DELLA VOLPE, E ’L LUPO CADUTA era la Volpe ita per bere Da l’alte sponde in un profondo pozzo, Stando per affogarsi adhora adhora : Onde di là passando a caso il Lupo ; Che tratto dal romor, ch’indi sentiva Uscir de l’acque, era a vederla corso ; Pregollo humil per l’amicitia loro Ch’ei volesse calando al basso un laccio Darle materia, onde salir potesse, Prestando aiuto a lei, ch’era sua amica, E posta de la vita in gran periglio.
Onde matura a pieno era la biada Quando anchor non haveano il volo appreso I pargoletti figli anchora ignudi Di quelle penne, onde sian atti al volo. […] Così quel giorno non comparse alcuno : Onde il padron de la matura biada Giunto verso la sera in quella parte Disse al figliuol : poi che nessun si move O de gli amici, o de’ parenti nostri A prestarci lor opra in tal bisogno ; Fa’ che tosto diman, figlio, per tempo Qui due messore porti, onde ambidue Noi farem cotal opra ad agio nostro, Né ad alcun altro havremo obligo alcuno.
Onde già volto in fuga a tai romori Corre veloce entro un’antica selva Per trarsi in quella di periglio fuori. […] Tal l’huomo suol tener spesso molesto Quel, ch’utile gli apporta e giovamento, E prezzar quel, che gli è d’aspro tormento Cagione, onde rimane afflitto e mesto.
Onde la Volpe a lui, che liberarla Come amico volea di tanto affanno, Gratie rendendo in cotal modo parla. […] Che s’altro nuovo stuol di mosche viene, Affamate a la prima havranno a trarmi Quel poco, che mi resta entro a le vene ; Onde potrei più in fretta a morte andarmi : Tal che meglio è restar quel poco in vita Di spatio, che dal ciel sento lasciarmi.
E tosto a pregar l’Aquila si diede Che le piacesse d’indi trarla seco A i superni del cielo immensi campi Per darle il modo, onde volar potesse. […] Così la miserella, che non have L’ali leggiere, onde sostenga il peso Del debil corpo suo terreno e grave, Sottosopra voltandosi alfin cadde Precipitosa sopra un duro sasso ; E schiacciata finì la vita e ’l volo.
ERA caduto il Vespertiglio a terra Uccel, che per natura odia la luce, E senza piume sol di notte vola, Onde di Vespertiglio il nome prese, Benché Nottola anchora il volgo il chiami, Che sol de la Civetta è proprio nome. […] Ma sendo un’altra volta a caso incorso Nel pericolo stesso in man d’un’altra Donnola, che mangiarselo volea ; E supplicando a lei, che de la vita Don gli facesse ; udì da quella, ch’essa Non potea farlo con ragione alcuna, Sendo egli un Topo, la cui specie sempre De la sua propria fu crudel nimica : Onde rispose il Vespertiglio allhora, Ch’ella prendea di ciò non lieve errore : E l’ale a lei mostrando aperte e larghe, Con cui per l’aria si levava a volo Specie d’augello esser provava, e mai Non essersi alcun Topo in parte alcuna Trovato adorno di sì nobil dono.
Onde l’astuta al meglio che potea In sé raccolta, et fatto assai buon viso, Cominciò ragionarli in questa guisa. Signor, se ’l mio venir è stato tardo A visitarvi, non fu già per altro, Che per cagion di quel perfetto amore, Onde di tutto cor v’amo, e desio In tutti i modi la salute vostra.
Onde la mia, che sempre mi consola, È la medesma et a l’Estate e al verno, Né accidente alcun giamai l’invola.
Quelques momens aprés, l’objet devint brûlot, Et puis nacelle, et puis balot ; Enfin bâtons flotans sur l’onde.
A UN Asin, che piagato il dorso havea, Sopra disceso un Corvo ivi pasceasi, Et la ferita assai maggior facea ; Onde il mischin ragghiava, e in van scoteasi.
Onde l’huomo ignorante e l’odia e sprezza, Come colui, che fugge ogni fatica, Et ama l’ocio per accidia avvezza Ad esser de l’honor sempre nimica.
