« Quant le soleil, » fet il, « est hauz el tens d’esté, est il si chauz qu’il ne lest rien fructifïer, [e] terre e herbe fet sechier, e s[i]’il ad esforcement e cumpainë a sun talent, nule riens nel purra suffrir, desuz li vivre ne garir. » La Destinee respundi : « Veir avez dit.
Questo ben ti dirò : Che solo al suono De la sua voce, anchor che da lontano Molto da me talhora udita sia, Tosto mi sento non so che timore, Che mi fa forza contra ogni ragione A fuggir presto dal latrar maligno, Che tremar mi fa tutto il cor nel petto.
D’UN gran vaso di mel, ch’a un pellegrino Si ruppe, era una via sparsa nel mezo Con largo giro : ond’una copia grande Di Mosche in quello da la gola tratte Dolcemente pascean l’amato humore.
[NdE] Ce « nel », qui n’est pas corrigé dans les éditions successives, reste difficile à expliquer : peut-être faudrait-il le corriger en « nol » ou en « tel ».
Ma la Volpe, che quel conobbe al suono De l’asinina voce, in mezo il passo Fermossi tosto, e non si mosse punto : Ma ridendo tra sé di sua follia Così gli disse : invero che l’aspetto Di questo horrendo e spaventoso volto M’havria mosso nel core alta paura, S’al roco suon de l’asinina voce Io non t’havessi conosciuto in prima.
Romulus, ki fu emperere, a sun fiz escrit, si manda e par essample li mustra cum il se deust cuntregaiter* que hum nel p[e]ust enginner.
La corneille fut en agueit : avant ala, del bek feri, si bien que la scale un poi overi ; le peissunet dedenz manga, l’escale lest, si s’en ala, einz que li egles i fust venuz ne qu’il se fust aparceüz le pertuset ot fet petit, [si] que li egles pas nel vit.
FERMOSSE il Corvo sopra un’alta quercia ; Et un pezzo di cascio havea nel rostro.
Però nel tempo de la pace io voglio Apparecchiarmi de la guerra a l’uso Di tutto quel, che mi può far mistiero.
Kar trop furent en grant dolur ; de humes, de chiens eurent poür, si nel voleient mes suffrir : pur ceo s’en veulent fors eissir.
Legere chose est a saver : de l’oef e poeie bien geter [e] par chalur e par cover, nel poi fors mettre de nature.
Quinci esso ancor per far prova maggiore Con strepito et stridor ratto si cala Sopra un grosso monton ; nel folto velo Di cui poscia il meschin l’ugne intricando, L’ugne mal atte a così gran rapina, Per prender altri alfin preso trovossi.
» Li lïuns li ad respundu : « Ceo n’est mie pur ta vertu ne pur fierté k[e]’ en tei as, mes pur le cri que tu crias, que tant lur semble espoëntable que tuz te tienent pur deable. » Si est de l’orguillus felun, que par manace e par tençun e espoënte la fole gent e quide bien a escïent que nuls nel deie cuntrester des qu’i l’orrunt en haut parler.
Così fuggendo la paurosa belva In un momento tanto avanti passa, Che quasi nel suo centro si rinselva.
L’Oliva, che nel cor sente gran duolo Di ceder tosto come cosa frale, Dura resiste al primo assalto, e ’l vento Sprezza, e leggiera in lui prende ardimento.
Veduto ho, madre, mentre a spasso i’ andava Due animali ; l’uno è di colore Simile al tuo nel pelo, ma distinto Di varie macchie di color più oscuro : Sembran di lucid’oro i suoi begli occhi, Che sono al rimirar tutti pietosi : Ha quattro piedi, et una lunga coda Di vario pelo tinta insino al fine. […] Che talhor sembra un huomo in volto un santo, Ch’un Diavolo è poi se ’l miri a l’opre : E spesso un, che par rio nel fronte, copre Ogni bontà del cor sotto al bel manto.
