otria prezzarti ; io no : che stimo quello, Che la fame mi trahe
per
via più corta. Sol la virtute è quel nobil gioi
corta. Sol la virtute è quel nobil gioiello, Che ’l savio sol
per
sua natura apprezza, E tien dal ciel per don
, Che ’l savio sol per sua natura apprezza, E tien dal ciel
per
dono e caro e bello. Onde l’huomo ignorante e l
e sprezza, Come colui, che fugge ogni fatica, Et ama l’ocio
per
accidia avvezza Ad esser de l’honor sempre nimica
9.] DEL LEONE INNAMORATO, E DEL CONTADINO. PASSANDO un fier Leon
per
certa villa Innamorossi d’una giovinetta Figlia d
on havea ben giorno né notte Pensando sempre a la fanciulla amata. Et
per
più non soffrir la pena acerba Prese partito di c
ù non soffrir la pena acerba Prese partito di chiederla al padre, Che
per
sua sposa a lui la concedesse. Et così fece con p
si da tai nozze In questo modo : et tosto gli rispose. Se vuoi
per
moglie haver la mia figliuola, Che cotanto ami, e
, et mio genero farti, Ti convien prima assicurarmi ch’io Non sia mai
per
haver da tua fierezza Oltraggio alcuno, et così l
i fieri denti, E l’ugne delle zampe acute e forti, Perché sicuri siam
per
sempre poi, Che tu non voglia, o possa farne oltr
i, Non solo di negargli hebbe ardimento La figlia, ch’egli li chiedea
per
moglie ; Ma con un grosso fusto lo percosse Si fi
, E consumasse quella parte, ch’esso, Se l’altro non ci fusse, havria
per
sua. E tanto un giorno in lor crebbe il dispetto,
erta guerra. De laquale in più assalti il Cervo sempre Restò vincente
per
la gran fortezza, Ch’in fronte havea de le ramose
nd’ei, che disegnato Gran tempo haveva di soggetto farsi Quell’animal
per
li servigi suoi, Tosto pronto s’offerse in sua di
argli il modo D’intender la sua voglia ove il bisogno Cercasse, ch’ei
per
lui volgesse il piede. Il Cavallo ciò inte
, debite gratie rese Di tal favor a l’huomo : e poi li chiese Licenza
per
andarsi a goder solo Quel prato ameno, il resto d
servisse Per qualche giorno in alcun suo bisogno, E che non intendea
per
modo alcuno Lasciarlo andar senza pagargli il cos
à possessore Si sente, e haver tutte le forze in mano ; Né vuol haver
per
altri indarno speso Il valor proprio : ché raro s
aver per altri indarno speso Il valor proprio : ché raro si trova Chi
per
un altro il suo metta a periglio, Senza speranza
in un medesmo sito L’Aquila salse sovra un’alta quercia, Ove albergar
per
propria stanza elesse, Tessendo il nido a i suoi
dumi. Ma sendo un giorno uscita a la campagna De l’humil tana
per
cercar d’intorno Cosa, onde trarre a i pargoletti
so rio trista e dolente ; Et non potendo farne altra vendetta, Quando
per
esser animal terrestre, Et senza penne da levarsi
la maledice, et la bestemmia, Sì come fanno i miseri impotenti, C’han
per
solo rimedio in mezo a i guai Lo sfogar in tal gu
ando Tutto del vampo suo già intorno il nido, De l’Aquila i figliuoli
per
la tema D’arder, c’havean de l’importuno caldo, A
ar de l’amicitia vera Le ragion sante, e con l’honesto il dritto : Né
per
cagion benché importante assai, Che dal giusto si
uello, O da Dio stesso egli medesmo colto In qualche occasion tardi o
per
tempo. Vindice è Dio del giusto a torto offeso.
