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2. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [84.]. DEL LEONE INVECCHIATO, ET LA VOLPE. » p. 16

E via cercando, onde scacciar la fame Potesse, e prolungar sua vita quanto Gli concedesse la natura e ’l cielo ; Tentò con l’arte far quel, che vietato Era a sue forze indebolite e vane, Nova astutia trovando a sua salute.     L’astutia fu, ch’un dì passando il Corvo Vicino a la sua grotta, a sé chiamollo Con debil voce, e con sermone humile Il mosse a gran pietà de la sua sorte : Et lo pregò, ch’ei divulgasse tosto De la sua morte già vicina il nome, Per cortesia fra gli animali tutti, Che facevan soggiorno in quel paese : Che, essendo esso lor Re, debito loro Era di visitarlo, e ritrovarsi Ciascun l’ultimo dì de la sua vita Per honorarlo de l’esequie estreme ; E ch’ei gran voglia havea di rivederli, E dir a chi l’amò l’ultimo vale : E testamento far per far herede Alcun di lor del destinato scetro. […] Così più giorni fece insin che venne L’astuta Volpe, che da un poco sangue, Che vedea presso a lui, sospetto prese, E più oltre passar non volse prima Che ’l salutasse, e da la sua risposta Meglio congietturar potesse il fatto : E tosto accorta a salutarlo prese Lontana un poco per mostrar gran doglia Del suo languire sospirando alquanto ; E a dirle del suo stato lo pregava.     Le rispose il Leon con voce grave, E ch’a pena parea che suono havesse ; E l’invitava ad accostarsi a lui, Che meglio intenderia de la sua sorte, Senza dargli fatica in parlar forte. […]     Così da picciol segno alcuna volta L’huom savio impara con sua gran ventura A scoprir de’ malvaggi il rio secreto : De’ quai bisogna sol creder a l’opre, E non a quel, che in lor la lingua suona.

3. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [40.]. DEL CERVO, E ’L CAVALLO, E L’HUOMO. » p. 269

PASCEANO il Cervo, et il Cavallo insieme Dentro un bel prato di novella herbetta Per lunga usanza, e con invidia ognuno, Che ’l compagno godesse un tanto bene, E consumasse quella parte, ch’esso, Se l’altro non ci fusse, havria per sua. […] Ond’ei, che disegnato Gran tempo haveva di soggetto farsi Quell’animal per li servigi suoi, Tosto pronto s’offerse in sua difesa : Ma disse ; che, se ben d’ingegno e forza Era bastante a superar il Cervo Quando quel si fermasse a la battaglia : Pur, quando ei si fuggisse, esso non era Possente di seguir sì lieve corso : Però mistier facea, ch’egli in sul dorso Là nel portasse, ove trovando il Cervo Non li giovasse la veloce fuga : Et ch’a bisogno tal egli devea Lasciarsi por da lui la sella, e ’l freno, D’accomodarsi seco, e dargli il modo D’intender la sua voglia ove il bisogno Cercasse, ch’ei per lui volgesse il piede. […]     Onde il Cavallo al fin de le sue voglie Venuto homai, debite gratie rese Di tal favor a l’huomo : e poi li chiese Licenza per andarsi a goder solo Quel prato ameno, il resto di sua vita In dolce libertà passando lieto.     Ma l’huom, che già l’havea nelle sue mani, E poteva domar a modo suo De le forze di lui l’alto valore, Disse : Che, s’egli in suo servitio havea Tanto sudato, che vittorioso Fatto l’havea del suo fiero nimico ; Era ben degno ancor, ch’esso il servisse Per qualche giorno in alcun suo bisogno, E che non intendea per modo alcuno Lasciarlo andar senza pagargli il costo Di sue fatiche, e nel ritenne a forza Sì, ch’ei rimase eternamente servo.     Così talhora un huomo, ch’è men forte Del suo nimico, e che soccorso chiede Ad huom, che più del suo nimico vale, Dopo le sue vittorie alfin rimane De la sua propria libertà perdente : Che quel, che vinto ha il suo nimico, ch’era Di lui più forte, assai più facilmente Può vincer lui, di cui già possessore Si sente, e haver tutte le forze in mano ; Né vuol haver per altri indarno speso Il valor proprio : ché raro si trova Chi per un altro il suo metta a periglio, Senza speranza di guadagno haverne.

4. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [23.]. DELL’ASINO, E ’L CAVALLO. » p. 357

L’ASINO d’un Signor nodrito in corte Vide un nobil corsier ; che d’orzo e grano Era pasciuto, e ben membruto, e grasso ; Passeggiar su e giù dentro il cortile Di seta, e d’or superbamente adorno, Mentre aspettava il suo Signor, ch’armato Montasse in sella, e ’l conducesse dove Marte feroce insanguinava il piano : E felice chiamava ognihor sua sorte, Ch’ei fosse tanto dal Signore amato, Che seco il volea sempre, e gli facea Mille carezze, et ocioso, e lieto Il tenne un tempo con solazzi e feste : Ond’esso mal pasciuto a le fatiche Sempre era posto, né mai conoscea Il giorno da lavor da quel di festa, Continuando un duro ufficio sempre Senza giamai provar ocio, o riposo.     Ma quando poscia dopo alquanti giorni Da la battaglia ria tornar il vide Di sudor carco, afflitto, polveroso, E tutto homai del proprio sangue molle Per le ferite, ch’egli havuto havea, Tutto allegrossi de la propria sorte ; Che, se ben il tenea poveramente, L’assicurava da miseria tale : E compensando il duol de le fatiche Con la dolcezza del viver in pace ; E del Cavallo ogni trionfo e pompa Con l’infelicità del mal presente, Racconsolato e di sua sorte lieto Menò contento di sua vita il resto.     Così far deve ogn’huom, che in bassa sorte Esser si sente, e senza invidia il corso Di sua vita passar, mentre comprende De’ Prencipi e Signor l’alta fortuna : Che spesse volte in gran bassezza cade, Chi posto vien de la sua rota in cima.

5. (1495) Hecatomythium primum - Hecatomythium secundum « [Hecatomythivm primvm] — Abstemius 87. De lepore calliditatem, et vvlpe celeritatem a Iove petentibvs » p. 

Abstemius 87 De lepore calliditatem, et vvlpe celeritatem a Iove petentibvs LEpus et Vulpes a Ioue petebant, hæc ut ca[l]liditati suæ pedum celeritatem, ille ut uelocitati suæ calliditatem adiungeret, quibus Iuppiter ita respondit. « Ab origine mundi e sinu nostro liberalissimo singulis animantibus sua munera sumus elargiti. Vni autem omnia dedisse aliorum fuisset iniuria. » Hæc innuit fabula deum singulis sua munera ita esse æquali lance largitum, ut quisque esse debeat sua sorte contentus.

6. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [68.]. DELLA SELVA, E ’L VILLANO. » p. 303

ANDÒ un Villan dentro una Selva antica Di quercie ombrose largamente adorna, E la pregò con mansueta voce, E parole efficaci a sua richiesta, Che di prestargli ella contenta fosse Un picciol tronco de le piante sue, Ch’eran d’immensa, et infinita copia : Perch’un manico farne esso volea A la sua scure, onde tornato a casa Fornir potesse alcuni suoi lavori. […] Però guardisi ognun a cui fa dono De le sue gratie, e non si fidi troppo Di chi per molta esperienza, e lunga Prattica non conosce essergli amico.

7. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [76.]. DEL CORVO, ET LI PAVONI. » p. 101472

Ma quando al suon de la sua rauca voce Riconosciuto fu da gli altri, ognuno De le piume non sue tosto spogliollo, E con gran scorno fu da lor scacciato. […] Perché col tempo l’ignoranza folle, E la sua ambition si fa palese ; Onde additato è con vergogna e scorno.

8. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [80.]. DELLA LEPRE E LA TESTUGGINE. » p. 226

In questo la Testuggine, che ’l corso Con solecito passo affrettò tanto, Che giunse alfine al terminato segno, Di tutto quell’honor prendea la palma, Quando la Lepre desta alfin s’accorse Del preso error de la sua confidenza, E colei riportarne il pregio tutto Di quella impresa, si pentì, ma in vano De l’arrogante negligenza sua.     Così fa spesso l’huom d’ingegno e forza Dotato in concorrenza di colui, Che molto inferior di ciò si vede, Quando opra tenta, onde l’honore importi ; Che confidato nella sua virtute Pigro dorme a l’oprar continuo e lungo, Sperando in breve spatio avanzar tutte Le fatiche de l’altro, e ’l tempo corso : Né s’accorge, ch’un sol continuo moto, Benché debole sia, giunge al suo fine Più tosto assai, ch’un più gagliardo e lieve, Che pigro giaccia, che la confidenza A la sciocchezza è figlia, e a l’otio madre ; Onde ne nasce l’infelice prole Biasmo, e vergogna, e danno in ogni tempo. Quinci con gran suo scorno intende e vede Il suo rival, che debole seguendo Con un continuar facile il passo Nel camin di virtù, ch’a honor conduce, A sé stesso precorso, e tor di mano De la vittoria la felice palma Da le fatiche de’ suoi lunghi studi A poco a poco assai più forte reso : Ond’ei quasi perduto haver si sente Quell’antico vigor, ch’ardeva in lui Per colpa sol de la pigritia nata Da la sua negligenza infame e stolta, Che pieno il fa d’un pentimento vile, E d’una doglia sì malvagia e poltra, Che non sa cominciar cosa che voglia, Vedendo sé di sotto di gran lunga A molti e molti, ch’ei nulla prezzava : E tutto il resto di sua vita vive Con tedio estremo assai peggio, che morto, Senza speranza haver d’honore alcuno.

9. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [9.]. DEL CANE. » p. 133

Così lascia la sua cader nell’onda,     E volendo pigliar l’altra maggiore,     Vede, che mentre questa si profonda,     Sparisce quella nel turbato humore :     E pargli che la sua quell’altra asconda     Sott’acqua sì, che non può trarla fuore :     S’accorge alfin, che la vana sembianza     De la sua l’havea posto in tal speranza.

10. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [64.]. DELL’ASINO, E DEL CINGHIALE. » p. 484

Dunque ciò noti ognun, ch’esser si sente     Di cor gentile, e di virtute adorno :     E freni l’ira con la bassa gente,     Che talhora gli mova ingiuria, e scorno :     Perché chi di valore è più possente,     E di fregi d’honor cinto d’intorno     Spendendo le sue forze in vil figura,     La sua virtute, e la sua gloria oscura.

11. (1495) Hecatomythium primum - Hecatomythium secundum « [Hecatomythivm primvm] — Abstemius 18. De asino, simia et talpa » p. 

Abstemius 18 De asino, simia et talpa COnquerenti Asino, quod cornibus careret, Simiæ uero, quod cauda deesset, « Tacete inquit Talpa quum me oculis captam esse uideatis. » Hæc fabula ad eos pertinet, qui non sunt sua sorte contenti. Qui, si aliorum infortunia consyderarent, æquiori animo tolerarent sua.

12. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [38.]. DELLA RANA, ET SUO FIGLIUOLO. » p. 376

VIDE la Rana il Bue vicino al fosso Ito per bere, e grande invidia prese Di sua grandezza, et tosto entrò in desio Di farsi eguale di statura a lui. E credendo poter giunger a questo Se forte si gonfiava il picciol ventre, Subito cominciò gonfiarsi tanto, Che ’l suo figliuol, che la mirava in questo, De la sua morte assai temendo disse : Deh cessa madre, da la folle impresa, Ché se più segui torneratti in danno E de l’honore, e de la vita insieme. […]     Ella, che non volea per modo alcuno Folle patir d’esser minor del Bue, Né creder che colui, ch’era suo figlio, Lei madre vincer di saper potesse, Che d’anni e mesi l’avanzava assai, Nulla stimava il suo consiglio sano : Ma riputando sue parole vane, E stimando accortezza il proprio humore Tanto gonfiossi, che crepar convenne. […]     Dunque ascolti ciascun l’altrui consiglio Benignamente, e non si sdegni alcuno, Per esser padre ad altri, o maggior d’anni In altra guisa, al giovine dar fede, Che con ragione la sua lingua mova ; Ché non sta con l’età sempre il sapere : Né sempre è gioventù mendace e vana.

13. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [3.]. DELL’AQUILA, ET LA SAETTA. » p. 276

Et veduto lo stral tutto nascoso Nell’intestine del suo proprio ventre, S’avvide ancor, che de lo stral le penne De l’ali proprie sue furon già parto : E non tanto si dolse esser traffitta Per giugner di sua vita in breve al fine, Quanto che di veder l’ali sue stesse Esser ministre a lei di tanto danno.

14. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [79.]. DELL’ASINO, ET DELLA VOLPE. » p. 188

Ma la Volpe, che quel conobbe al suono De l’asinina voce, in mezo il passo Fermossi tosto, e non si mosse punto : Ma ridendo tra sé di sua follia Così gli disse : invero che l’aspetto Di questo horrendo e spaventoso volto M’havria mosso nel core alta paura, S’al roco suon de l’asinina voce Io non t’havessi conosciuto in prima.     Così l’huom sciocco e d’ignoranza pieno Che il savio fa tra gli ignoranti, quando Avien, che con saggio huom faccia l’istesso, Dal suono sol di sua propria favella Si scopre quel, che sua natura il fece, Con gran suo scorno, e riso di chi ’l vede.

15. (1570) Cento favole morali « CENTO FAVOLE MORALI. raccolte, et trattate in varie maniere di versi da m. gio. mario verdizoti. — [13.]. DEL CERVO. » p. 74

IL Cervo si specchiava intorno al fonte,     E del bel don de le ramose corna     Si gloriava di sua altera fronte : E mentre quelle a vagheggiar pur torna,     De le gambe si duol brutte e sottili,     Qual non conformi a sua persona adorna. […] E mentre i cacciator lontani lassa     Mercé de le sue gambe agili e preste     Giunge ove una gran quercia i rami abbassa.

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