grin lontano, Mosse queste parole. Ecco, se vuoi Borea conoscer senza
più
contrasto Qual più vaglia di noi, novo argomento
queste parole. Ecco, se vuoi Borea conoscer senza più contrasto Qual
più
vaglia di noi, novo argomento Di venir a provar l
ze nostre. Vedi quel pellegrin, che di là viene ? Or quel di noi, che
più
tosto la veste Di dosso gli trarrà, quel sia magg
este Di dosso gli trarrà, quel sia maggiore De l’altro di valor, e ’l
più
lodato. Borea sdegnoso contentossi al patt
sso havea. Ma colui, che dal freddo era assalito Del fiato suo, tanto
più
stretto e involto Stava ne i panni, et li tenea b
ù stretto e involto Stava ne i panni, et li tenea ben chiusi ; Quanto
più
Borea intorno il travagliava. Or visto alfin la s
avagliava. Or visto alfin la sua fatica vana Il vento stanco, e in sé
più
che sicuro, Che ’l Sol, che meno impetuoso fiede,
lse Sopra le spalle ; e così via n’andava. Ma dopo breve spatio assai
più
fiero Mostrando seco il Sol l’intenso ardore, Tut
prudente e saggio Giunger con la destrezza al fin, ch’ei brama, Assai
più
presto, e con minore affanno, Che colui, che con
mpeto si move In discoperta forza a le sue voglie. La destrezza val
più
, che viva forza.
[45.] DELLE FORMICHE, ET LA CICALA. MENTRE che al Sol nella
più
algente bruma Givan molte formiche in lunga schie
humili Cominciò loro a supplicar soccorso. Il che sentendo una di lor
più
antica D’anni, e di lunga esperienza dotta Le dom
ar solevi Senza pensar che far devesti il Verno, Hor ballerai per far
più
bello il giuoco : Il che tanto puoi far più agevo
rno, Hor ballerai per far più bello il giuoco : Il che tanto puoi far
più
agevolmente, Quanto hai di cibo il ventre hora me
il fine, Aprite a questo esempio, aprite gli occhi : Et imparate con
più
san discorso, Che v’è mestiero in su la primavera
e si giuraron fede Di non mai farsi in alcun modo oltraggio : E tra i
più
forti inviolabil patti, Che d’osservarsi il Guffo
o astenne L’adunco artiglio : e tuttavia cercava Di prender quelli di
più
brutto aspetto, Quando dal giogo d’una eccelsa ru
iogo d’una eccelsa rupe Sentì ullular del suo novo compagno I non mai
più
da lei veduti figli Nell’aspro nido quasi anchora
dal cantar loro horrido tratta Tosto vi corse : e giudicando quelli I
più
deformi che vedesse mai, Di lor satiossi alfin l’
l’Aquila inteso esser incorsa Nell’odioso errore a punto allhora Che
più
da quel credeasi esser lontana, Et sol per colpa
, che da l’amore Di sé medesmo fatto in tutto cieco Stima le cose sue
più
, che non deve, Resta schernito quando più si cred
tto cieco Stima le cose sue più, che non deve, Resta schernito quando
più
si crede Esser per quelle rispettato al mondo : E
a estrema De’ miei ferrigni e ben temprati denti, A cui cede l’acciar
più
saldo e forte. Tal che prima i tuoi denti a pezzo
se, Che impossibili sono alle sue forze, Né contrastar con quel, ch’è
più
possente Di virtute e valor : che nulla acquista
virtute e valor : che nulla acquista Chi l’huom combatte, ch’è di lui
più
forte. Ceda chi manco vale al più possente.
