ò di quello insino al fondo : Onde il meschin piangea dirottamente La
sua
disgratia sì, ch’a pietà mosse Mercurio, che cort
asse Un’altra scure, ch’era d’oro tutta ; Domandando a colui s’era la
sua
. Il leal Contadin rispose il vero, Che sua non er
omandando a colui s’era la sua. Il leal Contadin rispose il vero, Che
sua
non era : onde Mercurio tosto Finse di novo di ce
ero, Che sua non era : onde Mercurio tosto Finse di novo di cercar la
sua
, E ne trasse una fuor di fino argento, Domandando
havea ; et ei negando Subito il vero come prima disse. Finalmente la
sua
Mercurio trasse De l’onda fuor, ch’era di ferro v
a di ferro vile : E ’l Contadino allhor tutto gioioso Affermò, ch’era
sua
quella di ferro ; E la prese da lui, con lieto vi
le rapide onde : E finse lagrimar con gran sospiri, E gran querele la
sua
dura sorte. Onde Mercurio, che sapea l’inganno De
ve A lui dinanzi ; e finto anch’egli seco Di volergli trovar la scure
sua
, Fuor de l’onde una d’or tosto ne trasse, Ch’al p
peso, e a l’occhio era di gran valore, Domandando al Villan, s’era la
sua
. Allhor colui tutto ridente e lieto Non sì tosto
nte affermò che quell’istessa, quella Quella sola, e non altra era la
sua
; La sua, che dianzi pur caduta gli era. C
mò che quell’istessa, quella Quella sola, e non altra era la sua ; La
sua
, che dianzi pur caduta gli era. Compresa a
o non sol dar non gli volle, Ma non essergli pur anchor cortese De la
sua
, che di ferro era nel fiume ; E da sé lo scacciò
il vitto. E via cercando, onde scacciar la fame Potesse, e prolungar
sua
vita quanto Gli concedesse la natura e ’l cielo ;
e la natura e ’l cielo ; Tentò con l’arte far quel, che vietato Era a
sue
forze indebolite e vane, Nova astutia trovando a
he vietato Era a sue forze indebolite e vane, Nova astutia trovando a
sua
salute. L’astutia fu, ch’un dì passando il
a salute. L’astutia fu, ch’un dì passando il Corvo Vicino a la
sua
grotta, a sé chiamollo Con debil voce, e con serm
ollo Con debil voce, e con sermone humile Il mosse a gran pietà de la
sua
sorte : Et lo pregò, ch’ei divulgasse tosto De la
ran pietà de la sua sorte : Et lo pregò, ch’ei divulgasse tosto De la
sua
morte già vicina il nome, Per cortesia fra gli an
debito loro Era di visitarlo, e ritrovarsi Ciascun l’ultimo dì de la
sua
vita Per honorarlo de l’esequie estreme ; E ch’ei
o prese, E più oltre passar non volse prima Che ’l salutasse, e da la
sua
risposta Meglio congietturar potesse il fatto : E
vesse ; E l’invitava ad accostarsi a lui, Che meglio intenderia de la
sua
sorte, Senza dargli fatica in parlar forte. Rispo
no. Così da picciol segno alcuna volta L’huom savio impara con
sua
gran ventura A scoprir de’ malvaggi il rio secret
consumasse quella parte, ch’esso, Se l’altro non ci fusse, havria per
sua
. E tanto un giorno in lor crebbe il dispetto, L’o
esse al suo bisogno, Incontrò l’huomo ; a cui con prece humile L’opra
sua
chiese. Ond’ei, che disegnato Gran tempo haveva d
tto farsi Quell’animal per li servigi suoi, Tosto pronto s’offerse in
sua
difesa : Ma disse ; che, se ben d’ingegno e forza
sella, e ’l freno, D’accomodarsi seco, e dargli il modo D’intender la
sua
voglia ove il bisogno Cercasse, ch’ei per lui vol
o Alfin restò miseramente ucciso. Onde il Cavallo al fin de le
sue
voglie Venuto homai, debite gratie rese Di tal fa
chiese Licenza per andarsi a goder solo Quel prato ameno, il resto di
sua
vita In dolce libertà passando lieto. Ma l
dolce libertà passando lieto. Ma l’huom, che già l’havea nelle
sue
mani, E poteva domar a modo suo De le forze di lu
n intendea per modo alcuno Lasciarlo andar senza pagargli il costo Di
sue
fatiche, e nel ritenne a forza Sì, ch’ei rimase e
, e che soccorso chiede Ad huom, che più del suo nimico vale, Dopo le
sue
vittorie alfin rimane De la sua propria libertà p
che più del suo nimico vale, Dopo le sue vittorie alfin rimane De la
sua
propria libertà perdente : Che quel, che vinto ha
e dove Marte feroce insanguinava il piano : E felice chiamava ognihor
sua
sorte, Ch’ei fosse tanto dal Signore amato, Che s
trionfo e pompa Con l’infelicità del mal presente, Racconsolato e di
sua
sorte lieto Menò contento di sua vita il resto.
