a la campagna usciti Su la stagion del più gelato Verno ; L’huom, che
dal
freddo havea le man sì morte, Che risentir non le
fiato ravvivar solea Il quasi spento in lor natio calore. E domandato
dal
compagno allhora De la cagion, perch’ei così face
albergo, Sedero a mensa per cenar insieme : E d’una gran polenta, che
dal
foco Posta s’haveano allhor allhora inanzi, A pas
anda ; Lo ricercò de la cagione anchora. Et ei rispose, ch’egli havea
dal
fiato Valor di raffreddar quel caldo cibo, Ch’era
reddo uscir con egual modo, Non vo’ più consentir d’esserti amico ; E
dal
tuo conversar tosto mi toglio. Da questo o
a quello alzar a volo Parte da la gravezza del pasciuto Ventre, parte
dal
mel tenace fatto Dal Sole ardente de l’estivo gio
Parte da la gravezza del pasciuto Ventre, parte dal mel tenace fatto
Dal
Sole ardente de l’estivo giorno Ritenute di là mo
prudente Nutrir si vuol di delicati cibi Per sua salute, ma si astien
dal
troppo, Che nuocer suole, onde tal vitio nasce ;
o alcun partito Con gran sospiri e gemiti pregava Ercole invitto, che
dal
ciel scendesse Per sovvenirlo in così gran bisogn
atto più volte alfin commosso Da la pietà del suo grave lamento Sceso
dal
Cielo sopra un nuvol d’oro A lui mostrossi il glo
oso Alcide, E cominciò parlargli in cotal guisa. Oh là tu, che
dal
ciel chiamato m’hai In tuo soccorso, hor da’ prin
anza lontano Tornava a dietro d’un gran fascio carco : E stanco homai
dal
troppo grave peso, Da la lunga fatica, e dal cami
o carco : E stanco homai dal troppo grave peso, Da la lunga fatica, e
dal
camino, Ma molto più da i molti giorni et anni, C
ndo ad alta voce Più d’una volta richiamò la Morte. Tal ch’ella alfin
dal
suo parlar commossa Con faccia horrenda, e minacc
: e tuttavia cercava Di prender quelli di più brutto aspetto, Quando
dal
giogo d’una eccelsa rupe Sentì ullular del suo no
i più da lei veduti figli Nell’aspro nido quasi anchora impiumi. Onde
dal
cantar loro horrido tratta Tosto vi corse : e giu
i esser lontana, Et sol per colpa del giudicio torto Del Guffo tratto
dal
paterno affetto A darle de’ suoi figli il falso s
fece de la gran beltade De la sua prole, non havria creduto L’openion
dal
ver tanto lontana. Ond’ei dolente e pien d’amar
INE, ET L’AQUILA. LA Testuggine un dì vistosi presso L’Aquila, che
dal
cielo era allhor scesa, Per riposarsi sopra il ve
ar volea. La Testuggine allhor, che affatto cieca Resa era già
dal
suo folle appetito, Le rispose bramarlo oltra ogn
tra ogni stima ; E che pensava haver appresa a pieno Del volar l’arte
dal
camin già fatto Fra l’ugne sue ; sì che lasciarla
nché tremanti, e di sospetto pieni : Né però si sapean levar da mensa
Dal
gusto presi del soave pasto, Se un’altra volta l’
attar celatamente Dietro un vasello di Cretense vino, Che gocciolando
dal
mal sano fondo Spargea ’l terreno del liquor soav
se elle altro che cece, o ghiande ? A tal sermon colui, ch’era
dal
sonno, Ma molto più da la paura stanco, In cotal
derio a i regii alberghi Per vender sol la libertà e la vita Ciechi o
dal
fumo de l’ambitione, O dal vano splendor del luci
r vender sol la libertà e la vita Ciechi o dal fumo de l’ambitione, O
dal
vano splendor del lucid’oro ; Deh raffrenate la s
[3.] DELL’AQUILA, ET LA SAETTA. L’AQUILA stanca
dal
continuo volo Per posar sopra un sasso al pian di
, e farne alta rapina. Ella, che trappassar sentissi il fianco
Dal
crudo ferro, e quasi a morte giunta, L’ali allarg
del proprio peso. Occorse un giorno, che sendo in camino Ambi guidati
dal
padrone insieme, L’Asino stranamente indebolito D
l padrone insieme, L’Asino stranamente indebolito Da la vecchiezza, e
dal
soverchio peso Pregò il Cavallo in supplichevol m
altri animali, Che in cambio lo togliean d’un fier Leone. E dilettato
dal
vano spavento, Ch’egli porgeva a questa e quella
ra gli ignoranti, quando Avien, che con saggio huom faccia l’istesso,
Dal
suono sol di sua propria favella Si scopre quel,
garsi adhora adhora : Onde di là passando a caso il Lupo ; Che tratto
dal
romor, ch’indi sentiva Uscir de l’acque, era a ve
gio il fatto, E come e quando, oimè, misera, avenne, Ch’io sia sicura
dal
presente affanno. Così spesso intervien, c
le cose, Che sono al mondo in qual si voglia o forma O stato variate
dal
primiero Sembiante, in ch’elle havean sostanza e
il fin d’ogni miseria humana La morte, e questa vita un rio viaggio ;
Dal
qual l’huom dee bramar ridursi al porto De la tra
r ognuno Dee star contento, e far legge a sé stesso De la ragion, che
dal
suo santo senno Con dotto mezzo a noi discende e
netto uscì del buco, Ove la madre non prima ch’allhora Lasciato havea
dal
primo dì ch’ei nacque ; Et incontrossi a caso in
ontra sì crudele e fiero, Che tutto allhor m’empì d’alto spavento. Io
dal
timor, ch’ei non mi divorasse, Mi posi in fuga :
io, tua semplicitade Te stesso inganna ; e non conosci anchora Il ben
dal
male come quel, che sei Pur dianzi uscito del mio
l fronte, copre Ogni bontà del cor sotto al bel manto. Non giudicar
dal
volto il buono, o ’l rio.
