UN ASINEL, che sopra il tergo vile Havea di Giove un simolacro d’oro, Ch’al Tempio il suo padron seco trahea, Mentre passava per diverse vie Era inchinato da la gente tutta, Che con divotion s’humiliava Del nume vano a quella ricca imago. Ma credendo il meschin, che quell’honore Venisse fatto al suo nobile aspetto, Del suo stolto parer tanto gonfiossi, Che preso allhor da quella gloria vana, E tosto in mezo del camin fermato Levando per superbia in alto il capo Tutto si vagheggiava ; et non volea Mirando hor qua hor là mover un passo : E d’esser nato un Asino del tutto Già si scordava, se non era allhora Il suo padron, che con un grosso fusto Percotendo le natiche asinine Gli fece di sé stesso entrar in mente Con molte busse, et con simil parole.
Ella, che per natura era cortese, E ricca intorno del suo gran tesoro, Gli ne fé parte, gratiosamente Donando a lui quanto le havea richiesto. […] Però guardisi ognun a cui fa dono De le sue gratie, e non si fidi troppo Di chi per molta esperienza, e lunga Prattica non conosce essergli amico.
Andando un giorno per la via pensoso Adosso mi cadde, cred’io dal cielo, Un sì fervente humor, e a me noioso, Che quasi un terzo mi levò del pelo : E questo m’è un ricordo tanto amaro, Ch’a dirti il vero ancor me ne querelo. […] Tal di viver sicur partito piglio : Che per fuggirmi quel martir fatale Patir cotal disagio hor mi consiglio.
PUR dianzi havea ’l Leon de gli animali Tutti per forza conquistato il Regno, E come Re de gli altri un bando fece Gridar, ch’ogni animal, che senza coda Fusse dal suo tener gisse lontano, E in esiglio da lui lontan vivesse Essendo privo de l’honor, che seco Porta la coda, che vergogna asconde. […] Havendo tu per due coda bastante, Ond’io pur non ve n’ho picciolo segno ?
L’ALLODOLA è un augel poco maggiore Del Passero, et di piuma a lui simile, Ma sopra il capo un cappelletto porta Di piume, ch’assai vago in vista il rende : Questa di far il nido ha per usanza Dentro a le biade de gli aperti campi ; In cui suol partorir le picciol uova De la stagion de l’anno in quella parte, Che può bastarle a far prender il volo Ai nati figli al cominciar la messe. Ma le occorse una volta il farlo in mezo D’un campo seminato assai per tempo, Sì che l’uova depose a punto allhora, Che incominciavan biancheggiar le spiche. […] Però qualunque volta iva per cibo Da lor lontana la provida madre Lor avvertiva con pietoso affetto, Che se cosa occorresse a lor d’udire, Ch’a l’orecchie di lor nova paresse, Se la tenesser con gran cura a mente Per riferirla al suo ritorno a lei. […] Così quel giorno non comparse alcuno : Onde il padron de la matura biada Giunto verso la sera in quella parte Disse al figliuol : poi che nessun si move O de gli amici, o de’ parenti nostri A prestarci lor opra in tal bisogno ; Fa’ che tosto diman, figlio, per tempo Qui due messore porti, onde ambidue Noi farem cotal opra ad agio nostro, Né ad alcun altro havremo obligo alcuno.
Quinci esso ancor per far prova maggiore Con strepito et stridor ratto si cala Sopra un grosso monton ; nel folto velo Di cui poscia il meschin l’ugne intricando, L’ugne mal atte a così gran rapina, Per prender altri alfin preso trovossi. Perché il Pastor veduto lui su ’l dorso De l’animal in van batter le penne Per liberarne gl’intricati piedi, V’accorre ; il prende ; e i troppo audaci vanni Trattogli a sua maggior vergogna e danno A i fanciulletti suoi per giuoco diede.
FUGGENDO i cacciatori entrò la Cervia D’una frondosa vite entro una macchia, E sotto i rami suoi cheta s’ascose : Sì che scorrendo i cacciatori intorno Sorte non hebber di poter vederla, E per trovarla in altra parte andaro. […] Non far oltraggio a chi ti fu cortese ; Che Dio per lui vendicherà l’offese.