Chi l’huom combatte, ch’è di lui più forte. Ceda chi manco vale al
più
possente.
nata, L’Aquila disse : Orsù fratelli andate A mostrarmi di ciò ragion
più
chiara Con l’opra del valor, che regna in voi. Ch
n prova Maggior de le sue forze e del suo grado, Men darà indicio con
più
degno effetto, Colui da mia sentenza havrà la lod
e del valore. Così da lei partiti, ognun si mosse A quel tentar, che
più
potea sua forza : E dopo breve spatio a lei torna
i nobiltate e di virtute Nibio vagli tu men de lo Sparviero. E quanto
più
del Topo è la Colomba Degna d’honor, cotanto tu S
r, che tien in corte Diversa gente al suo servitio ; deve Sol prezzar
più
colui, che maggior segno Di valor mostra de gli e
era brutta, Ch’ei tenea nel nuotar sempre a l’indietro : Dicendo, che
più
bel parea quel corso, Che move ogni animal col ca
la via ; Ch’io seguirotti, poi che quella norma Del vero caminar, che
più
t’aggrada, Appreso havrò dal tuo medesmo esempio
le Gli altri chiamar di quella al bel camino : Ch’a quel si ridurrian
più
facilmente, Persuadendo più l’opra, che ’l dire.
la al bel camino : Ch’a quel si ridurrian più facilmente, Persuadendo
più
l’opra, che ’l dire. Non biasmar del tuo vitio
per muro De l’humile capanna d’un pastore, Di cece, e ghiande, che in
più
giorni accolse, Tutto contento, e pien d’amico af
’l terreno del liquor soave. Del qual poi che appagato hebbe ciascuno
Più
che a bastanza la golosa sete, Quivi posar le ben
ce, o ghiande ? A tal sermon colui, ch’era dal sonno, Ma molto
più
da la paura stanco, In cotal modo a l’hoste suo r
modi caro, E di grata mercè premio s’acquista. Ma ben dirò ; che m’è
più
dolce assai Roder la fava, o la tarlata noce Nel
la cieca instabil Dea De le terrene cose in mano il freno E voi, ch’a
più
poter veloci andate Con sommo desiderio a i regii
potrete L’oscurità de le miserie vostre : Quinci del vero alfin fatti
più
accorti, E scorto di Virtute il bel camino, Fuor
i Contrapesati da continue cure, E da mille sospetti indegni et vili,
Più
, che la dolce amata libertade, Più, che l’almo ri
da mille sospetti indegni et vili, Più, che la dolce amata libertade,
Più
, che l’almo riposo, e l’otio honesto Accompagnato
sser felice brama, Segua del Topo rustico la norma ; Che viverà nella
più
nobil forma Beato, e morirà con gloria et fama.
restò piantata in certo loto. Et mentre si dibatte la meschina
Più
si sommerge et dentro a quello intrica, Come
o Suo malgrado facea, non potea trarla Se ben s’affaticasse
più
d’un giorno. Onde la Volpe a lui, che liberarla
Gratie rendendo in cotal modo parla. Non far fratello : che poco
più
danno Far mi pon queste homai di sangue pien
a trarmi Quel poco, che mi resta entro a le vene ; Onde potrei
più
in fretta a morte andarmi : Tal che meglio è
l sommo Giove Non si sdegna coprir le belle membra D’altra mai per lo
più
, che di tal pelle, Che tutta la mia specie adorna
sta. Se di beltà fra noi movi contesa Intender dei de la beltà
più
vera : La qual di quella parte esser s’intende, C
ornir mille lodate imprese : E per ciò bella sono in quel, ch’importa
Più
, che la pelle facile a smarrire L’apparente beltà
ra sembra, hor con la faccia bruna, E sempre forma variar conviene.
Più
bello è il bel del cor, che il bel del volto.