del mal presente, Racconsolato e di sua sorte lieto Menò contento di
sua
vita il resto. Così far deve ogn’huom, che
’huom, che in bassa sorte Esser si sente, e senza invidia il corso Di
sua
vita passar, mentre comprende De’ Prencipi e Sign
ortuna : Che spesse volte in gran bassezza cade, Chi posto vien de la
sua
rota in cima. Stolto è chi invidia perigliosa a
. « Ab origine mundi e sinu nostro liberalissimo singulis animantibus
sua
munera sumus elargiti. Vni autem omnia dedisse al
a dedisse aliorum fuisset iniuria. » Hæc innuit fabula deum singulis
sua
munera ita esse æquali lance largitum, ut quisque
lis sua munera ita esse æquali lance largitum, ut quisque esse debeat
sua
sorte contentus.
largamente adorna, E la pregò con mansueta voce, E parole efficaci a
sua
richiesta, Che di prestargli ella contenta fosse
Che di prestargli ella contenta fosse Un picciol tronco de le piante
sue
, Ch’eran d’immensa, et infinita copia : Perch’un
d’immensa, et infinita copia : Perch’un manico farne esso volea A la
sua
scure, onde tornato a casa Fornir potesse alcuni
quello alfin posto in ruina. Però guardisi ognun a cui fa dono De le
sue
gratie, e non si fidi troppo Di chi per molta esp
le, Entrò de gli Pavoni anch’esso in schiera. Ma quando al suon de la
sua
rauca voce Riconosciuto fu da gli altri, ognuno D
a sua rauca voce Riconosciuto fu da gli altri, ognuno De le piume non
sue
tosto spogliollo, E con gran scorno fu da lor sca
ingegno e valor dotati sono. Perché col tempo l’ignoranza folle, E la
sua
ambition si fa palese ; Onde additato è con vergo
la palma, Quando la Lepre desta alfin s’accorse Del preso error de la
sua
confidenza, E colei riportarne il pregio tutto Di
tto Di quella impresa, si pentì, ma in vano De l’arrogante negligenza
sua
. Così fa spesso l’huom d’ingegno e forza D
vede, Quando opra tenta, onde l’honore importi ; Che confidato nella
sua
virtute Pigro dorme a l’oprar continuo e lungo, S
ntico vigor, ch’ardeva in lui Per colpa sol de la pigritia nata Da la
sua
negligenza infame e stolta, Che pieno il fa d’un
ran lunga A molti e molti, ch’ei nulla prezzava : E tutto il resto di
sua
vita vive Con tedio estremo assai peggio, che mor
endere, Che mi potrà più satio e lieto rendere. Così lascia la
sua
cader nell’onda, E volendo pigliar l’altra m
fonda, Sparisce quella nel turbato humore : E pargli che la
sua
quell’altra asconda Sott’acqua sì, che non p
trarla fuore : S’accorge alfin, che la vana sembianza De la
sua
l’havea posto in tal speranza. Et dolendosi poi
ù possente, E di fregi d’honor cinto d’intorno Spendendo le
sue
forze in vil figura, La sua virtute, e la su
or cinto d’intorno Spendendo le sue forze in vil figura, La
sua
virtute, e la sua gloria oscura. Non mostrar tu
Spendendo le sue forze in vil figura, La sua virtute, e la
sua
gloria oscura. Non mostrar tuo valor con gente
lis captam esse uideatis. » Hæc fabula ad eos pertinet, qui non sunt
sua
sorte contenti. Qui, si aliorum infortunia consyd
i. Qui, si aliorum infortunia consyderarent, æquiori animo tolerarent
sua
.