Ma sendo un giorno uscita a la campagna De l’humil tana per cercar d’intorno Cosa, onde trarre a i pargoletti suoi Nati potesse l’odiosa fame, L’Aquila tratta da medesma cura De l’arbore scendendo al basso prese De la compagna misera i figliuoli, Et ne fé pasto a gli Aquilini suoi. […] Onde soffiando a maggior furia il vento In quello già di paglia et fien contesto Da i lucenti carboni a poco a poco Nell’arida materia il foco spinse.
S’UNIRON già d’alta amistade insieme L’Aquila e ’l Guffo : e si giuraron fede Di non mai farsi in alcun modo oltraggio : E tra i più forti inviolabil patti, Che d’osservarsi il Guffo proponesse, Con supplichevol prego aggiunse questo, Ch’a l’ Aquila piacesse haver riguardo A i figli suoi se gl’incontrasse a sorte : Onde perch’ella non prendesse errore Le diede il segno di conoscer quelli Fra l’altre specie de i diversi augelli. […] Onde dal cantar loro horrido tratta Tosto vi corse : e giudicando quelli I più deformi che vedesse mai, Di lor satiossi alfin l’avido ventre Non senza doglia della sozza madre, Che di lontan con gran timor la scorse Devorar tutto il suo infelice parto : Tal che fuggendo poi colma d’affanno Al marito narrò l’horribil caso.
Io canto di mia vita il giusto fine, Che di necessità Natura impone A tutti madre, e gran dispensatrice E del ben e del mal, come la sorte Di ciascun brama, e con ragion richiede : Io canto le miserie mie passate : Io canto appresso la futura pace, E l’eterno riposo, onde la vita È priva sempre, e da continue cure Di procacciarsi con fatica il vitto Sempre si sente in gran travaglio e pena : Et mi rallegro, che, giungendo al fine Di questo viver, giungo al fine anchora Di tanti affanni, et son per sentir sempre Nel sen de la natura de le cose, Che sono al mondo in qual si voglia o forma O stato variate dal primiero Sembiante, in ch’elle havean sostanza e vita, Quiete dolce e sempiterna pace. Ché, se ben quello io non sarò, che adesso Mi sento, onde potria dir forse alcuno Ch’io non sia per sentir mai mal né bene ; Io, che cangiato havrò sorte e figura, In quel vivrò, che mi darà fortuna Viver con quel vigor, che da me vita Trarrà sotto altra forma in mezo al grande Fascio de gli elementi in qual si voglia Di lor che ’l corpo estinto si risolva, O forse altro animal, che da lui n’esca Per gran virtù de le celesti sfere, Che danno al tutto ognihor principio e fine.
Onde la madre rispondendo disse.
L’ASINO si dolea che l’ampia fronte Non havea, come il Bue, di corne armata ; Né la Simia facea minor lamento Di non haver la coda, onde coprisse Le parti, che modestia asconder suole.
GIÀ dentro un’olla, che di carne piena Era d’alesso nel tepido humore Bolliva al foco, nell’humor fervente Entrò la Mosca da la gola tratta Del grasso cibo, che nuotar vedea : Del qual dapoi, c’hebbe satiato a pieno L’ingorda brama, e ’l temerario ardire, Venne sì gonfia del mangiato pasto, E di quella bevanda a lei soave, Che non potea levarsene, e cadendo Anzi più in mezo del liquor profondo De la vicina morte in mano andava ; Onde vedendo non poter fuggire L’odiato fin de la penosa vita, Cominciò confortarsi in cotal guisa.
Perché col tempo l’ignoranza folle, E la sua ambition si fa palese ; Onde additato è con vergogna e scorno.
Tantost courir sur l’onde, et tantost se plonger, Sans pouvoir satisfaire à leurs vaines envies.
Onde il Corvo sentito esser già preso Da lui, che suo prigione esser credea, Et mancarsi lo spirto adhor adhora, Tra sé medesmo sospirando disse.
Ché, benché degna di supplicio sia L’ignoranza, onde m’hai così deriso, Sarebbe a mia virtù di poco honore L’abbassarsi in mostrarti il suo valore.
Allhor rispose il Serpe : Avienti questo Sorella mia, perché tu fuggi e cedi, Né forza mostri, onde far possi offesa A qualunque a tua vita insidia pone.
