giorno Sopra la riva d’un corrente fiume ; E la scure per caso a lui
di
mano Uscita andò di quello insino al fondo : Onde
a d’un corrente fiume ; E la scure per caso a lui di mano Uscita andò
di
quello insino al fondo : Onde il meschin piangea
Contadin rispose il vero, Che sua non era : onde Mercurio tosto Finse
di
novo di cercar la sua, E ne trasse una fuor di fi
rispose il vero, Che sua non era : onde Mercurio tosto Finse di novo
di
cercar la sua, E ne trasse una fuor di fino argen
e Mercurio tosto Finse di novo di cercar la sua, E ne trasse una fuor
di
fino argento, Domandandogli anchor s’era pur quel
prima disse. Finalmente la sua Mercurio trasse De l’onda fuor, ch’era
di
ferro vile : E ’l Contadino allhor tutto gioioso
vile : E ’l Contadino allhor tutto gioioso Affermò, ch’era sua quella
di
ferro ; E la prese da lui, con lieto viso Rendend
di ferro ; E la prese da lui, con lieto viso Rendendogli con dir pien
di
bontade Immense gratie di cotal favore. Ma
ui, con lieto viso Rendendogli con dir pien di bontade Immense gratie
di
cotal favore. Ma conosciuto il buon Mercur
vore. Ma conosciuto il buon Mercurio a pieno La gran sincerità
di
quel meschino, Che di bontà non havea par in terr
iuto il buon Mercurio a pieno La gran sincerità di quel meschino, Che
di
bontà non havea par in terra, Quella d’argento ap
contento. Ma raccontando un giorno il pover huomo A molti amici suoi
di
quella Villa La gran ventura, ch’avenuta gli era,
i amici suoi di quella Villa La gran ventura, ch’avenuta gli era, Uno
di
lor, ch’astuto era e sagace, Tentò con fraude, s’
Fuor de l’onde una d’or tosto ne trasse, Ch’al peso, e a l’occhio era
di
gran valore, Domandando al Villan, s’era la sua.
pur caduta gli era. Compresa allhor Mercurio la bugiarda Mente
di
quel Villano empio e sfacciato, Quella d’oro non
dar non gli volle, Ma non essergli pur anchor cortese De la sua, che
di
ferro era nel fiume ; E da sé lo scacciò con brut
scherni. Così il gran Re del cielo esalta spesso L’huomo pien
di
bontade, e ricco il rende ; E l’huom malvagio imp
de Diletto in farlo star sempre depresso. Bontà trahe spesso l’huom
di
ria fortuna ; E nequitia ogni male in lui ra
lui poco lontano Vide inchinato far simil effetto : E come quel, che
di
natura è rio, Né havea cagion, e pur volea trovar
a, e da insolente A turbar l’acque col suo bere a lui, Ch’era persona
di
gran pregio e stima, Esso vil animal di vita inde
uo bere a lui, Ch’era persona di gran pregio e stima, Esso vil animal
di
vita indegno. Se n’escusava il mansueto Ag
eto Agnello Con voce humile e con tremante core Dicendo, Che sendo ei
di
sotto a lui A la seconda del corrente humore Non
tto a lui A la seconda del corrente humore Non potea torbidar l’acque
di
sopra, Che dal fonte venian limpide e pure. E non
ragion del vero, Soggiunse irato con altera voce, Ch’era sfacciato e
di
follia ripieno A dar risposta a sue saggie parole
, Che gli havean fatto mille e mille offese : E che gran voglia havea
di
far che a lui Toccasse un giorno di scontarle tut
offese : E che gran voglia havea di far che a lui Toccasse un giorno
di
scontarle tutte Per lor col merto de le sue scioc
tarle tutte Per lor col merto de le sue sciocchezze. E volendo
di
ciò far nova scusa L’innocente animal con dir più
no e rabbia. Così l’huomo empio, e per natura forte L’inferior
di
forza e di valore, Quando li piace, a suo diletto
. Così l’huomo empio, e per natura forte L’inferior di forza e
di
valore, Quando li piace, a suo diletto offende, C
E BOREA. GIÀ fu che Borea, e ’l Sol vennero insieme A gran contesa
di
forza e valore, Ciascun tenendo haver di ciò la p
nnero insieme A gran contesa di forza e valore, Ciascun tenendo haver
di
ciò la palma. E mentre lungo spatio disputando Tr
nendo haver di ciò la palma. E mentre lungo spatio disputando Tra lor
di
questo in van perdeano il tempo, Fu primo il Sol,
ole. Ecco, se vuoi Borea conoscer senza più contrasto Qual più vaglia
di
noi, novo argomento Di venir a provar le forze no
argomento Di venir a provar le forze nostre. Vedi quel pellegrin, che
di
là viene ? Or quel di noi, che più tosto la veste
rovar le forze nostre. Vedi quel pellegrin, che di là viene ? Or quel
di
noi, che più tosto la veste Di dosso gli trarrà,
più tosto la veste Di dosso gli trarrà, quel sia maggiore De l’altro
di
valor, e ’l più lodato. Borea sdegnoso con
fiede, Far non potesse in ciò prova maggiore ; Cessò lasciando a lui
di
questa impresa La parte, che a ragione a lui tocc
spatio assai più fiero Mostrando seco il Sol l’intenso ardore, Tutto
di
sudor carco, e vuoto quasi Di spirto, et di vigor
l l’intenso ardore, Tutto di sudor carco, e vuoto quasi Di spirto, et
di
vigor di mover passo, Stanco depose la noiosa ves
so ardore, Tutto di sudor carco, e vuoto quasi Di spirto, et di vigor
di
mover passo, Stanco depose la noiosa veste, Lasci
tra via fra certe vepri Per non lasciar in quel camin la vita : Così
di
voler proprio abbandonolla Con speme di poter for
in quel camin la vita : Così di voler proprio abbandonolla Con speme
di
poter forse trovarla Al suo ritorno nel riposto l
me di poter forse trovarla Al suo ritorno nel riposto loco : E ’l Sol
di
quella impresa hebbe l’honore. Tal suole s
rtiglio a terra Uccel, che per natura odia la luce, E senza piume sol
di
notte vola, Onde di Vespertiglio il nome prese, B
l, che per natura odia la luce, E senza piume sol di notte vola, Onde
di
Vespertiglio il nome prese, Benché Nottola anchor
a Donnola rapace, Che volea divorarlo allhora allhora, Sotto pretesto
di
ragione alcuna, Che la movesse giustamente a ques
i la pregava humilmente Che de la vita gli facesse dono, Ella rispose
di
non poter farlo Senza gran fallo, essendo egli ni
crudel nimica : Onde rispose il Vespertiglio allhora, Ch’ella prendea
di
ciò non lieve errore : E l’ale a lei mostrando ap
provava, e mai Non essersi alcun Topo in parte alcuna Trovato adorno
di
sì nobil dono. La Donnola non seppe allhora quale
ion diversa Ogni volta salvandosi la vita. Così l’huom savio e
di
prudenza adorno Far dee qualunque volta si ritrov
l’occorrenza Cangiar nell’oprar suo sermone e stile : E servirsi hor
di
questa, hora di quella Forma di ragionar, che più
ngiar nell’oprar suo sermone e stile : E servirsi hor di questa, hora
di
quella Forma di ragionar, che più ricerca La prop
suo sermone e stile : E servirsi hor di questa, hora di quella Forma
di
ragionar, che più ricerca La propria occasion di
hora di quella Forma di ragionar, che più ricerca La propria occasion
di
sua salute Ne i simili accidenti, e ne i diversi.