Lasciale dunque, e non pensar giamai Di premio haverne usando atto gentile ; Ché se ben cortesia merita assai ; Chi per natura è rio non cangia stile : E per buon’opra rende pene e guai, Et è superbo a quel, che gli è più humile : Né può placar un beneficio pio Un cor, che nato sia crudele e rio.
L’astutia fu, ch’un dì passando il Corvo Vicino a la sua grotta, a sé chiamollo Con debil voce, e con sermone humile Il mosse a gran pietà de la sua sorte : Et lo pregò, ch’ei divulgasse tosto De la sua morte già vicina il nome, Per cortesia fra gli animali tutti, Che facevan soggiorno in quel paese : Che, essendo esso lor Re, debito loro Era di visitarlo, e ritrovarsi Ciascun l’ultimo dì de la sua vita Per honorarlo de l’esequie estreme ; E ch’ei gran voglia havea di rivederli, E dir a chi l’amò l’ultimo vale : E testamento far per far herede Alcun di lor del destinato scetro. Dunque ubidillo il Corvo, e sparse intorno Tosto di ciò l’ingannatrice fama Tal che di giorno in giorno andava a quello Alcun de gli animai da quel confino Come inteso l’havea tardi o per tempo Per visitarlo : ma quando a lui presso Se lo vedea il Leon, che ’l mezo morto Fingea, l’unghiava con le zampe adunche, E lo sbranava, e ne ’l rendea suo pasto. Così più giorni fece insin che venne L’astuta Volpe, che da un poco sangue, Che vedea presso a lui, sospetto prese, E più oltre passar non volse prima Che ’l salutasse, e da la sua risposta Meglio congietturar potesse il fatto : E tosto accorta a salutarlo prese Lontana un poco per mostrar gran doglia Del suo languire sospirando alquanto ; E a dirle del suo stato lo pregava.
Il Vecchio stanco l’ubidisce ; et vanno Così per breve spatio al lor camino : E trovan nove risa, e novo affanno. Già senton dir da ognun per quel confino, O che discretion d’huomo saputo, Ch’a piedi lascia quel garzon mischino. […] E per provar se tutti far contenti Potea pur, prese alfin novo partito, Onde tanti parer fossero spenti. […] E sendo sopra un ponte in quel momento Qual disperato il mal nato animale Gettò nel fiume per minor tormento.
Diceva il Pardo Vedi la pelle mia di varie macchie Con ordine e misura al par del cielo, Ch’è di stelle dipinto, adorna tutta Con tal vaghezza, che stupore apporta A qualunque la vede : e tal è ’l pregio Suo, che Baccho figliuol del sommo Giove Non si sdegna coprir le belle membra D’altra mai per lo più, che di tal pelle, Che tutta la mia specie adorna e veste. […] Però di questa a me ceder tu dei, Se non sei folle in tutto, ognihor la palma ; A me ; che quanto hai tu vario d’aspetto Il dorso tutto, ho vario e di colori Mille dipinto l’animo e l’ingegno Atto a fornir mille lodate imprese : E per ciò bella sono in quel, ch’importa Più, che la pelle facile a smarrire L’apparente beltà, ch’offender puossi : Onde la mia non può sentir offesa Mentre con essa mi riserbo in vita.
GIÀ fu che ognun de gl’immortali Dei A suo piacer un arbore si elesse D’haver per propria insegna in sua tutela. […] La cagion, figlia, che ciascun ne indusse A far elettion d’inutil pianta, Fu certo un ragionevole rispetto, C’habbiam che ’l mondo non pensasse mai, Che per l’utilità vil di quel frutto Il proprio honore alcun di noi vendesse, Onde il nome divin restasse infame.
Impressvm Venetiis per Magistrvm Ioannem de Cereto De Tridino.