eggiar un fiero sdegno, A gran contesa di parole strane. Ma crescendo
più
grave tuttavia L’ingiuria, che la Cagna le facea
confonde, minacciosa dice. Io ti giuro per Venere o malvagia, Che se
più
dietro vai con tue parole Me, che non mai t’offes
orgoglio. Allhor la Cagna il giuramento udito Sen rise, e via
più
forte la scherniva Dicendo : certo a te ben si co
i suoi, Che de le carni tue vili et impure Si faccian pasto : anzi di
più
gli scaccia Dal suo bel Tempio come empi e profan
fronte armata Di dure corna a contrastar possenti Con qual si voglia
più
forte animale. E ’l Cervo in sé confuso so
orgo haver armi e valore Figlio da contrastar co ’l cane, e forse Con
più
d’un’altra più feroce belva : Ma non ti so già di
e valore Figlio da contrastar co ’l cane, e forse Con più d’un’altra
più
feroce belva : Ma non ti so già dir perch’io nol
ntrò folle in pensier tanto superbo, Che tra sé disse : Or qual di me
più
forte Vive animal in terra ? io già fui figlio D’
n la sella D’argento, e con le briglie ornate d’oro Vinceva ogn’altro
più
veloce al corso, E gli huomini atterrava armati i
come havesse l’ali : Ma non finì sì tosto a un tratto d’arco, O poco
più
lontan batter il corso, Che stanco si sentì con t
he tanto importa, sostener si possa Da la vaghezza esterior del manto
Più
, che da la virtù d’un saggio core, E da le forze
tta ? Cedi, misero, cedi a un altro il peso Di tanto grado, che di te
più
forte Possa più degnamente in sorte haverlo, Con
ro, cedi a un altro il peso Di tanto grado, che di te più forte Possa
più
degnamente in sorte haverlo, Con sicurezza di noi
confuso : E gli altri a far si dier novella eletta D’altra persona di
più
nobil merto. Così far si devria da quei, c
con pugna horrenda Vennero insieme a discoperta guerra. De laquale in
più
assalti il Cervo sempre Restò vincente per la gra
dal desio Di vincer l’inimico in ogni modo Già cieco fatto a scorger
più
lontano Di queste conditioni il dubbio fine, Fé c
mo, ch’è men forte Del suo nimico, e che soccorso chiede Ad huom, che
più
del suo nimico vale, Dopo le sue vittorie alfin r
ibertà perdente : Che quel, che vinto ha il suo nimico, ch’era Di lui
più
forte, assai più facilmente Può vincer lui, di cu
Che quel, che vinto ha il suo nimico, ch’era Di lui più forte, assai
più
facilmente Può vincer lui, di cui già possessore
perché tu stai Vicin sempre al patron, che spesso spesso Ti batte, e
più
tu l’accarezzi ognihora : Tal ch’io, che mai da l
rmi Di quello instrutto, ond’io possa esser atto Ne i suoi servigi, e
più
felice farmi. Quinci avien poi, che seco andando
cagion di starmi a lui vicino : Ma tu bene a ragion fuggirlo dei, Et
più
quando egli ti nudrisce et pasce Di miglior cibo
rba, e di spiacevol gusto. Tal l’huomo astuto suol quel, ch’ei
più
brama, Spesso sprezzar, se da accidente strano Re
e da accidente strano Reso gli vien dal suo pensier lontano Quel, che
più
d’acquistar s’industria, et ama. Non cura il sa
ggior di quella, ch’egli havia : Et disse. Poi ch’est’altro è un
più
bel pezzo Certo, et maggiore che non è la mi
mia, Questa voglio lasciar, e quella prendere, Che mi potrà
più
satio e lieto rendere. Così lascia la sua cader
suo timor fallace e vano. Ond’ella accorta alfin così rispose.
Più
tosto voglio esser da voi schernita, Temendo in v
o in gran pericol de la vita Dar di piangermi a’ miei vera ragione.
Più
grave appar, che la vergogna, il danno.
ghiale, Qual pazzo incominciò ridersi d’ello, Per non haver
più
visto un mostro tale : Ond’ei gli disse : Se
Che talhora gli mova ingiuria, e scorno : Perché chi di valore è
più
possente, E di fregi d’honor cinto d’intorno
citia eran congiunti, Ma non però di conversar frequente : Onde acciò
più
crescesse il loro amore Cominciaro anco ad habita
ar insieme. Et sendo un giorno a la campagna usciti Su la stagion del
più
gelato Verno ; L’huom, che dal freddo havea le ma
a bocca io veggio Il caldo, e ’l freddo uscir con egual modo, Non vo’
più
consentir d’esserti amico ; E dal tuo conversar t
lei di tanto danno. Così colui, ch’è da l’amico offeso, Sente
più
grave assai di ciò l’affanno, Che non il duol de
glia, Quanto minor di lei fu la speranza. L’offesa de l’amico appar
più
grave.
