Simie è per natura Fiero nimico, e si pasce di loro, Havea
gran
fame, e di cibarsi cura : E scorrendo con rabbi
ce, Trovonne alfine, e fé cotal lavoro. Corre lor dietro, e in
gran
timor le adduce, Sì che come da lui lontana
gna infesta Del fier nimico, che vuol divorarle, Sopra un
gran
pin, ch’al ciel alza la testa. Il Pardo, che no
partito prende, Onde possa di là con arte trarle. Finge far un
gran
salto, e quando scende A terra, come morto a
a pena, Fin che le crede esser ben lasse e stanche ; E per
gran
pezzo soffre cotal pena. Alfin si leva, e i den
tie di cotal favore. Ma conosciuto il buon Mercurio a pieno La
gran
sincerità di quel meschino, Che di bontà non have
ntando un giorno il pover huomo A molti amici suoi di quella Villa La
gran
ventura, ch’avenuta gli era, Uno di lor, ch’astut
r la scure In mezzo il corso de le rapide onde : E finse lagrimar con
gran
sospiri, E gran querele la sua dura sorte. Onde M
zzo il corso de le rapide onde : E finse lagrimar con gran sospiri, E
gran
querele la sua dura sorte. Onde Mercurio, che sap
r de l’onde una d’or tosto ne trasse, Ch’al peso, e a l’occhio era di
gran
valore, Domandando al Villan, s’era la sua. Allho
era nel fiume ; E da sé lo scacciò con brutti scherni. Così il
gran
Re del cielo esalta spesso L’huomo pien di bontad
i, che di vaghezza, Di leggiadria, di gratia, e di beltade Vedesse di
gran
lunga avanzar gli altri, Quelli esser di lui figl
si patti Di mai non far al suo compagno offesa ; Da molti augelli per
gran
spatio astenne L’adunco artiglio : e tuttavia cer
l’avido ventre Non senza doglia della sozza madre, Che di lontan con
gran
timor la scorse Devorar tutto il suo infelice par
colma d’affanno Al marito narrò l’horribil caso. Egli, che con
gran
pena intese questo, Tornò fra poco al mal guardat
lia fatto. Soggiungendo, che mai per le parole, Ch’egli le fece de la
gran
beltade De la sua prole, non havria creduto L’ope
rotta, a sé chiamollo Con debil voce, e con sermone humile Il mosse a
gran
pietà de la sua sorte : Et lo pregò, ch’ei divulg
ultimo dì de la sua vita Per honorarlo de l’esequie estreme ; E ch’ei
gran
voglia havea di rivederli, E dir a chi l’amò l’ul
fatto : E tosto accorta a salutarlo prese Lontana un poco per mostrar
gran
doglia Del suo languire sospirando alquanto ; E a
assai De le vostre sciagure, et lo sa Dio : Ma di venir più avanti ho
gran
sospetto, Vedendo tutte le vestigie altrui De la
Così da picciol segno alcuna volta L’huom savio impara con sua
gran
ventura A scoprir de’ malvaggi il rio secreto : D
ominciò sprezzarla sorridendo, E mordendo con motti acerbi e gravi La
gran
tardezza del suo pigro piede. La Testuggine allho
i fé di mover piè sì poco conto Vedendo la compagna tanto lenta, Ch’a
gran
fatica par che muti loco, Che addormentossi ; con
’infelice prole Biasmo, e vergogna, e danno in ogni tempo. Quinci con
gran
suo scorno intende e vede Il suo rival, che debol
poltra, Che non sa cominciar cosa che voglia, Vedendo sé di sotto di
gran
lunga A molti e molti, ch’ei nulla prezzava : E t
[76.] DEL CORVO, ET LI PAVONI. IL Corvo un giorno venne in
gran
desio D’esser tenuto anch’ei leggiadro e bello Co
o fu da gli altri, ognuno De le piume non sue tosto spogliollo, E con
gran
scorno fu da lor scacciato. Così intervien
coprì di quella il dorso, E gia scorrendo le campagne e i boschi Con
gran
paura de gli altri animali, Che in cambio lo togl
ol di sua propria favella Si scopre quel, che sua natura il fece, Con
gran
suo scorno, e riso di chi ’l vede. D’un folle c
iorno, et non sapea che farsi. E così non prendendo alcun partito Con
gran
sospiri e gemiti pregava Ercole invitto, che dal
pregava Ercole invitto, che dal ciel scendesse Per sovvenirlo in così
gran
bisogno. Il che fatto più volte alfin comm
ET la Canna, et l’Oliva un giorno insieme Vengono di valore a
gran
contesa : Ciascuna l’altra vilipende e preme
oi si rileva alfin come habbia l’ale. L’Oliva, che nel cor sente
gran
duolo Di ceder tosto come cosa frale, D
vita il giusto fine, Che di necessità Natura impone A tutti madre, e
gran
dispensatrice E del ben e del mal, come la sorte
continue cure Di procacciarsi con fatica il vitto Sempre si sente in
gran
travaglio e pena : Et mi rallegro, che, giungendo
corpo estinto si risolva, O forse altro animal, che da lui n’esca Per
gran
virtù de le celesti sfere, Che danno al tutto ogn
e da insolente A turbar l’acque col suo bere a lui, Ch’era persona di
gran
pregio e stima, Esso vil animal di vita indegno.