Abstemius 178 De tvrdo per viscvm capto TVrdus uisco captus ab aucupe se ipsum afflictabat dicens « Non tantum mortis dolore excrucior, quantum quod meæ res me perimunt. » Aiunt enim uiscum ex turdorum stercore procreari.
Ille per hostii [sic] rimulam respondit. « Melius quam uelletis. » Hæc indicat fabula, quod multi fingunt moleste ferre mortem aliorum, quos tamen cupiunt celeriter interire.
Abstemius 111 De vvlpe orante foramen domvs modo dilatari modo contrahi VVlpes ingressura domum Rustici, ubi gallinas audierat, foramen, per quod transeundum erat, dilatari cupiebat.
Quum autem optata expectarent auxilia, pisces negant per terram ad eos accedere posse.
VIDE la Rana il Bue vicino al fosso Ito per bere, e grande invidia prese Di sua grandezza, et tosto entrò in desio Di farsi eguale di statura a lui. […] Ella, che non volea per modo alcuno Folle patir d’esser minor del Bue, Né creder che colui, ch’era suo figlio, Lei madre vincer di saper potesse, Che d’anni e mesi l’avanzava assai, Nulla stimava il suo consiglio sano : Ma riputando sue parole vane, E stimando accortezza il proprio humore Tanto gonfiossi, che crepar convenne.
Vos uero me nutricem uestram per saxa et lutum trahitis. » Cui boues « Gemitus suspiriaque nostra et stimulus, quo pungimur te docere potest, quod te trahamus inuiti. » Ignouit trabs.
Abstemius 57 De amne svvm fontem conviciis lacessente AMnis quidam suum conuiciis fontem lacessebat, ut inertem, quod immobilis staret, nec ullos haberet pisces, se autem plurimum commendabat, quod optimos crearet pisces, et per ualles blando murmure serperet.
S’ERAN ridutti a general conciglio Gli augelli tutti per crear tra loro Un novo Re, che la custodia havesse De gli altri, e sopra lor dominio e regno. […] Saria forse possente o la corona Del tuo bel capo, o la gemmata coda, A contrastar quel Re per tutti noi Col rostro adunco, e co i feroci artigli De la possanza sua rara et invitta ?
Abstemius 143 De vvltvre a canibvs capto ob prædam non dimissam VVltures duo cadauer depascentes duo ingentia carnis frusta absciderant quæ unguibus per æra ferre decreuerant quom subito canibus aduentantibus alter eorum dimissa sua parte cadaueris eiulans statim e canum conspectu procul abiit, alter prædæ intentus dum partem suam dimittere cunctatur, a canibus captus est, qui dum se iam iam moriturum uideret « Heu inquit me miserum et infelicem qui paruæ uoluptatis causa tot uitæ uoluptates amittam. » Fabula indicat nimiam acquirendi cupiditatem sæpenumero auaris attulisse perniciem.
Corporis immensis fertur pecus isse per auras et magnum precibus sollicitasse Iouem : turpe nimis cunctis irridendumque uideri insignes geminis cornibus ire boues, et solum nulla munitum parte camelum obiectum cunctis expositumque feris.
Et prior : Heus, inquit, praeruptis ardua saxis linque, nec hirsutis pascua quaere iugis ; sed cytisi croceum per prata uirentia florem et glaucas salices et thyma grata pete.
Sed quadam die Miluum ad se accedentem conspicata filios conuocauit qui omnes propere ad uocem matris currentes salui facti sunt, uno duntaxat excepto, qui matris uoce contempta, dum granum tritici esse cupit, per æra curuis Vnguibus a sæua aue raptus est.
Avianus 4 [FABVLA PHOEBI BOREAEQVE] Immitis Boreas placidusque ad sidera Phoebus iurgia cum magno conseruere Ioue, quis prior inceptum peragat : mediumque per orbem carpebat solitum forte uiator iter.
Postquam nuda minax egit per uiscera ferrum Et vacuam solitis fetibus esse uidet, Ingemuit tantae deceptus scrimine fraudis Nam poenam meritis rettulit inde suis.