a Rana il Bue vicino al fosso Ito per bere, e grande invidia prese Di
sua
grandezza, et tosto entrò in desio Di farsi egual
gonfiarsi tanto, Che ’l suo figliuol, che la mirava in questo, De la
sua
morte assai temendo disse : Deh cessa madre, da l
l’avanzava assai, Nulla stimava il suo consiglio sano : Ma riputando
sue
parole vane, E stimando accortezza il proprio hum
aggior d’anni In altra guisa, al giovine dar fede, Che con ragione la
sua
lingua mova ; Ché non sta con l’età sempre il sap
rio ventre, S’avvide ancor, che de lo stral le penne De l’ali proprie
sue
furon già parto : E non tanto si dolse esser traf
furon già parto : E non tanto si dolse esser traffitta Per giugner di
sua
vita in breve al fine, Quanto che di veder l’ali
a Per giugner di sua vita in breve al fine, Quanto che di veder l’ali
sue
stesse Esser ministre a lei di tanto danno.
il passo Fermossi tosto, e non si mosse punto : Ma ridendo tra sé di
sua
follia Così gli disse : invero che l’aspetto Di q
quando Avien, che con saggio huom faccia l’istesso, Dal suono sol di
sua
propria favella Si scopre quel, che sua natura il
a l’istesso, Dal suono sol di sua propria favella Si scopre quel, che
sua
natura il fece, Con gran suo scorno, e riso di ch
o al fonte, E del bel don de le ramose corna Si gloriava di
sua
altera fronte : E mentre quelle a vagheggiar pu
, De le gambe si duol brutte e sottili, Qual non conformi a
sua
persona adorna. E le biasma e le sprezza come v
ro si rinselva. E mentre i cacciator lontani lassa Mercé de le
sue
gambe agili e preste Giunge ove una gran que
n soffrir la pena acerba Prese partito di chiederla al padre, Che per
sua
sposa a lui la concedesse. Et così fece con parla
cui strana cosa parve, Che d’una fiera divenisse moglie La giovinetta
sua
figliuola, prese Partito di sbrigarsi da tai nozz
più, che ’l viver proprio amava. Et così contentò che ’l Contadino Di
sua
man propria gli trahesse allhora Ad uno ad uno i
ccordo brama, A non lasciarsi tor l’armi di mano, Od altra cosa, onde
sua
forza penda : Perché puote avenir, che ’l suo nim
on altera voce, Ch’era sfacciato e di follia ripieno A dar risposta a
sue
saggie parole ; Ch’ad ogni modo ei non volea scos
e a lui Toccasse un giorno di scontarle tutte Per lor col merto de le
sue
sciocchezze. E volendo di ciò far nova scu
Cercando le cagioni, o vere o false Che sian, nel sen de la nequitia
sua
; Con cui non val né la ragion, né il vero. L’h
re uoto seque ratus solum munera ferre duo. Ille ubi captantem socium
sua
praemia uidit, supplicium proprii corporis optat
Ioui, quae, dum prouentis aliorum gaudet iniquis, laetior infelix et
sua
damna cupit.