ra con parole pronte A saltar seco nel bramato humore. Ma quella, che
più
saggia era di lei, E di più lunga esperienza acco
r seco nel bramato humore. Ma quella, che più saggia era di lei, E di
più
lunga esperienza accorta, Così rispose al temerar
corge, ch’un sol continuo moto, Benché debole sia, giunge al suo fine
Più
tosto assai, ch’un più gagliardo e lieve, Che pig
uo moto, Benché debole sia, giunge al suo fine Più tosto assai, ch’un
più
gagliardo e lieve, Che pigro giaccia, che la conf
felice palma Da le fatiche de’ suoi lunghi studi A poco a poco assai
più
forte reso : Ond’ei quasi perduto haver si sente
avea ben giorno né notte Pensando sempre a la fanciulla amata. Et per
più
non soffrir la pena acerba Prese partito di chied
voler prima i denti Perder, e l’ugne, che star vivo senza Colei, che
più
, che ’l viver proprio amava. Et così contentò che
he già fatto sicuro Era dal gran valor del fier Leone, Che non haveva
più
l’ugne, né i denti, Non solo di negargli hebbe ar
a homai vicina Per annegarsi, et altro a fare havea, Che spender seco
più
parole in vano, Disse : ah fratello trammi pur di
di questo Pozzo fin che puoi farlo e sana e viva, Che poi ti conterò
più
adagio il fatto, E come e quando, oimè, misera, a
acciato io fussi Al corso, che vietarmi indarno tenti. E dicendo così
più
tra sé stesso, Che fermatosi a quel, che l’aspett
Così talhora un huom, che poco vaglia, Battaglia move a l’huom di lui
più
forte, E prende ardir da le miserie note Di far i
mai dal troppo grave peso, Da la lunga fatica, e dal camino, Ma molto
più
da i molti giorni et anni, Che gli premean di dop
e quel, ch’a tedio havea la vita, Piangendo e sospirando ad alta voce
Più
d’una volta richiamò la Morte. Tal ch’ella alfin
a con le zampe adunche, E lo sbranava, e ne ’l rendea suo pasto. Così
più
giorni fece insin che venne L’astuta Volpe, che d
lpe, che da un poco sangue, Che vedea presso a lui, sospetto prese, E
più
oltre passar non volse prima Che ’l salutasse, e
nor mi doglio assai De le vostre sciagure, et lo sa Dio : Ma di venir
più
avanti ho gran sospetto, Vedendo tutte le vestigi
o quando le parea Che fusse di cenar la solita hora ; Tal che ognihor
più
ingrassava, e venia gonfia, E inhabile ad uscir d
una in su la ruota Siede pensoso, e di travagli pieno : Ché quanto ha
più
de le ricchezze in mano, Tanto l’affanna ognihor
ze. E volendo di ciò far nova scusa L’innocente animal con dir
più
basso, Ma con ragioni più possenti e salde, Il Lu
ò far nova scusa L’innocente animal con dir più basso, Ma con ragioni
più
possenti e salde, Il Lupo iniquo, che già in sé c
a cagion ; ché tanto offende, Quanto ferisce de la voce il suono : Né
più
oltra può far di quel, che ’l vento Opra, che le
re è ricco, Non suol dal van parlare acquistar merto. Chi meno val,
più
di parole abonda.
periglioso guado. E mentre dubbio con tremante core Tentava in ciò la
più
sicura via, Ecco lontan da mezo il largo humore A
rese ; et per satiar di loro L’avido ventre, da la rana in prima, Che
più
molle che ’l topo havea la pelle, Tosto si cominc
colore Simile al tuo nel pelo, ma distinto Di varie macchie di color
più
oscuro : Sembran di lucid’oro i suoi begli occhi,
i, et una lunga coda Di vario pelo tinta insino al fine. Et (quel che
più
mi piace in esso) è tanto Mansueto al veder, tant
e l’animal, che tanto humile Prima ti parve, e di bontà ripieno, È il
più
malvaggio, che si trovi in terra, Perfido, iniquo
ezzarti ; io no : che stimo quello, Che la fame mi trahe per via
più
corta. Sol la virtute è quel nobil gioiello,
partito, Sperando pur che ’l conversar frequente Crescesse in lor di
più
sincero affetto La carità de l’amicitia nova. Per
anni Schivar possa di Dio la giusta spada. Et colui, ch’una volta, o
più
da tale Riceve a torto in alcun modo offesa Quand
a cura, Che non mi lasci un dì viver contenta ? Certo io sarei da chi
più
mi conosce Tenuta pazza, se ciò far volessi, E la
nza pietate, Sì che ne tremeran malgrado loro Le Quercie antiche, e i
più
sublimi Cedri, Che dal Libano monte al Ciel sen v
mente è fuori, E da discorso san tutto lontano ? Quanto ei feroce, e
più
possente hor fia Havendo giunto al natural valore
i quella bevanda a lei soave, Che non potea levarsene, e cadendo Anzi
più
in mezo del liquor profondo De la vicina morte in
avrebbe Fatto ogni prova per voler seguirlo ; Di ricovrarlo non havea
più
speme ; E dirgli incominciò così gridando.
