Jeol vei tut sul sanz cumpainie ; ceo m’est avis, si jeo nel gart, teus [i] vendra d’aucune part que l’en merra ensemble od sei, si nel larra nïent pur mei.
DUE vasi, ch’adoprar soglion le genti Da cuocer le vivande in su la fiamma, Di terra l’uno, et l’altro di metallo, Scorrean nel mezo a la seconda un fiume Portati a galla da le rapide onde. […] Guardisi ognun per tal esempio dunque Di star vicino a chi è maggior di forze, Se brama da perigli esser lontano, Et nel suo stato ognihor viver sicuro.
UNA Volpe, nel laccio, in cui fu colta, Lasciò la coda, e via tosto fuggissi. […] Dunque chiamando tutte l’altre Volpi, Si fé di lor nel mezo, e con prolisso Sermon persuader questo sforzossi.
Or sendo giunta la stagione estiva, Ch’ardendo secca d’ogni humor la terra, Quella che nel vicin stagno albergava, Invitò l’altra con benigno affetto A lasciar quel sì periglioso albergo Esposto a gli occhi d’ogni passaggiero, Et abondante d’ogni altro disagio, Per albergar con lei dentro a l’humore, Ch’ella eterno godea lieta e sicura. […] Così interviene a chi nel vitio vive, Che spesso pria, che fuor ne traggia il piede, De l’infelice vita al fin si vede ; Perché l’huom non sa quel, che Dio prescrive.
L’ASINO già nel suo presepio infermo Giaceva giunto assai vicino a morte, E di ciò sparsa era la fama intorno. […] Tal ti dee del nimico esser sospetto Il volto, che d’amor ti mostra segno ; Se con l’occhio miglior del sano ingegno Non vedi qual gli giace il cor nel petto.
Marie de France, n° 57 Le paysan et le lutin D’un vilein cunte ke prist ja un folet que lung tens gueita cil lui dona treis uremenz, pur quei [il] nel mustrast as genz. […] Quant a* sa femme est repeirez, les deus uremenz li dona, un en retient, pru nel garda.
E quel veduto una di loro allegra Invitò l’altra con parole pronte A saltar seco nel bramato humore. […] Se ci gettiam, sorella, entro a quest’onde, D’intorno chiuse, e d’alto muro cinte, Quantunque dolce nel principio fia L’acque gustar del nostro ardor ristoro ; Dubito ancor, che se malvagia stella Seccar facesse l’abondante humore, Non ci paresse alfin pur troppo amaro, Restando a forza in su l’asciutto fondo Senza speranza di poter salire Per riparar a novo altro bisogno.
Jeo nel te puis reguerduner në a tun eos le pain guarder ! […] Par essample nus mustre ci chescun franc hume face einsi : si nuls l’en veut doner lüer ne par pramesse losanger que sun seignur deive traïr, nel veile mie cunsentir ; atendre en deit tel guer[e]dun cum[e] li chien fist del larun.
TAGLIAVA legna un Contadino un giorno Sopra la riva d’un corrente fiume ; E la scure per caso a lui di mano Uscita andò di quello insino al fondo : Onde il meschin piangea dirottamente La sua disgratia sì, ch’a pietà mosse Mercurio, che cortese entrò in pensiero Di voler aiutarlo allhor allhora : E pescando nel fondo a l’aria trasse Un’altra scure, ch’era d’oro tutta ; Domandando a colui s’era la sua. […] E già venuto nel medesmo loco Per tagliar legna, quel, che il suo compagno A caso fece, fece egli con arte Di lasciarsi cader allhor la scure In mezzo il corso de le rapide onde : E finse lagrimar con gran sospiri, E gran querele la sua dura sorte. […] Compresa allhor Mercurio la bugiarda Mente di quel Villano empio e sfacciato, Quella d’oro non sol dar non gli volle, Ma non essergli pur anchor cortese De la sua, che di ferro era nel fiume ; E da sé lo scacciò con brutti scherni.
IL Gambero riprese un giorno il figlio Spinto d’amor de la maniera brutta, Ch’ei tenea nel nuotar sempre a l’indietro : Dicendo, che più bel parea quel corso, Che move ogni animal col capo inanti, Ch’è membro principal di tutto il corpo. […] Così devrebbe ogni buon padre sempre Mostrarsi a i figli di virtute esempio, Se vuol, che ’l suo parlar, che li riprende Del vitio appreso, habbia valore e forza Da ritrarli da quello a miglior uso : Ch’è d’autorità spogliato e privo, In mover altri a seguitar virtute Colui, che sta nel vitio immerso sempre.
Il che facendo il medico mal atto, Ei levando le groppe in un momento D’ambidue i piè nel fronte e nelle spalle Così gagliardamente lo percosse, Che ’l lasciò quasi morto in mezo ’l campo ; E fuggì ratto al consueto albergo. Ma dopo lungo spatio rivenuto Il Lupo alfin nel suo primiero senso A sé medesmo tai parole mosse.