E. SENTÌ ’l Leon gridar verso la sera Dentro un fosso lontan da la
sua
tana Immensa copia di loquaci Rane Con tal romor,
to il vider le loquaci Rane, E tacquero e fuggiro in un momento Da la
sua
vista sotto l’acque impure. Così spesso l’
vane ; Ma il cor, che tace ; e da gli effetti solo Donar fomento a le
sue
imprese suole. Perché colui, che di valore è ricc
CIGNO, E DELLA CICOGNA. IL Cigno giunto homai vicino al fine De la
sua
vita con soavi accenti Facea l’esequie a le sue p
vicino al fine De la sua vita con soavi accenti Facea l’esequie a le
sue
proprie membra In breve per restar di spirto priv
principio e fine. Così parlò : né la Cicogna pote Dir altro contra a
sue
vive ragioni. Così devrebbe contentarsi og
tra a sue vive ragioni. Così devrebbe contentarsi ognuno De la
sua
sorte, e de la legge eterna, Che Natura, e di Dio
diues sed illitteratus, uirum doctum, sed inopem deridebat quod ipse
sua
industria multas diuitias congregasset, quom ille
diues fuerat, panem ostiatim petere coactus inopia confessus est, se
sua
opinione deceptum. Fabula indicat fortunæ bona,
restar d’accordo Di far l’Aquila in ciò giudice loro. Onde esponendo
sua
ragion ciascuno Dinanzi a lei, che decidesse il p
he regna in voi. Che colui, che tornando a me con prova Maggior de le
sue
forze e del suo grado, Men darà indicio con più d
ore. Così da lei partiti, ognun si mosse A quel tentar, che più potea
sua
forza : E dopo breve spatio a lei tornaro Ciascun
generoso augel, che non volea Al suo sciocco pensier dar argomento Di
sua
ruina, con parlar benigno Cercò ritrarla da quel
haver appresa a pieno Del volar l’arte dal camin già fatto Fra l’ugne
sue
; sì che lasciarla tosto Ella devesse andar per l
gliar si vuole ; Ne de’ saggi dà fede a le parole Da buon discorso in
sua
salute spese. Merta ogni mal chi sprezza il buo
errò per divorarlo. Ei che s’accorse del crudele effetto, Né scampo a
sua
salute haver poteva, Lagrimando tra sé disse : Be
r la vita. Così fa l’huom, che da troppo desio Di cose nove la
sua
patria lassa, E temerario arditamente passa Ove m
viver di periglio pieno. In breve par ch’a la misura arrive Di
sua
perfettione il Lin maturo ; E sen fan varie
, Cibo de l’huomo per usanza antica : Così perché nell’opre di
sua
mano Non gli suol mai far detrimento alcuno
nder gli altri augelli si diletta Tanto, c’ha per maggior d’ogni
sua
festa, Quando ve n’ha ben piena la sacchetta
r naturale istinto Mosso a cantar co’ più soavi accenti, Che possa di
sua
vita a l’ultime hore, Visto già il ferro de la mo
, e diè di mano a l’Occa. Et via portolla : e quel sciolto rimase Per
sua
virtù da l’accidente strano. Così l’huomo
Saggio è dunque colui, ch’a l’appetito Proprio pon freno, e l’opre
sue
misura Con la prudenza ogni hor pensando il fine.
prudenza ogni hor pensando il fine. Chi pensa al fin raffrena ogni
sua
voglia.
Di cotal prova : et fé d’esser il primo, Che mostrasse con lui l’alte
sue
forze. Così d’accordo cominciò calarsi Verso quel
n chiusi ; Quanto più Borea intorno il travagliava. Or visto alfin la
sua
fatica vana Il vento stanco, e in sé più che sicu
e affanno, Che colui, che con impeto si move In discoperta forza a le
sue
voglie. La destrezza val più, che viva forza.
ccio Darle materia, onde salir potesse, Prestando aiuto a lei, ch’era
sua
amica, E posta de la vita in gran periglio.
