ede, Onde restò trafitto amaramente Da quel, che dentro tutto entrato
gli
era. E cercando rimedio a l’aspra doglia Il Lupo
o, se di quel male ei lo sanava. E tanto fé col duro acuto dente, Che
gli
lo trasse, e di martìr lo sciolse. Ond’ei chieden
fligea, Nella ferita anchor restata aperta : Che grato poi del premio
gli
sarebbe. Il che facendo il medico mal atto, Ei le
ragion questo avenuto : Ch’essend’io nato per mia buona sorte Atto de
gli
animali al far macello ; Il medico facendo, inuti
iama : Et lasci quell’ufficio, in cui Natura, O giudicio, o favor non
gli
consente, Da riuscir con utile et honore, Se gir
do al basso prese De la compagna misera i figliuoli, Et ne fé pasto a
gli
Aquilini suoi. Il che veduto allhor l’affl
odio e veleno si converte De le grate amicitie la dolcezza Quando da
gli
empi simulati amici Indegnamente violate sono. Ma
ra al sacrificio, Del nido la rapace Aquila scese, E preso havendo ne
gli
adunchi artigli Certe reliquie de l’adusta carne
a prole alta vendetta Sopra di quelli immantinente corse ; E inanzi a
gli
occhi de l’altera madre Devorò ingorda i pargolet
citia i sacri patti Per non degna cagion profano rompe, Quantunque de
gli
offesi amici al tutto Possa schivarsi da l’ultric
tutto Possa schivarsi da l’ultrice mano ; Non è però che col girar de
gli
anni Schivar possa di Dio la giusta spada. Et col
h’una volta, o più da tale Riceve a torto in alcun modo offesa Quando
gli
è data occasion sovente Fa de le havute ingiurie
preso in man stretto il tenea Per dargli morte, acciò sicuro fosse De
gli
altri augelli, ch’ei prendea, lo stuolo, Che lo l
i, ch’ei prendea, lo stuolo, Che lo lasciasse, perché esso giamai Non
gli
havea fatto ingiuria, o danno alcuno. Allhor diss
mplice Colomba, Che la seguivi, et trar volevi a morte ? Et detto ciò
gli
diè tanto del capo Sopra d’un sasso, che morir co
ndicar il torto, Che l’innocenza da l’huom empio sente ; Né merita da
gli
altri haver perdono Chi fa senza ragione ad altri
la il dorso, E gia scorrendo le campagne e i boschi Con gran paura de
gli
altri animali, Che in cambio lo togliean d’un fie
a fera, Vedendo di lontan venir la Volpe Far volea quello a lei, ch’a
gli
altri fece. E ragghiando ver lei subito corse Hor
si tosto, e non si mosse punto : Ma ridendo tra sé di sua follia Così
gli
disse : invero che l’aspetto Di questo horrendo e
a. Così l’huom sciocco e d’ignoranza pieno Che il savio fa tra
gli
ignoranti, quando Avien, che con saggio huom facc
a il rende : Questa di far il nido ha per usanza Dentro a le biade de
gli
aperti campi ; In cui suol partorir le picciol uo
si perde ? Però diman prima, che nasca il giorno, Vattene a ritrovar
gli
amici nostri Di questa Villa, e pregagli in mio n
mezo giorno Scaldava i campi, et aspettato indarno Gran pezzo haveva
gli
invitati amici A la sua stanza quel padron del ca
on del campo, Alfin col suo figliuol venne in su ’l loco Per veder se
gli
amici ivi trovava Forse in far l’opra, a ch’ei gl
loco Per veder se gli amici ivi trovava Forse in far l’opra, a ch’ei
gli
havea pregati. E non vedendo esser venuto alcuno,
noia in questa cura. E l’altro giorno a trovar pasto andando Di novo
gli
ammonì che intentamente Notasser ciò, che seguita
sera in quella parte Disse al figliuol : poi che nessun si move O de
gli
amici, o de’ parenti nostri A prestarci lor opra
ra parte, Che quando l’huom far vuol cosa da vero, Non aspetta
gli
amici, o i suoi parenti : Ma pon sé stesso con le
gelli tutti per crear tra loro Un novo Re, che la custodia havesse De
gli
altri, e sopra lor dominio e regno. Onde il Pavon
ando ognuno Ch’ei fosse quel, che in loro imperio havesse, Quando tra
gli
altri se gli offerse innante Il picciol Merlo da
h’ei fosse quel, che in loro imperio havesse, Quando tra gli altri se
gli
offerse innante Il picciol Merlo da le nere piume
altri se gli offerse innante Il picciol Merlo da le nere piume, E se