Ma il superbo Leon questo vedendo Arse nel cor tutto di rabbia e sdegno : E ’l miser divisor tosto accusando D’iniquità, d’inganno, e di malitia, Lacerò tutto ; e con vorace brama Ne satiò la scelerata fame.
Così l’huomo empio, e per natura forte L’inferior di forza e di valore, Quando li piace, a suo diletto offende, Cercando le cagioni, o vere o false Che sian, nel sen de la nequitia sua ; Con cui non val né la ragion, né il vero.
Così fece il Villano ; et nel seguente Anno la messe andò tanto feconda, E la vendemia, e ’l resto del raccolto, Che vinse di gran lunga ogni speranza, Ogni desio di Contadino avaro.
« L’egle ai esguardé tut en jur, que nus tenums [tuit] a seignur : si haut vola que nel vi pas, e quant il volt, si revient bas ; mes sa voiz est [e] basse e quoie n’est pas plus haut[e] que la moie ; autresi est mis cors luisanz cum e li suens, tut seit il granz.
INCONTROSSI la Cagna un giorno a caso Con una Scrofa, e lei vedendo tutta Lotosa e brutta cominciò con riso Prima a schernirla, et poi con voce aperta La dileggiava sì, che venne in breve Con lei, c’haveva nel suo cor concetto Dal lungo motteggiar un fiero sdegno, A gran contesa di parole strane.
Allhor il Gatto : benché ogni ragione Veggia in tua scusa non è di ragione Però ch’io lasci al tuo camino andarti, Et poi per amor tuo di fame io muoia : E detto questo nel condusse a morte.
Puis afierez la vostre fei que jamés mot n’en sunerez ne jamés nel me repruverez. » — « Volunters, dame », il li respunt.
Li lus respunt : « Rien nel detient fors l’engresté de sun curage, kar jeo li enveiai* mun message.
Cil unt a la femme preié, puis li unt dit e cunseillé que sis sire pas nel voleit.
» — « Ceo fist un hum », dist li vileins, « od ses engins e od ses meins. » Dunc ad li lïuns respundu : « Ceo est a tut puple coneü que hum seit entailler e purtrere, mes li leüns nel seit pas fere.
Così talhor avien, che l’huomo iniquo, Ch’a far altrui si move a torto offesa, A la vita, o a l’honor tramando inganno, Primo nel fil del proprio laccio cade, E da la forte man giusta di Dio Colto con egual sorte insieme resta.
Ma dopo breve spatio assai più fiero Mostrando seco il Sol l’intenso ardore, Tutto di sudor carco, e vuoto quasi Di spirto, et di vigor di mover passo, Stanco depose la noiosa veste, Lasciandola tra via fra certe vepri Per non lasciar in quel camin la vita : Così di voler proprio abbandonolla Con speme di poter forse trovarla Al suo ritorno nel riposto loco : E ’l Sol di quella impresa hebbe l’honore.
Ma poi ch’apparve in Oriente il raggio Del matutino Sol con lieta voce Diede il Gallo principio al canto usato : E replicando diè di sé novella A la Volpe, che poco indi lontana Havea ’l suo albergo : et tosto al canto corse Dove era il Gallo ; et con parole amiche Salutollo ridendo, e supplicollo Con sermon efficace, ch’ei volesse Scender del tronco, ov’egli alto sedea, E benigno di sé copia facesse A lei, che forte del suo amor accesa Già si sentia del suo leggiadro aspetto, E de l’alta virtù del suo bel canto : Onde abbracciarlo come caro amico Ella voleva, et nel suo albergo trarlo Per fargli a suo poter cortese accetto.
Ma il Contadin, che già fatto sicuro Era dal gran valor del fier Leone, Che non haveva più l’ugne, né i denti, Non solo di negargli hebbe ardimento La figlia, ch’egli li chiedea per moglie ; Ma con un grosso fusto lo percosse Si fieramente nel superbo capo, Ch’a terra lo mandò stordito, e poi In pochi colpi gli levò la vita : E sciolto andò da tal impaccio e briga.