importa, Al vero fin de la bramata impresa Con danno de gli amici et
sua
vergogna. Vano è il parlar dove s’attende l’opr
te, vi prego, Colui, che voglia esser cotanto ardito, Che de le forze
sue
sicuro in tutto Tenti porre il sonaglio al collo
ove il periglio Si scorge in eseguir util consiglio : Però colui, che
sua
sentenza porge Che del publico ben cagione apport
e strale, Che da l’un fianco a l’altro la trafisse. Così giungendo di
sua
vita al fine Disse fra sé quell’infelice fiera. A
Offendendo con mio non picciol danno Colei, ch’a l’ombra de le foglie
sue
La cara vita mi salvò pur dianzi : Ond’hebbe poi
egno ; Forte sen dolse : e si scusò con seco1 Del torto a lui contra
sua
voglia fatto. Soggiungendo, che mai per le parole
endo, che mai per le parole, Ch’egli le fece de la gran beltade De la
sua
prole, non havria creduto L’openion dal ver tanto
huom, che da l’amore Di sé medesmo fatto in tutto cieco Stima le cose
sue
più, che non deve, Resta schernito quando più si
arbori tutti Che l’Uliva di lor l’imperio havesse : Ma quella, che di
sua
sorte contenta Già si viveva una tranquilla vita,
i, Che dal Libano monte al Ciel sen vanno. Così colui, ch’a le
sue
voglie serve, È pronto a ricercar l’altrui govern
ole Far sempre quanto al suo dever conviene. Chi tien l’honor, e le
sue
cose a core Non cerca mai de gli altri esser
a Più si sommerge et dentro a quello intrica, Come la sorte
sua
ve la destina. Vana era al fin d’uscirne ogni f
sangue tutto homai le havean consunto. Venuto al fiume allhor da le
sue
tane Il Riccio del suo mal forte si duole :
a di lor di vita manche. Così con arte mena a fiero stratio Le
sue
nimiche, e se ne trahe la fame Ad un sol tra
ol tratto per ben lungo spatio. Tal l’huom, che studia al fin de le
sue
brame Venir un dì, né haverne il modo sente,
un Contadin da Giove Tolse in governo con espresso patto Che Giove a
sua
richiesta ogni stagione De l’anno a regger solame
. Chiamollo Giove poscia, e per mostrarli Quanto era vana la prudenza
sua
In voler comandar a chi sa il tutto : Gli disse.
occa avvederti Qual conto faccia questa santa Dea Di me, che tien per
sua
divota ancella, Et qual mi porti amore, e gran ri
’l suo biasmo sente Da chi col vero il punge et lo molesta, Torna in
sua
lode con risposta honesta Quel che di darle infam
gnouit trabs. Hæc nos docet fabula, ne in eos excandescamus, qui non
sua
sponte nos lædunt.
t, adeo uiri amorem sibi infixum, quod si optio daretur, mariti uitam
sua
morte redimeret, super nudos utriusque pedes stup
eptoque cultro a pedibus pellem diripere cœpit. Vxor sentiens quorsum
sua
tenderet simulatio pedem retrahens illico resurre
i rector summis Tirynthius infit ab astris (nam uocat hunc supplex in
sua
uota deum) : Perge laborantes stimulis agitare iu
lo con ragione alcuna, Sendo egli un Topo, la cui specie sempre De la
sua
propria fu crudel nimica : Onde rispose il Vesper
a di quella Forma di ragionar, che più ricerca La propria occasion di
sua
salute Ne i simili accidenti, e ne i diversi. C
rre decreuerant quom subito canibus aduentantibus alter eorum dimissa
sua
parte cadaueris eiulans statim e canum conspectu
uc et illuc illum agere cogeretur mentitusque est domino illum sponte
sua
se deiecisse. Ob hoc dominus seruum compellebat o
dominus iubet omnes excidi, præter eam, quæ breuitate et deformitate
sua
ædificium indecorum redditura uidebatur. Cæteris
uo. Sed dominus, cupidum sperans uanescere uotum, Non tulit exosas in
sua
lucra moras, Grande ratus pretium uolucris de mor
urar tua puritade Di farsegli vicina, onde potesse Dapoi satiar di te
sua
ingorda fame. Però temi lui sempre, e non fidarti
Del suo falso sembiante in vista pio : E tienti ben lontan da l’ugne
sue
, Se non vuoi darti in man d’acerba morte. E l’alt
ce ha dentro il core ; E tacer suole, o con parole pie Adombrar de la
sua
perfida mente L’iniqua voglia d’ingiustitia piena
gor, mitibus ille feris communia pabula calcans, turbabat pauidas per
sua
rura boues. Rusticus hunc magna postquam deprendi
] Venator iaculis haud irrita uulnera torquens turbabat rapidas per
sua
lustra feras. Tum pauidis audax cupiens succurrer
i. Haec poterunt miseros posthac exempla monere Subdita nobilibus ut
sua
fata gemant.