sion di sua salute Ne i simili accidenti, e ne i diversi. Chi brama
di
schivar vario periglio, Usi vario parlar, va
he pian piano Incontra gli venia per suo diporto : E farne ad uso suo
di
lui rapina. Ma il picciol Gallo, che lo scorse an
l Gallo, che lo scorse anch’esso, Corse veloce dibattendo l’ali Verso
di
quel sol per solazzo e scherzo. Da cui già spaven
et improviso moto Diede a fuggirsi, e tornò tosto dove Trovò la madre
di
sospetto piena, Che la cagion del suo fuggir li c
Veduto ho, madre, mentre a spasso i’ andava Due animali ; l’uno è
di
colore Simile al tuo nel pelo, ma distinto Di var
’uno è di colore Simile al tuo nel pelo, ma distinto Di varie macchie
di
color più oscuro : Sembran di lucid’oro i suoi be
nel pelo, ma distinto Di varie macchie di color più oscuro : Sembran
di
lucid’oro i suoi begli occhi, Che sono al rimirar
o io gran desire Di meglio figurar suo bel sembiante. Ma l’altro, che
di
quello è via minore, Due piedi ha solo, et una cr
iedi ha solo, et una cresta in capo Qual sangue rossa ; e fieri occhi
di
foco ; E veste il dosso suo di negre penne. Hor q
capo Qual sangue rossa ; e fieri occhi di foco ; E veste il dosso suo
di
negre penne. Hor questo tanto parmi empio e super
ivorasse, Mi posi in fuga : et ei mai non restossi Di seguitarmi pien
di
gridi e rabbia Per fin che salvo a te pur mi cond
nudo e privo. Sappi, che l’animal, che tanto humile Prima ti parve, e
di
bontà ripieno, È il più malvaggio, che si trovi i
lvaggio, che si trovi in terra, Perfido, iniquo, fiero, discortese, E
di
tua specie natural nimico : E sol ti si mostrava
assicurar tua puritade Di farsegli vicina, onde potesse Dapoi satiar
di
te sua ingorda fame. Però temi lui sempre, e non
’acerba morte. E l’altro, che sì fiero e discortese Tanto ti parve, e
di
nequitia pieno, Semplice è come tu semplice sei,
equitia pieno, Semplice è come tu semplice sei, Tutto benigno, e pien
di
scherzi vani ; Né mai del sangue altrui si nutre
in pace andarti Senza mai farti nocumento alcuno. Dunque non dubitar
di
quel suo vano Impeto, che ti sembra in vista rio
i quel suo vano Impeto, che ti sembra in vista rio : E temi quel, che
di
lontan mostrossi Al tuo semplice ardir tutto gent
rdir tutto gentile. Tal si deve temer l’huomo empio e falso, Che fuor
di
santitate il volto veste, E di lupo rapace ha den
temer l’huomo empio e falso, Che fuor di santitate il volto veste, E
di
lupo rapace ha dentro il core ; E tacer suole, o
, e divenuta Smagrita e scarna, per un picciol buco Entrò in un tetto
di
galline pieno Per satiar di lor la lunga fame : N
na, per un picciol buco Entrò in un tetto di galline pieno Per satiar
di
lor la lunga fame : Né difficil le fu la stretta
modo mai D’uscirne, e si dolea la notte e ’l giorno : Né restava però
di
mangiar sempre De’ polli il resto quando le parea
a però di mangiar sempre De’ polli il resto quando le parea Che fusse
di
cenar la solita hora ; Tal che ognihor più ingras
; Tal che ognihor più ingrassava, e venia gonfia, E inhabile ad uscir
di
quella stanza, Dove aspettava adhor adhor la mort
le ad uscir di quella stanza, Dove aspettava adhor adhor la morte, Se
di
quella il patron vi fosse entrato. La Donn
ietà si mosse A consigliar così quella meschina. Se uscir vuoi
di
tal loco, ti conviene Astenerti dal cibo, onde ti
ma pena, E in continuo pericol de la vita. Ché l’esser satia, e uscir
di
quella buca Ripugnan sempre, e star non ponno ins
lcun travaglio, Quando d’alta fortuna in su la ruota Siede pensoso, e
di
travagli pieno : Ché quanto ha più de le ricchezz
nsieme alta fortuna E cor quieto, honore, e lunga pace In questa vita
di
miserie piena. Alta fortuna alto travaglio appo
, E DEL PRUNO. VOLEAN d’accordo gli altri arbori tutti Che l’Uliva
di
lor l’imperio havesse : Ma quella, che di sua sor
ri arbori tutti Che l’Uliva di lor l’imperio havesse : Ma quella, che
di
sua sorte contenta Già si viveva una tranquilla v
ica l’importante peso. Così risolti al Fico se n’andaro Per dar a lui
di
tal honor la soma. Et ei rispose lor : mai cangia
e lor : mai cangiarei La cura, c’ho de’ miei soavi frutti, Che vincon
di
dolcezza il flavo mele, E ’l nettare, che in ciel
n pregiato honore. Così da lui partendo senza frutto Gli arbori colmi
di
soverchio affanno Del trovar chi di ciò togliesse
ndo senza frutto Gli arbori colmi di soverchio affanno Del trovar chi
di
ciò togliesse il carco Deliberossi di pregar la V
overchio affanno Del trovar chi di ciò togliesse il carco Deliberossi
di
pregar la Vite, Che ’l Dominio di lor prender vol
ciò togliesse il carco Deliberossi di pregar la Vite, Che ’l Dominio
di
lor prender volesse. Ma quella, che già tutta era
ta d’uva ben matura e bella, Lor disse : dunque vi credete ch’io, Che
di
tanta ricchezza allegra vivo De’ frutti miei con
al suon piegarmi De’ preghi vostri, benché d’honor pieni, Ch’io lasci
di
Natura un tanto dono, Che felice mi rende in ogni
fin d’andar al Pruno, E dar a lui questo supremo grado. Et ei, che né
di
sé, né d’altri havea Cura, che punto l’annoiasse
noiasse mai, Già tutto gonfio del concesso honore Stimando sé maggior
di
quel, ch’egli era, Parlò superbamente in cotal fo
trui governo, Senza pensar qual sia l’ufficio suo : Né suole ambition
di
cure altrui Mover il cor di chi conosce e vuole F
ual sia l’ufficio suo : Né suole ambition di cure altrui Mover il cor
di
chi conosce e vuole Far sempre quanto al suo deve
iacer ne prese, Che viver non sapea, né comparire Fra le compagne sue
di
quella priva. E per trovar il modo, onde potesse
sue di quella priva. E per trovar il modo, onde potesse In compagnia
di
tutte l’altre meglio Soffrir di questo male il lu
ar il modo, onde potesse In compagnia di tutte l’altre meglio Soffrir
di
questo male il lungo scorno, Venne in pensier di
altre meglio Soffrir di questo male il lungo scorno, Venne in pensier
di
dar consiglio a l’altre, Che si troncasser la lor
nsiglio a l’altre, Che si troncasser la lor coda anch’esse Per fuggir
di
portarla il lungo impaccio : Così stimando col co
uo, che non saria notato. Dunque chiamando tutte l’altre Volpi, Si fé
di
lor nel mezo, e con prolisso Sermon persuader que
, e con prolisso Sermon persuader questo sforzossi. A cui rispose una
di
lor più accorta. Pensi tu forse persuader
ro interesse Posponendo il ben publico al privato Da l’amor ingannati
di
sé stessi. Nuoce al publico ben spesso il priva
[35.] DI DUE ASINI. DUE Asini facean camino insieme Carco
di
spugne l’un, l’altro di sale : Et insieme arrivar
INI. DUE Asini facean camino insieme Carco di spugne l’un, l’altro
di
sale : Et insieme arrivaro ove d’un fiume Devean
me Devean passar a nuoto il facil guado. Così nell’acque entrati ambo
di
pari, Quel, che di sale havea grave la soma, A so
nuoto il facil guado. Così nell’acque entrati ambo di pari, Quel, che
di
sale havea grave la soma, A sorte in certi sassi
carco, A studio riversciossi entro a quel guado ; Ma non sì tosto fu
di
quello al fondo, Che le spugne bevendo il grave h
o al fondo, Che le spugne bevendo il grave humore A doppio il caricar
di
doppia soma. Onde restando in lui l’usata forza O
he pensiero al fine Non ricerca egual mezo in varia sorte D’occasion,
di
loco, e di valore ; Ma in diversa persona opra di
al fine Non ricerca egual mezo in varia sorte D’occasion, di loco, e
di
valore ; Ma in diversa persona opra diversa. No
[14.] D’UN HUOMO, ET UN SATIRO. UN huom
di
Villa e un Satiro silvestre D’assai stretta amici
Satiro silvestre D’assai stretta amicitia eran congiunti, Ma non però
di
conversar frequente : Onde acciò più crescesse il
inanzi, A pascer cominciar le stanche membra. E mentre ad agio ognun
di
lor mangiava Del troppo caldo incominciato pasto,
a raffreddar si diede, Soffiando ognihor l’insopportabil cibo. Allhor
di
novo il Satiro, c’havea Da quello inteso, che sca
ea Da quello inteso, che scaldar poteva Col fiato quel, che gli parea
di
freddo, Stupido pur che fredda a lui paresse Quel
ò de la cagione anchora. Et ei rispose, ch’egli havea dal fiato Valor
di
raffreddar quel caldo cibo, Ch’era nocivo al lor
Da questo ogn’huom, ch’è savio, esempio prenda A fuggir l’amicitia
di
coloro, Che di cor doppio, e di sermon bilingue S
n’huom, ch’è savio, esempio prenda A fuggir l’amicitia di coloro, Che
di
cor doppio, e di sermon bilingue Soglion mostrars
o, esempio prenda A fuggir l’amicitia di coloro, Che di cor doppio, e
di
sermon bilingue Soglion mostrarsi a chi seco conv
sermon bilingue Soglion mostrarsi a chi seco conversa : Che, essendo
di