CONTADINO, ET ERCOLE. PASSAVA un Contadin col carro carco Di biada
per
un calle assai fangoso, Né havendo i buoi per la
ol carro carco Di biada per un calle assai fangoso, Né havendo i buoi
per
la stanchezza forze D’indi ritrarlo, miserabilmen
l chiamato m’hai In tuo soccorso, hor da’ principio tosto Ad aiutarti
per
te stesso, et opra Quanto è in te di valor per tr
ipio tosto Ad aiutarti per te stesso, et opra Quanto è in te di valor
per
tragger fuori Di questo loto il già fermato carro
d’un’alta quercia Rendeva i denti suoi più acuti e lisci, Per oprarli
per
arme a’ suoi bisogni : Onde la Volpe ivi passando
arme a’ suoi bisogni : Onde la Volpe ivi passando a sorte Lo domandò
per
qual cagion prendesse Cotal fatica poi ch’ei non
sion presente. Stolta (ei rispose) io m’affatico adesso E non indarno
per
quel, che potrebbe Tardi avenirmi, e forse anco p
sso E non indarno per quel, che potrebbe Tardi avenirmi, e forse anco
per
tempo. Ch’aspettar non bisogna che ’l periglio Ti
ssit enim asinum album, quem uidua habebat, uiridi colore depingi, et
per
omnes urbis uicos circunduci. Quod dum fieret, ta
sinum animi gratia comitarentur. Deinde quum huiusmodi animal cotidie
per
urbem duceretur desierunt admirari. « Itidem inqu
idem inquit ad uiduam commater, eueniet tibi. Si enim uirum acceperis
per
aliquot dies eris fabula uulgi. Deinde hic sermo
ta con soavi accenti Facea l’esequie a le sue proprie membra In breve
per
restar di spirto prive. La Cicogna, che in riva a
ra, e la cagion li chiede Del suo cantar poi ch’è vicino a morte, Che
per
natura ogni animal paventa, E pianger suol pur a
animal paventa, E pianger suol pur a pensarvi il giorno, Ch’ella sia
per
venir, benché lontana. Allhora il Cigno ri
fine Di questo viver, giungo al fine anchora Di tanti affanni, et son
per
sentir sempre Nel sen de la natura de le cose, Ch
sarò, che adesso Mi sento, onde potria dir forse alcuno Ch’io non sia
per
sentir mai mal né bene ; Io, che cangiato havrò s
i al porto De la tranquillità de l’altra vita Qual si voglia, che sia
per
esser poi, Poi che nulla di noi perder si puote,
DEL LUPO, ET DELLA GRUE. IL Lupo devorato havea un agnello ; Et
per
la fretta, del mangiar c’havea, Un osso rotto con
tò in gola attraversato in modo, Che sentiva di morte estrema pena. E
per
medico suo la Grue richiese Con assai largo premi
uo la Grue richiese Con assai largo premio pattuito Tra lor d’accordo
per
cotal fatica. Ond’ella con l’acuto e lungo rostro
rso prese. Or visto il Contadin, che invano havrebbe Fatto ogni prova
per
voler seguirlo ; Di ricovrarlo non havea più spem
dono in cortesia, Tu dunque in cortesia portatel lieto ; E goderannel
per
mio amore in pace. Così talhor altrui l’hu
amore in pace. Così talhor altrui l’huom donar suole Quel, che
per
modo alcun vender non puote, Celando il suo pensi
intesi patti Di mai non far al suo compagno offesa ; Da molti augelli
per
gran spatio astenne L’adunco artiglio : e tuttavi
o al mal guardato nido Forte piangendo il ricevuto torto : E trovando
per
via l’altero augello Compagno, e del suo mal cagi
errore a punto allhora Che più da quel credeasi esser lontana, Et sol
per
colpa del giudicio torto Del Guffo tratto dal pat
seco1 Del torto a lui contra sua voglia fatto. Soggiungendo, che mai
per
le parole, Ch’egli le fece de la gran beltade De
cose sue più, che non deve, Resta schernito quando più si crede Esser
per
quelle rispettato al mondo : E duolsi a torto del
. Tunc passer « Nolite inquit expauescere. Quo modo enim pilas in nos
per
æra uolantes iacere poterunt, quum eas per terram
Quo modo enim pilas in nos per æra uolantes iacere poterunt, quum eas
per
terram magno molimine uix trahant ? » Hæc fabula
e d’un palazzo altero Vivean nudriti insieme un’Oca e un Cigno Questo