gli
oppose con simil parole. Pensi tu forse, c
seppe a tai parole usar risposta Il Pavone, e restò tutto confuso : E
gli
altri a far si dier novella eletta D’altra person
iuto Con prolisso parlar pregò la madre, Che facesse per lui preghi a
gli
Dei Ch’ei ricovrasse il suo vigor primiero. Onde
tto, Che sieno udite le preghiere mie, E i voti, ch’io per te porga a
gli
Dei ; Per te, che sempre de i lor sacri altari Le
mente altrui : Perché non trova ne i bisogni sui Chi d’un sovvegno se
gli
mostri grato. Chi visse rio non ha chi ben li v
e son anch’io un Pavone. E per esser d’altrui creduto tale, Entrò de
gli
Pavoni anch’esso in schiera. Ma quando al suon de
in schiera. Ma quando al suon de la sua rauca voce Riconosciuto fu da
gli
altri, ognuno De le piume non sue tosto spoglioll
accia Da le fatiche altrui frodando il vero, Inhabile a quel far, che
gli
altri fanno, Che d’ingegno e valor dotati sono. P
la, prese Partito di sbrigarsi da tai nozze In questo modo : et tosto
gli
rispose. Se vuoi per moglie haver la mia f
r proprio amava. Et così contentò che ’l Contadino Di sua man propria
gli
trahesse allhora Ad uno ad uno i denti, e l’ugne
ia gli trahesse allhora Ad uno ad uno i denti, e l’ugne tutte : E poi
gli
chiese la bramata sposa. Ma il Contadin, c
nel superbo capo, Ch’a terra lo mandò stordito, e poi In pochi colpi
gli
levò la vita : E sciolto andò da tal impaccio e b
sente il rese, Cangi pensiero di fermar la pace ; E con guerra mortal
gli
mova assalto, E lo conduca a l’ultima ruina, Senz
n paludoso stagno ; Da qual cagione derivar potesse, Ch’egli da tutti
gli
huomini fuggito, Ella a studio cercata era da ogn
insidia pone. Ond’io chi cerca di turbar mia pace Così combatto, o me
gli
mostro fiero, Che raro avien, ch’egli da me si pa
raggio audace : E ’l forte et di mal far si vive in pace ; Perché chi
gli
osta ei fa tristo e dolente. Chi contender non
[93.] DE GLI ARBORI, E DEL PRUNO. VOLEAN d’accordo
gli
altri arbori tutti Che l’Uliva di lor l’imperio h
sarei S’io, che de le mie frondi e grasse e belle Sì, che son care a
gli
huomini, e a gli Dei Ho sol la cura, che lieta mi
de le mie frondi e grasse e belle Sì, che son care a gli huomini, e a
gli
Dei Ho sol la cura, che lieta mi rende ; Volessi
he vincon di dolcezza il flavo mele, E ’l nettare, che in ciel gustan
gli
Dei, Per quell’affanno sopra ogni altro amaro, Ch
viene. Chi tien l’honor, e le sue cose a core Non cerca mai de
gli
altri esser Signore : E brama haver dominio
lo in supplichevol modo Che d’un poco del peso per alquanto Di spatio
gli
piacesse di sgravarlo Fin ch’ei potesse sol ripre
a Del doppio peso : che schivando in parte Tutto sul dorso suo venuto
gli
era. Così quel servo fa, che del conservo
e ne nasce poi Che la soma di quel sopra lui cade Tutta, né trova chi
gli
porga aiuto Per giusta ira del ciel, che lo perme
car in parte De i loro alberghi la total ruina. Tal ch’ei trafitto da
gli
aculei strani De l’infinito stuol, che lo feriva,
haver sofferto Di quella in pace la primiera offesa, Che sola un poco
gli
ferio l’orecchia, Godendo lieto il ritrovato cibo
portar potrebbe, Et quel fuggendo cade in mille danni Che d’improviso
gli
si movon dietro. Meglio è soffrir un mal, c’hav
e l’aureo ventre un’harmonia soave Formar soleva per comun ristoro De
gli
affannati, e stanchi pellegrini, Che sotto il fie
egrini, Che sotto il fiero ardor del Sole estivo Facean passaggio per
gli
aperti campi. Allhor colei, che tal rispos
Senza pensar di vostra vita il fine, Aprite a questo esempio, aprite
gli
occhi : Et imparate con più san discorso, Che v’è
l’humana gente : E con Giove si dolse, che innocente Essendo,
gli
era ogni huom sempre importuno. Ond’ei gli d
nocente Essendo, gli era ogni huom sempre importuno. Ond’ei
gli
disse : Ognun sarà digiuno D’offenderti, se
; O che felice nova Ho da contarti. Non molto lontano Da queste ville
