semplice Colomba, Che la seguivi, et trar volevi a morte ? Et detto ciò gli diè tanto del capo Sopra d’un sasso, che morir convenne.     Così devrebbe farsi ad ogni huom rio, Che senza haver cagione offende altrui, Da quelli anchor, che mai da quello offesa Non han sentito, perché ogni altro poi Da sua malvagità viva sicuro : Perché è giustitia il vendicar il torto, Che l’innocenza da l’huom empio sente ; Né merita da gli altri haver perdono Chi fa senza ragione ad altri offesa.

59. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [83.]. DEL TOPO, ET DELLA RANA. » p. 384

E promettendo di prestarli aiuto, Come colei, che ben nuotar sapea, Lo persuase di legarsi seco Ne i piè di dietro a i suoi con certo filo, Che per tal opra a lui recato havea. […] E dove dianzi pur su l’acque a galla Di par col topo havea tenuto il corso, Rivolta in dietro sotto l’acque entrando Tentava trar quel miserello al fondo Per devorarlo poi che estinto ei fosse. Ma quel, che dal timor e dal bisogno Prendeva di valor doppio argomento, Tardi avveduto del nimico inganno, Arditamente e con possente lena Si sostentava ; e risurgeva in modo, Che rendea vano il suo malvagio intento.     Or mentre quella al fondo, al sommo questo Si ritraheva con egual valore, Nessun cedendo a le contrarie forze, Un nibio, che di là passava a caso Da l’appetito de la fame tratto Ambo li prese ; et per satiar di loro L’avido ventre, da la rana in prima, Che più molle che ’l topo havea la pelle, Tosto si cominciò render satollo.     Così talhor avien, che l’huomo iniquo, Ch’a far altrui si move a torto offesa, A la vita, o a l’honor tramando inganno, Primo nel fil del proprio laccio cade, E da la forte man giusta di Dio Colto con egual sorte insieme resta.

60. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [17.]. DEL CAVALLO E L’ASINO CARCHI. » p. 181

Occorse un giorno, che sendo in camino Ambi guidati dal padrone insieme, L’Asino stranamente indebolito Da la vecchiezza, e dal soverchio peso Pregò il Cavallo in supplichevol modo Che d’un poco del peso per alquanto Di spatio gli piacesse di sgravarlo Fin ch’ei potesse sol riprender lena : Perché già si sentia venir a fine : E negando di farlo il suo compagno Cadendo lasso in mezo del sentiero Terminò col viaggio anchor la vita. […] Allhor si dolse quel crudele indarno Del mal del suo compagno, et della pena Del doppio peso : che schivando in parte Tutto sul dorso suo venuto gli era.     Così quel servo fa, che del conservo Non ha pietade : et non consente in parte Talhor levargli del suo ufficio il peso Per picciol tempo : onde ne nasce poi Che la soma di quel sopra lui cade Tutta, né trova chi gli porga aiuto Per giusta ira del ciel, che lo permette.

61. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [70.]. D’UN CANE, CHE TE- meva la pioggia. » p. 

UN Can fu già, che mai quando piovea     Fuor non usciva de l’albergo usato     Per gran timor, che di bagnarsi havea. […] Ei, che de’ suoi pensier solea l’amico     Consapevole far, se sei bramoso      (Disse) de la cagione, hor te la dico. […] Così la prova d’un passato male     Render suol l’huomo di temenza pieno,     Per non cader di novo a sorte tale, Di quello ancor, che dee temersi meno.

62. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [79.]. DELL’ASINO, ET DELLA VOLPE. » p. 188

Ma la Volpe, che quel conobbe al suono De l’asinina voce, in mezo il passo Fermossi tosto, e non si mosse punto : Ma ridendo tra sé di sua follia Così gli disse : invero che l’aspetto Di questo horrendo e spaventoso volto M’havria mosso nel core alta paura, S’al roco suon de l’asinina voce Io non t’havessi conosciuto in prima.     Così l’huom sciocco e d’ignoranza pieno Che il savio fa tra gli ignoranti, quando Avien, che con saggio huom faccia l’istesso, Dal suono sol di sua propria favella Si scopre quel, che sua natura il fece, Con gran suo scorno, e riso di chi ’l vede.

63. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [92.]. DELLA CERVIA, ET LA VITE. » p. 77

FUGGENDO i cacciatori entrò la Cervia D’una frondosa vite entro una macchia, E sotto i rami suoi cheta s’ascose : Sì che scorrendo i cacciatori intorno Sorte non hebber di poter vederla, E per trovarla in altra parte andaro. […] Ahi quanto di ragion mi vien la Morte Spogliando del vigor, che mi reggea, Poi ch’io medesma la cagion ne fui, Offendendo con mio non picciol danno Colei, ch’a l’ombra de le foglie sue La cara vita mi salvò pur dianzi : Ond’hebbe poi da me sì ingiusto merto.     Così talhor aviene a l’huomo ingrato, Che quel, che ’l tolse ad empia sorte, offenda : Che par che ’l giusto Dio merto gli renda, Quand’ei nol crede, eguale al suo peccato.

64. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [7.]. DELL’ASINO, IL CORVO, E ’L LUPO. » p. 190

A UN Asin, che piagato il dorso havea,     Sopra disceso un Corvo ivi pasceasi,     Et la ferita assai maggior facea ;     Onde il mischin ragghiava, e in van scoteasi. […] Ahi di natura ugual disugual sorte,     Che non so qual destin da cielo piove :     Costui si pasce, e riso avien ch’apporte     Al padron, cui tal danno appar che giove :     Io fin lontan perseguitato a morte     Vengo, se ’l guardo pur pensando altrove :     Tal il favore ottien da molti spesso,     Che in altri appar minore un fallo stesso. Il favore è cagion, che ’l torto regna.

65. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [13.]. DEL CERVO. » p. 74

Ma mentre ei si trovava in tale stato     Forte doleasi, che le corne a questo     Fossero quelle, che l’havean guidato. Tal l’huomo suol tener spesso molesto     Quel, ch’utile gli apporta e giovamento,     E prezzar quel, che gli è d’aspro tormento Cagione, onde rimane afflitto e mesto. Non quel, che par ; ma quel, ch’è buono, apprezza.

66. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [71.]. DELLA CORNACCHIA, ET LA PECORA. » p. 553

La pecorella, che non sapea come Da lei sbrigarsi, sol questo le disse. […] Ben io sollo ancora, E ben conosco ciò ch’io faccio, e a cui : Però non temo di darmi solazzo Con teco sciocca, e fa’ pur ciò che puoi.     Così l’huomo insolente ancorché vile A chi non sa né può mostrarsi rio Dà spesso impazzo : ché benigno e pio L’intende, e che non suol cangiar suo stile.

67. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [100.]. DEL LEONE, E ’L LUPO, E LA VOLPE. » p. 258

E già sul colmo de l’accuse egli era Quando la Volpe già di questo accorta S’appresentò dinanzi al fier Leone, Che era dal ragionar1, che fatto il Lupo Havea contra di lei, con lei sì forte Sdegnato, che volea mangiarla viva. Onde l’astuta al meglio che potea In sé raccolta, et fatto assai buon viso, Cominciò ragionarli in questa guisa. […] Et ella seguitò, Signor la pelle Del Lupo tratta a lui sì di recente, Ch’egli resti anchor vivo allhor che l’hai Posta sul tergo tuo calda, è quel solo Rimedio, che può trar di tanto affanno Com’io desio la tua real persona.

68. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [67.]. DELLA VOLPE INGRASSATA. » p. 24

Ma quando satia fu, sì grosso il ventre Trovossi, che non hebbe il modo mai D’uscirne, e si dolea la notte e ’l giorno : Né restava però di mangiar sempre De’ polli il resto quando le parea Che fusse di cenar la solita hora ; Tal che ognihor più ingrassava, e venia gonfia, E inhabile ad uscir di quella stanza, Dove aspettava adhor adhor la morte, Se di quella il patron vi fosse entrato.     La Donnola, che spesso i suoi lamenti Sentito haveva, da pietà si mosse A consigliar così quella meschina. […] Perché fin che qui dentro ognihor ti stai Pascendo a voglia tua l’ingorda gola, Sempre starai nella medesma pena, E in continuo pericol de la vita.

69. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [57.]. DEL CONTADINO, ET DEL CAVALLIERO. » p. 402

Or visto il Contadin, che invano havrebbe Fatto ogni prova per voler seguirlo ; Di ricovrarlo non havea più speme ; E dirgli incominciò così gridando. […]     Così talhor altrui l’huom donar suole Quel, che per modo alcun vender non puote, Celando il suo pensier con finte note Mentre non ne può far ciò, ch’egli vuole. Volontier dona quel, che non puoi vendere.

70. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [39.]. DEL DRAGO, ET LA LIMA. » p. 93

TROVÒ Il Drago una lima in mezo un campo ; E stretto da la fame allhor la prese Per divorarla non sapendo quale Cosa ella fosse : e mentre la stringea Tra duri denti indarno ritentando Di spezzarla sovente, e non potea Modo trovar, che quella a lui cedesse ; Dice ella : o sciocco, di te stesso fuori Ben sei, se stimi di poter far danno, Pur picciol danno, a la durezza estrema De’ miei ferrigni e ben temprati denti, A cui cede l’acciar più saldo e forte. Tal che prima i tuoi denti a pezzo a pezzo Si lascieranno, et da la mia durezza Consumati saranno a poco a poco, Che segno mostrin pur d’havermi offesa. […]     Così devria colui lasciar le imprese, Che impossibili sono alle sue forze, Né contrastar con quel, ch’è più possente Di virtute e valor : che nulla acquista Chi l’huom combatte, ch’è di lui più forte.

71. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [51.]. DELLE MOSCHE NEL MELE. » p. 80

E mentre stavan dibattendo l’ali Diversi augei, che quelle hanno per cibo, Di questo accorti tosto si calaro, E le divorar tutte in poco d’hora.     Dinota questo, che colui, che tutto Si dona al senso de la gola in preda Senza tener in questo ordine o modo, Che suol ragion dottar4 a chi prudente Nutrir si vuol di delicati cibi Per sua salute, ma si astien dal troppo, Che nuocer suole, onde tal vitio nasce ; Sovente casca in misera fortuna, E de la Morte ancor tal volta in mano.

72. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [59.]. DEL FIGLIUOL DELL’ASINO, E ’L LUPO. » p. 

Et ei, che ’l conoscea, negò di farlo. […] A cui ridendo l’Asinel rispose, Va pur, s’hai forse a fare altro camino ; Ch’egli sta meglio assai, che non vorresti.     Tal ti dee del nimico esser sospetto Il volto, che d’amor ti mostra segno ; Se con l’occhio miglior del sano ingegno Non vedi qual gli giace il cor nel petto.

73. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [3.]. DELL’AQUILA, ET LA SAETTA. » p. 276

    Ella, che trappassar sentissi il fianco Dal crudo ferro, e quasi a morte giunta, L’ali allargando declinò lo sguardo Verso l’offesa parte, onde sapesse La ria cagion dell’improviso colpo. Et veduto lo stral tutto nascoso Nell’intestine del suo proprio ventre, S’avvide ancor, che de lo stral le penne De l’ali proprie sue furon già parto : E non tanto si dolse esser traffitta Per giugner di sua vita in breve al fine, Quanto che di veder l’ali sue stesse Esser ministre a lei di tanto danno.

74. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [69.]. DI DUE RANE C’HAVEAN SETE. » p. 43

SOTTO l’ardor del caldo estivo Sole Già si seccar molte paludi e stagni Sì, che penuria d’acque havea la terra : Allhor due Rane da gran sete spinte Andaro insieme lungamente errando Per le campagne, e per le basse valli Per veder se potean trovar ventura D’alcun riposto humore al lor bisogno. […] Ma quella, che più saggia era di lei, E di più lunga esperienza accorta, Così rispose al temerario invito.     Se ci gettiam, sorella, entro a quest’onde, D’intorno chiuse, e d’alto muro cinte, Quantunque dolce nel principio fia L’acque gustar del nostro ardor ristoro ; Dubito ancor, che se malvagia stella Seccar facesse l’abondante humore, Non ci paresse alfin pur troppo amaro, Restando a forza in su l’asciutto fondo Senza speranza di poter salire Per riparar a novo altro bisogno.

75. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [12.]. DELLA VOLPE, E ’L LUPO » p. 211593

Talché la Volpe, ch’era homai vicina Per annegarsi, et altro a fare havea, Che spender seco più parole in vano, Disse : ah fratello trammi pur di questo Pozzo fin che puoi farlo e sana e viva, Che poi ti conterò più adagio il fatto, E come e quando, oimè, misera, avenne, Ch’io sia sicura dal presente affanno.     Così spesso intervien, che dove alcuno Dovrebbe oprar la man tosto e l’ingegno Per condur l’opre d’importanza a fine, Sta vaneggiando a consumar il tempo Dietro a parole, e quel, che meno importa, Al vero fin de la bramata impresa Con danno de gli amici et sua vergogna.

76. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [77.]. DEL CINGHIALE, E LA VOLPE. » p. 224

Stolta (ei rispose) io m’affatico adesso E non indarno per quel, che potrebbe Tardi avenirmi, e forse anco per tempo. Ch’aspettar non bisogna che ’l periglio Ti stia sopra del capo in trovar l’armi, Che pon salvarti da nimica mano : Che quando sei con l’avversario a fronte Non è allhor da cercar, ma da oprar l’arme, Che ti difendan da gli assalti suoi. […] Però nel tempo de la pace io voglio Apparecchiarmi de la guerra a l’uso Di tutto quel, che mi può far mistiero.

77. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [31.]. DELL’UCCELLATOR, ET LA LODOLA. » p. 193

MENTRE l’uccellator tendeva i lacci, Ond’ei cogliesse i semplici augelletti, La Lodola, che a lui vicina stava Mirando il fatto sopra un verde pruno, Gli dimandò quel ch’ei facesse allhora. Egli rispose, che principio dava A fabricar una nobil cittade, Che ad ogni amico suo prestasse albergo. […]     La semplicetta allhor, c’havea creduto Del suo falso parlar vero il concetto, De l’arbor scese sopra il verde piano : E s’inviò verso quei lacci ignoti, De la finta città principio finto, Per poter meglio intender la ragione, L’ordine, e ’l sito de le nove mura De la mole, che vera ella credea.

78. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [66.]. DELL’AQUILA, E DEL CORVO. » p. 2

Il che vedendo il Corvo non lontano De l’atto generoso emulo venne. […] Tal che restando spennacchiato il Corvo, E in parte fuor de la sembianza prima, Se domandato era qual fosse augello Sempre rendeva altrui simil risposta. […]     Questo non altro al savio inferir puote, Se non ch’ognun, che temerario ardisce Quella impresa tentar, ch’a la bassezza Del suo grado e valor mal si conviene, Sovente va d’ogni miseria al fondo : E divenuto favola del volgo Con suo danno e dolor schernito giace.

79. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [29.]. DELLA CORNACCHIA, ET DEL CANE. » p. 127

    Io so, fratello, e ben mi tengo a mente Quel, che tu detto m’hai de l’odio antico, In cui sempre mi tien l’irata Dea ; Ma non voglio però darle risposta D’affetto tale : anzi con cor humile Pregarla sempre, e con giusta pietade Renderle honor quant’io posso maggiore, Per veder se placar posso lo sdegno Del suo superbo cor sì in me crudele : E con carezze mitigar l’offesa, Ch’ella m’ha fatto, e può farmi maggiore.     Così devrebbe il picciolo impotente A far contrasto co’ maggiori suoi Lor ceder sempre, e farsi humile in tutto Verso lo sdegno lor duro e protervo ; Perché contra il possente il debil perde : E l’humiltade ogni durezza doma ; E spesso avien, che la vittoria porta De l’huom superbo e di feroce core Colui, ch’a tempo e loco accorto cede. Vince più cortesia, che forza d’armi.

80. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [99.]. DEL CONTADINO, E GIOVE. » p. 

