già d’alta amistade insieme L’Aquila e ’l Guffo : e si giuraron fede
Di
non mai farsi in alcun modo oltraggio : E tra i p
specie de i diversi augelli. Il segno fu, che quei, che di vaghezza,
Di
leggiadria, di gratia, e di beltade Vedesse di gr
l’ampio spatio d’una ombrosa valle Da la fame assalita astretta venne
Di
pasturarsi : e come quella, a cui Stavan sempre n
sturarsi : e come quella, a cui Stavan sempre nel cor gl’intesi patti
Di
mai non far al suo compagno offesa ; Da molti aug
ugelli per gran spatio astenne L’adunco artiglio : e tuttavia cercava
Di
prender quelli di più brutto aspetto, Quando dal
a Tosto vi corse : e giudicando quelli I più deformi che vedesse mai,
Di
lor satiossi alfin l’avido ventre Non senza dogli
endosi da lei tristo e confuso. Così talhora l’huom, che da l’amore
Di
sé medesmo fatto in tutto cieco Stima le cose sue
E la Rana il Bue vicino al fosso Ito per bere, e grande invidia prese
Di
sua grandezza, et tosto entrò in desio Di farsi e
ere, e grande invidia prese Di sua grandezza, et tosto entrò in desio
Di
farsi eguale di statura a lui. E credendo poter g
A che, se volse e la Natura e Dio Farti una Rana, vuoi tentar indarno
Di
farti un Bue ? ch’a te impossibil fia : Et conver
Bue ? ch’a te impossibil fia : Et converrai crepar pria che tu giunga
Di
quella forma a la centesma parte. Però giù pon l’
che crepar convenne. Così spesso interviene al vecchio insano
Di
mente, che dal tempo misurando Il senno, sprezza
eschino, e questo e peggior male, Poi c’havendo nel mar cibo bastante
Di
condur la mia vita insino al fine, S’io di Nestor
S’io di Nestore ben vivessi gli anni, Ho voluto cercar novella strada
Di
pasturarmi fuor del luogo usato, In parti entrand
mio albergo ancor la vita. Così fa l’huom, che da troppo desio
Di
cose nove la sua patria lassa, E temerario ardita
potendo differir tal lite Senza il giudicio altrui, restar d’accordo
Di
far l’Aquila in ciò giudice loro. Onde esponendo
gente al suo servitio ; deve Sol prezzar più colui, che maggior segno
Di
valor mostra de gli effetti a prova : E non colui
r mostra de gli effetti a prova : E non colui, che con sembianze vane
Di
cose esterior, che ingombran gli occhi, Cerca pre
erior, che ingombran gli occhi, Cerca preporsi alla virtute altrui.
Di
ciascun l’opra è del valore il saggio5. 5. Var
tutti madre, e gran dispensatrice E del ben e del mal, come la sorte
Di
ciascun brama, e con ragion richiede : Io canto l
e, E l’eterno riposo, onde la vita È priva sempre, e da continue cure
Di
procacciarsi con fatica il vitto Sempre si sente
nte in gran travaglio e pena : Et mi rallegro, che, giungendo al fine
Di
questo viver, giungo al fine anchora Di tanti aff
legro, che, giungendo al fine Di questo viver, giungo al fine anchora
Di
tanti affanni, et son per sentir sempre Nel sen d
ltra forma in mezo al grande Fascio de gli elementi in qual si voglia
Di
lor che ’l corpo estinto si risolva, O forse altr
sero, et di piuma a lui simile, Ma sopra il capo un cappelletto porta
Di
piume, ch’assai vago in vista il rende : Questa d
anchor non haveano il volo appreso I pargoletti figli anchora ignudi
Di
quelle penne, onde sian atti al volo. Però qualun
ferirla al suo ritorno a lei. Or del campo il padrone un giorno venne
Di
là passando col figliuolo insieme ; E veduto la b
diman prima, che nasca il giorno, Vattene a ritrovar gli amici nostri
Di
questa Villa, e pregagli in mio nome A venir tutt
ersi dar noia in questa cura. E l’altro giorno a trovar pasto andando
Di
novo gli ammonì che intentamente Notasser ciò, ch
gran tema tal novella intese : E disse lor, adesso è ’l tempo, figli,
Di
dubitar qualche futuro oltraggio, Poi che ’l padr
per lui volgesse il piede. Il Cavallo ciò inteso, e dal desio
Di
vincer l’inimico in ogni modo Già cieco fatto a s
i vincer l’inimico in ogni modo Già cieco fatto a scorger più lontano
Di
queste conditioni il dubbio fine, Fé ciò, che vol
e il Cavallo al fin de le sue voglie Venuto homai, debite gratie rese
Di
tal favor a l’huomo : e poi li chiese Licenza per
non intendea per modo alcuno Lasciarlo andar senza pagargli il costo
Di
sue fatiche, e nel ritenne a forza Sì, ch’ei rima
opria libertà perdente : Che quel, che vinto ha il suo nimico, ch’era
Di
lui più forte, assai più facilmente Può vincer lu
uto, e ben membruto, e grasso ; Passeggiar su e giù dentro il cortile
Di
