Allhor due Rane da gran sete spinte Andaro insieme lungamente errando
Per
le campagne, e per le basse valli Per veder se po
daro insieme lungamente errando Per le campagne, e per le basse valli
Per
veder se potean trovar ventura D’alcun riposto hu
estando a forza in su l’asciutto fondo Senza speranza di poter salire
Per
riparar a novo altro bisogno. Saggio è dun
à, che mai quando piovea Fuor non usciva de l’albergo usato
Per
gran timor, che di bagnarsi havea. Onde da un a
n ricordo tanto amaro, Ch’a dirti il vero ancor me ne querelo.
Per
questo accorto a le mie spese imparo Fuggir
ova d’un passato male Render suol l’huomo di temenza pieno,
Per
non cader di novo a sorte tale, Di quello ancor,
uggine un dì vistosi presso L’Aquila, che dal cielo era allhor scesa,
Per
riposarsi sopra il verde piano, Venne in gran vog
riposarsi sopra il verde piano, Venne in gran voglia di poter volare
Per
provar quel piacer, c’haver pensava Gli augelli d
he le piacesse d’indi trarla seco A i superni del cielo immensi campi
Per
darle il modo, onde volar potesse. Il gene
deveva sortir sì vana impresa. Ma non valse ragion, che s’adducesse,
Per
torla giù di quel cieco desio, Che ’l lume di rag
’ella alzasse i piè dinanzi Lungo il troncone, et saltellando andasse
Per
arrivar a quel pendente cibo, Però mai non ne giu
e ritrasse, et a sé stessa disse. Lasciala pur, ch’ella non è matura,
Per
gl’immortali Dei ch’io non ne voglio ; È troppo a
i Ho sol la cura, che lieta mi rende ; Volessi abbandonar le cose mie
Per
macerarmi e giorno e notte sempre Ne i tristi aff
ano Di tal fatica l’importante peso. Così risolti al Fico se n’andaro
Per
dar a lui di tal honor la soma. Et ei rispose lor
di dolcezza il flavo mele, E ’l nettare, che in ciel gustan gli Dei,
Per
quell’affanno sopra ogni altro amaro, Che seco ti
io lasci di Natura un tanto dono, Che felice mi rende in ogni tempo ;
Per
prender poi così noiosa cura, Che non mi lasci un
ieno udite le preghiere mie, E i voti, ch’io per te porga a gli Dei ;
Per
te, che sempre de i lor sacri altari Le vittime p
Le vittime predando, e di brutture Contaminando i puri alberghi santi
Per
mille ingiurie di vendetta degne Sei fatto odioso
Un Gallo, e disegnò di darli morte Sotto alcun ragionevole pretesto,
Per
mangiarselo poi tutto a bell’agio, Per ciò le dis
to alcun ragionevole pretesto, Per mangiarselo poi tutto a bell’agio,
Per
ciò le disse. Ahi scelerato adesso È giunto il te
a specie ; et arricchir colui, Che m’è padrone, e mi nutrisce in casa
Per
questo effetto, et poi sforzato il faccio, Ché co
RTAVA il Contadino a la cittade Un lepre morto, c’havea preso dianzi,
Per
farne, in su ’l mercato alcun guadagno. Ma trovat
volerlo comprar sembianza fece : E prendendolo in mano, e ponderandol
Per
farne stima, lo chiedea del prezzo, Quando l’astu
rago una lima in mezo un campo ; E stretto da la fame allhor la prese
Per
divorarla non sapendo quale Cosa ella fosse : e m
iò il Drago, e come quel c’havea Lungamente provato indarno ogni opra
Per
farne stratio, alfin cangiò pensiero : Et cedendo
3.] DELL’AQUILA, ET LA SAETTA. L’AQUILA stanca dal continuo volo
Per
posar sopra un sasso al pian discese : D’onde un
li proprie sue furon già parto : E non tanto si dolse esser traffitta
Per