gli
animali tutti Convenuti si son pur dianzi insieme
r allegrarsi co i novelli amici ; E giurar fedeltade e buona pace Con
gli
altri, che là giù soggiorno fanno. Però scendi an
. Così dicea la Volpe. E ’l Gallo accorto Fatto a sue spese de
gli
inganni suoi, Fingendo creder quanto ella tramava
nemica ordite Da le burle di lei medesma, allhora Salvo si rese et da
gli
inganni suoi. Così l’huom savio, che burla
havea par in terra, Quella d’argento appresso, e quella d’oro In don
gli
diede, e ’l fé partir contento. Ma raccontando un
huomo A molti amici suoi di quella Villa La gran ventura, ch’avenuta
gli
era, Uno di lor, ch’astuto era e sagace, Tentò co
a Quella sola, e non altra era la sua ; La sua, che dianzi pur caduta
gli
era. Compresa allhor Mercurio la bugiarda
Mente di quel Villano empio e sfacciato, Quella d’oro non sol dar non
gli
volle, Ma non essergli pur anchor cortese De la s
o a salvamento il collo Fuor delle fauci del rapace Lupo. Così
gli
huomini rei sovente ingrati Si stiman di favore e
e ingrati Si stiman di favore esser cortesi A quelli, in cui non sian
gli
ufficii spesi De i vitii loro iniqui e scelerati.
ustamente a questo. Et mentre ei la pregava humilmente Che de la vita
gli
facesse dono, Ella rispose di non poter farlo Sen
ose di non poter farlo Senza gran fallo, essendo egli nimico Di tutti
gli
altri augei, che intorno vanno, De’ quali essa mi
nola, che mangiarselo volea ; E supplicando a lei, che de la vita Don
gli
facesse ; udì da quella, ch’essa Non potea farlo
che del suo oprar ne senta altrui, Si mette a far ciò che ’l suo cor
gli
detta : Per che talhor dal suo proprio guadagno D
’l suo cor gli detta : Per che talhor dal suo proprio guadagno Danno
gli
nasce di tal cura pieno, Che lo conduce a miserab
dante copia : Così tra lor la Gazza entrata anch’essa Volgendo a caso
gli
occhi in ver le cime Di quell’antica pianta a sco
ia sen vola Senza fermarsi in quel medesmo punto. Allhor tutti
gli
augei, che la sentiro, Accorti de l’error, ch’ell
o un giorno era del Mare uscito Per novello disio di trovar cibo, Che
gli
gustasse fuor de l’onde salse ; Onde pascendo a s
nte Di condur la mia vita insino al fine, S’io di Nestore ben vivessi
gli
anni, Ho voluto cercar novella strada Di pasturar
rsi d’ello, Per non haver più visto un mostro tale : Ond’ei
gli
disse : Segui, pur, fratello, Di me burlarti
tute adorno : E freni l’ira con la bassa gente, Che talhora
gli
mova ingiuria, e scorno : Perché chi di valo
affettuose A pregar l’altro in lusinghevol modo, Che d’aspettarlo non
gli
fusse grave : Et legatosi seco in compagnia Voles
si seco in compagnia Volesse far quel periglioso corso : Onde l’altro
gli
diè simil risposta. Non m’è discaro l’esse
con le briglie ornate d’oro Vinceva ogn’altro più veloce al corso, E
gli
huomini atterrava armati in guerra : E però tal e
affanno, Che bisognò fermarsi, e prender lena. Allhora in tale stato
gli
sovvenne Anchor d’esser de l’Asina figliuolo, Pol
Allhor quel sciocco, che sentiva quali Eran le lodi, che colei
gli
dava, Entrato in speme di quel vano honore, Che g
e lodi, che colei gli dava, Entrato in speme di quel vano honore, Che
gli
augurava il suo finto sermone, Per mostrarle c’ha
[94.] DELLA VOLPE, ET DELLA SIMIA. PUR dianzi havea ’l Leon de
gli
animali Tutti per forza conquistato il Regno, E c
eon de gli animali Tutti per forza conquistato il Regno, E come Re de
gli
altri un bando fece Gridar, ch’ogni animal, che s
guidato. Tal l’huomo suol tener spesso molesto Quel, ch’utile
gli
apporta e giovamento, E prezzar quel, che gl
Quel, ch’utile gli apporta e giovamento, E prezzar quel, che
gli
è d’aspro tormento Cagione, onde rimane afflitto
tato altra maniera ; Ond’io mi diedi a far quel, ch’imparai Da te, da
gli
avi, e da’ fratelli tuoi. Così devrebbe og
. les éditions à partir de 1586 corrigent en “il padre e tutti anchor
gli
avoli suoi”.