natura empi e malvagi, Sono vuoti d’amor, di fede
conversa : Che, essendo di natura empi e malvagi, Sono vuoti d’amor,
di
fede scarsi ; Né conto fanno de l’amore altrui, M
mancava, quando il Lupo Con gran malignità cominciò solo Ad accusarla
di
superbia e fasto, E verso il suo Signor di poco a
cominciò solo Ad accusarla di superbia e fasto, E verso il suo Signor
di
poco amore. E già sul colmo de l’accuse egli era
poco amore. E già sul colmo de l’accuse egli era Quando la Volpe già
di
questo accorta S’appresentò dinanzi al fier Leone
al fier Leone, Che era dal ragionar1, che fatto il Lupo Havea contra
di
lei, con lei sì forte Sdegnato, che volea mangiar
venir è stato tardo A visitarvi, non fu già per altro, Che per cagion
di
quel perfetto amore, Onde di tutto cor v’amo, e d
vi, non fu già per altro, Che per cagion di quel perfetto amore, Onde
di
tutto cor v’amo, e desio In tutti i modi la salut
dici il consiglio, E tutti ho scorso i Tempii de gli Dei, Per haverne
di
voi la medicina ; Laqual per buona sorte ho alfin
osto dimmi. Et ella seguitò, Signor la pelle Del Lupo tratta a lui sì
di
recente, Ch’egli resti anchor vivo allhor che l’h
he l’hai Posta sul tergo tuo calda, è quel solo Rimedio, che può trar
di
tanto affanno Com’io desio la tua real persona. I
uta Volpe motteggiando seco Dicea : non ti vergogni in questo loco, E
di
tanti animali alteri e degni A la presenza, e del
altra parte ascondi e cela Il dorso nudo, e ’l tuo villano core Pien
di
malvagità crudele e ria. Che così avenir possa a
o si trovaro insieme Un giorno a spasso, e vennero a contesa Tra loro
di
beltà. Diceva il Pardo Vedi la pelle mia di varie
ennero a contesa Tra loro di beltà. Diceva il Pardo Vedi la pelle mia
di
varie macchie Con ordine e misura al par del ciel
pelle mia di varie macchie Con ordine e misura al par del cielo, Ch’è
di
stelle dipinto, adorna tutta Con tal vaghezza, ch
iove Non si sdegna coprir le belle membra D’altra mai per lo più, che
di
tal pelle, Che tutta la mia specie adorna e veste
allhor la Volpe ; Dapoi sciolse la lingua in tal risposta. Se
di
beltà fra noi movi contesa Intender dei de la bel
eltà fra noi movi contesa Intender dei de la beltà più vera : La qual
di
quella parte esser s’intende, Che forma dona a l’
riando la primiera forma Divenir sozza a l’altrui vista e lorda. Però
di
questa a me ceder tu dei, Se non sei folle in tut
; A me ; che quanto hai tu vario d’aspetto Il dorso tutto, ho vario e
di
colori Mille dipinto l’animo e l’ingegno Atto a f
sino e ’l Vitello L’herba novella in un medesmo prato Tutto
di
varii fiori ornato e bello : E sentito lontan p
r vedi un campo armato ; E però parmi, che sarebbe buono Torci
di
questo loco periglioso, Né il fulmine aspett
r udito il tuono. Onde gli fu da l’Asino risposo : Togliti pur
di
qua tu, che in periglio Ti trovi ; ch’io di
o : Togliti pur di qua tu, che in periglio Ti trovi ; ch’io
di
ciò non son pensoso. Ché, se i soldati a te dan
trovi ; ch’io di ciò non son pensoso. Ché, se i soldati a te danno
di
piglio, Al primo tratto nello spiedo andrai
piglio, Al primo tratto nello spiedo andrai ; Ma non faran
di
me simil consiglio. Ché s’io muto padron, non f
importuno È la pena maggior, ch’io provar possa, E sempre è
di
mia carne ogniun digiuno. Sì ch’io non temo, ch
DE I TOPI. GIÀ de’ Topi il Senato in un raccolto Fece consiglio
di
trovar il modo, Onde campar l’insidie e i tradime
nsidie e i tradimenti, Che lor tramava il Gatto, ognun potesse. Et un
di
lor, che primo a parlar prese, Fu di parer, ch’un
a il Gatto, ognun potesse. Et un di lor, che primo a parlar prese, Fu
di
parer, ch’un gran sonaglio al collo Legar del Gat
in questo modo. Anch’io, Signori, tal consiglio approvo : Anch’io son
di
parer che ciò si faccia : Ma chi sarà di noi, dit
siglio approvo : Anch’io son di parer che ciò si faccia : Ma chi sarà
di
noi, dite, vi prego, Colui, che voglia esser cota
nun muto restossi : Né seppe dar al ver risposta alcuna : E van restò
di
quel consiglio il fine. Così spesso interv
a lingua snodi, Se ’l fin del parer suo puote eseguirsi Senza pericol
di
chi ’l pone in opra, Se brama esser tenuto al mon
lo, Di me burlarti, poi ch’assai ti vale L’esser sì vile, e
di
sì sciocco ingegno, Che d’oprar mio valor te
Nel tuo vil sangue mentre io t’habbia ucciso. Ché, benché degna
di
supplicio sia L’ignoranza, onde m’hai così d
ia L’ignoranza, onde m’hai così deriso, Sarebbe a mia virtù
di
poco honore L’abbassarsi in mostrarti il suo
re. Dunque ciò noti ognun, ch’esser si sente Di cor gentile, e
di
virtute adorno : E freni l’ira con la bassa
gente, Che talhora gli mova ingiuria, e scorno : Perché chi
di
valore è più possente, E di fregi d’honor ci
ingiuria, e scorno : Perché chi di valore è più possente, E
di
fregi d’honor cinto d’intorno Spendendo le s
[56.] DEL TOPO CITTADINO, E ’L TOPO VILLANO. DUE Topi, un
di
Città, l’altro di Villa Ambo congiunti d’amicitia
TOPO CITTADINO, E ’L TOPO VILLANO. DUE Topi, un di Città, l’altro
di
Villa Ambo congiunti d’amicitia stretta S’invitar
te apparse, Il Topo Cittadin l’altro destando Per gran desio, c’havea
di
farsi honore, L’invitò a cena a le paterne case :
io in ampio loco, Che d’un palazzo era terreno albergo, Tutto odorato
di
soavi cibi, Onde abondante era d’intorno e pieno.
era d’intorno e pieno. Quivi senza aspettar chi gl’invitasse Ciascun
di
loro a ristorar si diede La fame, e del camin l’a
a Per porre in salvo certe altre vivande, Che pur dianzi levate havea
di
mensa. A l’apparir de l’inimico lume Il Topo Citt
artito colui, che fu cagione De la paura, e del disturbo loro, Tornar
di
novo a l’assaggiato cibo, E ne satiaro a pien l’i
saggiato cibo, E ne satiaro a pien l’ingorda fame, Benché tremanti, e
di
sospetto pieni : Né però si sapean levar da mensa
hostiero, Che per altro bisogno ivi tornava, A disturbarli non venia
di
novo. Allhora s’appiattar celatamente Diet
nia di novo. Allhora s’appiattar celatamente Dietro un vasello
di
Cretense vino, Che gocciolando dal mal sano fondo
etto havean d’ogni periglio. Poi quando Febo con l’aurato carro Portò
di
novo in Oriente il giorno, L’hospite cittadino al
to vien da volontate amica, Deve esser sempre in tutti i modi caro, E
di
grata mercè premio s’acquista. Ma ben dirò ; che
tarlata noce Nel pover tetto mio lieto e sicuro ; Che in questo loco
di
paura pieno, E senza mai posar sicuro un’hora Gus
eno, E senza mai posar sicuro un’hora Gustar l’ambrosia, e ’l nettare
di
Giove. Voi, cui posto ha la cieca instabil
ssa al desiato segno, Non ha però felice un giorno solo. Se del savio
di
Frigia entro a lo specchio, In cui l’huom savio s
le miserie vostre : Quinci del vero alfin fatti più accorti, E scorto
di
Virtute il bel camino, Fuor vi trarrete de l’erro
o grano Fuor de la buca, ove l’havean riposto ; La misera Cicala, che
di
fame Già si moriva, con preghiere humili Cominciò
ghiere humili Cominciò loro a supplicar soccorso. Il che sentendo una
di
lor più antica D’anni, e di lunga esperienza dott
a supplicar soccorso. Il che sentendo una di lor più antica D’anni, e
di
lunga esperienza dotta Le domandò quel, che l’est
ù bello il giuoco : Il che tanto puoi far più agevolmente, Quanto hai
di
cibo il ventre hora men carco. Giovani, vo
vostri anni il fiore Dietro a le vanità perdendo andate, Senza pensar
di
vostra vita il fine, Aprite a questo esempio, apr
an discorso, Che v’è mestiero in su la primavera Di vostra età pensar
di
quella al verno : Se non volete a l’ultima vecchi
lla al verno : Se non volete a l’ultima vecchiezza Giunger infermi, e
di
miseria pieni ; Che l’antico proverbio è cosa ver
EL GALLO. IL Gatto entrato in un cortivo prese Un Gallo, e disegnò
di
darli morte Sotto alcun ragionevole pretesto, Per
gli ricorda A non marcirsi nelle pigre piume ; Né per ciò canto fuor
di
tempo mai. Soggiunse il Gatto allhor : ben
tica e ’l tempo : Ma passerò più avanti rimembrando L’altre tue colpe
di
castigo degne. E che dirai profano, scelerato, In
lpe di castigo degne. E che dirai profano, scelerato, Incontinente, e
di
lussuria pieno, S’io ti ricordo che tanto empio s
di lussuria pieno, S’io ti ricordo che tanto empio sei, E da rispetto
di
virtù lontano, Che in tutti i tempi con lascivia
Allhor il Gatto : benché ogni ragione Veggia in tua scusa non è
di
ragione Però ch’io lasci al tuo camino andarti, E
i ragione Però ch’io lasci al tuo camino andarti, Et poi per amor tuo
di
fame io muoia : E detto questo nel condusse a mor
io muoia : E detto questo nel condusse a morte. Ragion non ode huom
di
mal far disposto.