per
dilettar col dolce canto Del suo Signor le delica
dilettar col dolce canto Del suo Signor le delicate orecchie ; Quella
per
dilettar col grasso petto La gola e ’l ventre. Or
prendendo Da la sembianza de le bianche piume. Il Cigno allhor
per
naturale istinto Mosso a cantar co’ più soavi acc
descens, quæ muscas, qui suus est cibus, capiebat, rhætia in foribus,
per
quas uolitare solebat, ut eam caperet, suspendera
ut eam caperet, suspenderat. Irundo uero aduolans rhetia cum textrice
per
æra portabat. Tunc Aranea in ære pendens, et se i
[12.] DELLA VOLPE, E ’L LUPO CADUTA era la Volpe ita
per
bere Da l’alte sponde in un profondo pozzo, Stand
a la Volpe ita per bere Da l’alte sponde in un profondo pozzo, Stando
per
affogarsi adhora adhora : Onde di là passando a c
h’indi sentiva Uscir de l’acque, era a vederla corso ; Pregollo humil
per
l’amicitia loro Ch’ei volesse calando al basso un
volare Per provar quel piacer, c’haver pensava Gli augelli di passar
per
l’aere a volo. E tosto a pregar l’Aquila si diede
cciava al fondo ; Sì che costretta da un pregar noioso L’Aquila alfin
per
contentarla prese Quella su ’l dorso fra gli adun
già fatto Fra l’ugne sue ; sì che lasciarla tosto Ella devesse andar
per
l’aria a nuoto. Visto alfin l’ostinato suo
ra vieta, Adopra quanto puoi le mani e i piedi, Poi che penne non hai
per
tal mestiero ; Che ben ti converrà destra mostrar
il mel, che in terra Gocciolando cadea del buco fuori, Del buco, che
per
tutto era già pieno. E mentre ch’ei così pascendo
stral de la lor coda Gli furo intorno generosamente Quello assalendo
per
salvar la vita A i proprii figli, e vendicar in p
’orecchia, Godendo lieto il ritrovato cibo. Così talhor l’huom
per
fuggir s’adopra Un picciol mal, che sopportar pot
guisa. Signor, se ’l mio venir è stato tardo A visitarvi, non fu già
per
altro, Che per cagion di quel perfetto amore, Ond
se ’l mio venir è stato tardo A visitarvi, non fu già per altro, Che
per
cagion di quel perfetto amore, Onde di tutto cor
o scorso i Tempii de gli Dei, Per haverne di voi la medicina ; Laqual
per
buona sorte ho alfin trovata. Disse il Leo
l fa torna l’inganno. 1. [NdA] Nous corrigeons le texte de 1570 («
per
quel ragionar ») selon la leçon de 1577 (« era da
, che il ver m’insegna. Mi percuote il patron tal volta il dosso, Non
per
odio, o dispetto, in ch’ei mi tenga ; Ma per amor
tal volta il dosso, Non per odio, o dispetto, in ch’ei mi tenga ; Ma
per
amor, ch’egli mi porta, e farmi Di quello instrut
riposo Per goder poi de le tue carni un giorno. Utile è il mal, che
per
buon fin si pate.
cartilagini sonanti De l’aureo ventre un’harmonia soave Formar soleva
per
comun ristoro De gli affannati, e stanchi pellegr
pellegrini, Che sotto il fiero ardor del Sole estivo Facean passaggio
per
gli aperti campi. Allhor colei, che tal ri
osì cantar solevi Senza pensar che far devesti il Verno, Hor ballerai
per
far più bello il giuoco : Il che tanto puoi far p
to entrato gli era. E cercando rimedio a l’aspra doglia Il Lupo a lui
per
medico s’offerse ; E di certa mercè restò d’accor
sino, che pagar già nol poteva, Lo pregò caramente a rimirarli Meglio
per
non so che, che l’affligea, Nella ferita anchor r
ole mosse. M’è certo a gran ragion questo avenuto : Ch’essend’io nato
per
mia buona sorte Atto de gli animali al far macell
del sentiero Per aspettar il Topo, che pian piano Incontra gli venia
per
suo diporto : E farne ad uso suo di lui rapina. M
lo scorse anch’esso, Corse veloce dibattendo l’ali Verso di quel sol
per
solazzo e scherzo. Da cui già spaventato il picci
tua specie natural nimico : E sol ti si mostrava in vista humano Sol
per
assicurar tua puritade Di farsegli vicina, onde p
n di scherzi vani ; Né mai del sangue altrui si nutre e pasce : E sol
