PASCEANO insieme l’Asino e ’l Vitello L’herba novella in un medesmo prato Tutto di varii fiori ornato e bello : E sentito lontan più d’un soldato Avicinarsi con feroce suono Disse il Vitello : Or vedi un campo armato ; E però parmi, che sarebbe buono Torci di questo loco periglioso, Né il fulmine aspettar udito il tuono. […] Sì ch’io non temo, che mi rompa l’ossa Altri, che del padron il duro legno, Sia ch’ei si sia ; né temo altra percossa. Così non prende l’huomo savio a sdegno Il cangiar patria, e loco, e ancor Signore, Pur che ne stia de la sua sorte al segno, Né provi stato del primier peggiore.
DA capo a un fiumicel beveva il Lupo, E l’Agnello da lui poco lontano Vide inchinato far simil effetto : E come quel, che di natura è rio, Né havea cagion, e pur volea trovarla Di venir seco a lite, e fargli offesa, Cominciò tosto con parlar altero Dirgli, che mal faceva, e da insolente A turbar l’acque col suo bere a lui, Ch’era persona di gran pregio e stima, Esso vil animal di vita indegno. […] Così l’huomo empio, e per natura forte L’inferior di forza e di valore, Quando li piace, a suo diletto offende, Cercando le cagioni, o vere o false Che sian, nel sen de la nequitia sua ; Con cui non val né la ragion, né il vero.
Or finalmente avenne Che né biada, né vin quell’anno colse Tanto sterile andò la terra allhora. […] Così devrebbe ognun fidarsi in Dio, Né chieder più da lui quello, che questo : Ch’ei, cui nostro bisogno è manifesto, Quel, che convien, ci dà benigno e pio.
Se tu malvagia ciò facesti al Cane, De l’insolenza tua ben ti dorresti, Ben t’avvedresti de la tua pazzia, Né lungamente te n’andresti altera. […] Così l’huomo insolente ancorché vile A chi non sa né può mostrarsi rio Dà spesso impazzo : ché benigno e pio L’intende, e che non suol cangiar suo stile.
Et ei, che né di sé, né d’altri havea Cura, che punto l’annoiasse mai, Già tutto gonfio del concesso honore Stimando sé maggior di quel, ch’egli era, Parlò superbamente in cotal forma. […] Così colui, ch’a le sue voglie serve, È pronto a ricercar l’altrui governo, Senza pensar qual sia l’ufficio suo : Né suole ambition di cure altrui Mover il cor di chi conosce e vuole Far sempre quanto al suo dever conviene.
Il caminar a piedi era lor grato, Né ’l debole animal di peso alcuno, Perch’ei non si stancasse, havean gravato. […] Né trovaro alcun mai, cui grave fallo Ciò non paresse, consigliando il vecchio, Ch’anch’ei s’accomodasse afflitto e giallo. […] Così fa l’huomo a sé medesmo male, Che far contento ognun pensa e s’ingegna De l’opre sue, né questo asseguir vale. […] Vario è ’l parer d’ogni huom, diverso il gusto : Ognun de la sua voglia si compiace ; Chi loda il pan mal cotto, e chi l’adusto, Né pur Venere stessa a tutti piace.
AFFAMATA la Volpe, e divenuta Smagrita e scarna, per un picciol buco Entrò in un tetto di galline pieno Per satiar di lor la lunga fame : Né difficil le fu la stretta entrata. Ma quando satia fu, sì grosso il ventre Trovossi, che non hebbe il modo mai D’uscirne, e si dolea la notte e ’l giorno : Né restava però di mangiar sempre De’ polli il resto quando le parea Che fusse di cenar la solita hora ; Tal che ognihor più ingrassava, e venia gonfia, E inhabile ad uscir di quella stanza, Dove aspettava adhor adhor la morte, Se di quella il patron vi fosse entrato.