Vive con l’huomo, e sempre si nutrica D’ogni altra cosa, che d’esca o di grano, Cibo de l’huomo per usanza antica : Così perché nell’opre di sua mano Non gli suol mai far detrimento alcuno Depredando le biade in mezo il piano, A quello è cara ; et ei sempre digiuno Vive di farle offesa, e la ricetta Dentro a’ suoi tetti, onde l’osserva ognuno. E in prender gli altri augelli si diletta Tanto, c’ha per maggior d’ogni sua festa, Quando ve n’ha ben piena la sacchetta.
E promettendo di prestarli aiuto, Come colei, che ben nuotar sapea, Lo persuase di legarsi seco Ne i piè di dietro a i suoi con certo filo, Che per tal opra a lui recato havea. […] Or mentre quella al fondo, al sommo questo Si ritraheva con egual valore, Nessun cedendo a le contrarie forze, Un nibio, che di là passava a caso Da l’appetito de la fame tratto Ambo li prese ; et per satiar di loro L’avido ventre, da la rana in prima, Che più molle che ’l topo havea la pelle, Tosto si cominciò render satollo.
Hoc per totum diem ordine seruato, ac aliis aduenientibus, aliis abeuntibus, illo semper maiorem prædam expectante, tandem ad uesperascere cœpit.
Avianus 18 [DE QVATTVOR IVVENCIS ET LEONE] Quattuor immensis quondam per prata iuuencis fertur amicitiae tanta fuisse fides, ut simul emissos nullus diuelleret error, rursus et e pastu turba rediret amans.
VIDE la Lepre un dì con lento passo La Testuggine andar per suo camino, E cominciò sprezzarla sorridendo, E mordendo con motti acerbi e gravi La gran tardezza del suo pigro piede. La Testuggine allhor di sdegno accesa Al corso sfida la veloce Lepre : Et ambedue per giudice del fatto Chiamar d’accordo la sagace Volpe.
Ast ubi terribilis animo circumstetit horror pigraque praesumptus uenit in ossa uigor, mitibus ille feris communia pabula calcans, turbabat pauidas per sua rura boues.
Avianus 17 [DE VENATORE ET TIGRIDE] Venator iaculis haud irrita uulnera torquens turbabat rapidas per sua lustra feras.
Avianus 39 [DE MILITE ET LITVO] Vouerat attritus quondam per proelia miles omnia suppositis ignibus arma dare uel quae uictori moriens sibi turba dedisset, uel quicquid profugo posset ab hoste capi.
Cumque per effusas stagnaret turbine terras, Expositum campis fictile pressit opus (mobile namque lutum tepidus prius instruit aer, Discat ut admoto rectius igne coqui).
At senior, nullam uerbis compulsus in iram, uertebat solitam uomere fessus humum, donec deposito per prata liceret aratro molliter herboso procubuisse toro.
INCONTRANDO la Volpe il fier Leone, Che non prima ch’allhor veduto havea, Prese tanto timor, tanto spavento, Che per poco maggior morta sarebbe.
Abstemius 89 De rvstico per vocem hædi ad ivrisconsvltvm admisso RVsticus quidam graui lite implicitus ad quendam iurisconsultum accesserat, ut eo patrono sese explicaret.
Abstemius 131 De ficedvla tvrdvm in fertiliorem locvm dvcente FIcedula per locum quendam desertum iter faciens reperit Turdum labruscæ uuis et siluestrium arborum baccis uictitantem, apud quem hospitata hortata est eum ut relicto tam sterili et deserto loco secum pergeret.
Il suo padron vedendol sen ridea : Né per quello aiutar però moveasi.
Ma per ben ch’ella alzasse i piè dinanzi Lungo il troncone, et saltellando andasse Per arrivar a quel pendente cibo, Però mai non ne giunse un picciol grano.