giugner di sua vita in breve al fine, Quanto che
Signor : e col coltello in mano In iscambio de l’Occa il Cigno prese
Per
farne la cucina, error prendendo Da la sembianza
pace, e diè di mano a l’Occa. Et via portolla : e quel sciolto rimase
Per
sua virtù da l’accidente strano. Così l’hu
de : et non consente in parte Talhor levargli del suo ufficio il peso
Per
picciol tempo : onde ne nasce poi Che la soma di
he la soma di quel sopra lui cade Tutta, né trova chi gli porga aiuto
Per
giusta ira del ciel, che lo permette. Se l’huom
[28.] DEI LUPI E ’L CORVO. GIVANO molti Lupi in compagnia
Per
poter meglio far preda sicura, E ’l Corvo as
Non piaccia a Dio, Ch’io nel3 consenta mai : perché tu sei
Per
natura, et per arte iniquo e rio. Tal che, sì c
venuto ; et pur si stava ocioso. Talché la Volpe, ch’era homai vicina
Per
annegarsi, et altro a fare havea, Che spender sec
so intervien, che dove alcuno Dovrebbe oprar la man tosto e l’ingegno
Per
condur l’opre d’importanza a fine, Sta vaneggiand
l’orecchie di lor nova paresse, Se la tenesser con gran cura a mente
Per
riferirla al suo ritorno a lei. Or del campo il p
to campo habbia la messe. Il giorno dopo andò la madre anchora
Per
procacciarne a i figli esca novella : Né apparve
nza quel padron del campo, Alfin col suo figliuol venne in su ’l loco
Per
veder se gli amici ivi trovava Forse in far l’opr
osto invita ogni parente nostro, Che ci servino in ciò de l’opra loro
Per
la mattina del seguente giorno. Gli augell
cia il meschin l’ugne intricando, L’ugne mal atte a così gran rapina,
Per
prender altri alfin preso trovossi. Perché il Pas
é il Pastor veduto lui su ’l dorso De l’animal in van batter le penne
Per
liberarne gl’intricati piedi, V’accorre ; il pren
perché ti perdi indarno il tempo, E le vittime insieme, e la fatica,
Per
non trarne giamai profitto alcuno ? Allhor trahen
sempre, e con giusta pietade Renderle honor quant’io posso maggiore,
Per
veder se placar posso lo sdegno Del suo superbo c
o, Al mezo de la via su la campagna La sarcina lasciò cadersi a terra
Per
riposar l’affaticate membra Sotto l’ardor del cal
he quando se la senton poi vicina Fuggon tremando con la faccia china
Per
non provar di lei la dura sorte. L’huom dispera
lo pregò, ch’ei divulgasse tosto De la sua morte già vicina il nome,
Per
cortesia fra gli animali tutti, Che facevan soggi
oro Era di visitarlo, e ritrovarsi Ciascun l’ultimo dì de la sua vita
Per
honorarlo de l’esequie estreme ; E ch’ei gran vog
n de gli animai da quel confino Come inteso l’havea tardi o per tempo
Per
visitarlo : ma quando a lui presso Se lo vedea il
tutti i modi la salute vostra. Quinci son gita in molte e varie parti
Per
ricercar de’ medici il consiglio, E tutti ho scor
ercar de’ medici il consiglio, E tutti ho scorso i Tempii de gli Dei,
Per
haverne di voi la medicina ; Laqual per buona sor
un Gatto, che tosto che ’l vide S’appiatò cheto in mezo del sentiero
Per
aspettar il Topo, che pian piano Incontra gli ven
quel sol per solazzo e scherzo. Da cui già spaventato il picciol Topo
Per
l’importuno et improviso moto Diede a fuggirsi, e
in fuga : et ei mai non restossi Di seguitarmi pien di gridi e rabbia
Per
fin che salvo a te pur mi condussi. E questa è la
escis inquit insane nescis, quae ex uerberibus illis sim consecutuse.