Ond’ei, che disegnato Gran tempo haveva di soggetto farsi Quell’animal per li servigi suoi, Tosto pronto s’offerse in sua difesa : Ma disse ; che, se ben d’ingegno e forza Era bastante a superar il Cervo Quando quel si fermasse a la battaglia : Pur, quando ei si fuggisse, esso non era Possente di seguir sì lieve corso : Però mistier facea, ch’egli in sul dorso Là nel portasse, ove trovando il Cervo Non li giovasse la veloce fuga : Et ch’a bisogno tal egli devea Lasciarsi por da lui la sella, e ’l freno, D’accomodarsi seco, e dargli il modo D’intender la sua voglia ove il bisogno Cercasse, ch’ei per lui volgesse il piede. Il Cavallo ciò inteso, e dal desio Di vincer l’inimico in ogni modo Già cieco fatto a scorger più lontano Di queste conditioni il dubbio fine, Fé ciò, che volse l’huom : lasciossi porre E sella e briglia ; e nel condusse in parte, Ove fra poco spatio il Cervo altiero Da le fort’armi, e da l’ingegno humano Alfin restò miseramente ucciso. […] Ma l’huom, che già l’havea nelle sue mani, E poteva domar a modo suo De le forze di lui l’alto valore, Disse : Che, s’egli in suo servitio havea Tanto sudato, che vittorioso Fatto l’havea del suo fiero nimico ; Era ben degno ancor, ch’esso il servisse Per qualche giorno in alcun suo bisogno, E che non intendea per modo alcuno Lasciarlo andar senza pagargli il costo Di sue fatiche, e nel ritenne a forza Sì, ch’ei rimase eternamente servo.
Dui humme erent al bois alé, mes il esteient esguaré la u li singe converserent : utre lur volenté alerent la u il erent assemblé : nel firent mie de lur gré. […] « De mei e de ma femme di e de mun fiz que tu veiz ici, quei t’en semble ; nel me celer !
Cil vot mustrer raisnablement que bien li deit tenir covent, quant pur lui ne fu mespreisez ne pur l’autre plus avilez ; unc nel cunut ne vel vit mes. Li vileins li ad dit aprés qu’il ne deit tenir sun esgart, kar il nel vit fors de l’une part ; pur ceo l’aveit demi preisié qu’il n’en veeit fors la meité ; ne pot mie d’un oil veeir quei li chevals deveit valeir.
Non molto lontano Da queste ville gli animali tutti Convenuti si son pur dianzi insieme ; E stabilita hanno fra lor tal pace, Che durerà nel mondo eternamente. […] Così l’huom savio, che burlato viene Da chi profession d’accorto face, Sovente suol da l’accortezze altrui Trovar difesa, e trar con doppio scorno, Chi coglierlo volea nel proprio inganno.
Li gupilz vet aprés criant qu[e]’ il li rendist sun enfant ; mes il nel volt mie escuter, si l’en cuvient a returner.
» Pur ceo ne deit princes voler seneschal de grant fierté aver ne coveitus ne menteür si nel veut fere sun seignur.
Dunque colui, che sé misero crede, Stia ne gli affanni suoi costante e forte ; E nel voler di Dio paghi sua sorte De l’affanno maggior, che in altri vede.
LA Cornacchia veduto havea nel prato La pecorella, e gran desio le venne Di travagliarla, e trastullarsi seco ; E di quella volò tosto sul dorso, E gracchiando, e mordendole le orecchie La dileggiava, e ingiuria le facea.
GIÀ dentro un’olla, che di carne piena Era d’alesso nel tepido humore Bolliva al foco, nell’humor fervente Entrò la Mosca da la gola tratta Del grasso cibo, che nuotar vedea : Del qual dapoi, c’hebbe satiato a pieno L’ingorda brama, e ’l temerario ardire, Venne sì gonfia del mangiato pasto, E di quella bevanda a lei soave, Che non potea levarsene, e cadendo Anzi più in mezo del liquor profondo De la vicina morte in mano andava ; Onde vedendo non poter fuggire L’odiato fin de la penosa vita, Cominciò confortarsi in cotal guisa.
Così lascia la sua cader nell’onda, E volendo pigliar l’altra maggiore, Vede, che mentre questa si profonda, Sparisce quella nel turbato humore : E pargli che la sua quell’altra asconda Sott’acqua sì, che non può trarla fuore : S’accorge alfin, che la vana sembianza De la sua l’havea posto in tal speranza.
Ei che s’accorse del crudele effetto, Né scampo a sua salute haver poteva, Lagrimando tra sé disse : Ben merto Lasso, meschino, e questo e peggior male, Poi c’havendo nel mar cibo bastante Di condur la mia vita insino al fine, S’io di Nestore ben vivessi gli anni, Ho voluto cercar novella strada Di pasturarmi fuor del luogo usato, In parti entrando a mia natura avverse ; E d’animal marin terrestre farmi, Perdendo col mio albergo ancor la vita.