E per trovar il modo, onde potesse In compagnia di tutte l’altre meglio Soffrir di questo male il lungo scorno, Venne in pensier di dar consiglio a l’altre, Che si troncasser la lor coda anch’esse Per fuggir di portarla il lungo impaccio : Così stimando col comune scorno Coprir il suo, che non saria notato.
Onde restando in lui l’usata forza Oppressa sì dal non usato pondo, Risalir non potendo ivi affogossi.
Dinota questo, che colui, che tutto Si dona al senso de la gola in preda Senza tener in questo ordine o modo, Che suol ragion dottar4 a chi prudente Nutrir si vuol di delicati cibi Per sua salute, ma si astien dal troppo, Che nuocer suole, onde tal vitio nasce ; Sovente casca in misera fortuna, E de la Morte ancor tal volta in mano.
Onde per visitarlo allhor si mosse Con cor maligno, e simulato volto Il Lupo ; e fatto già vicino a l’uscio, Che la stalla chiudea, per certo foro Dentro guardava ; e l’Asinel vedendo Giacersi a lato del suo infermo padre, Chiamollo a sé, pregandol ch’ei l’aprisse, Ché visitar il genitor volea.
Onde a pregar si diè con humil voce Colui, che preso in man stretto il tenea Per dargli morte, acciò sicuro fosse De gli altri augelli, ch’ei prendea, lo stuolo, Che lo lasciasse, perché esso giamai Non gli havea fatto ingiuria, o danno alcuno.
Così quel servo fa, che del conservo Non ha pietade : et non consente in parte Talhor levargli del suo ufficio il peso Per picciol tempo : onde ne nasce poi Che la soma di quel sopra lui cade Tutta, né trova chi gli porga aiuto Per giusta ira del ciel, che lo permette.
Ma quando l’empio fu giunto tra ’l gregge, (Tra ’l gregge, il qual non lo temea credendo Dal suo vestir ch’ei fosse il suo pastore) E volse dar la voce, onde il volgesse Al pensato camin, fiero ullulato Fuori mandò di tanto horror ripieno, Che le paurose pecorelle tutte Smarrite ne restaro, e quello al grido Riconosciuto rimirando a dietro Si diedero a fuggir velocemente A i vicin tetti del nativo albergo ; Et ei di ciò restò schernito, e tristo.
ANDÒ un Villan dentro una Selva antica Di quercie ombrose largamente adorna, E la pregò con mansueta voce, E parole efficaci a sua richiesta, Che di prestargli ella contenta fosse Un picciol tronco de le piante sue, Ch’eran d’immensa, et infinita copia : Perch’un manico farne esso volea A la sua scure, onde tornato a casa Fornir potesse alcuni suoi lavori.
Onde da un altro Can, ch’era già stato Nel comun tetto a lui compagno antico, De la cagione un dì fu domandato.
Un Agneau se desalteroit Dans le courant d’une onde pure.
Così talhora un huom, che poco vaglia, Battaglia move a l’huom di lui più forte, E prende ardir da le miserie note Di far ingiuria al misero, che oppresso È da cura maggiore, onde si vanta Poi vanamente de le proprie forze, Mentre colui, che a maggior cose attende, Senza difesa far nol cura, o stima.
Onde l’astuta Volpe, che ’l vedea, Cominciò seco ragionar tessendo A quello in cotal modo un dolce inganno.
CON solecita cura il fier Cinghiale Attorno il duro piè d’un’alta quercia Rendeva i denti suoi più acuti e lisci, Per oprarli per arme a’ suoi bisogni : Onde la Volpe ivi passando a sorte Lo domandò per qual cagion prendesse Cotal fatica poi ch’ei non si vede Haver di guerra occasion presente.
Onde la Volpe a lei così rispose.
Onde gli fu da l’Asino risposo : Togliti pur di qua tu, che in periglio Ti trovi ; ch’io di ciò non son pensoso.
GIÀ de’ Topi il Senato in un raccolto Fece consiglio di trovar il modo, Onde campar l’insidie e i tradimenti, Che lor tramava il Gatto, ognun potesse.
L’AQUILA un giorno da una eccelsa rupe Ratto calossi da la fame spinta Di grasse agnelle in mezo un ampio gregge ; E rapito un agnel ne i curvi artigli Levossi, e via portollo, onde si tolse.