Per
ea enim suauissimis perdicum coturnicumque carnib
so quel pellegrin soffiando forte Quanto potea da mille parti intorno
Per
levargli il mantel, che indosso havea. Ma colui,
o, Stanco depose la noiosa veste, Lasciandola tra via fra certe vepri
Per
non lasciar in quel camin la vita : Così di voler
he nascondesse il Sole il giorno, Fra lor fecer pensier di far dimora
Per
quella notte, fin che ’l novo albore Rendesse il
e abbracciarlo come caro amico Ella voleva, et nel suo albergo trarlo
Per
fargli a suo poter cortese accetto. Il Gallo, che
r dato il segno, onde ciascuna havesse A cominciar il destinato corso
Per
giunger tosto a la prefissa meta, La Lepre, che c
’ei quasi perduto haver si sente Quell’antico vigor, ch’ardeva in lui
Per
colpa sol de la pigritia nata Da la sua negligenz
In altre varie parti de la terra, Perché ognun vada al destinato loco
Per
allegrarsi co i novelli amici ; E giurar fedeltad
Udito ciò la Volpe, che credea Che pur venisser da dovero i cani,
Per
più non dimorar con suo gran danno Oltra lo scorn
cader sopra il terreno. Il che vedendo allhor la Volpe offesa
Per
far de la sua prole alta vendetta Sopra di quelli
osì fra noi mortali avenir suole, Che chi de l’amicitia i sacri patti
Per
non degna cagion profano rompe, Quantunque de gli
Lucido e chiaro in Oriente apparse, Il Topo Cittadin l’altro destando
Per
gran desio, c’havea di farsi honore, L’invitò a c
scio Subito aprendo con un lume in mano Il maestro venir de la cucina
Per
porre in salvo certe altre vivande, Che pur dianz
, ch’a più poter veloci andate Con sommo desiderio a i regii alberghi
Per
vender sol la libertà e la vita Ciechi o dal fumo
non può per modo alcun fuggire ; E quel, che vuol necessità, seguire,
Per
non parer altrui di bassa mente. Quel, che schi
Cervo, et il Cavallo insieme Dentro un bel prato di novella herbetta
Per
lunga usanza, e con invidia ognuno, Che ’l compag
havea del suo fiero nimico ; Era ben degno ancor, ch’esso il servisse
Per
qualche giorno in alcun suo bisogno, E che non in
oprar ne senta altrui, Si mette a far ciò che ’l suo cor gli detta :
Per
che talhor dal suo proprio guadagno Danno gli nas
L GRANCHIO, ET LA VOLPE. IL Granchio un giorno era del Mare uscito
Per
novello disio di trovar cibo, Che gli gustasse fu
do il fier Cinghiale, Qual pazzo incominciò ridersi d’ello,
Per
non haver più visto un mostro tale : Ond’ei
a Senza paura, e manifesto segno Del temerario ardir mostrato indarno
Per
farmi oltraggio : e con orgoglio crudo Non lascio
ché quel di terra assai più lieve Scorrea sicuro ; l’altro, che temea
Per
la gravezza sua girsene al fondo, Cominciò con pa
r di dar consiglio a l’altre, Che si troncasser la lor coda anch’esse
Per
fuggir di portarla il lungo impaccio : Così stima
to a gli occhi d’ogni passaggiero, Et abondante d’ogni altro disagio,
Per
albergar con lei dentro a l’humore, Ch’ella etern
he suol ragion dottar4 a chi prudente Nutrir si vuol di delicati cibi
Per
sua salute, ma si astien dal troppo, Che nuocer s
pregar si diè con humil voce Colui, che preso in man stretto il tenea
Per
dargli morte, acciò sicuro fosse De gli altri aug
.] DEL LUPO, ET LE PECORE. VESTISSI il Lupo i panni d’un pastore
Per
ingannar le semplicette agnelle Con l’apparenza d
mezo de la via tosto fermossi Chinando il fronte, e le ritorte corna
Per
cozzar seco. Allhor giungendo il Toro Sen rise, e
gran sospiri e gemiti pregava Ercole invitto, che dal ciel scendesse
Per
sovvenirlo in così gran bisogno. Il che fa