aranno Le prime ingiurie, e da tua ria ventura Ad ingiuriar
gli
altri impareranno : E, se non ti trarranno a
E per buon’opra rende pene e guai, Et è superbo a quel, che
gli
è più humile : Né può placar un beneficio pi
E INVECCHIATO, ET LA VOLPE. GIACEA ’L Leon nella spelonca homai Da
gli
anni reso debile, et infermo, Et inetto del tutto
divulgasse tosto De la sua morte già vicina il nome, Per cortesia fra
gli
animali tutti, Che facevan soggiorno in quel paes
ngannatrice fama Tal che di giorno in giorno andava a quello Alcun de
gli
animai da quel confino Come inteso l’havea tardi
che in riva al fiume stava, In ch’ei lavar solea le bianche piume, Se
gli
fa incontra, e la cagion li chiede Del suo cantar
, che da me vita Trarrà sotto altra forma in mezo al grande Fascio de
gli
elementi in qual si voglia Di lor che ’l corpo es
legge eterna, Che Natura, e di Dio la voglia impone Con egual peso a
gli
animali tutti : E la morte abbracciar con lieto v
quei confini, Uscì de la spelonca immantenente Cercando al suon, che
gli
feria l’orecchie, Con generoso core e d’ardir pie
e forte L’inutil suon de le parole vane ; Ma il cor, che tace ; e da
gli
effetti solo Donar fomento a le sue imprese suole
io ; deve Sol prezzar più colui, che maggior segno Di valor mostra de
gli
effetti a prova : E non colui, che con sembianze
: E non colui, che con sembianze vane Di cose esterior, che ingombran
gli
occhi, Cerca preporsi alla virtute altrui. Di c
ar noioso L’Aquila alfin per contentarla prese Quella su ’l dorso fra
gli
adunchi artigli ; E quanto pote alto levossi a vo
l salvar ti dei. Ciò detto aperse di questo e quel piede Tosto
gli
artigli, et la diè in preda al fato. Così la mise
hora De la cagion, perch’ei così facesse, Rispose, che col caldo, che
gli
usciva Nel fiato fuor da la virtù del core, Dava
iro, c’havea Da quello inteso, che scaldar poteva Col fiato quel, che
gli
parea di freddo, Stupido pur che fredda a lui par
uomo per usanza antica : Così perché nell’opre di sua mano Non
gli
suol mai far detrimento alcuno Depredando le
etta Dentro a’ suoi tetti, onde l’osserva ognuno. E in prender
gli
altri augelli si diletta Tanto, c’ha per mag
l quel, ch’ei più brama, Spesso sprezzar, se da accidente strano Reso
gli
vien dal suo pensier lontano Quel, che più d’acqu
a querela in pace ? Dunque colui, che sé misero crede, Stia ne
gli
affanni suoi costante e forte ; E nel voler di Di
su ’l mercato alcun guadagno. Ma trovatolo a sorte uno a cavallo, Che
gli
venia da la cittade incontra, Di volerlo comprar
Mosso da openion sciocca et fallace. Cos’io resterò essempio a
gli
altri avari, Ch’ogn’un del proprio a content
ra con benigno affetto A lasciar quel sì periglioso albergo Esposto a
gli
occhi d’ogni passaggiero, Et abondante d’ogni alt
mostra segno ; Se con l’occhio miglior del sano ingegno Non vedi qual
gli
giace il cor nel petto. Se vivi in rissa, e sta
agia sorte : E fugge il mal di violente morte Col suo sermone, ond’ei
gli
animi sforza. Un bel parlar a tempo è gran guad
pian giacessi, Tu delle carni mie quello faresti, Che far a
gli
altri io te veduto havessi. Ciò detto verso lui
uel, che meno importa, Al vero fin de la bramata impresa Con danno de
gli
amici et sua vergogna. Vano è il parlar dove s’
fronte Non è allhor da cercar, ma da oprar l’arme, Che ti difendan da
gli
assalti suoi. Così io m’appresto a la battaglia a
o loco periglioso, Né il fulmine aspettar udito il tuono. Onde
gli
fu da l’Asino risposo : Togliti pur di qua t
cetta augella, Che l’ingordigia de’ Signori avari, Che non han meta a
gli
appetiti loro Mentre a’ sudditi ognihor succiano
ron tutti. Ma alfin levossi un, che più etade e senno Havea de
gli
altri, et disse in questo modo. Anch’io, Signori,
he ’l tolse ad empia sorte, offenda : Che par che ’l giusto Dio merto
gli
renda, Quand’ei nol crede, eguale al suo peccato.
