Ella, che trappassar sentissi il fianco Dal crudo ferro, e quasi a morte giunta, L’ali allargando declinò lo sguardo Verso l’offesa parte, onde sapesse La ria cagion dell’improviso colpo.
Ciò detto verso lui con passi presti Tosto si mosse, e lo scacciò da loro, Perch’eran suoi costumi a tutti infesti.
VESTISSI il Lupo i panni d’un pastore Per ingannar le semplicette agnelle Con l’apparenza de l’altrui sembiante, Celando il troppo conosciuto pelo : E col bastone in man, co ’l fiasco al tergo, E con la Tibia pastorale al fianco, Verso il gregge vicin ratto inviossi, Sperando di condurlo entro un ovile Fatto da lui d’una spelonca oscura, E prepararsi per un anno il cibo, Che senza faticar potria godersi.
La semplicetta allhor, c’havea creduto Del suo falso parlar vero il concetto, De l’arbor scese sopra il verde piano : E s’inviò verso quei lacci ignoti, De la finta città principio finto, Per poter meglio intender la ragione, L’ordine, e ’l sito de le nove mura De la mole, che vera ella credea.
Così devrebbe il picciolo impotente A far contrasto co’ maggiori suoi Lor ceder sempre, e farsi humile in tutto Verso lo sdegno lor duro e protervo ; Perché contra il possente il debil perde : E l’humiltade ogni durezza doma ; E spesso avien, che la vittoria porta De l’huom superbo e di feroce core Colui, ch’a tempo e loco accorto cede.
SENTÌ ’l Leon gridar verso la sera Dentro un fosso lontan da la sua tana Immensa copia di loquaci Rane Con tal romor, che rimbombava intorno Il vicin bosco, e le campagne tutte, E stimando che qualche horribil mostro, Che novo habitator di quelle selve Fatto si fosse, disfidar volesse Le paesane belve a cruda guerra Per farsi ei sol Signor di quei confini, Uscì de la spelonca immantenente Cercando al suon, che gli feria l’orecchie, Con generoso core e d’ardir pieno Del suo sospetto la cagion fallace.
NON era anchora il Lin venuto in uso Di seminarsi, quando un fu, che primo Raccolse il seme in varie parti fuso : E volse dar principio (a quel ch’io stimo) Di far lo stame, onde trahesse poi Mille mistier, ch’in verso io non isprimo.
Sol la Volpe mancava, quando il Lupo Con gran malignità cominciò solo Ad accusarla di superbia e fasto, E verso il suo Signor di poco amore.
Così d’accordo cominciò calarsi Verso quel pellegrin soffiando forte Quanto potea da mille parti intorno Per levargli il mantel, che indosso havea.
Rispose ella : Signor mi doglio assai De le vostre sciagure, et lo sa Dio : Ma di venir più avanti ho gran sospetto, Vedendo tutte le vestigie altrui De la spelonca incontra l’uscio volte, E nessuna guardar verso l’uscita : Ond’io fo stima molti esservi entrati, Né fatto haver alcuno indi partita : Però lasciovi in pace ; e se mai posso Farvi servigio, che in piacer vi sia, Farollo volontier, ma da lontano.
Così quel giorno non comparse alcuno : Onde il padron de la matura biada Giunto verso la sera in quella parte Disse al figliuol : poi che nessun si move O de gli amici, o de’ parenti nostri A prestarci lor opra in tal bisogno ; Fa’ che tosto diman, figlio, per tempo Qui due messore porti, onde ambidue Noi farem cotal opra ad agio nostro, Né ad alcun altro havremo obligo alcuno.
Ma il picciol Gallo, che lo scorse anch’esso, Corse veloce dibattendo l’ali Verso di quel sol per solazzo e scherzo.
Il est in-4º et contient 54 feuillets, dont les fables de Phèdre n’occupent que les 38 premiers, qui sont numérotés par pages, c’est-à-dire sur le recto et le verso. […] Ce manuscrit ne comprend que les feuillets 17, 18, 19 et 20 ; les fables de Phèdre ne remplissent que le recto et le verso du feuillet 17 et le recto du feuillet 18, c’est-à-dire les trois premières pages. […] Le verso du feuillet 18 est occupé par une prière en prose latine rimée. […] » Au verso du feuillet 20 se trouve l’ех-libris que j’ai déjà signalé et dont l’écriture est du xiie siècle. […] Le texte de Perotti commence au recto du feuillet 100 et s’étend jusqu’au verso du feuillet 146.