vennero insieme A gran contesa, ognun sé stesso alzando Sopra l’altro
di
pregio, e di valore : E non potendo differir tal
me A gran contesa, ognun sé stesso alzando Sopra l’altro di pregio, e
di
valore : E non potendo differir tal lite Senza il
ultà fra loro nata, L’Aquila disse : Orsù fratelli andate A mostrarmi
di
ciò ragion più chiara Con l’opra del valor, che r
con gran suono D’altera voce un topo, c’havea preso In mezo un campo
di
tagliate biade ; E lo Sparvier mostrando una Colo
a forza ottenne, L’Aquila disse. Poi che con l’effetto Chiara ciascun
di
voi fatto m’havete Del valor dubbio, onde pendea
entenza sarà, che quanto meno De l’altera Colomba il Topo vale, Tanto
di
nobiltate e di virtute Nibio vagli tu men de lo S
he quanto meno De l’altera Colomba il Topo vale, Tanto di nobiltate e
di
virtute Nibio vagli tu men de lo Sparviero. E qua
scun l’opra è del valore il saggio5. 5. Var. 1577: L’opra d’ognun,
di
quel, ch’ei vale, è il saggio.
so al pian discese : D’onde un uccellator, ch’ivi la vide, E la prese
di
mira, alfin la colse Con un pungente stral da l’a
ue furon già parto : E non tanto si dolse esser traffitta Per giugner
di
sua vita in breve al fine, Quanto che di veder l’
esser traffitta Per giugner di sua vita in breve al fine, Quanto che
di
veder l’ali sue stesse Esser ministre a lei di ta
ve al fine, Quanto che di veder l’ali sue stesse Esser ministre a lei
di
tanto danno. Così colui, ch’è da l’amico o
nno. Così colui, ch’è da l’amico offeso, Sente più grave assai
di
ciò l’affanno, Che non il duol de la medesma offe
anto maggiore Di quell’ingiuria ogn’hor sente la doglia, Quanto minor
di
lei fu la speranza. L’offesa de l’amico appar p
nner d’accordo D’esser compagni, e divider tra loro Quel, che ciascun
di
lor prendesse in caccia. E fatto un giorno assai
dovere havesse. Ma il superbo Leon questo vedendo Arse nel cor tutto
di
rabbia e sdegno : E ’l miser divisor tosto accusa
sdegno : E ’l miser divisor tosto accusando D’iniquità, d’inganno, e
di
malitia, Lacerò tutto ; e con vorace brama Ne sat
furibondo e fiero A la Volpe, che attonita mirava Quel caso strano, e
di
nequitia pieno, Con parlar orgoglioso le commesse
del Leon debita parte ; E presentolla a la superba fiera ; E poco più
di
nulla a sé ritenne. Allhor l’altiero d’allegrezza
spese impara Nelle occorrenze perigliose e strane Il ritrovar la via
di
sua salute Senza tema di biasmo, o d’alcun danno.
renze perigliose e strane Il ritrovar la via di sua salute Senza tema
di
biasmo, o d’alcun danno. Se vuoi del tuo mistie
bi e gravi La gran tardezza del suo pigro piede. La Testuggine allhor
di
sdegno accesa Al corso sfida la veloce Lepre : Et
er tosto a la prefissa meta, La Lepre, che colei nulla stimava, Si fé
di
mover piè sì poco conto Vedendo la compagna tanto
Così fa spesso l’huom d’ingegno e forza Dotato in concorrenza
di
colui, Che molto inferior di ciò si vede, Quando
d’ingegno e forza Dotato in concorrenza di colui, Che molto inferior
di
ciò si vede, Quando opra tenta, onde l’honore imp
rival, che debole seguendo Con un continuar facile il passo Nel camin
di
virtù, ch’a honor conduce, A sé stesso precorso,
o Nel camin di virtù, ch’a honor conduce, A sé stesso precorso, e tor
di
mano De la vittoria la felice palma Da le fatiche
ì malvagia e poltra, Che non sa cominciar cosa che voglia, Vedendo sé
di
sotto di gran lunga A molti e molti, ch’ei nulla
a e poltra, Che non sa cominciar cosa che voglia, Vedendo sé di sotto
di
gran lunga A molti e molti, ch’ei nulla prezzava
i gran lunga A molti e molti, ch’ei nulla prezzava : E tutto il resto
di
sua vita vive Con tedio estremo assai peggio, che
piè la torbid’onda, A quello si condusse in un momento. E promettendo
di
prestarli aiuto, Come colei, che ben nuotar sapea
ndo di prestarli aiuto, Come colei, che ben nuotar sapea, Lo persuase
di
legarsi seco Ne i piè di dietro a i suoi con cert
ome colei, che ben nuotar sapea, Lo persuase di legarsi seco Ne i piè
di
dietro a i suoi con certo filo, Che per tal opra
ta il cieco inganno, Ciò fece ; et seco a nuoto anch’ei si mise. Così
di
paro un pezzo entrar nell’acque Tranquillamente e
i che estinto ei fosse. Ma quel, che dal timor e dal bisogno Prendeva
di
valor doppio argomento, Tardi avveduto del nimico
con egual valore, Nessun cedendo a le contrarie forze, Un nibio, che
di
là passava a caso Da l’appetito de la fame tratto
a caso Da l’appetito de la fame tratto Ambo li prese ; et per satiar
di
loro L’avido ventre, da la rana in prima, Che più
anno, Primo nel fil del proprio laccio cade, E da la forte man giusta
di
Dio Colto con egual sorte insieme resta. Talhor
asse a sorte : Onde perch’ella non prendesse errore Le diede il segno
di
conoscer quelli Fra l’altre specie de i diversi a
i Fra l’altre specie de i diversi augelli. Il segno fu, che quei, che
di
vaghezza, Di leggiadria, di gratia, e di beltade
versi augelli. Il segno fu, che quei, che di vaghezza, Di leggiadria,
di
gratia, e di beltade Vedesse di gran lunga avanza
. Il segno fu, che quei, che di vaghezza, Di leggiadria, di gratia, e
di
beltade Vedesse di gran lunga avanzar gli altri,
quei, che di vaghezza, Di leggiadria, di gratia, e di beltade Vedesse
di
gran lunga avanzar gli altri, Quelli esser di lui
a, e di beltade Vedesse di gran lunga avanzar gli altri, Quelli esser
di
lui figli ella credesse. Quindi l’Aquila u
atio astenne L’adunco artiglio : e tuttavia cercava Di prender quelli
di
più brutto aspetto, Quando dal giogo d’una eccels
satiossi alfin l’avido ventre Non senza doglia della sozza madre, Che
di
lontan con gran timor la scorse Devorar tutto il
per via l’altero augello Compagno, e del suo mal cagion novella, Che
di
ritorno sen veniva altero Battendo il vento co i
eon per certa villa Innamorossi d’una giovinetta Figlia d’un Contadin
di
quel contado : E sì forte d’Amor sentì l’ardore,
fanciulla amata. Et per più non soffrir la pena acerba Prese partito
di
chiederla al padre, Che per sua sposa a lui la co
una fiera divenisse moglie La giovinetta sua figliuola, prese Partito
di
sbrigarsi da tai nozze In questo modo : et tosto
sì la fanciulla, Che forte teme il tuo superbo aspetto. Sì che tratti
di
bocca i fieri denti, E l’ugne delle zampe acute e
condition pur le paresse, Ma forse ragionevole, concluse Alfin tra sé
di
voler prima i denti Perder, e l’ugne, che star vi
valor del fier Leone, Che non haveva più l’ugne, né i denti, Non solo
di
negargli hebbe ardimento La figlia, ch’egli li ch
L’huom forte, che con altri accordo brama, A non lasciarsi tor l’armi
di
mano, Od altra cosa, onde sua forza penda : Perch
erme e privo Di quel, che contra lui possente il rese, Cangi pensiero
di
fermar la pace ; E con guerra mortal gli mova ass
moso Alcide. Questo veduto allhor Pallade saggia Restò sospesa
di
stupore alquanto, Che tale elettion fosse caduta
stò sospesa di stupore alquanto, Che tale elettion fosse caduta Sovra
di
piante infruttuose e vane, Poi che ciascun sapea,
le eletta : Et domandando al sommo padre Giove Modestamente la cagion
di
questo, Alfine hebbe da lui cotal risposta.
petto, C’habbiam che ’l mondo non pensasse mai, Che per l’utilità vil
di
quel frutto Il proprio honore alcun di noi vendes
sse mai, Che per l’utilità vil di quel frutto Il proprio honore alcun
di
noi vendesse, Onde il nome divin restasse infame.