s solatium Cuniculo præbuerunt. Hæc indicat fabula (neminem potentia
sua
fretum imbecilliores debere despicere quum aliqua
mmatico docente asinvm GRammaticus quidam gloriabatur adeo in arte
sua
se excellentem esse ut si digna daretur merces, n
passate gare. Così dicea la Volpe. E ’l Gallo accorto Fatto a
sue
spese de gli inganni suoi, Fingendo creder quanto
ese anchor maggior sospetto, E senz’altro a fuggir tosto si diede Con
sua
vergogna e gran piacer del Gallo. Che con le burl
ius 33 De anv dæmonem accvsante Volunt homines ut plurimum, quom
sua
culpa aliquid sibi acciderit aduersi in fortunam
La Cornacchia, che ’l meglio haver teneasi, Usò cotal ragione in
sua
difesa. Misera a che la tua beltà deveasi
in ea erant ad unum omnes periere. Hæc fabula monet quemlibet debere
sua
arte esse contentum, quum ubique sit parata miser
ente cibo, Però mai non ne giunse un picciol grano. Onde vedendo ogni
sua
speme vana Se ne ritrasse, et a sé stessa disse.
ta. Sol la virtute è quel nobil gioiello, Che ’l savio sol per
sua
natura apprezza, E tien dal ciel per dono e
. Quem non coitus gratia, qui ingratus admodum sibi erat, sed ne bona
sua
dilapidarentur, exoptare se dicebat. Mulier sagax
[2.] DEL CORVO, ET
SUA
MADRE. IL Corvo infermo, e già vicino a morte
Stia ne gli affanni suoi costante e forte ; E nel voler di Dio paghi
sua
sorte De l’affanno maggior, che in altri vede.
tro In breve alfin di tanto affanno il trasse. Ma richiedendol poi di
sua
mercede N’hebbe in premio da lui cotal risposta.
iorno al sol dormiva : E fra l’ugne ne ’l prese, e volea trarsi De le
sue
carni l’importuna fame : Ma quel presto destossi,
io cercata era da ognuno, Ambi due sendo d’una stessa forma : E mille
sue
compagne prese e morte Havea veduto, ond’egli sem
a assai più lieve Scorrea sicuro ; l’altro, che temea Per la gravezza
sua
girsene al fondo, Cominciò con parole affettuose
dispiacer ne prese, Che viver non sapea, né comparire Fra le compagne
sue
di quella priva. E per trovar il modo, onde potes
iolta briglia, Sotto una ruota miserabilmente Restò schiacciata, e di
sua
vita al fine. Così interviene a chi nel vi
dir perch’io nol faccia. Questo ben ti dirò : Che solo al suono De la
sua
voce, anchor che da lontano Molto da me talhora u
Così devria colui lasciar le imprese, Che impossibili sono alle
sue
forze, Né contrastar con quel, ch’è più possente
uol ragion dottar4 a chi prudente Nutrir si vuol di delicati cibi Per
sua
salute, ma si astien dal troppo, Che nuocer suole
Donna in vita resse Fu da l’altrui parer così diversa, Così di voglia
sua
, così lontana Dal comune voler, così contraria A
r, che mai da quello offesa Non han sentito, perché ogni altro poi Da
sua
malvagità viva sicuro : Perché è giustitia il ven
lo e nome, E non si porta in suo costume, come La prudenza richiede a
sua
natura. L’honor dato a l’huom sciocco insano il
cuna ? Così ne mostra l’animale astuto, Che chi sotto il Tiran
sua
vita mena È in gran periglio di sentir la pena De
l cangiar patria, e loco, e ancor Signore, Pur che ne stia de la
sua
sorte al segno, Né provi stato del primier peggio
ti piedi, V’accorre ; il prende ; e i troppo audaci vanni Trattogli a
sua