Quant il voleient avant porter, si nel porent mie trover.
Quindi l’Aquila un giorno andando a spasso Per l’ampio spatio d’una ombrosa valle Da la fame assalita astretta venne Di pasturarsi : e come quella, a cui Stavan sempre nel cor gl’intesi patti Di mai non far al suo compagno offesa ; Da molti augelli per gran spatio astenne L’adunco artiglio : e tuttavia cercava Di prender quelli di più brutto aspetto, Quando dal giogo d’una eccelsa rupe Sentì ullular del suo novo compagno I non mai più da lei veduti figli Nell’aspro nido quasi anchora impiumi.
Così devrebbe contentarsi ognuno De la sua sorte, e de la legge eterna, Che Natura, e di Dio la voglia impone Con egual peso a gli animali tutti : E la morte abbracciar con lieto volto Come la vita si tien dolce e cara, Essendo il fin d’ogni miseria humana La morte, e questa vita un rio viaggio ; Dal qual l’huom dee bramar ridursi al porto De la tranquillità de l’altra vita Qual si voglia, che sia per esser poi, Poi che nulla di noi perder si puote, Che non vivi nel sen de la Natura Come a Dio piace ; al cui voler ognuno Dee star contento, e far legge a sé stesso De la ragion, che dal suo santo senno Con dotto mezzo a noi discende e piove.
Pur ceo voleit sa fille prendre, ne voleit mes aillurs entendre, pur ceo qu’il ot oï* cunter que rien nel pot cuntreester.
Gli augelli allhor l’ordine udito havendo Tutti tremanti nel ritorno suo A la madre ne dier subito aviso.
Ne sot li lus qu’il en fesist, kar il nel poeit treire a mort s’il ne li vousist fere tort.
E sendo sopra un ponte in quel momento Qual disperato il mal nato animale Gettò nel fiume per minor tormento.
Gratie ti rendo del cortese accetto Che fatto m’hai nel tuo nobil convito Degno del gusto de’ celesti Heroi ; Perché il favor (e sia qual ei si voglia) Che fatto vien da volontate amica, Deve esser sempre in tutti i modi caro, E di grata mercè premio s’acquista.
50. « Del granchio, et la volpe » P116 51. « Delle mosche nel mele » P80 52. « Dell’asino, la simia, et la talpa » PØ Faerno, 43 53. « D’un marito, che cercava al contrario del fiume la moglie affogata » P682 Faerno, 41 54. « Del contadino, et Ercole » P291 Faerno, 91 55. « Del lupo, et della grue » P156 Faerno, 56 56. « Del topo cittadino, e ’l topo villano » P352 57. « Del contadino, et del cavalliero » P402 Faerno, 15 58. « Del leone, dell’asino, et della volpe » P149 Faerno, 3 59. « Del figliuol dell’asino, e ’l lupo » PØ Faerno, 55 60. « Dell’asino, e del lupo » P187 Faerno, 4 61. « Della volpe, et dell’uva » P15 Faerno, 19 62. « Del corvo, et la volpe » P124 Faerno, 20 63. « Del leone impazzito, et la capra » P341 Faerno, 5 64. « Dell’asino, e del cinghiale » P484 Faerno, 54 65. « Del leone, et della volpe » P10 Faerno, 18 66. « Dell’aquila, e del corvo » P2 67. « Della volpe ingrassata » P24 68. « Della selva, e ’l villano » P303 69. « Di due rane c’havean sete » P43 Gabriele Faerno, Fabulae centum, 37 70. « D’un cane, che temeva la pioggia » PØ Faerno, 67 < Abstemius, II, 17.
Un’ altra versione dal greco di un certo Oracolo di Apollo fatta dal Sipontino in versi latini nel 1463, 9.