rto et saggio, Et al giudicio del sublime ingegno, Che non del ventre
di
femina vile, Ma del mio divin capo uscita sei. Pe
IL Pardo, che a le Simie è per natura Fiero nimico, e si pasce
di
loro, Havea gran fame, e di cibarsi cura :
natura Fiero nimico, e si pasce di loro, Havea gran fame, e
di
cibarsi cura : E scorrendo con rabbia il terren
rivarle, Fatto ogni prova, alfin partito prende, Onde possa
di
là con arte trarle. Finge far un gran salto, e
nche Crudel fra lor pria, che si renda satio, Fin ch’ognuna
di
lor di vita manche. Così con arte mena a fiero
Crudel fra lor pria, che si renda satio, Fin ch’ognuna di lor
di
vita manche. Così con arte mena a fiero stratio
Venir un dì, né haverne il modo sente, Dee con prudenza usar
di
simil trame : Ch’ogni difficultà vince il prudent
lla bellezza de le varie penne D’aureo color, e mille gemme tinte : E
di
questo facendo altera mostra Con lunga oratione i
t invitta ? Cedi, misero, cedi a un altro il peso Di tanto grado, che
di
te più forte Possa più degnamente in sorte haverl
di te più forte Possa più degnamente in sorte haverlo, Con sicurezza
di
noi tutti insieme, E de la vita, e del tuo propri
to confuso : E gli altri a far si dier novella eletta D’altra persona
di
più nobil merto. Così far si devria da que
man governo, La salute de’ popoli, e de’ regni Sol commettendo in man
di
quei, che sanno E posson con valor regger altrui,
n man di quei, che sanno E posson con valor regger altrui, E sostener
di
tanta impresa il pondo : Lasciando lo splendor de
e peggio altrui. Ché così al mondo alfin regger si puote, E la beltà,
di
cui vestita è l’alma, Preceder deve a la beltà de
ET DELLA VOLPE. L’ASINO d’un Leon trovò la pelle, E tutto si coprì
di
quella il dorso, E gia scorrendo le campagne e i
to dal vano spavento, Ch’egli porgeva a questa e quella fera, Vedendo
di
lontan venir la Volpe Far volea quello a lei, ch’
ezo il passo Fermossi tosto, e non si mosse punto : Ma ridendo tra sé
di
sua follia Così gli disse : invero che l’aspetto
ti, quando Avien, che con saggio huom faccia l’istesso, Dal suono sol
di
sua propria favella Si scopre quel, che sua natur
a Si scopre quel, che sua natura il fece, Con gran suo scorno, e riso
di
chi ’l vede. D’un folle cor la voce indicio por
dar verso la sera Dentro un fosso lontan da la sua tana Immensa copia
di
loquaci Rane Con tal romor, che rimbombava intorn
gne tutte, E stimando che qualche horribil mostro, Che novo habitator
di
quelle selve Fatto si fosse, disfidar volesse Le
fidar volesse Le paesane belve a cruda guerra Per farsi ei sol Signor
di
quei confini, Uscì de la spelonca immantenente Ce
to offende, Quanto ferisce de la voce il suono : Né più oltra può far
di
quel, che ’l vento Opra, che le parole in aria sp
effetti solo Donar fomento a le sue imprese suole. Perché colui, che
di
valore è ricco, Non suol dal van parlare acquista
ricco, Non suol dal van parlare acquistar merto. Chi meno val, più
di
parole abonda.
eta s’ascose : Sì che scorrendo i cacciatori intorno Sorte non hebber
di
poter vederla, E per trovarla in altra parte anda
arla in altra parte andaro. Ella veduto esser homai sicura Da le mani
di
lor, ch’eran lontani, A pascer cominciò di quelle
er homai sicura Da le mani di lor, ch’eran lontani, A pascer cominciò
di
quelle foglie : E tante in breve ne mangiò, ch’al
ente strale, Che da l’un fianco a l’altro la trafisse. Così giungendo
di
sua vita al fine Disse fra sé quell’infelice fier
ndo di sua vita al fine Disse fra sé quell’infelice fiera. Ahi quanto
di
ragion mi vien la Morte Spogliando del vigor, che
con l’acuta punta Gli restò in gola attraversato in modo, Che sentiva
di
morte estrema pena. E per medico suo la Grue rich
per cotal fatica. Ond’ella con l’acuto e lungo rostro In breve alfin
di
tanto affanno il trasse. Ma richiedendol poi di s
rostro In breve alfin di tanto affanno il trasse. Ma richiedendol poi
di
sua mercede N’hebbe in premio da lui cotal rispos
el rapace Lupo. Così gli huomini rei sovente ingrati Si stiman
di
favore esser cortesi A quelli, in cui non sian gl
orno al fonte, E del bel don de le ramose corna Si gloriava
di
sua altera fronte : E mentre quelle a vagheggia
e gentili. Ma mentre egli dimora in tal pensiero, Ecco sentir
di
cani e cacciatori Da un campo non lontan str
ori Corre veloce entro un’antica selva Per trarsi in quella
di
periglio fuori. Così fuggendo la paurosa belva
abbassa. Quivi le corna diventar moleste A lui pur dianzi fuor
di
modo care, Che l’intricar tra quelle frondi
hiare PACELe gambe lo salvar da dura sorte, Queste cagion li fur
di
pene amare. Che giunta in breve per le vie più
o andando a caccia Mi rendo pronto a mille belle imprese : E mi pasco
di
starne, e di fagiani, E di mille altri cibi ottim
accia Mi rendo pronto a mille belle imprese : E mi pasco di starne, e
di
fagiani, E di mille altri cibi ottimi e rari : Ta
pronto a mille belle imprese : E mi pasco di starne, e di fagiani, E
di
mille altri cibi ottimi e rari : Tal che dolce mi
dottrina darmi ; Perch’utile et honore alfin m’apporta, Ond’ho cagion
di
starmi a lui vicino : Ma tu bene a ragion fuggirl
et pasce Di miglior cibo ; perché allhor s’appressa (Né vorrei dirlo)
di
tua vita il fine ; Quando egli ha gran piacer, ch
[47.] DELLA MOSCA. GIÀ dentro un’olla, che
di
carne piena Era d’alesso nel tepido humore Bolliv
a brama, e ’l temerario ardire, Venne sì gonfia del mangiato pasto, E
di
quella bevanda a lei soave, Che non potea levarse
homai lavata i’ sono, Ch’a ragion debbo volontieri e in pace Sostener
di
mia vita un simil fine. Così dee tolerar l
n fuggire ; E quel, che vuol necessità, seguire, Per non parer altrui
di
bassa mente. Quel, che schivar non puoi, soppor
UOMO. PASCEANO il Cervo, et il Cavallo insieme Dentro un bel prato
di
novella herbetta Per lunga usanza, e con invidia
endo ognihor la pugna Partì dolente a viva forza spinto Da la pastura
di
quel sito ameno : E cercando d’aiuto in quella gu
ece humile L’opra sua chiese. Ond’ei, che disegnato Gran tempo haveva
di
soggetto farsi Quell’animal per li servigi suoi,
se a la battaglia : Pur, quando ei si fuggisse, esso non era Possente
di
seguir sì lieve corso : Però mistier facea, ch’eg
li chiese Licenza per andarsi a goder solo Quel prato ameno, il resto
di
sua vita In dolce libertà passando lieto.
che già l’havea nelle sue mani, E poteva domar a modo suo De le forze
di
lui l’alto valore, Disse : Che, s’egli in suo ser
nimico, ch’era Di lui più forte, assai più facilmente Può vincer lui,
di
cui già possessore Si sente, e haver tutte le for
aro si trova Chi per un altro il suo metta a periglio, Senza speranza
di
guadagno haverne. Forza, che d’altrui pende, è
uscirne ogni fatica, Sì che già stanca non si move punto, E
di
mosche l’assal copia nimica. Così l’un danno so
un giorno. Onde la Volpe a lui, che liberarla Come amico volea
di
tanto affanno, Gratie rendendo in cotal modo
Non far fratello : che poco più danno Far mi pon queste homai
di
sangue piene, Di quel ch’infin adhor sì fatt
Di quel ch’infin adhor sì fatto m’hanno. Che s’altro nuovo stuol
di
mosche viene, Affamate a la prima havranno a
l suo tiranno avaro, Per non far al suo mal nova ferita, Se le è
di
viver lungamente caro. Sopporta e appunta un ma
[51.] DELLE MOSCHE NEL MELE. D’UN gran vaso
di
mel, ch’a un pellegrino Si ruppe, era una via spa
a tratte Dolcemente pascean l’amato humore. Ma quando fur ben satie e
di
mel piene Volendosi da quello alzar a volo Parte
rte dal mel tenace fatto Dal Sole ardente de l’estivo giorno Ritenute
di
là mover il piede Mai non potero, e faticarsi ind
ordine o modo, Che suol ragion dottar4 a chi prudente Nutrir si vuol
di
delicati cibi Per sua salute, ma si astien dal tr
, CHE CERCAVA AL CON-trario del fiume la moglie affogata. UN huom,
di
cui la moglie in certo fiume Sendo caduta alfine
corso de le rapid’onde. Tal che più d’un, che la fatica vana Scorgea
di
lui da carità commosso Gli ricordava con parlar c
entre mia Donna in vita resse Fu da l’altrui parer così diversa, Così
di
voglia sua, così lontana Dal comune voler, così c
ne voler, così contraria A qual si voglia altrui genio e costume, Che
di
ragion non è da creder mai, Che natura cangiando
he pur serba Nel cor del suo presagio il gran timore, Disse
di
novo con rampogna acerba. Ecco il Lin nato a me
no Quanto più con ragioni aperte e vive Mostra il lor viver
di
periglio pieno. In breve par ch’a la misura arr
con l’huomo, e sempre si nutrica D’ogni altra cosa, che d’esca o
di
grano, Cibo de l’huomo per usanza antica :
ano, Cibo de l’huomo per usanza antica : Così perché nell’opre
di
sua mano Non gli suol mai far detrimento alc
in mezo il piano, A quello è cara ; et ei sempre digiuno Vive
di
farle offesa, e la ricetta Dentro a’ suoi te
acchetta. E con lacci e con reti ognihor gl’infesta, Facendone
di
lor stratio crudele : Et così merta chi a no
per naturale istinto Mosso a cantar co’ più soavi accenti, Che possa
di
sua vita a l’ultime hore, Visto già il ferro de l
a morte autore, Et esser preso da l’infesta mano Di quell’huom rozo e
di
pietate ignudo, Nel cor piangendo a cominciar si
avvisto Il riconobbe al primo suono, e tosto Lasciollo in pace, e diè
di
mano a l’Occa. Et via portolla : e quel sciolto r
ente ha spesso forza Di lontanarsi da malvagia sorte : E fugge il mal
di
violente morte Col suo sermone, ond’ei gli animi
a pastorale al fianco, Verso il gregge vicin ratto inviossi, Sperando
di
condurlo entro un ovile Fatto da lui d’una spelon
a voce, onde il volgesse Al pensato camin, fiero ullulato Fuori mandò
di
tanto horror ripieno, Che le paurose pecorelle tu
edero a fuggir velocemente A i vicin tetti del nativo albergo ; Et ei
di
ciò restò schernito, e tristo. Tal l’huom
Et ei di ciò restò schernito, e tristo. Tal l’huom bugiardo e
di
malitia pieno Rimaner suole a lungo andar, né puo
E la pregò con mansueta voce, E parole efficaci a sua richiesta, Che
di
prestargli ella contenta fosse Un picciol tronco
hiesto. Ond’ei ne fece il manico ; e dapoi A spogliar cominciò
di
parte in parte La Selva tutta con la parte stessa
parte in parte La Selva tutta con la parte stessa, Ch’era già membro
di
lei stessa uscito : Sì che ’l Villano iniquo e di
r suol chi benigno È de’ favori suoi largo e cortese Ad huomo avaro e
di
nequitia pieno : Che con le forze stesse, ond’ei
o pozzo Mostrava l’acque in abondante copia. E quel veduto una
di
loro allegra Invitò l’altra con parole pronte A s
ronte A saltar seco nel bramato humore. Ma quella, che più saggia era
di
lei, E di più lunga esperienza accorta, Così risp
ltar seco nel bramato humore. Ma quella, che più saggia era di lei, E
di
più lunga esperienza accorta, Così rispose al tem
troppo amaro, Restando a forza in su l’asciutto fondo Senza speranza
di
poter salire Per riparar a novo altro bisogno.