maggior vergogna e danno A i fanciulletti suoi pe
enente corse Dietro a colei, che tosto entrata in casa Da la proterva
sua
rabbia s’ascose. Egli, ch’ad ogni modo havea desi
Fin che ’l tempo non venga, onde sicura Risponder possa a tanta
sua
pressura. Ecco de’ venti impetuoso stuolo
LA MORTE. UN Vecchio contadino ito a far legna Nel bosco assai da
sua
stanza lontano Tornava a dietro d’un gran fascio
valore. Ognuno dunque accortamente impari L’arte seguir, a cui
sua
stella il chiama : Et lasci quell’ufficio, in cui
mo male, Che far contento ognun pensa e s’ingegna De l’opre
sue
, né questo asseguir vale. Perché in natura tal
. Vario è ’l parer d’ogni huom, diverso il gusto : Ognun de la
sua
voglia si compiace ; Chi loda il pan mal cot
i Dei A suo piacer un arbore si elesse D’haver per propria insegna in
sua
tutela. Così Giove la Quercia altera prese ; Vene
ese impara Nelle occorrenze perigliose e strane Il ritrovar la via di
sua
salute Senza tema di biasmo, o d’alcun danno. S
fa l’huom, ch’ognihor vivuto sia In mediocre stato, onde quieta Menò
sua
vita, e senza alcun travaglio, Quando d’alta fort
mio canto è quello, Che invita a l’opre ogni mortal, che brama Menar
sua
vita da l’ocio lontana, Che d’ogni mal è padre ;
ster.
Il faudroit, disoient-ils, sans nous qu’il vécust d’air.
Nous
suons
, nous peinons comme bestes de somme :
Et pour qu
per tutti noi Col rostro adunco, e co i feroci artigli De la possanza
sua
rara et invitta ? Cedi, misero, cedi a un altro i
endo a lei quel, ch’essa haveva al Gallo Di far pensato con l’astutie
sue
, Senza che pur la ria se n’avvedesse. Così
; « Je brusle », répondit-il, et « suis tout en eau, à force d’avoir
sué
». « Voila qui est bien », dit le Medecin, et là
l terreno. Il che vedendo allhor la Volpe offesa Per far de la
sua
prole alta vendetta Sopra di quelli immantinente
malade, questionné sur son état par le médecin, répondit qu’il avait
sué
plus que de raison. « Cela va bien », dit le méde
campi, et aspettato indarno Gran pezzo haveva gli invitati amici A la
sua
stanza quel padron del campo, Alfin col suo figli
uve, que les biens temporels sont de penible acquisition : qu’il faut
suer
, courir, combattre, choquer l’un et l’autre, offe
aquila, et della volpe » P1 Faerno, 60 2. « Del corvo, et
sua
madre » P324 Faerno, 13 3. « Dell’aqu
am sumpsimus. Meministine ridere te solitum, illos qui fata deplorant
sua
… Nos fabellis atque mensis hunc librum scripsimus
la racontant, déclare que c’est un événement dont il se souvient, rem
sua
memoria factam. Or, dans la quinzième des fables
ntes iambico carmine transtulimus : Olim quas vellent esse in tutela
sua
, Diui legerunt arbores : quercus Ioui, Et myrtus
ntes Iambico carmine transtulimus : Olim quas vellent esse in tutela
sua
.” Et ce qui suit forme un total de douze vers qu
e natos lacte, ne desit mihi. R. que me nutrit et dat ubera
sua
mihi, natos autem suos fraudat, ut lac non desit
ecimum est de Esdra rege. et de eo qui prorogat iram suam. et superat
sua
vicia. Capitulum undecimum est de venatore et lee
dunt. 13. Male loqui. 14. De medico indocto. 15. Quilibet rex in domo
sua
. 16. De amicorum fiducia. 17. Stulticiam non poss