Onde tornando i cacciatori allhora Per quel confine, e non essendo ascosa La Cervia più da la spogliata vite, La vider tosto : et mentre ella seguiva Senza sospetto in ben satiarne il ventre La saettar con un pungente strale, Che da l’un fianco a l’altro la trafisse.
Grenoüilles aussi-tost de sauter dans les ondes, Grenoüilles de rentrer en leurs grottes profondes.
Cede qual vinta allhor la canna a queste Parole, e par che non risponder brami Fin che ’l tempo non venga, onde sicura Risponder possa a tanta sua pressura.
L’ASINO un dì passando in certo loco Fermò sopra d’un chiodo a caso il piede, Onde restò trafitto amaramente Da quel, che dentro tutto entrato gli era.
Onde credeano in pace a tanto saggio D’openioni altrui varie e diverse Ambi fornir il resto del viaggio. […] E per provar se tutti far contenti Potea pur, prese alfin novo partito, Onde tanti parer fossero spenti.
Però di questa a me ceder tu dei, Se non sei folle in tutto, ognihor la palma ; A me ; che quanto hai tu vario d’aspetto Il dorso tutto, ho vario e di colori Mille dipinto l’animo e l’ingegno Atto a fornir mille lodate imprese : E per ciò bella sono in quel, ch’importa Più, che la pelle facile a smarrire L’apparente beltà, ch’offender puossi : Onde la mia non può sentir offesa Mentre con essa mi riserbo in vita.
La cagion, figlia, che ciascun ne indusse A far elettion d’inutil pianta, Fu certo un ragionevole rispetto, C’habbiam che ’l mondo non pensasse mai, Che per l’utilità vil di quel frutto Il proprio honore alcun di noi vendesse, Onde il nome divin restasse infame.
Il Pardo, che non può là su arrivarle, Fatto ogni prova, alfin partito prende, Onde possa di là con arte trarle.
Da quella volta in poi lasciò il Villano Sempre la cura del governo a Giove D’ogni stagione, onde si volge l’anno.
En ce combat nouveau, Un Milan qui dans l’air planoit, faisoit la ronde, Voit d’enhaut le pauvret se debattant sur l’onde.
Onde il Pavone gran broglio facea D’esser quel desso, confidando assai Nella bellezza de le varie penne D’aureo color, e mille gemme tinte : E di questo facendo altera mostra Con lunga oratione in quel senato, Sì che piegavan già le voci tutte Ne i suoi suffragii, contentando ognuno Ch’ei fosse quel, che in loro imperio havesse, Quando tra gli altri se gli offerse innante Il picciol Merlo da le nere piume, E se gli oppose con simil parole.
Mais vous n’estes pas en estat De passer comme nous les deserts et les ondes, Ny d’aller chercher d’autres mondes.
UN huom di Villa e un Satiro silvestre D’assai stretta amicitia eran congiunti, Ma non però di conversar frequente : Onde acciò più crescesse il loro amore Cominciaro anco ad habitar insieme.
Onde il meschin, ch’allhor non intendea Qual fosse de l’astuta il cieco inganno, Ciò fece ; et seco a nuoto anch’ei si mise.
Allhora il Sole incomminciò scaldarlo A poco a poco con l’ardente raggio Sì, che ’l buon pellegrino anch’esso venne A poco a poco a lasciar giù le parti Del mantello, onde pria tutto era chiuso : Indi sentito assai maggior l’affanno Del caldo lume tutto si scoperse De la veste : et così del tutto poi Spogliossene, ch’alfin se la raccolse Sopra le spalle ; e così via n’andava.
Ma poi ch’apparve in Oriente il raggio Del matutino Sol con lieta voce Diede il Gallo principio al canto usato : E replicando diè di sé novella A la Volpe, che poco indi lontana Havea ’l suo albergo : et tosto al canto corse Dove era il Gallo ; et con parole amiche Salutollo ridendo, e supplicollo Con sermon efficace, ch’ei volesse Scender del tronco, ov’egli alto sedea, E benigno di sé copia facesse A lei, che forte del suo amor accesa Già si sentia del suo leggiadro aspetto, E de l’alta virtù del suo bel canto : Onde abbracciarlo come caro amico Ella voleva, et nel suo albergo trarlo Per fargli a suo poter cortese accetto.