a de’ parenti suoi, Che gli havean fatto mille e mille offese : E che
gran
voglia havea di far che a lui Toccasse un giorno
parte, Ove scoperse l’importuna schiera De i piccioli animai, che ’l
gran
romore Formar potean con l’insolente grido, Stupi
otto l’acque impure. Così spesso l’huom vil la lingua move Con
gran
bravura, e porge altrui spavento Senza vera cagio
c’haveva nel suo cor concetto Dal lungo motteggiar un fiero sdegno, A
gran
contesa di parole strane. Ma crescendo più grave
Dea Di me, che tien per sua divota ancella, Et qual mi porti amore, e
gran
rispetto : Poscia che chi giamai si mostra ardito
NIBIO, E DELLO SPARVIERO. IL Nibio e lo Sparvier vennero insieme A
gran
contesa, ognun sé stesso alzando Sopra l’altro di
o Ciascun mostrando a lei la preda fatta. Onde mostrando il Nibio con
gran
suono D’altera voce un topo, c’havea preso In mez
he de la vita gli facesse dono, Ella rispose di non poter farlo Senza
gran
fallo, essendo egli nimico Di tutti gli altri aug
udenza adorno Far dee qualunque volta si ritrova Del proprio stato in
gran
periglio posto : E secondo il bisogno e l’occorre
PO, ET DELLA RANA. UN Topo già, c’havea sommo disio Di passar d’un
gran
stagno a l’altra riva L’acque profonde, in gran p
disio Di passar d’un gran stagno a l’altra riva L’acque profonde, in
gran
pensier si stava D’esporsi incerto al periglioso
[25.] DEL CANE, E ’L GALLO, E LA VOLPE. IL Cane e ’l Gallo un
gran
viaggio insieme Presero a far per varii boschi e
n che ’l novo albore Rendesse il lor camin via più sicuro. Così d’una
gran
noce in cima un ramo S’assise il Gallo, e ’l Can
credea Che pur venisser da dovero i cani, Per più non dimorar con suo
gran
danno Oltra lo scorno, ch’avanzar potea, Di fuggi
ior sospetto, E senz’altro a fuggir tosto si diede Con sua vergogna e
gran
piacer del Gallo. Che con le burle a la nemica or
DINE. LA Rondinella et la Cornacchia havea Di beltate fra lor
gran
lite accesa : Ch’ognuna l’altra in ciò vince
Razzolando trahea lo sparso grano, E scoperse un gioiel di
gran
valore. E come quel, ch’era d’ingegno insano,
rto passo Hor su, hor giù di campi un largo piano : Et da stupore, et
gran
cordoglio mossa, Né senza grave horror del suo pe
ET LA PECORA. LA Cornacchia veduto havea nel prato La pecorella, e
gran
desio le venne Di travagliarla, e trastullarsi se
da voi schernita, Temendo in van del mal falsa cagione, Che stando in
gran
pericol de la vita Dar di piangermi a’ miei vera
fece, Ch’allhora sovragiunta a l’improviso Da un carro tratto da due
gran
corsieri, Che passavan correndo a sciolta briglia
[51.] DELLE MOSCHE NEL MELE. D’UN
gran
vaso di mel, ch’a un pellegrino Si ruppe, era una
e Col suo sermone, ond’ei gli animi sforza. Un bel parlar a tempo è
gran
guadagno.