lla meschina. Se uscir vuoi di tal loco, ti conviene Astenerti
dal
cibo, onde ti pasci : Che così tornerai, come eri
ti pasci : Che così tornerai, come eri prima, Smagrita e scarna, onde
dal
picciol buco Passar potrai dove vorrai sicura. Pe
uo proprio error tra sé si rise : E fatto accorto da l’inteso effetto
Dal
suo sospetto van, disse in suo core. Stolt
a le sue imprese suole. Perché colui, che di valore è ricco, Non suol
dal
van parlare acquistar merto. Chi meno val, più
eggiava sì, che venne in breve Con lei, c’haveva nel suo cor concetto
Dal
lungo motteggiar un fiero sdegno, A gran contesa
e carni tue vili et impure Si faccian pasto : anzi di più gli scaccia
Dal
suo bel Tempio come empi e profani. La Scr
serello al fondo Per devorarlo poi che estinto ei fosse. Ma quel, che
dal
timor e dal bisogno Prendeva di valor doppio argo
ondo Per devorarlo poi che estinto ei fosse. Ma quel, che dal timor e
dal
bisogno Prendeva di valor doppio argomento, Tardi
lpe già di questo accorta S’appresentò dinanzi al fier Leone, Che era
dal
ragionar1, che fatto il Lupo Havea contra di lei,
e texte de 1570 (« per quel ragionar ») selon la leçon de 1577 (« era
dal
ragionar ») qui supplée le verbe de la propositio
h’ei più brama, Spesso sprezzar, se da accidente strano Reso gli vien
dal
suo pensier lontano Quel, che più d’acquistar s’i
gioiello, Che ’l savio sol per sua natura apprezza, E tien
dal
ciel per dono e caro e bello. Onde l’huomo igno
male, Attendendo a l’altrui con tanta noia. Gli arbori allhora
dal
gran tedio stanchi Del pregar lungamente indarno
tremeran malgrado loro Le Quercie antiche, e i più sublimi Cedri, Che
dal
Libano monte al Ciel sen vanno. Così colui
an gli ufficii spesi De i vitii loro iniqui e scelerati. L’huom reo
dal
non far mal s’arroga merto.
altrui, Si mette a far ciò che ’l suo cor gli detta : Per che talhor
dal
suo proprio guadagno Danno gli nasce di tal cura
l villania ; ma questa casa, dove Ti stai rinchiuso, e colà su sicuro
Dal
mio valor, che ti faria risposta Degna de’ merti
i ad un ci urtiamo, Come allhor salvo la tua forte scorcia Te renderà
dal
suo furor protervo ; Così la mia, che per sé stes
on so che timore, Che mi fa forza contra ogni ragione A fuggir presto
dal
latrar maligno, Che tremar mi fa tutto il cor nel
aricar di doppia soma. Onde restando in lui l’usata forza Oppressa sì
dal
non usato pondo, Risalir non potendo ivi affogoss
e Fu da l’altrui parer così diversa, Così di voglia sua, così lontana
Dal
comune voler, così contraria A qual si voglia alt
nel petto. Se vivi in rissa, e star vuoi senza pene, Sospetta
dal
nimico anchor del bene.