E tra le canne, che servian per muro De l’humile capanna d’un pastore, Di cece, e ghiande, che in più giorni accolse, Tutto contento, e pien d’amico affetto Gli fece lauta e copiosa mensa. […] A l’apparir de l’inimico lume Il Topo Cittadin ratto fuggissi L’altro invitando con tremante core A far l’istesso per fuggir da’ guai, E dietro a l’uscio tosto si nascose. Ma partito colui, che fu cagione De la paura, e del disturbo loro, Tornar di novo a l’assaggiato cibo, E ne satiaro a pien l’ingorda fame, Benché tremanti, e di sospetto pieni : Né però si sapean levar da mensa Dal gusto presi del soave pasto, Se un’altra volta l’importuno hostiero, Che per altro bisogno ivi tornava, A disturbarli non venia di novo.
Dumque per inceptum uario semone feruntur, in mediam praeceps conuenit ursa uiam.
Deh perché fate invan tante querele Voi, che per altro pur felici sete ?
Così dee tolerar l’huomo prudente Quel, che non può per modo alcun fuggire ; E quel, che vuol necessità, seguire, Per non parer altrui di bassa mente.
E per esser d’altrui creduto tale, Entrò de gli Pavoni anch’esso in schiera.
PASSANDO un’acqua il Cane con un pezzo Di carne in bocca, che trovò per via, Vide nell’onda, ch’era posta al rezzo, L’ombra maggior di quella, ch’egli havia : Et disse.
E la Volpe, che intorno iva cercando Da satiar la fame, che già quatro Intieri giorni le rodeva il ventre, Visto quel di lontan subito corse, E tosto l’afferrò per divorarlo.
Antequam sol occideret, per totam urbem uulgatum est hunc hominem ad.XL. oua peperisse.
E per trovar il modo, onde potesse In compagnia di tutte l’altre meglio Soffrir di questo male il lungo scorno, Venne in pensier di dar consiglio a l’altre, Che si troncasser la lor coda anch’esse Per fuggir di portarla il lungo impaccio : Così stimando col comune scorno Coprir il suo, che non saria notato.
Così l’huom nato per natura vile Quantunque armato sia poco è sicuro ; Ché, se ben fusse chiuso entro ad un muro, Però cangiar non può l’antico stile.
E mentre stavan dibattendo l’ali Diversi augei, che quelle hanno per cibo, Di questo accorti tosto si calaro, E le divorar tutte in poco d’hora.
Tal che più d’un, che la fatica vana Scorgea di lui da carità commosso Gli ricordava con parlar cortese, Che per trovarla a la seconda andasse Del corrente liquor, che in giù trahea.
Victus tandem precibus et cupiditate uitæ, qua nihil homini sanæ mentis dulcius est, adductæ sibi mulieris infusus gremio placidum petiuit per membra soporem.
Sed quum ex improuiso Miluus adueniens unum unguibus rapiens uellet auferre omnes pariter per inane portauit.
L’AQUILA stanca dal continuo volo Per posar sopra un sasso al pian discese : D’onde un uccellator, ch’ivi la vide, E la prese di mira, alfin la colse Con un pungente stral da l’arco spinto Mentre ella stava per gettarsi intenta Dietro a una lepre, e farne alta rapina.
Occorse un giorno, che sendo in camino Ambi guidati dal padrone insieme, L’Asino stranamente indebolito Da la vecchiezza, e dal soverchio peso Pregò il Cavallo in supplichevol modo Che d’un poco del peso per alquanto Di spatio gli piacesse di sgravarlo Fin ch’ei potesse sol riprender lena : Perché già si sentia venir a fine : E negando di farlo il suo compagno Cadendo lasso in mezo del sentiero Terminò col viaggio anchor la vita.
VESTISSI il Lupo i panni d’un pastore Per ingannar le semplicette agnelle Con l’apparenza de l’altrui sembiante, Celando il troppo conosciuto pelo : E col bastone in man, co ’l fiasco al tergo, E con la Tibia pastorale al fianco, Verso il gregge vicin ratto inviossi, Sperando di condurlo entro un ovile Fatto da lui d’una spelonca oscura, E prepararsi per un anno il cibo, Che senza faticar potria godersi.