a deo. 54. De aucupe quem lesit serpens. 55. De augure qui furtum rei
sue
preuidere non potuit. 56. Quare lupi sectantur ou
fine terminatum. De quo cunctipotenti deo honor : eiusque genito cum
sua
benedicta matre semperque virgine gloria, spiritu
cet autre : Perdere quisque suam sortem de iure meretur, Quam
sua
si placeant plus aliena sibi. Au-dessous se trou
cre rouge. La quarante-huitième, intitulée : De Viro mortuo et Uxore
sua
, ne comprend que les trente vers primitifs. E
ommence par ces mots : Dicie che uno Ghallo andando per prochacciare
sua
vivanda sue per uno monte di letame , etc. La qua
ces mots : Dicie che uno Ghallo andando per prochacciare sua vivanda
sue
per uno monte di letame , etc. La quarante-sixièm
ipigliò lo puledro suo, e andossene via con esso, et par bene parlate
sue
liberato. Le catalogue des manuscrits de la Bib
s, intitulées : Della Volpe e del Granchio , Del Mercatante e della
sua
Moglie , Del Villano che moriva e del Diavolo .
Ghivizzani || con un discorso || interno la origine della Favola, la
sua
ragione storica || e i fonti del || volgarizzamen
: che a fanciulli et a ignoranti Vano per man : soglion perder
sua
forma E mutar spesse volte soi sembianti.
ossèdent chacune un exemplaire de cette édition. — Esopo con la vita
sua
historiade vulgare et latino. À la fin, on lit :
de cette édition sous la cote 7744. 1520. Esopo con la vita
sua
historiate || vulgare et latino. Ce titre, qui e
ion sous la cote 7754. 1544. Fabule di Esopo historiate con
sue
allegorie historice et morale. À la fin : Venet
dove si vede mira-||bilissimi et notabili am||maestramenti. || Con le
sue
figure accomo-||date ad ogni fabula. || Di nuovo
ter fovit Ricardum ex mamilla dextra, sed Alexandrum fovit ex mamilla
sua
sinistra471. » Venu en France dans sa jeunesse,
de penser à cette phrase proverbiale du poète romain : Habent
sua
. fata libelli. Tous les deux, contemporains et c
bles latines : xi. De Stulto et Mulis, et : xxxviii. De Pica et Cauda
sua
. La fin des quarante fables et le commencement de
anche on y trouve la traduction de la fable xxxviii. De Pica et cauda
sua
, et deux fables empruntées à Avianus et intitulée
Vienne 901. Sic qui quærit alienum, dum plus cupit, suum perdit. Non
sua
qui cupiunt, merito quæ sunt sua perdunt. On le
um, dum plus cupit, suum perdit. Non sua qui cupiunt, merito quæ sunt
sua
perdunt. On le voit, la moralité dans le manuscr
ontaine : Vienne 303. Berlin 87. Cervus bibens de fonte
sua
cornua magna vidit, nimisque ea laudavit cruraque
it cruraque ceu tenuia vituperavit. Quondam Cervus bibens de fonte,
sua
cornua vidit, intusque ea laudare cœpit cruraque
mprobitate sustulit. Rom. de F. : Sic totam prædam illam improbitate
sua
abstulit. De ce qui précède deux solutions se dé
it. At decepta aviditas : quam ferebat, dimisit offam, et quæ valebat
sua
non potuit vel extremo tangere dente. Qui dum ali
s avidius adpetit aliena. — Eam quam ore tenebat. Fable 29. Cornua
sua
laudare cœpit, et crura tenuia ultra modum vitupe
9. « Quod meum consilium dum aperio Viro Nobiliss. Iano Grutero, pro
sua
in litteras meque privatum amore, auxilio subsidi
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