ovea Fuor non usciva de l’albergo usato Per gran timor, che
di
bagnarsi havea. Onde da un altro Can, ch’era gi
ni periglio : Né fuori uscir, se non è ’l ciel ben chiaro. Tal
di
viver sicur partito piglio : Che per fuggirm
consiglio. Così la prova d’un passato male Render suol l’huomo
di
temenza pieno, Per non cader di novo a sorte
to male Render suol l’huomo di temenza pieno, Per non cader
di
novo a sorte tale, Di quello ancor, che dee temer
er la stanchezza forze D’indi ritrarlo, miserabilmente Tutto otioso e
di
mestitia pieno Facea soggiorno, et non sapea che
da’ principio tosto Ad aiutarti per te stesso, et opra Quanto è in te
di
valor per tragger fuori Di questo loto il già fer
Le lente ruote invita al moto il plaustro : Ch’allhor, se da persona
di
valore Facendo sforzo a la tua debil possa Mi chi
n bramoso Ad aiutarsi cominciar non vuole. Opri sé anchor, chi vuol
di
Dio l’aiuto.
ET LA VOLPE. FERMOSSE il Corvo sopra un’alta quercia ; Et un pezzo
di
cascio havea nel rostro. Onde l’astuta Volpe, che
un dolce inganno. O che bell’animal vegg’io là suso, Che vago augello
di
diverse piume, Di mille varii, e bei colori adorn
che sentiva quali Eran le lodi, che colei gli dava, Entrato in speme
di
quel vano honore, Che gli augurava il suo finto s
in tua presenza assai ti loda, A tua semplicitade inganno ordisce ; E
di
giudicio assai manca e fallisce Chi suol fede pre
vidia prese Di sua grandezza, et tosto entrò in desio Di farsi eguale
di
statura a lui. E credendo poter giunger a questo
ntesma parte. Però giù pon l’invidia ; ché non pate Invidia quel, che
di
gran lunga avanza Ordinario valor di sorte eguale
; ché non pate Invidia quel, che di gran lunga avanza Ordinario valor
di
sorte eguale. E cedendo al voler de la natura Viv
nor del Bue, Né creder che colui, ch’era suo figlio, Lei madre vincer
di
saper potesse, Che d’anni e mesi l’avanzava assai
empo misurando Il senno, sprezza del giovine saggio Il buon consiglio
di
ragion matura : E seguitando il suo pazzo discors
cima un ramo, E per farlo da quel scender al piano, Onde potesse poi
di
lui cibarsi, Trovò un’astutia : et là correndo in
soggetto Di levarsela allhor tosto dinanzi : E mostrando allegrarsene
di
botto Con varii segni, così prese a dire.
a dire. Io ti rendo sorella ogni maggiore Gratia, ch’io possa
di
sì caro aviso : Ch’a tutti porgerà pace, e salute
correndo in fretta Forse per far l’ufficio, che tu stessa Facendo vai
di
messaggier del fatto. Udito ciò la Volpe,
endo insieme Daria maggior certezza a chi l’udisse Del grato annuncio
di
sì buon effetto : Perché fra poco a lei sarian pr
ran piacer del Gallo. Che con le burle a la nemica ordite Da le burle
di
lei medesma, allhora Salvo si rese et da gli inga
el corso, Che move ogni animal col capo inanti, Ch’è membro principal
di
tutto il corpo. Allhor il figlio, che vedu
ripreso, Disse : Padre, se vuoi, ch’io cangi stile, Mostrami prima tu
di
ciò la via ; Ch’io seguirotti, poi che quella nor
tuoi. Così devrebbe ogni buon padre sempre Mostrarsi a i figli
di
virtute esempio, Se vuol, che ’l suo parlar, che
e la buona vita Mover in prima, e poi con le parole Gli altri chiamar
di
quella al bel camino : Ch’a quel si ridurrian più
llhor scesa, Per riposarsi sopra il verde piano, Venne in gran voglia
di
poter volare Per provar quel piacer, c’haver pens
a di poter volare Per provar quel piacer, c’haver pensava Gli augelli
di
passar per l’aere a volo. E tosto a pregar l’Aqui
sì vana impresa. Ma non valse ragion, che s’adducesse, Per torla giù
di
quel cieco desio, Che ’l lume di ragion cacciava
gion, che s’adducesse, Per torla giù di quel cieco desio, Che ’l lume
di
ragion cacciava al fondo ; Sì che costretta da un
mostrarti, Se da periglio tal salvar ti dei. Ciò detto aperse
di
questo e quel piede Tosto gli artigli, et la diè
ELL’AQUILA, ET DELLA VOLPE L’AQUILA altera, et la sagace Volpe Già
di
stretta amicitia unite insieme D’insieme anco hab
ser partito, Sperando pur che ’l conversar frequente Crescesse in lor
di
più sincero affetto La carità de l’amicitia nova.
stanza elesse, Tessendo il nido a i suoi futuri figli. Così la Volpe
di
quel tronco al piede Preparò stanza a i suoi fra
o superbo nido. Onde soffiando a maggior furia il vento In quello già
di
paglia et fien contesto Da i lucenti carboni a po
do allhor la Volpe offesa Per far de la sua prole alta vendetta Sopra
di
quelli immantinente corse ; E inanzi a gli occhi
a l’ultrice mano ; Non è però che col girar de gli anni Schivar possa
di
Dio la giusta spada. Et colui, ch’una volta, o pi
n soggiorno in quel paese : Che, essendo esso lor Re, debito loro Era
di
visitarlo, e ritrovarsi Ciascun l’ultimo dì de la
a vita Per honorarlo de l’esequie estreme ; E ch’ei gran voglia havea
di
rivederli, E dir a chi l’amò l’ultimo vale : E te
dir a chi l’amò l’ultimo vale : E testamento far per far herede Alcun
di
lor del destinato scetro. Dunque ubidillo
inato scetro. Dunque ubidillo il Corvo, e sparse intorno Tosto
di
ciò l’ingannatrice fama Tal che di giorno in gior
o il Corvo, e sparse intorno Tosto di ciò l’ingannatrice fama Tal che
di
giorno in giorno andava a quello Alcun de gli ani
lla : Signor mi doglio assai De le vostre sciagure, et lo sa Dio : Ma
di
venir più avanti ho gran sospetto, Vedendo tutte
T SUA MADRE. IL Corvo infermo, e già vicino a morte Senza speranza
di
terreno aiuto Con prolisso parlar pregò la madre,
Dei ; Per te, che sempre de i lor sacri altari Le vittime predando, e
di
brutture Contaminando i puri alberghi santi Per m
, e di brutture Contaminando i puri alberghi santi Per mille ingiurie
di
vendetta degne Sei fatto odioso al lor benigno nu
zito e furioso Scorrer con atti strani, e torto passo Hor su, hor giù
di
campi un largo piano : Et da stupore, et gran cor
abil sorte, Infelice sciagura, empio destino : Ché, se quando il Leon
di
sana mente Scorgeva intorno, alcuna atta non era
non era A sostener il suo possente orgoglio ; Che far potrà quand’ei
di
mente è fuori, E da discorso san tutto lontano ?