La favola in virtù saggia ammonisce L’huom forte, che con altri accordo brama, A non lasciarsi tor l’armi di mano, Od altra cosa, onde sua forza penda : Perché puote avenir, che ’l suo nimico Vedendolo del tutto inerme e privo Di quel, che contra lui possente il rese, Cangi pensiero di fermar la pace ; E con guerra mortal gli mova assalto, E lo conduca a l’ultima ruina, Senza poter haver da lui contrasto.
VIDE la Volpe da lontano il Gallo Posarsi d’una Quercia in cima un ramo, E per farlo da quel scender al piano, Onde potesse poi di lui cibarsi, Trovò un’astutia : et là correndo in fretta Così si diede a ragionar con lui, Buon dì, fratello ; O che felice nova Ho da contarti.
E via cercando, onde scacciar la fame Potesse, e prolungar sua vita quanto Gli concedesse la natura e ’l cielo ; Tentò con l’arte far quel, che vietato Era a sue forze indebolite e vane, Nova astutia trovando a sua salute.
Ma quella, che già tutta era d’intorno Coperta d’uva ben matura e bella, Lor disse : dunque vi credete ch’io, Che di tanta ricchezza allegra vivo De’ frutti miei con mio grande ornamento, Onde il cielo e la terra in pregio m’have, Possa sì facilmente al suon piegarmi De’ preghi vostri, benché d’honor pieni, Ch’io lasci di Natura un tanto dono, Che felice mi rende in ogni tempo ; Per prender poi così noiosa cura, Che non mi lasci un dì viver contenta ?
Les Aloüettes font leur nid Dans les bleds quand ils sont en herbe : C’est-à-dire environ le temps Que tout aime, et que tout pullule dans le monde ; Monstres marins au fond de l’onde, Tigres dans les Forests, Aloüettes aux champs.
Onde il Cavallo al fin de le sue voglie Venuto homai, debite gratie rese Di tal favor a l’huomo : e poi li chiese Licenza per andarsi a goder solo Quel prato ameno, il resto di sua vita In dolce libertà passando lieto.
En quoy il esprouve veritable le dire du Gentil Poëte, L’injure se grave en metail, Et le bien-fait s’escrit en l’onde : Au lieu que, s’il eust mené une vie modeste et moins tyrannique envers ses inferieurs, il ne reçevroit pas maintenant le desplaisir de les voir bandez contre luy ; Et quoy que possible ses amis ne luy seroient pas plus charitables durant sa vie, si est ce qu’en mourant, il auroit du moins la satisfaction de sa probité, qui est le plus asseuré consolateur que nous ayons, et devant et apres nostre mort.
Sappi, che l’animal, che tanto humile Prima ti parve, e di bontà ripieno, È il più malvaggio, che si trovi in terra, Perfido, iniquo, fiero, discortese, E di tua specie natural nimico : E sol ti si mostrava in vista humano Sol per assicurar tua puritade Di farsegli vicina, onde potesse Dapoi satiar di te sua ingorda fame.
Ma quando il Sol col mattutino raggio Lucido e chiaro in Oriente apparse, Il Topo Cittadin l’altro destando Per gran desio, c’havea di farsi honore, L’invitò a cena a le paterne case : Ove alfin giunti dopo lunga via Su l’hora prima de la notte oscura Entraro stanchi al buio in ampio loco, Che d’un palazzo era terreno albergo, Tutto odorato di soavi cibi, Onde abondante era d’intorno e pieno.
Qu’on lise toute la période qui renferme cette pensée, et il ne restera aucun doute ; voici comment, dans la traduction que j’en ai faite, j’ai moi-même été forcé de la rendre : Le Phrygien Ésope, Anacharsis le Scythe Rendirent immortels leurs noms par leur mérite ; Et moi, plus près des Grecs, dans ma lâche torpeur, De mon pays lettré je trahirais l’honneur, Quand la Thrace parmi ses poètes accuse Linus, fils d’Apollon, et ce fils d’une Muse, Qui charma les rochers et les bêtes des bois Et de l’Hèbre emporté retint l’onde à sa voix25 !