per
giuoco incontra a te correa Gridando per ischerzo
rui si nutre e pasce : E sol per giuoco incontra a te correa Gridando
per
ischerzo un pezzo teco : E poi lasciato havrebbe
titia piena : Ma non colui, che favellando altero Talhor si mostra, e
per
costume vano Superbo in vista : che da l’opre poi
LA VOLPE. IL Cane e ’l Gallo un gran viaggio insieme Presero a far
per
varii boschi e ville Passando per dar fine al lor
gran viaggio insieme Presero a far per varii boschi e ville Passando
per
dar fine al lor camino : Ma non giungendo al dest
i quella al piede Ch’era cavato, e da cento anni e cento Roso, e reso
per
lui capace albergo, S’accommodò passando quella n
cchia a quell’uscio, e ’l portinaio desta Che m’apra il passo, ond’io
per
dentro al tronco Venga a trovarti, et abbracciar
[78.] DEL PARDO, E LE SIMIE. IL Pardo, che a le Simie è
per
natura Fiero nimico, e si pasce di loro,
pira a pena, Fin che le crede esser ben lasse e stanche ; E
per
gran pezzo soffre cotal pena. Alfin si leva, e
atio Le sue nimiche, e se ne trahe la fame Ad un sol tratto
per
ben lungo spatio. Tal l’huom, che studia al fin
che non deveva Ella cercar d’haver da lui soccorso, Che dar
per
uso natural soleva A chi s’appressa a lui se
a lui sempre di morso. Che ricorrer altrove essa poteva, E
per
altro sentier prender il corso : E non salva
la Volpe da lontano il Gallo Posarsi d’una Quercia in cima un ramo, E
per
farlo da quel scender al piano, Onde potesse poi
hanno fra lor tal pace, Che durerà nel mondo eternamente. E mandan me
per
messaggiera intorno A publicar d’un tanto ben la
pace, e salute : E credo ben che la novella intorno Tosto si spargerà
per
tutto il mondo, C’homai ne dee sentir gioia infin
i veltri anchor lontani Veggio venir ver noi correndo in fretta Forse
per
far l’ufficio, che tu stessa Facendo vai di messa
les non edere fœtus Sueta, nec hesternis opibus fœcunda uirebat, Poma
per
incultos spargens siluestria rhamnos. Quam uicina
Non erit unde rudi manent de pectore fructus. Finis. Impressvm Fani
per
Hieronymvm Soncinvm anno christianæ salvtis.M.D.V
nder al parlar villano, Che la confonde, minacciosa dice. Io ti giuro
per
Venere o malvagia, Che se più dietro vai con tue
te ben si conviene Tal giuramento d’osservanza degno : Poi che giuri
per
quella immortal Dea, Che t’odia sì, che ancora od
sciocca avvederti Qual conto faccia questa santa Dea Di me, che tien
per
sua divota ancella, Et qual mi porti amore, e gra
anza di terreno aiuto Con prolisso parlar pregò la madre, Che facesse
per
lui preghi a gli Dei Ch’ei ricovrasse il suo vigo
ai, figlio diletto, Che sieno udite le preghiere mie, E i voti, ch’io
per
te porga a gli Dei ; Per te, che sempre de i lor
gni mal è padre ; e gli ricorda A non marcirsi nelle pigre piume ; Né
per
ciò canto fuor di tempo mai. Soggiunse il
giaci ? Rispose a questo il Gallo : il tutto è vero : Ma lo faccio io
per
mantener del nostro Seme la specie ; et arricchir
scusa non è di ragione Però ch’io lasci al tuo camino andarti, Et poi
per
amor tuo di fame io muoia : E detto questo nel co
O, ET DELLA DONNOLA. ERA caduto il Vespertiglio a terra Uccel, che
per
natura odia la luce, E senza piume sol di notte v
a piume tutto, E che del pel del Topo era vestito, Con cui conformità
per
specie havea. Udita tal ragion fu astretta allhor
ò non lieve errore : E l’ale a lei mostrando aperte e larghe, Con cui
per
l’aria si levava a volo Specie d’augello esser pr
ua forte scorcia Te renderà dal suo furor protervo ; Così la mia, che
per
sé stessa è frale, Agevolmente fia rotta, e spezz
ssa è frale, Agevolmente fia rotta, e spezzata. Guardisi ognun
per
tal esempio dunque Di star vicino a chi è maggior
iunto assai vicino a morte, E di ciò sparsa era la fama intorno. Onde