Di che Giove sen rise, e ’l Contadino Le perdute fatiche in van piangea. […]     Così devrebbe ognun fidarsi in Dio, Né chieder più da lui quello, che questo : Ch’ei, cui nostro bisogno è manifesto, Quel, che convien, ci dà benigno e pio.

81. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [44.]. DEL SERPENTE, ET GIOVE. » p. 198

IN mezo d’una via stava il Serpente,     Né però ad altri facea danno alcuno,     Anzi sempre calcato era da ognuno,     E tolto a scherno da l’humana gente : E con Giove si dolse, che innocente     Essendo, gli era ogni huom sempre importuno.     Ond’ei gli disse : Ognun sarà digiuno     D’offenderti, se men sarai clemente : E, se col primo, che ti fece offesa,     L’ira mostrato havesti, e ’l tuo veleno,     A l’altre ingiurie ciò t’era difesa.

82. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [88.]. DELLA VOLPE, E LO SPINO. » p. 140

    Dicendo che ferita era da lui,     A cui ricorse ne i bisogni sui. Ma rispose lo spin, che non deveva     Ella cercar d’haver da lui soccorso,     Che dar per uso natural soleva     A chi s’appressa a lui sempre di morso.

83. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [1.]. DELL’AQUILA, ET DELLA VOLPE » p. 1

DELL’AQUILA, ET DELLA VOLPE L’AQUILA altera, et la sagace Volpe Già di stretta amicitia unite insieme D’insieme anco habitar preser partito, Sperando pur che ’l conversar frequente Crescesse in lor di più sincero affetto La carità de l’amicitia nova. […]     Il che veduto allhor l’afflitta madre Restò del caso rio trista e dolente ; Et non potendo farne altra vendetta, Quando per esser animal terrestre, Et senza penne da levarsi a volo, Non può gir dietro a sì veloce augello ; Di cor la maledice, et la bestemmia, Sì come fanno i miseri impotenti, C’han per solo rimedio in mezo a i guai Lo sfogar in tal guisa il giusto sdegno Contra chi loro a torto ingiuria move : In tanto odio e veleno si converte De le grate amicitie la dolcezza Quando da gli empi simulati amici Indegnamente violate sono. […]     Il che vedendo allhor la Volpe offesa Per far de la sua prole alta vendetta Sopra di quelli immantinente corse ; E inanzi a gli occhi de l’altera madre Devorò ingorda i pargoletti figli.     Così fra noi mortali avenir suole, Che chi de l’amicitia i sacri patti Per non degna cagion profano rompe, Quantunque de gli offesi amici al tutto Possa schivarsi da l’ultrice mano ; Non è però che col girar de gli anni Schivar possa di Dio la giusta spada.

84. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [20.]. DELLA GAZZA, ET GLI ALTRI UCCELLI. » p. 

    Allhor tutti gli augei, che la sentiro, Accorti de l’error, ch’ella prendea Da la sembianza de le varie piume, Dietro le sibillaro, in mille guise Schernendo il suo timor fallace e vano. […] Più grave appar, che la vergogna, il danno.

85. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [27.]. DELLE VOLPI. » p. 17

E per trovar il modo, onde potesse In compagnia di tutte l’altre meglio Soffrir di questo male il lungo scorno, Venne in pensier di dar consiglio a l’altre, Che si troncasser la lor coda anch’esse Per fuggir di portarla il lungo impaccio : Così stimando col comune scorno Coprir il suo, che non saria notato. […] Certo che tu ben pazza sei se ’l credi.

86. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [34.]. DEL CERVO, ET SUO FIGLIUOLO. » p. 351

Questo ben ti dirò : Che solo al suono De la sua voce, anchor che da lontano Molto da me talhora udita sia, Tosto mi sento non so che timore, Che mi fa forza contra ogni ragione A fuggir presto dal latrar maligno, Che tremar mi fa tutto il cor nel petto.

87. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [68.]. DELLA SELVA, E ’L VILLANO. » p. 303

    Ella, che per natura era cortese, E ricca intorno del suo gran tesoro, Gli ne fé parte, gratiosamente Donando a lui quanto le havea richiesto.     Ond’ei ne fece il manico ; e dapoi A spogliar cominciò di parte in parte La Selva tutta con la parte stessa, Ch’era già membro di lei stessa uscito : Sì che ’l Villano iniquo e discortese Tutta la pose in picciol tempo a terra.

88. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [23.]. DELL’ASINO, E ’L CAVALLO. » p. 357

L’ASINO d’un Signor nodrito in corte Vide un nobil corsier ; che d’orzo e grano Era pasciuto, e ben membruto, e grasso ; Passeggiar su e giù dentro il cortile Di seta, e d’or superbamente adorno, Mentre aspettava il suo Signor, ch’armato Montasse in sella, e ’l conducesse dove Marte feroce insanguinava il piano : E felice chiamava ognihor sua sorte, Ch’ei fosse tanto dal Signore amato, Che seco il volea sempre, e gli facea Mille carezze, et ocioso, e lieto Il tenne un tempo con solazzi e feste : Ond’esso mal pasciuto a le fatiche Sempre era posto, né mai conoscea Il giorno da lavor da quel di festa, Continuando un duro ufficio sempre Senza giamai provar ocio, o riposo. […]     Così far deve ogn’huom, che in bassa sorte Esser si sente, e senza invidia il corso Di sua vita passar, mentre comprende De’ Prencipi e Signor l’alta fortuna : Che spesse volte in gran bassezza cade, Chi posto vien de la sua rota in cima.

89. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [58.]. DEL LEONE, DELL’ASINO, ET DELLA VOLPE. » p. 149

IL possente Leon, l’astuta Volpe, E ’l semplice Asinel venner d’accordo D’esser compagni, e divider tra loro Quel, che ciascun di lor prendesse in caccia. […] Poi volto in atto furibondo e fiero A la Volpe, che attonita mirava Quel caso strano, e di nequitia pieno, Con parlar orgoglioso le commesse, Che in giuste parti dividesse il tutto.

90. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [65.]. DEL LEONE, ET DELLA VOLPE. » p. 10

Ma poi da quel non ricevendo oltraggio, Incontratolo ancor sentì minore La paura, che d’esso hebbe pur dianzi.

91. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [61.]. DELLA VOLPE, ET DELL’UVA. » p. 15

    Tal l’huomo astuto suol quel, ch’ei più brama, Spesso sprezzar, se da accidente strano Reso gli vien dal suo pensier lontano Quel, che più d’acquistar s’industria, et ama.

92. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [2.]. DEL CORVO, ET SUA MADRE. » p. 324

Deh come sarà mai, figlio diletto, Che sieno udite le preghiere mie, E i voti, ch’io per te porga a gli Dei ; Per te, che sempre de i lor sacri altari Le vittime predando, e di brutture Contaminando i puri alberghi santi Per mille ingiurie di vendetta degne Sei fatto odioso al lor benigno nume ?

93. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [76.]. DEL CORVO, ET LI PAVONI. » p. 101472

    Così interviene a chi troppo bramoso Di gloria senza merto honor procaccia Da le fatiche altrui frodando il vero, Inhabile a quel far, che gli altri fanno, Che d’ingegno e valor dotati sono.

94. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [64.]. DELL’ASINO, E DEL CINGHIALE. » p. 484

AVENNE un dì, che ’l semplice Asinello     Per camino incontrando il fier Cinghiale,     Qual pazzo incominciò ridersi d’ello,     Per non haver più visto un mostro tale :     Ond’ei gli disse : Segui, pur, fratello,     Di me burlarti, poi ch’assai ti vale     L’esser sì vile, e di sì sciocco ingegno,     Che d’oprar mio valor teco mi sdegno.

95. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [28.]. DEI LUPI E ’L CORVO. » p. 

Tal che, sì come haver da te potrei     Aiuto in divorar quel, ch’io prendessi     Vittorioso co i compagni miei ; Così, s’io vinto, et morto al pian giacessi,     Tu delle carni mie quello faresti,     Che far a gli altri io te veduto havessi.

96. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [37.]. D’UN VECCHIO, ET LA MORTE. » p. 60

E rivolgendo con la mente spesso L’aspra calamità, che ognihor l’afflisse, Con la memoria de i passati guai Cresceva il duol del suo presente affanno.

97. (1570) Cento favole morali « Présentation »

Del padre, e del figliuolo, che menavan l’asino » P721       Faerno, 100       1. « Dell’aquila, et della volpe » P1   Faerno, 60   2. « Del corvo, et sua madre » P324   Faerno, 13   3. « Dell’aquila, et la saetta » P276   4. « Dell’aquila, e ’l guffo » PØ — cf.  […] P80   Faerno, 14   48. « Dell’asino, che portava il simolacro » P182     Faerno, 95     49. « Di Pallade, et di Giove »   P508     Faerno, 2 < Phèdre, III, 17, in Perotti, Cornu Copiæ, I, cv, 10. 50. « Del granchio, et la volpe » P116     51. « Delle mosche nel mele » P80     52. « Dell’asino, la simia, et la talpa » PØ   Faerno, 43   53. « D’un marito, che cercava al contrario del fiume la moglie affogata » P682       Faerno, 41       54. « Del contadino, et Ercole » P291     Faerno, 91     55. « Del lupo, et della grue » P156   Faerno, 56   56. « Del topo cittadino, e ’l topo villano » P352     57. « Del contadino, et del cavalliero »  P402     Faerno, 15     58. « Del leone, dell’asino, et della volpe » P149     Faerno, 3     59. « Del figliuol dell’asino, e ’l lupo » PØ      Faerno, 55     60. « Dell’asino, e del lupo » P187   Faerno, 4   61. « Della volpe, et dell’uva » P15   Faerno, 19   62. « Del corvo, et la volpe » P124   Faerno, 20   63. « Del leone impazzito, et la capra » P341     Faerno, 5     64. « Dell’asino, e del cinghiale » P484   Faerno, 54   65. « Del leone, et della volpe » P10   Faerno, 18   66. « Dell’aquila, e del corvo » P2   67. « Della volpe ingrassata » P24   68. « Della selva, e ’l villano » P303   69. « Di due rane c’havean sete » P43   Gabriele Faerno, Fabulae centum, 37 70. « D’un cane, che temeva la pioggia » PØ     Faerno, 67 < Abstemius, II, 17. […] Manuce, 1508, II, 369, f. 148r-v : « Pardalis mortem adsimulat » 79. « Dell’asino, et della volpe » P188   Gabriele Faerno, Fabulae centum, 88 80. « Della lepre e la testuggine » P226   81. « Della rondine, e gli altri uccelli » P39     82. « Del leone, et le rane » P141   83. « Del topo, et della rana » P384   84. « Del leone invecchiato, et la volpe » P142     Gabriele Faerno, Fabulae centum, 74   85. « Del gatto, e del gallo » P16   Gabriele Faerno, Fabulae centum, 42 86. « Dello sparviero che seguiva una colomba » ???

98. (1660) Les Fables d’Esope Phrygien « LES FABLES D’ESOPE PHRYGIEN. — FABLE XXI. Du Larron, et du Chien. »

Car comme dit l’Italien, Chi m’accariçia piu che non suole, o ingannato m’ha, o ingannar me vuole.

99. (1893) Les fabulistes latins depuis le siècle d’Auguste jusqu’à la fin du moyen âge. Tome I : Phèdre et ses anciens imitateurs directs et indirects pp. -818

Préface de la première édition Je me propose de publier, en faisant précéder les textes de leur histoire et de leur critique, tout ce qui reste des œuvres des fabulistes latins antérieurs à la Renaissance. C’est une vaste tâche que personne encore ne s’est imposée, et qui, je le crains du moins, m’expose à être un peu soupçonné de présomption. Pour me prémunir contre un pareil soupçon, je désire expliquer comment j’ai été conduit à l’assumer. De tous les auteurs anciens qui guident les premiers pas de l’enfant dans l’étude de la langue latine, Phèdre est celui qui lui laisse les plus agréables souvenirs. Ses fables sont courtes, faciles à comprendre et intéressantes par l’action qui en quelques vers s’y déroule.

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