ori. Ella, che per natura era cortese, E ricca intorno del suo
gran
tesoro, Gli ne fé parte, gratiosamente Donando a
e stagni Sì, che penuria d’acque havea la terra : Allhor due Rane da
gran
sete spinte Andaro insieme lungamente errando Per
he mai quando piovea Fuor non usciva de l’albergo usato Per
gran
timor, che di bagnarsi havea. Onde da un altro
tesse, Prestando aiuto a lei, ch’era sua amica, E posta de la vita in
gran
periglio. Ma ei, tardando il debito soccor
ne mostra l’animale astuto, Che chi sotto il Tiran sua vita mena È in
gran
periglio di sentir la pena Del fallo anchor, che
lor d’udire, Ch’a l’orecchie di lor nova paresse, Se la tenesser con
gran
cura a mente Per riferirla al suo ritorno a lei.
e sentito i pargoletti figli Consapevole poi ne fer la madre, Che con
gran
tema tal novella intese : E disse lor, adesso è ’
n potesse. Et un di lor, che primo a parlar prese, Fu di parer, ch’un
gran
sonaglio al collo Legar del Gatto si devesse al f
lo Di cui poscia il meschin l’ugne intricando, L’ugne mal atte a così
gran
rapina, Per prender altri alfin preso trovossi. P
i lassa Mercé de le sue gambe agili e preste Giunge ove una
gran
quercia i rami abbassa. Quivi le corna diventar
comprende De’ Prencipi e Signor l’alta fortuna : Che spesse volte in
gran
bassezza cade, Chi posto vien de la sua rota in c
la fatica, Per non trarne giamai profitto alcuno ? Allhor trahendo un
gran
sospir dal core Ella al compagno fé simil rispost
far legna Nel bosco assai da sua stanza lontano Tornava a dietro d’un
gran
fascio carco : E stanco homai dal troppo grave pe
hor s’appressa (Né vorrei dirlo) di tua vita il fine ; Quando egli ha
gran
piacer, che tu t’ingrassi, Stando in quiete, e in
uova usciranno, Faran col tempo eterna ingiuria poi Con tua
gran
pena a’ proprii figli tuoi. Lasciale dunque, e
fin nel suo primiero senso A sé medesmo tai parole mosse. M’è certo a
gran
ragion questo avenuto : Ch’essend’io nato per mia
e punto ; Anzi fermossi in atto humile e pio Quando mi vide, e mi diè
gran
baldanza D’andargli presso, havendo io gran desir
Quando mi vide, e mi diè gran baldanza D’andargli presso, havendo io
gran
desire Di meglio figurar suo bel sembiante. Ma l’
’assal copia nimica. Così l’un danno sopra l’altro giunto Patì
gran
pezzo le beccate strane, Che ’l sangue tutto
ò tanto feconda, E la vendemia, e ’l resto del raccolto, Che vinse di
gran
lunga ogni speranza, Ogni desio di Contadino avar
do e chiaro in Oriente apparse, Il Topo Cittadin l’altro destando Per
gran
desio, c’havea di farsi honore, L’invitò a cena a
che a bastanza la golosa sete, Quivi posar le ben pasciute membra Con
gran
temenza, il resto de la notte Tutto passando con
sma parte. Però giù pon l’invidia ; ché non pate Invidia quel, che di
gran
lunga avanza Ordinario valor di sorte eguale. E c
cielo era allhor scesa, Per riposarsi sopra il verde piano, Venne in
gran
voglia di poter volare Per provar quel piacer, c’
dia havesse De gli altri, e sopra lor dominio e regno. Onde il Pavone
gran
broglio facea D’esser quel desso, confidando assa
lfine al consueto albergo, Sedero a mensa per cenar insieme : E d’una
gran
polenta, che dal foco Posta s’haveano allhor allh
il Lin nasce, et ella, che pur serba Nel cor del suo presagio il
gran
timore, Disse di novo con rampogna acerba.
nimali eran iti a visitarlo. Sol la Volpe mancava, quando il Lupo Con
gran
malignità cominciò solo Ad accusarla di superbia
DEL SOLE, E BOREA. GIÀ fu che Borea, e ’l Sol vennero insieme A
gran
contesa di forza e valore, Ciascun tenendo haver
la bramata sposa. Ma il Contadin, che già fatto sicuro Era dal
gran
valor del fier Leone, Che non haveva più l’ugne,
, Attendendo a l’altrui con tanta noia. Gli arbori allhora dal
gran
tedio stanchi Del pregar lungamente indarno altru
erra. De laquale in più assalti il Cervo sempre Restò vincente per la
gran
fortezza, Ch’in fronte havea de le ramose corna.
Mentre sì carco l’animal galloppa Ecco il primo, che ’l vede, a
gran
pietade Mosso di lui, che in ogni sasso into
Hora son stato in man di correttore : Che in latino e vulgar con mia
gran
pace : Esser me fa : come gia fui : verace Esopo
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