iume Portati a galla da le rapide onde. Ma perché quel di terra assai
più
lieve Scorrea sicuro ; l’altro, che temea Per la
prolisso Sermon persuader questo sforzossi. A cui rispose una di lor
più
accorta. Pensi tu forse persuader a noi Tu
terno godea lieta e sicura. E quella rispondendo esser contenta Patir
più
tosto ogni crudel disagio, Che mai lasciar quel l
avero suo cercava indarno Incontra ’l corso de le rapid’onde. Tal che
più
d’un, che la fatica vana Scorgea di lui da carità
piume. Il Cigno allhor per naturale istinto Mosso a cantar co’
più
soavi accenti, Che possa di sua vita a l’ultime h
el scendesse Per sovvenirlo in così gran bisogno. Il che fatto
più
volte alfin commosso Da la pietà del suo grave la
Cinghiale Attorno il duro piè d’un’alta quercia Rendeva i denti suoi
più
acuti e lisci, Per oprarli per arme a’ suoi bisog
o prato Tutto di varii fiori ornato e bello : E sentito lontan
più
d’un soldato Avicinarsi con feroce suono
o. In questa opinione entraron tutti. Ma alfin levossi un, che
più
etade e senno Havea de gli altri, et disse in que
i cacciatori allhora Per quel confine, e non essendo ascosa La Cervia
più
da la spogliata vite, La vider tosto : et mentre
Queste cagion li fur di pene amare. Che giunta in breve per le vie
più
corte De i can la torma a lui, ch’era intric
perbo e di feroce core Colui, ch’a tempo e loco accorto cede. Vince
più
cortesia, che forza d’armi.
per buon’opra rende pene e guai, Et è superbo a quel, che gli è
più
humile : Né può placar un beneficio pio
. Prendasi pur ognuno, o sommo Padre, De gl’immortali Dei qual
più
gli aggrada Inutil pianta del suo pregio insegna,
rla del Leon debita parte ; E presentolla a la superba fiera ; E poco
più
di nulla a sé ritenne. Allhor l’altiero d’allegre
onsiglio venne. Così devrebbe ognun fidarsi in Dio, Né chieder
più
da lui quello, che questo : Ch’ei, cui nostro bis
te assai temendo disse : Deh cessa madre, da la folle impresa, Ché se
più
segui torneratti in danno E de l’honore, e de la
vane, inutilmente Non voglio perder la fatica e ’l tempo : Ma passerò
più
avanti rimembrando L’altre tue colpe di castigo d
ile : E servirsi hor di questa, hora di quella Forma di ragionar, che
più
ricerca La propria occasion di sua salute Ne i si
lio usciate fuore. Ella pur dice, e ognun le crede meno Quanto
più
con ragioni aperte e vive Mostra il lor vive
ra Per quella notte, fin che ’l novo albore Rendesse il lor camin via
più
sicuro. Così d’una gran noce in cima un ramo S’as
Udito ciò la Volpe, che credea Che pur venisser da dovero i cani, Per
più
non dimorar con suo gran danno Oltra lo scorno, c
i figli esca novella : Né apparve in tanto metitore alcuno. Ma quando
più
l’ardor del mezo giorno Scaldava i campi, et aspe
iede a tal consiglio orecchio L’huom rozo, e gli parea questo il
più
saggio, E d’huom, che fosse di prudenza spec
delle favole || di Esopo. || Testo antico || di lingua Toscana || non
più
stampato. Au-dessous de ce titre est une vignett
▲