per
visitarlo allhor si mosse Con cor maligno, e simu
volto Il Lupo ; e fatto già vicino a l’uscio, Che la stalla chiudea,
per
certo foro Dentro guardava ; e l’Asinel vedendo G
Per poter meglio far preda sicura, E ’l Corvo astuto gl’incontrò
per
via : E disse : Il ciel vi dia buona ventura,
Dio, Ch’io nel3 consenta mai : perché tu sei Per natura, et
per
arte iniquo e rio. Tal che, sì come haver da te
molacro d’oro, Ch’al Tempio il suo padron seco trahea, Mentre passava
per
diverse vie Era inchinato da la gente tutta, Che
lhor da quella gloria vana, E tosto in mezo del camin fermato Levando
per
superbia in alto il capo Tutto si vagheggiava ; e
de tornato a casa Fornir potesse alcuni suoi lavori. Ella, che
per
natura era cortese, E ricca intorno del suo gran
isi ognun a cui fa dono De le sue gratie, e non si fidi troppo Di chi
per
molta esperienza, e lunga Prattica non conosce es
moso (Disse) de la cagione, hor te la dico. Andando un giorno
per
la via pensoso Adosso mi cadde, cred’io dal
è ’l ciel ben chiaro. Tal di viver sicur partito piglio : Che
per
fuggirmi quel martir fatale Patir cotal disa
LPE, ET DELLA SIMIA. PUR dianzi havea ’l Leon de gli animali Tutti
per
forza conquistato il Regno, E come Re de gli altr
se natura larga Ti fu del dono, ond’a me tanto è scarsa ? Havendo tu
per
due coda bastante, Ond’io pur non ve n’ho picciol
Di piume, ch’assai vago in vista il rende : Questa di far il nido ha
per
usanza Dentro a le biade de gli aperti campi ; In
e. Ma le occorse una volta il farlo in mezo D’un campo seminato assai
per
tempo, Sì che l’uova depose a punto allhora, Che
udi Di quelle penne, onde sian atti al volo. Però qualunque volta iva
per
cibo Da lor lontana la provida madre Lor avvertiv
ri A prestarci lor opra in tal bisogno ; Fa’ che tosto diman, figlio,
per
tempo Qui due messore porti, onde ambidue Noi far
non lontano De l’atto generoso emulo venne. Quinci esso ancor
per
far prova maggiore Con strepito et stridor ratto
vanni Trattogli a sua maggior vergogna e danno A i fanciulletti suoi
per
giuoco diede. Tal che restando spennacchiato il C
e scorrendo i cacciatori intorno Sorte non hebber di poter vederla, E
per
trovarla in altra parte andaro. Ella veduto esser
l suo peccato. Non far oltraggio a chi ti fu cortese ; Che Dio
per
lui vendicherà l’offese.
sando atto gentile ; Ché se ben cortesia merita assai ; Chi
per
natura è rio non cangia stile : E per buon’o
ia merita assai ; Chi per natura è rio non cangia stile : E
per
buon’opra rende pene e guai, Et è superbo a
avea di rivederli, E dir a chi l’amò l’ultimo vale : E testamento far
per
far herede Alcun di lor del destinato scetro.
uello Alcun de gli animai da quel confino Come inteso l’havea tardi o
per
tempo Per visitarlo : ma quando a lui presso Se l
potesse il fatto : E tosto accorta a salutarlo prese Lontana un poco
per
mostrar gran doglia Del suo languire sospirando a
c’homai t’uccide. Il Vecchio stanco l’ubidisce ; et vanno Così
per
breve spatio al lor camino : E trovan nove r
: E trovan nove risa, e novo affanno. Già senton dir da ognun
per
quel confino, O che discretion d’huomo saput
iudicio de le genti, Ch’a tutte l’opre dan precetti e norma. E
per
provar se tutti far contenti Potea pur, pres
momento Qual disperato il mal nato animale Gettò nel fiume
per
minor tormento. Così fa l’huomo a sé medesmo ma
iuol del sommo Giove Non si sdegna coprir le belle membra D’altra mai
per
lo più, che di tal pelle, Che tutta la mia specie
le dipinto l’animo e l’ingegno Atto a fornir mille lodate imprese : E
per
ciò bella sono in quel, ch’importa Più, che la pe
he ognun de gl’immortali Dei A suo piacer un arbore si elesse D’haver
per
propria insegna in sua tutela. Così Giove la Quer