in speme di quel vano honore, Che gli augurava il suo finto sermone,
Per
mostrarle c’haveva e voce e canto, Incominciò gra
il duro piè d’un’alta quercia Rendeva i denti suoi più acuti e lisci,
Per
oprarli per arme a’ suoi bisogni : Onde la Volpe
n, non fia giamai Ch’io muti sorte ; e son presso ad ognuno
Per
provar sempre egual affanno e guai. Ché de la s
E s’inviò verso quei lacci ignoti, De la finta città principio finto,
Per
poter meglio intender la ragione, L’ordine, e ’l
a vite ne restò spogliata affatto. Onde tornando i cacciatori allhora
Per
quel confine, e non essendo ascosa La Cervia più
lto in fuga a tai romori Corre veloce entro un’antica selva
Per
trarsi in quella di periglio fuori. Così fuggen
or carco, afflitto, polveroso, E tutto homai del proprio sangue molle
Per
le ferite, ch’egli havuto havea, Tutto allegrossi
n piacer, che tu t’ingrassi, Stando in quiete, e in dolce almo riposo
Per
goder poi de le tue carni un giorno. Utile è il
la gente tal esempio invita A tolerar il suo tiranno avaro,
Per
non far al suo mal nova ferita, Se le è di viver
d’ella accorta da l’altrui ruina Quasi tutta la preda in un raccolse,
Per
farla del Leon debita parte ; E presentolla a la
rita e scarna, per un picciol buco Entrò in un tetto di galline pieno
Per
satiar di lor la lunga fame : Né difficil le fu l
n voglia havea di far che a lui Toccasse un giorno di scontarle tutte
Per
lor col merto de le sue sciocchezze. E vol
elve Fatto si fosse, disfidar volesse Le paesane belve a cruda guerra
Per
farsi ei sol Signor di quei confini, Uscì de la s
olti ciascun l’altrui consiglio Benignamente, e non si sdegni alcuno,
Per
esser padre ad altri, o maggior d’anni In altra g
rezzano egualmente il buono e ’l rio : Et a l’occasion sembrano amici
Per
trar talhor d’altrui profitto alcuno ; E poi ne l
llhor con cor sicuro De l’huom si fece molto stretta amica,
Per
liberarsi da periglio oscuro. Vive con l’huomo,
in dietro sotto l’acque entrando Tentava trar quel miserello al fondo
Per
devorarlo poi che estinto ei fosse. Ma quel, che
tesse Divenir ricco, come quel divenne. E già venuto nel medesmo loco
Per
tagliar legna, quel, che il suo compagno A caso f
igli ella credesse. Quindi l’Aquila un giorno andando a spasso
Per
l’ampio spatio d’una ombrosa valle Da la fame ass
’l corpo estinto si risolva, O forse altro animal, che da lui n’esca
Per
gran virtù de le celesti sfere, Che danno al tutt
t un garzon padre e figliuolo Un Asinel menavano al mercato
Per
venderlo, et uscir d’affanni e duolo. Il camina
vrai que, si l’on entend comme la plupart des traducteurs la phrase
Per
aliquot annos quædam dilectum virum amisit , l’éd
de celles restituées par Gude. Au bas de la page 148 on lit : Parma ;
Per
i fratelli Gozzi. 1812. Traduction de
Explicit Secunda. Pars. Specvli. Hi-||storialis. Vincencii. Impressa.
Per
. Jo-||hannem. Mentellin. Troisième volume. Il p
cit. Tercivm. Volvmen. Specvli. || Historialis. Vincencii. Impressvm.
Per
. | Johannem. Mentellin. Quatrième volume. Au ve
e fable est celle du Coq et de la Perle, qui commence par les mots :
Per
una stagione con grande solecitudine. Voici comm
mmédiatement suivi de la première fable, qui commence par ces mots :
Per
una stagione chon grande sollecitudine chauando ,
gno mio troppo e legiero Ornar convienmi Esopo di tue fronde,
Per
far al mio rimar perfette sponde, Volgarizand
e astringat judicaret indicaret tantum tam Tunc per
Per
ad suæ palliationem nequitiæ ad palliatione
▲