, dist li lus, que mut ert fel e enginnus : « B », dist le prestre, «
di
od mei ! » « B », dist li lus, [e] jo l’otrei. »
i ! » « B », dist li lus, [e] jo l’otrei. » « C », dist le prestre, «
di
avant ! » « C », dist li lus, « a i dunc itant ?
» « C », dist li lus, « a i dunc itant ? » Respunt le prestre : « Ore
di
par tei ! » Li lus li dist : « Jeo ne sai quei. »
tre lingue vibra, Lo strinse sì col velenoso morso, Che lo traffisse
di
mortal ferita. Onde il Corvo sentito esser
Ecco il guadagno Del cibo, ch’io sperava essermi vita, Havermi tratto
di
mia vita al fine. Così spesso n’aviene a l
r gli detta : Per che talhor dal suo proprio guadagno Danno gli nasce
di
tal cura pieno, Che lo conduce a miserabil fine.
E DEL LUPO. VIDE l’Agnello in cima al tetto stando Da la finestra
di
lontano il Lupo ; E cominciò con orgogliosa voce
a risposta Degna de’ merti tuoi, se in questo prato Fosti in tal modo
di
parlarmi ardito. Questa, dico, è, che tua viltà s
ammi ingiuria in atto sì villano. Così spesso l’huom vil privo
di
forza E d’ardimento al forte ingiuria move Assicu
VOLPE. IL Granchio un giorno era del Mare uscito Per novello disio
di
trovar cibo, Che gli gustasse fuor de l’onde sals
a fame, che già quatro Intieri giorni le rodeva il ventre, Visto quel
di
lontan subito corse, E tosto l’afferrò per divora
endo nel mar cibo bastante Di condur la mia vita insino al fine, S’io
di
Nestore ben vivessi gli anni, Ho voluto cercar no
suo cor concetto Dal lungo motteggiar un fiero sdegno, A gran contesa
di
parole strane. Ma crescendo più grave tuttavia L’
e parole Me, che non mai t’offesi, ingiuriando, La farem d’altro, che
di
ciancie alfine: Ch’io ti traffigerò l’invido fian
icii suoi, Che de le carni tue vili et impure Si faccian pasto : anzi
di
più gli scaccia Dal suo bel Tempio come empi e pr
punge et lo molesta, Torna in sua lode con risposta honesta Quel che
di
darle infamia appar possente. Un parlar saggio
e duolo. Il caminar a piedi era lor grato, Né ’l debole animal
di
peso alcuno, Perch’ei non si stancasse, have
o. Or disse il giovinetto al padre : vedi Padre, come ch’ognun
di
noi sen ride Per l’Asino, che scarco esser c
huom rozo, e gli parea questo il più saggio, E d’huom, che fosse
di
prudenza specchio. Onde credeano in pace a tant
l galloppa Ecco il primo, che ’l vede, a gran pietade Mosso
di
lui, che in ogni sasso intoppa. E con cor pien
affatto I piedi a due a due de l’Asinello, E tra lor fecer
di
portarlo patto. Così pensando al dir di questo
nello, E tra lor fecer di portarlo patto. Così pensando al dir
di
questo e quello Por freno, e far cessar tant
ini A lo spettacol novo, che comparse Non senza riso universal
di
tutti, Che lo mirar tosto che prima apparse.
enti Da cuocer le vivande in su la fiamma, Di terra l’uno, et l’altro
di
metallo, Scorrean nel mezo a la seconda un fiume
la seconda un fiume Portati a galla da le rapide onde. Ma perché quel
di
terra assai più lieve Scorrea sicuro ; l’altro, c
Guardisi ognun per tal esempio dunque Di star vicino a chi è maggior
di
forze, Se brama da perigli esser lontano, Et nel
nte in fuga volto Di lui solo al latrar desse le spalle, Essendo egli
di
corpo e di valore Maggior del cane, e con la fron
volto Di lui solo al latrar desse le spalle, Essendo egli di corpo e
di
valore Maggior del cane, e con la fronte armata D
tro ad un muro, Però cangiar non può l’antico stile. A l’huom, ch’è
di
cor vil, forza non giova.
potea Modo trovar, che quella a lui cedesse ; Dice ella : o sciocco,
di
te stesso fuori Ben sei, se stimi di poter far da
cedesse ; Dice ella : o sciocco, di te stesso fuori Ben sei, se stimi
di
poter far danno, Pur picciol danno, a la durezza
nte Di virtute e valor : che nulla acquista Chi l’huom combatte, ch’è
di
lui più forte. Ceda chi manco vale al più posse
i accenti Facea l’esequie a le sue proprie membra In breve per restar
di
spirto prive. La Cicogna, che in riva al fiume st
, benché lontana. Allhora il Cigno rispondendo disse. Io canto
di
mia vita il giusto fine, Che di necessità Natura
il Cigno rispondendo disse. Io canto di mia vita il giusto fine, Che
di
necessità Natura impone A tutti madre, e gran dis
ntentarsi ognuno De la sua sorte, e de la legge eterna, Che Natura, e
di
Dio la voglia impone Con egual peso a gli animali
de l’altra vita Qual si voglia, che sia per esser poi, Poi che nulla
di
noi perder si puote, Che non vivi nel sen de la N
ndo, Entrò folle in pensier tanto superbo, Che tra sé disse : Or qual
di
me più forte Vive animal in terra ? io già fui fi
vegno anch’io. Avenne poi che bisognò correndo Un certo spatio
di
lungo camino Viaggio far a suo malgrado in fretta
o gli sovvenne Anchor d’esser de l’Asina figliuolo, Poltro animale, e
di
tardezza pieno. Così l’huom nella prospera
hevol modo Che d’un poco del peso per alquanto Di spatio gli piacesse
di
sgravarlo Fin ch’ei potesse sol riprender lena :
se sol riprender lena : Perché già si sentia venir a fine : E negando
di
farlo il suo compagno Cadendo lasso in mezo del s
suo ufficio il peso Per picciol tempo : onde ne nasce poi Che la soma
di
quel sopra lui cade Tutta, né trova chi gli porga
CHE PORTAVA IL SIMOLACRO. UN ASINEL, che sopra il tergo vile Havea
di
Giove un simolacro d’oro, Ch’al Tempio il suo pad
adron, che con un grosso fusto Percotendo le natiche asinine Gli fece
di
sé stesso entrar in mente Con molte busse, et con
che vedi, è riverito. D’ogni superbo cor questo è figura, C’ha
di
publico honor titolo e nome, E non si porta in su
era lontano : E ’l vil Montone, che da lunge il vide Venir correndo e
di
paura pieno, Credendo fargli ancor maggior paura,
anger potrei L’ossa tue tutte, e far tue forze vane, S’io mi degnassi
di
contender teco, Né da cura maggior cacciato io fu
Così talhora un huom, che poco vaglia, Battaglia move a l’huom
di
lui più forte, E prende ardir da le miserie note
si metteva in punto D’abbandonar il suo natio paese, Quando la Simia
di
tal fatto accorta Le disse : o sciocca, a che ti
a torto. Ma che so io, che ’l Signor nostro altiero Me del numero far
di
quei non voglia, Che de la coda non han parte alc
imale astuto, Che chi sotto il Tiran sua vita mena È in gran periglio
di
sentir la pena Del fallo anchor, che non ha in me
fatiche Sempre era posto, né mai conoscea Il giorno da lavor da quel
di
festa, Continuando un duro ufficio sempre Senza g
gni trionfo e pompa Con l’infelicità del mal presente, Racconsolato e
di
sua sorte lieto Menò contento di sua vita il rest
ità del mal presente, Racconsolato e di sua sorte lieto Menò contento
di
sua vita il resto. Così far deve ogn’huom,
e dal camino, Ma molto più da i molti giorni et anni, Che gli premean
di
doppia soma il fianco, Al mezo de la via su la ca
arse. L’improviso apparir del mostro horrendo Empì ’l vecchio meschin
di
tal paura, Che tosto allhor allhor cangiò pensier
senton poi vicina Fuggon tremando con la faccia china Per non provar
di
lei la dura sorte. L’huom disperato il mal lont
cando rimedio a l’aspra doglia Il Lupo a lui per medico s’offerse ; E
di
certa mercè restò d’accordo Seco, se di quel male
lui per medico s’offerse ; E di certa mercè restò d’accordo Seco, se
di
quel male ei lo sanava. E tanto fé col duro acuto
e ei lo sanava. E tanto fé col duro acuto dente, Che gli lo trasse, e
di
martìr lo sciolse. Ond’ei chiedendo il pattuito d
Venturini, Giuseppe, « Ragguaglio critico sulla vita e sulle opere
di
Giovan Mario Verdizzotti », in Saggi critici. Cin
autori Greci, & Latini, scielte, & trattate in varie maniere
di
versi volgari da M. Gio. Mario Verdizotti : nelle
i volgari da M. Gio. Mario Verdizotti : nelle quali oltra l’ornamento
di
varie e belle figure, si contengono molti precett
autori Greci, & Latini. Scielte, & trattate in varie maniere
di