un ragionevole rispetto, C’habbiam che ’l mondo non pensasse mai, Che
per
l’utilità vil di quel frutto Il proprio honore al
d clarissimvm virvm Renaldvm Fonaledæ præfatiog. Impressvm Venetiis
per
Magistrvm Ioannem de Cereto De Tridino. Anno domi
Abstemius 178 De tvrdo
per
viscvm capto TVrdus uisco captus ab aucupe se
e uenissent, peterentque a filio, quomodo pater eius se haberet. Ille
per
hostii [sic] rimulam respondit. « Melius quam uel
i VVlpes ingressura domum Rustici, ubi gallinas audierat, foramen,
per
quod transeundum erat, dilatari cupiebat. Sed rur
urore tuerentur. Quum autem optata expectarent auxilia, pisces negant
per
terram ad eos accedere posse. Hæc nos admonet fa
LA RANA, ET SUO FIGLIUOLO. VIDE la Rana il Bue vicino al fosso Ito
per
bere, e grande invidia prese Di sua grandezza, et
nifesto De le tue forze l’impossibil opra. Ella, che non volea
per
modo alcuno Folle patir d’esser minor del Bue, Né
o multo tempore meis uos frondibus alui. Vos uero me nutricem uestram
per
saxa et lutum trahitis. » Cui boues « Gemitus sus
isces, se autem plurimum commendabat, quod optimos crearet pisces, et
per
ualles blando murmure serperet. Indignatus fons i
E DEL MERLO. S’ERAN ridutti a general conciglio Gli augelli tutti
per
crear tra loro Un novo Re, che la custodia havess
o la corona Del tuo bel capo, o la gemmata coda, A contrastar quel Re
per
tutti noi Col rostro adunco, e co i feroci artigl
dauer depascentes duo ingentia carnis frusta absciderant quæ unguibus
per
æra ferre decreuerant quom subito canibus aduenta
dem minuat quae dedit ante rota. Corporis immensis fertur pecus isse
per
auras et magnum precibus sollicitasse Iouem : tur
a saxis linque, nec hirsutis pascua quaere iugis ; sed cytisi croceum
per
prata uirentia florem et glaucas salices et thyma
at excepto, qui matris uoce contempta, dum granum tritici esse cupit,
per
æra curuis Vnguibus a sæua aue raptus est. Fabul
ia cum magno conseruere Ioue, quis prior inceptum peragat : mediumque
per
orbem carpebat solitum forte uiator iter. Conueni
eferre, Quae tam continuo munere diues erat. Postquam nuda minax egit
per
uiscera ferrum Et vacuam solitis fetibus esse uid
a D’ogni altra cosa, che d’esca o di grano, Cibo de l’huomo
per
usanza antica : Così perché nell’opre di sua ma
ognuno. E in prender gli altri augelli si diletta Tanto, c’ha
per
maggior d’ogni sua festa, Quando ve n’ha ben
suase di legarsi seco Ne i piè di dietro a i suoi con certo filo, Che
per
tal opra a lui recato havea. Onde il meschin, ch’
là passava a caso Da l’appetito de la fame tratto Ambo li prese ; et
per
satiar di loro L’avido ventre, da la rana in prim
pastum adueniunt, quas quoque propter paucitatem capere neglexit. Hoc
per
totum diem ordine seruato, ac aliis aduenientibus
anus 18 [DE QVATTVOR IVVENCIS ET LEONE] Quattuor immensis quondam
per
prata iuuencis fertur amicitiae tanta fuisse fide
ESTUGGINE. VIDE la Lepre un dì con lento passo La Testuggine andar
per
suo camino, E cominciò sprezzarla sorridendo, E m
e allhor di sdegno accesa Al corso sfida la veloce Lepre : Et ambedue
per
giudice del fatto Chiamar d’accordo la sagace Vol
a uigor, mitibus ille feris communia pabula calcans, turbabat pauidas
per
sua rura boues. Rusticus hunc magna postquam depr
RIDE] Venator iaculis haud irrita uulnera torquens turbabat rapidas
per
sua lustra feras. Tum pauidis audax cupiens succu
Avianus 39 [DE MILITE ET LITVO] Vouerat attritus quondam
per
proelia miles omnia suppositis ignibus arma dare
et pressa nube coactus Ruperat hibernis se grauis imber aquis. Cumque
per
effusas stagnaret turbine terras, Expositum campi
mpulsus in iram, uertebat solitam uomere fessus humum, donec deposito
per
prata liceret aratro molliter herboso procubuisse