SOTTO l’ardor del caldo estivo Sole Già si seccar molte paludi e stagni Sì, che penuria d’acque havea la terra : Allhor due Rane da gran sete spinte Andaro insieme lungamente errando Per le campagne, e per le basse valli Per veder se potean trovar ventura D’alcun riposto humore al lor bisogno.
Fust teus ses chanz cum est ses cors, il vaudreit meuz que nul fin ors. » Li corps se oï si bien loër quë en tut le mund n’ot sun per, purpensé s’est qu’il chantera, ja pur chanter los ne perdra : le bec overi, si chanta e li furmages li eschapa ; a la tere l’estut cheïr e li gupil le vet seisir.
Ond’ella in tal sermone Subito sciolse la dogliosa voce : S’edificar, fratel, vuoi tal cittade, Io ti so dar per certo un buon aviso, C’havrai di cittadin vuote le strade.
Che giunta in breve per le vie più corte De i can la torma a lui, ch’era intricato, Con fiero stratio ne ’l condusse a morte.
AFFAMATA la Volpe, e divenuta Smagrita e scarna, per un picciol buco Entrò in un tetto di galline pieno Per satiar di lor la lunga fame : Né difficil le fu la stretta entrata.
Così l’huomo empio, e per natura forte L’inferior di forza e di valore, Quando li piace, a suo diletto offende, Cercando le cagioni, o vere o false Che sian, nel sen de la nequitia sua ; Con cui non val né la ragion, né il vero.
Chiamollo Giove poscia, e per mostrarli Quanto era vana la prudenza sua In voler comandar a chi sa il tutto : Gli disse.
Vnde (ut refert Iosephus) sub eo per uiginti annorum spatia per duos tantum præsides, Gratum scilicet et Pilatum, est gubernata Iudæa. […] Sed quom ipsi quoque alimenta illi denegando, quæ per omnia membra deferuntur, deficerent, cum eo in gratiam redierunt.
Ne voilez mes Adam blamer, si le fruit de l’arbre manga que nostre sire li devea : li deables li cunseilla, que par sa femme l’enginna e li pramist si grant honur que per sereit al Creatur. » Pur ceo ne deit nul encuper autrui fesance ne blamer ne mettre fame sur sun preme ; chescun reprenge sei me[is]mes.
Onde mostrando il Nibio con gran suono D’altera voce un topo, c’havea preso In mezo un campo di tagliate biade ; E lo Sparvier mostrando una Colomba, Che per lo ciel volando a forza ottenne, L’Aquila disse.
Poi giunti alfine al consueto albergo, Sedero a mensa per cenar insieme : E d’una gran polenta, che dal foco Posta s’haveano allhor allhora inanzi, A pascer cominciar le stanche membra.
E mentre lungo spatio disputando Tra lor di questo in van perdeano il tempo, Fu primo il Sol, che per finir le liti, Visto in viaggio un pellegrin lontano, Mosse queste parole.
TAGLIAVA legna un Contadino un giorno Sopra la riva d’un corrente fiume ; E la scure per caso a lui di mano Uscita andò di quello insino al fondo : Onde il meschin piangea dirottamente La sua disgratia sì, ch’a pietà mosse Mercurio, che cortese entrò in pensiero Di voler aiutarlo allhor allhora : E pescando nel fondo a l’aria trasse Un’altra scure, ch’era d’oro tutta ; Domandando a colui s’era la sua.
« ꝑ pour per. […] Quæ ab ipsis per plurimos terre (sic) angulos eradicata funditus et subversa legimus, etc…” « L’écrivain avait peut-être commencé à copier ce traité De Monstris avant d’avoir achevé Phèdre ; et il avait laissé, pour achever celui-ci, la quantité de parchemin qu’il supposait nécessaire. […] Or, dans la quinzième des fables nouvelles, le même événement est présenté, suivant Jannelli, comme remontant à quelques années, per aliquot annos. […] Cette façon de comprendre le texte, qui d’ailleurs me semble la plus exacte, et que dans ma traduction j’ai moi-même adoptée174, ne permet pas de déduire des mots per aliquot annos une indication bien positive.