Marie de France, n° 7 Le loup et la grue Issi avint que un lus runga un os quë al col li vola, e quant el col li fu entrez, mut durement en fu grecez. […] Entre eus en unt lur cunseil pris, chescun en dist le suen avis ; fors la grüe, ceo dient bien, n’i ad nul de eus que en sache rien ; le col ad lung e le bek gros, ele en purreit bien traire* l’os. […] « Tu es », fet il, « fole pruvee, quant de mei es vive eschapee, que tu requers autre lüer, que de ta char ai grant desirer ; mei, ki sui lus, tieng jeo pur fol que od mes denz ne trenchai tun col. » Autresi est del mal seignur : si povres hom li fet honur e puis demant sun guer[e]dun, ja n’en avera si maugré nun ; pur ceo qu’il seit en sa baillie, mercïer li deit* de sa vie.
Et sendo un giorno a la campagna usciti Su la stagion del più gelato Verno ; L’huom, che dal freddo havea le man sì morte, Che risentir non le poteva a pena, Spesso col fiato ravvivar solea Il quasi spento in lor natio calore. E domandato dal compagno allhora De la cagion, perch’ei così facesse, Rispose, che col caldo, che gli usciva Nel fiato fuor da la virtù del core, Dava ristoro a l’agghiacciate mani. […] E mentre ad agio ognun di lor mangiava Del troppo caldo incominciato pasto, L’huomo col fiato a raffreddar si diede, Soffiando ognihor l’insopportabil cibo. Allhor di novo il Satiro, c’havea Da quello inteso, che scaldar poteva Col fiato quel, che gli parea di freddo, Stupido pur che fredda a lui paresse Quella pur troppo allhor calda vivanda ; Lo ricercò de la cagione anchora.
SERVIA l’Asino insieme col Cavallo Un sol padrone ; et ugualmente carco Era ciascun da lui del proprio peso. Occorse un giorno, che sendo in camino Ambi guidati dal padrone insieme, L’Asino stranamente indebolito Da la vecchiezza, e dal soverchio peso Pregò il Cavallo in supplichevol modo Che d’un poco del peso per alquanto Di spatio gli piacesse di sgravarlo Fin ch’ei potesse sol riprender lena : Perché già si sentia venir a fine : E negando di farlo il suo compagno Cadendo lasso in mezo del sentiero Terminò col viaggio anchor la vita.
PASSAVA un Contadin col carro carco Di biada per un calle assai fangoso, Né havendo i buoi per la stanchezza forze D’indi ritrarlo, miserabilmente Tutto otioso e di mestitia pieno Facea soggiorno, et non sapea che farsi. […] Oh là tu, che dal ciel chiamato m’hai In tuo soccorso, hor da’ principio tosto Ad aiutarti per te stesso, et opra Quanto è in te di valor per tragger fuori Di questo loto il già fermato carro : Stimola i buoi ; metti le spalle sotto Le gravi sponde, et sollevando alquanto Le lente ruote invita al moto il plaustro : Ch’allhor, se da persona di valore Facendo sforzo a la tua debil possa Mi chiamerai in soccorso al tuo bisogno, Sarò presente ; e col divin potere In te raddoppierò l’humane forze.
Egli, ch’ad ogni modo havea desire Di far vendetta de l’havuto oltraggio, La casa fracassando a terra trasse Con fiero sdegno ; e l’altre tutte quante Destò ad un tratto, che col morso acuto, E col pungente stral de la lor coda Gli furo intorno generosamente Quello assalendo per salvar la vita A i proprii figli, e vendicar in parte De i loro alberghi la total ruina.