costumi a tutti infesti. Così l’huom savio dee scacciar coloro
Dal
suo commercio, ch’egli esser intende Di poca
u giunto tra ’l gregge, (Tra ’l gregge, il qual non lo temea credendo
Dal
suo vestir ch’ei fosse il suo pastore) E volse da
Andando un giorno per la via pensoso Adosso mi cadde, cred’io
dal
cielo, Un sì fervente humor, e a me noioso,
’haveva e voce e canto, Incominciò gracchiar con rauco strido Sì, che
dal
rostro il cibo in terra cadde. Così scorgendo la
gli altri un bando fece Gridar, ch’ogni animal, che senza coda Fusse
dal
suo tener gisse lontano, E in esiglio da lui lont
ava il piano : E felice chiamava ognihor sua sorte, Ch’ei fosse tanto
dal
Signore amato, Che seco il volea sempre, e gli fa
i che quella norma Del vero caminar, che più t’aggrada, Appreso havrò
dal
tuo medesmo esempio : Perch’io non ho veduto, che
er non trarne giamai profitto alcuno ? Allhor trahendo un gran sospir
dal
core Ella al compagno fé simil risposta. I
: Tal che meglio è restar quel poco in vita Di spatio, che
dal
ciel sento lasciarmi. Così la gente tal esempio
seconda del corrente humore Non potea torbidar l’acque di sopra, Che
dal
fonte venian limpide e pure. E non sapendo che ri
ione, onde si volge l’anno. E sempre quello in buona parte prese, Che
dal
parer del suo consiglio venne. Così devreb
nvenne. Così spesso interviene al vecchio insano Di mente, che
dal
tempo misurando Il senno, sprezza del giovine sag
risce in casa Per questo effetto, et poi sforzato il faccio, Ché così
dal
padron mi vien imposto Non mi dando altri de la s
arti intorno Per levargli il mantel, che indosso havea. Ma colui, che
dal
freddo era assalito Del fiato suo, tanto più stre
ese la bramata sposa. Ma il Contadin, che già fatto sicuro Era
dal
gran valor del fier Leone, Che non haveva più l’u
a sue spese de gli inganni suoi, Fingendo creder quanto ella tramava,
Dal
medesmo suo dir trovò soggetto Di levarsela allho
con l’honesto il dritto : Né per cagion benché importante assai, Che
dal
giusto si trovi esser lontana, Offesa far al suo
sse, ch’ei per lui volgesse il piede. Il Cavallo ciò inteso, e
dal
desio Di vincer l’inimico in ogni modo Già cieco
i là passando col figliuolo insieme ; E veduto la biada a terra china
Dal
peso andarsi del maturo grano, Che de l’aride spi
RI.pdf. Filosa, Carlo, La Favola e la letteratura esopiana in Italia
dal
Medioevo ai giorni nostri, Milano, Vallardi, 1952
um, 7. Plutarchi libellus de Fortuna Romanorum, 8. Un’ altra versione
dal
greco di un certo Oracolo di Apollo fatta dal Sip
, 8. Un’ altra versione dal greco di un certo Oracolo di Apollo fatta
dal
Sipontino in versi latini nel 1463, 9. Cardinalis
cette di Fedro corredate di note per cura del Prof. A. Lace approvate
dal
consiglio superiore, e dal ministero del l’instru
note per cura del Prof. A. Lace approvate dal consiglio superiore, e
dal
ministero del l’instruzione publica ad uso delle
Tutte Le favole di Fedro liberto d’Augusto tradotte in anacreontiche
dal
professore Abate Cervelli. Milano, presso Gio-Pir
oscritto di Digione e di cento sentenze morali di varj antichi autori
dal
Co. Lauro Corniani d’Algarotti Vinizianio. Venezi
berto di Augusto Libri cinque con Appendice di XXXIV favole Riportate
dal
Burmanno ed altra di XXXII publicate in Napoli ne
130 pages. 1851. Le Favole di Fedro volgarizzate in rima
dal
professore Giuseppe Giacoletti D. S. P. Socio de
èrement colorié. La première est annoncée par ces mots : Il comincia
dal
gallo che ne traua dellescha nella brutture e tro
ont remplies par une addition intitulée : Appendice di Favole scelte
dal
Testo Riccardiano. Comme les quatre précédentes
la cote 69863. — Favole di Esopo in volgare. Testo di lingua inedito
dal
Codice Palatino già Guadagni. Lucca, Giuseppe Giu
torno agli storici Italiani che hanno scritto latinamente, rammentati
dal
Vossio nel III libro de Historicis Latinis. Tomo
a mano conservasi nell’ Ambrogiana, siccome in Vienna mi fu attestato
dal
Sig. Jacopo Filippo d’Orville, insigne letterato
la direzione del Prof. Adolfo Bartoli. — I Codici palatini descritti
dal
professore Luigi Gentile. 465. Voyez Palermo, T
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