rte, Ch’ei fosse tanto dal Signore amato, Che seco il volea sempre, e
gli
facea Mille carezze, et ocioso, e lieto Il tenne
o, Ch’ognihor ti sprezza, e prohibisce a tutti, Qual di nessun valor,
gli
augurii tuoi ? Dunque perché ti perdi indarno il
nga fatica, e dal camino, Ma molto più da i molti giorni et anni, Che
gli
premean di doppia soma il fianco, Al mezo de la v
nte cede A le parole del suo buon parente, E fa quel, ch’ei
gli
dice, e ’l meglio crede. Ma così andando trovan
e giallo. Subito diede a tal consiglio orecchio L’huom rozo, e
gli
parea questo il più saggio, E d’huom, che fo
to in mezo del sentiero Per aspettar il Topo, che pian piano Incontra
gli
venia per suo diporto : E farne ad uso suo di lui
to affanno. Allhor la madre, che ben chiaro intese Quai fusser
gli
animai da lui descritti, In modo tale al suo figl
Prendasi pur ognuno, o sommo Padre, De gl’immortali Dei qual più
gli
aggrada Inutil pianta del suo pregio insegna, Ch’
d ogni modo ei non volea scostarsi Da la natura de’ parenti suoi, Che
gli
havean fatto mille e mille offese : E che gran vo
oi, Che de le carni tue vili et impure Si faccian pasto : anzi di più
gli
scaccia Dal suo bel Tempio come empi e profani.
i cibi, Di ch’eran colmi molti piatti e deschi. Ma non sì tosto prima
gli
assaggiaro, Che con romor, che gli rendeo sospesi
ti e deschi. Ma non sì tosto prima gli assaggiaro, Che con romor, che
gli
rendeo sospesi, Ecco scuotendo mille chiavi, e l’
n l’età sempre il sapere : Né sempre è gioventù mendace e vana. Non
gli
anni, ma il saper pesa e misura.
he brama Menar sua vita da l’ocio lontana, Che d’ogni mal è padre ; e
gli
ricorda A non marcirsi nelle pigre piume ; Né per
rauca voce, Ch’ei l’aspettasse, una loquace Rana : Che allhor mirando
gli
atti, ch’ei facea, Haveva il fin del suo pensiero
i Per ricercar de’ medici il consiglio, E tutti ho scorso i Tempii de
gli
Dei, Per haverne di voi la medicina ; Laqual per
in, che di là viene ? Or quel di noi, che più tosto la veste Di dosso
gli
trarrà, quel sia maggiore De l’altro di valor, e
Di leggiadria, di gratia, e di beltade Vedesse di gran lunga avanzar
gli
altri, Quelli esser di lui figli ella credesse.
pe, et del riccio » P427 Faerno, 17 20. « Della gazza, et
gli
altri uccelli » PØ Faerno, 46 21. « D
« Della lepre e la testuggine » P226 81. « Della rondine, e
gli
altri uccelli » P39 82. « Del leone, e
la vite » P77 Gabriele Faerno, Fabulae centum, 70 93. « De
gli
arbori, e del pruno » P262 Gabriele Faerno,
poli nel MDCCCXI. Traduzione di Ludovico Antonio Vicenzi. Modena, per
gli
eredi Soliani tip. reali. In-8º de x-246 pages, c
onnet suivant : (S) api chio son Esopo : o tu lettore : A cui
gli
detti mei di leggier piace. Gia latino e vu
istros. Entri in la nostra scola chiunque usare Voi con
gli
boni e li altri lasse stare. Puis vient cette s
heselli della compagnia di Gesu’, Sopra la Raccolta Pesarese di tutti
gli
Antichi Poeti Latini. Libro quarto.) 225. « Vid
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