prima ch’allhor veduto havea, Prese tanto timor, tanto spavento, Che
per
poco maggior morta sarebbe. Ma poi da quel non ri
Abstemius 89 De rvstico
per
vocem hædi ad ivrisconsvltvm admisso RVsticus
ius 131 De ficedvla tvrdvm in fertiliorem locvm dvcente FIcedula
per
locum quendam desertum iter faciens reperit Turdu
a, e in van scoteasi. Il suo padron vedendol sen ridea : Né
per
quello aiutar però moveasi. Intanto un Lupo
ominciò con appetito immenso Far ogni prova, onde potesse haverne. Ma
per
ben ch’ella alzasse i piè dinanzi Lungo il tronco
o amico Nel suo povero albergo ricevesse. E tra le canne, che servian
per
muro De l’humile capanna d’un pastore, Di cece, e
in ratto fuggissi L’altro invitando con tremante core A far l’istesso
per
fuggir da’ guai, E dietro a l’uscio tosto si nasc
to presi del soave pasto, Se un’altra volta l’importuno hostiero, Che
per
altro bisogno ivi tornava, A disturbarli non veni
que malum Fortuna tuliset, robore collato posset uterque pati. Dumque
per
inceptum uario semone feruntur, in mediam praecep
tai parole mosse. Deh perché fate invan tante querele Voi, che
per
altro pur felici sete ? Se me, ch’esclusa de l’am
imil fine. Così dee tolerar l’huomo prudente Quel, che non può
per
modo alcun fuggire ; E quel, che vuol necessità,
giando sé medesmo disse, Or son pur bello, e son anch’io un Pavone. E
per
esser d’altrui creduto tale, Entrò de gli Pavoni
SANDO un’acqua il Cane con un pezzo Di carne in bocca, che trovò
per
via, Vide nell’onda, ch’era posta al rezzo,
odeva il ventre, Visto quel di lontan subito corse, E tosto l’afferrò
per
divorarlo. Ei che s’accorse del crudele effetto,
uum tria oua enixum esse. Quid multis moror ? Antequam sol occideret,
per
totam urbem uulgatum est hunc hominem ad.XL. oua
viver non sapea, né comparire Fra le compagne sue di quella priva. E
per
trovar il modo, onde potesse In compagnia di tutt
gno, Che tremar mi fa tutto il cor nel petto. Così l’huom nato
per
natura vile Quantunque armato sia poco è sicuro ;
rno. E mentre stavan dibattendo l’ali Diversi augei, che quelle hanno
per
cibo, Di questo accorti tosto si calaro, E le div
orgea di lui da carità commosso Gli ricordava con parlar cortese, Che
per
trovarla a la seconda andasse Del corrente liquor
is dulcius est, adductæ sibi mulieris infusus gremio placidum petiuit
per
membra soporem. Experrectus autem uehementer ange
o Miluus adueniens unum unguibus rapiens uellet auferre omnes pariter
per
inane portauit. Infelix maritus memor ob unum pul
fin la colse Con un pungente stral da l’arco spinto Mentre ella stava
per
gettarsi intenta Dietro a una lepre, e farne alta
hio peso Pregò il Cavallo in supplichevol modo Che d’un poco del peso
per
alquanto Di spatio gli piacesse di sgravarlo Fin
durlo entro un ovile Fatto da lui d’una spelonca oscura, E prepararsi
per
un anno il cibo, Che senza faticar potria godersi
gran sete spinte Andaro insieme lungamente errando Per le campagne, e
per
le basse valli Per veder se potean trovar ventura
ul fin ors. » Li corps se oï si bien loër quë en tut le mund n’ot sun
per
, purpensé s’est qu’il chantera, ja pur chanter lo
la dogliosa voce : S’edificar, fratel, vuoi tal cittade, Io ti so dar
per
certo un buon aviso, C’havrai di cittadin vuote l
sorte, Queste cagion li fur di pene amare. Che giunta in breve
per
le vie più corte De i can la torma a lui, ch
VOLPE INGRASSATA. AFFAMATA la Volpe, e divenuta Smagrita e scarna,
per
un picciol buco Entrò in un tetto di galline pien
rse ; E divorollo con disdegno e rabbia. Così l’huomo empio, e
per
natura forte L’inferior di forza e di valore, Qua
ontadino Le perdute fatiche in van piangea. Chiamollo Giove poscia, e
per
mostrarli Quanto era vana la prudenza sua In vole
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