versi volgari da M. Gio. Mario Verdizotti : et di
te in varie maniere di versi volgari da M. Gio. Mario Verdizotti : et
di
nuovo ristampate, nelle quali oltra l’ornamento d
io Verdizotti : et di nuovo ristampate, nelle quali oltra l’ornamento
di
varie e belle figure, si contengono molti precett
autori Greci, & Latini. Scielte, & trattate in varie maniere
di
versi volgari da M. Gio. Mario Verdizotti. Nelle
i volgari da M. Gio. Mario Verdizotti. Nelle quali, oltra l’ornamento
di
varie e belle figure, si contengono molti precett
autori Greci, & Latini. Scielte, & trattate in varie maniere
di
versi volgari da M. Gio. Mario Verdizotti. Nelle
i volgari da M. Gio. Mario Verdizotti. Nelle quali, oltra l’ornamento
di
varie e belle figure, si contengono molti precett
autori Greci, & Latini. Scielte, & trattate in varie maniere
di
versi volgari da M. Gio. Mario Verdizotti : Nelle
volgari da M. Gio. Mario Verdizotti : Nelle quali, oltra l’ornamento
di
varie e belle figure, si contengono molti precett
autori Greci, & Latini. Scielte, & trattate in varie maniere
di
versi volgari da M. Gio. Mario Verdizotti : Nelle
volgari da M. Gio. Mario Verdizotti : Nelle quali, oltra l’ornamento
di
varie e belle figure, si contengono molti precett
ci, & Latini. Scielte, & nobilmente trattate in varie maniere
di
versi volgari da M. Gio. Mario Verdizotti. Nelle
i volgari da M. Gio. Mario Verdizotti. Nelle quali, oltra l’ornamento
di
varie, e belle figure, si contengono molti precet
i. Scielte da M. Gio: Mario Verdizotti: Nelle quali oltre l’ornamento
di
varie, e belle figure, si contengono molti precet
32. « De i topi » P613 Faerno, 47 33. « Di due rane vicine
di
albergo » P69 Faerno, 38 34. « Del ce
a il simolacro » P182 Faerno, 95 49. « Di Pallade, et
di
Giove » P508 Faerno, 2 < Phèdre, III
. Venturini, Giuseppe, « Ragguaglio critico sulla vita e sulle opere
di
Giovan Mario Verdizzotti », in Giuseppe Venturini
ncisore, amico e discepolo del Tiziano », Bollettino del Museo civico
di
Padova, nº 59, 1970, p. 33-73. Historique de
o loco Prima che nascondesse il Sole il giorno, Fra lor fecer pensier
di
far dimora Per quella notte, fin che ’l novo albo
uro. Così d’una gran noce in cima un ramo S’assise il Gallo, e ’l Can
di
quella al piede Ch’era cavato, e da cento anni e
lieta voce Diede il Gallo principio al canto usato : E replicando diè
di
sé novella A la Volpe, che poco indi lontana Have
cace, ch’ei volesse Scender del tronco, ov’egli alto sedea, E benigno
di
sé copia facesse A lei, che forte del suo amor ac
andò tanto feconda, E la vendemia, e ’l resto del raccolto, Che vinse
di
gran lunga ogni speranza, Ogni desio di Contadino
resto del raccolto, Che vinse di gran lunga ogni speranza, Ogni desio
di
Contadino avaro. Da quella volta in poi lasciò il
bisogno è manifesto, Quel, che convien, ci dà benigno e pio. Lascia
di
te la cura al Re del Cielo, Se vuoi viver co
Che dar per uso natural soleva A chi s’appressa a lui sempre
di
morso. Che ricorrer altrove essa poteva,
nder il corso : E non salvarsi da importante affanno In man
di
chi non sa se non far danno. Stolto è chi d’huo
DELL’ALLODOLA. L’ALLODOLA è un augel poco maggiore Del Passero, et
di
piuma a lui simile, Ma sopra il capo un cappellet
cappelletto porta Di piume, ch’assai vago in vista il rende : Questa
di
far il nido ha per usanza Dentro a le biade de gl
ietoso affetto, Che se cosa occorresse a lor d’udire, Ch’a l’orecchie
di
lor nova paresse, Se la tenesser con gran cura a
o a la lor madre tosto. Et ella allhor : nessun timor vi tocchi Figli
di
questo ancor ; che s’ei n’aspetta Gli amici, qual
tempo, figli, Di dubitar qualche futuro oltraggio, Poi che ’l padron
di
ciò la cura prende : Però stanotte ce n’andrem pi
TALPA. L’ASINO si dolea che l’ampia fronte Non havea, come il Bue,
di
corne armata ; Né la Simia facea minor lamento Di
misero crede, Stia ne gli affanni suoi costante e forte ; E nel voler
di
Dio paghi sua sorte De l’affanno maggior, che in
rella, e gran desio le venne Di travagliarla, e trastullarsi seco ; E
di
quella volò tosto sul dorso, E gracchiando, e mor
sollo ancora, E ben conosco ciò ch’io faccio, e a cui : Però non temo
di
darmi solazzo Con teco sciocca, e fa’ pur ciò che
gran desio D’esser tenuto anch’ei leggiadro e bello Come il Pavone, e
di
mostrarsi al mondo Come un di quella specie ; e r
’ei leggiadro e bello Come il Pavone, e di mostrarsi al mondo Come un
di
quella specie ; e ritrovando Tutte le penne d’un
granz në aleverez voz enfanz n’en autre regnéd n’entre gent — jeo vus
di
bien apertement –, mes que ele fust de tel afaire
afaire que je ne la puisse a mei traire. » Ceste essample pur ceo vus
di
: de l’aveir humme est autresi ; si il ad plus ke
via, Vide nell’onda, ch’era posta al rezzo, L’ombra maggior
di
quella, ch’egli havia : Et disse. Poi ch’est
to era meglio, oimè, godermi in pace Quel picciol ben, ch’io già
di
certo havea, C’haver d’un ben maggior voglia
ar possi offesa A qualunque a tua vita insidia pone. Ond’io chi cerca
di
turbar mia pace Così combatto, o me gli mostro fi
e e innocente, Ognuno rende a fargli oltraggio audace : E ’l forte et
di
mal far si vive in pace ; Perché chi gli osta ei
NE DI ALBERGO. VIVEAN due rane ambo vicine insieme ; Ma l’una fuor
di
via dentro uno stagno ; L’altra a mezo una strada
sciolta briglia, Sotto una ruota miserabilmente Restò schiacciata, e
di
sua vita al fine. Così interviene a chi ne
O già nel suo presepio infermo Giaceva giunto assai vicino a morte, E
di
ciò sparsa era la fama intorno. Onde per visitarl
l’aprisse, Ché visitar il genitor volea. Et ei, che ’l conoscea, negò
di
farlo. Allhor il Lupo in sé tutto confuso Fingend
ponde in un profondo pozzo, Stando per affogarsi adhora adhora : Onde
di
là passando a caso il Lupo ; Che tratto dal romor
, Che spender seco più parole in vano, Disse : ah fratello trammi pur
di
questo Pozzo fin che puoi farlo e sana e viva, Ch
ET L’OLIVA. ET la Canna, et l’Oliva un giorno insieme Vengono
di
valore a gran contesa : Ciascuna l’altra vil
estreme Sostener soglio ogni importante offesa, Sarò minor
di
te, putrida e vile, Che non hai pianta a tua
ca, e t’odia tanto, Ch’ognihor ti sprezza, e prohibisce a tutti, Qual
di
nessun valor, gli augurii tuoi ? Dunque perché ti
ezza doma ; E spesso avien, che la vittoria porta De l’huom superbo e
di
feroce core Colui, ch’a tempo e loco accorto cede
inciò cortese ; Perché n’uscisse la progenie nova Con desio
di
ben far, ch’a ciò l’accese. Ma mentre ch’ell
doglia e pianto. Che i Serpi n’usciran, la cui natura Sempre è
di
mal oprar ; e ti faranno Le prime ingiurie,
o veleno, A l’altre ingiurie ciò t’era difesa. Perché chi vive
di
modestia pieno Fa ch’ogni altro l’ingiuria,
tà facile rende ; Et fa parer domestiche e sicure Le cose horrende, e
di
perigli piene. Lo spesso oprar fa l’huomo atto
upo ciò vedea lontano ; Et così cominciò lagnarsi in vano. Ahi
di
natura ugual disugual sorte, Che non so qual
matura, Per gl’immortali Dei ch’io non ne voglio ; È troppo acerba, e
di
spiacevol gusto. Tal l’huomo astuto suol q
ore Razzolando trahea lo sparso grano, E scoperse un gioiel
di
gran valore. E come quel, ch’era d’ingegno insa
ima, lo chiedea del prezzo, Quando l’astuto in un medesmo punto Toccò
di
sprone il suo destrier veloce, E a sciolta brigli
s’en est eissuz ; dunc furent il tuz deceüz. Par cest essample le vus
di
, del nunsavant est autresi ; ki creit* ceo quë es
van del mal falsa cagione, Che stando in gran pericol de la vita Dar
di
piangermi a’ miei vera ragione. Più grave appar
a caccia entro a le reti D’un villanel, ch’a lui tese le havea, Dando
di
capo alfin restò prigione. Onde a pregar si diè c
mains vereiment dei jeo », fet il, « bon gré saveir ; mes une rien te
di
pur veir : s’il alast a ma volenté, ti oil seraie
▲