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13. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [4.]. DELL’AQUILA, E ’L GUFFO. » p. 

    Quindi l’Aquila un giorno andando a spasso Per l’ampio spatio d’una ombrosa valle Da la fame assalita astretta venne Di pasturarsi : e come quella, a cui Stavan sempre nel cor gl’intesi patti Di mai non far al suo compagno offesa ; Da molti augelli per gran spatio astenne L’adunco artiglio : e tuttavia cercava Di prender quelli di più brutto aspetto, Quando dal giogo d’una eccelsa rupe Sentì ullular del suo novo compagno I non mai più da lei veduti figli Nell’aspro nido quasi anchora impiumi. Onde dal cantar loro horrido tratta Tosto vi corse : e giudicando quelli I più deformi che vedesse mai, Di lor satiossi alfin l’avido ventre Non senza doglia della sozza madre, Che di lontan con gran timor la scorse Devorar tutto il suo infelice parto : Tal che fuggendo poi colma d’affanno Al marito narrò l’horribil caso.     Egli, che con gran pena intese questo, Tornò fra poco al mal guardato nido Forte piangendo il ricevuto torto : E trovando per via l’altero augello Compagno, e del suo mal cagion novella, Che di ritorno sen veniva altero Battendo il vento co i possenti vanni, Con aspra insopportabile rampogna Cominciò del suo mal seco a lagnarsi.

14. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [5.]. DEL MULO. » p. 315

    Avenne poi che bisognò correndo Un certo spatio di lungo camino Viaggio far a suo malgrado in fretta : E da principio cominciò superbo Correr veloce come havesse l’ali : Ma non finì sì tosto a un tratto d’arco, O poco più lontan batter il corso, Che stanco si sentì con tanto affanno, Che bisognò fermarsi, e prender lena. […]     Così l’huom nella prospera fortuna Divien superbo, e non conosce mai La debolezza del suo vil valore : Che, se in contraria sorte avien che cada, Si riconosce suo malgrado, e sente Non esser quel che si teneva in prima.

15. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [36.]. DELLA TESTUGGINE, ET L’AQUILA. » p. 230

    Il generoso augel, che non volea Al suo sciocco pensier dar argomento Di sua ruina, con parlar benigno Cercò ritrarla da quel van disio Mostrandole il pericolo imminente, Che deveva sortir sì vana impresa. […]     La Testuggine allhor, che affatto cieca Resa era già dal suo folle appetito, Le rispose bramarlo oltra ogni stima ; E che pensava haver appresa a pieno Del volar l’arte dal camin già fatto Fra l’ugne sue ; sì che lasciarla tosto Ella devesse andar per l’aria a nuoto.     Visto alfin l’ostinato suo pensiero L’Aquila, e vana ogni ragion con lei, Disse : dunque, se pur cotanto brami L’opra tentar, ch’a te natura vieta, Adopra quanto puoi le mani e i piedi, Poi che penne non hai per tal mestiero ; Che ben ti converrà destra mostrarti, Se da periglio tal salvar ti dei. […] Così la miserella, che non have L’ali leggiere, onde sostenga il peso Del debil corpo suo terreno e grave, Sottosopra voltandosi alfin cadde Precipitosa sopra un duro sasso ; E schiacciata finì la vita e ’l volo.

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