seta, e d’or superbamente adorno, Mentre aspettav
quando poscia dopo alquanti giorni Da la battaglia ria tornar il vide
Di
sudor carco, afflitto, polveroso, E tutto homai d
ogn’huom, che in bassa sorte Esser si sente, e senza invidia il corso
Di
sua vita passar, mentre comprende De’ Prencipi e
nihor par che non temi. A questo il Cane, io ti dirò (rispose)
Di
ciò quella cagion, che il ver m’insegna. Mi percu
dispetto, in ch’ei mi tenga ; Ma per amor, ch’egli mi porta, e farmi
Di
quello instrutto, ond’io possa esser atto Ne i su
u bene a ragion fuggirlo dei, Et più quando egli ti nudrisce et pasce
Di
miglior cibo ; perché allhor s’appressa (Né vorre
a conoscer senza più contrasto Qual più vaglia di noi, novo argomento
Di
venir a provar le forze nostre. Vedi quel pellegr
l pellegrin, che di là viene ? Or quel di noi, che più tosto la veste
Di
dosso gli trarrà, quel sia maggiore De l’altro di
di valor, e ’l più lodato. Borea sdegnoso contentossi al patto
Di
cotal prova : et fé d’esser il primo, Che mostras
ndo seco il Sol l’intenso ardore, Tutto di sudor carco, e vuoto quasi
Di
spirto, et di vigor di mover passo, Stanco depose
e con parole humane : Ch’egli si trova in punto, s’ella vuole,
Di
scacciarle le mosche allhor d’attorno, Co’ s
che poco più danno Far mi pon queste homai di sangue piene,
Di
quel ch’infin adhor sì fatto m’hanno. Che s’alt
a morte andarmi : Tal che meglio è restar quel poco in vita
Di
spatio, che dal ciel sento lasciarmi. Così la g
a Due animali ; l’uno è di colore Simile al tuo nel pelo, ma distinto
Di
varie macchie di color più oscuro : Sembran di lu
e sono al rimirar tutti pietosi : Ha quattro piedi, et una lunga coda
Di
vario pelo tinta insino al fine. Et (quel che più
ide, e mi diè gran baldanza D’andargli presso, havendo io gran desire
Di
meglio figurar suo bel sembiante. Ma l’altro, che
mor, ch’ei non mi divorasse, Mi posi in fuga : et ei mai non restossi
Di
seguitarmi pien di gridi e rabbia Per fin che sal
: E sol ti si mostrava in vista humano Sol per assicurar tua puritade
Di
farsegli vicina, onde potesse Dapoi satiar di te
rovatolo a sorte uno a cavallo, Che gli venia da la cittade incontra,
Di
volerlo comprar sembianza fece : E prendendolo in
l Contadin, che invano havrebbe Fatto ogni prova per voler seguirlo ;
Di
ricovrarlo non havea più speme ; E dirgli incomin
o un mostro tale : Ond’ei gli disse : Segui, pur, fratello,
Di
me burlarti, poi ch’assai ti vale L’esser sì
trarti il suo valore. Dunque ciò noti ognun, ch’esser si sente
Di
cor gentile, e di virtute adorno : E freni l
si, ch’adoprar soglion le genti Da cuocer le vivande in su la fiamma,
Di
terra l’uno, et l’altro di metallo, Scorrean nel
e fia rotta, e spezzata. Guardisi ognun per tal esempio dunque
Di
star vicino a chi è maggior di forze, Se brama da
volta, ch’a guerra il can lo sfida, Egli sì facilmente in fuga volto
Di
lui solo al latrar desse le spalle, Essendo egli
do egli di corpo e di valore Maggior del cane, e con la fronte armata
Di
dure corna a contrastar possenti Con qual si vogl
a ella fosse : e mentre la stringea Tra duri denti indarno ritentando
Di
spezzarla sovente, e non potea Modo trovar, che q
sibili sono alle sue forze, Né contrastar con quel, ch’è più possente
Di
virtute e valor : che nulla acquista Chi l’huom c
NE, E GLI ALTRI UCCELLI. NON era anchora il Lin venuto in uso
Di
seminarsi, quando un fu, che primo Raccolse
varie parti fuso : E volse dar principio (a quel ch’io stimo)
Di
far lo stame, onde trahesse poi Mille mistie
or viver di periglio pieno. In breve par ch’a la misura arrive
Di
sua perfettione il Lin maturo ; E sen fan va
sto già il ferro de la morte autore, Et esser preso da l’infesta mano
Di
quell’huom rozo e di pietate ignudo, Nel cor pian
da l’accidente strano. Così l’huomo eloquente ha spesso forza
Di
lontanarsi da malvagia sorte : E fugge il mal di
DELLA SELVA, E ’L VILLANO. ANDÒ un Villan dentro una Selva antica
Di
quercie ombrose largamente adorna, E la pregò con
ò guardisi ognun a cui fa dono De le sue gratie, e non si fidi troppo
Di
chi per molta esperienza, e lunga Prattica non co
.] DEL CONTADINO, ET ERCOLE. PASSAVA un Contadin col carro carco
Di
biada per un calle assai fangoso, Né havendo i bu
arti per te stesso, et opra Quanto è in te di valor per tragger fuori
Di
questo loto il già fermato carro : Stimola i buoi
isgratia sì, ch’a pietà mosse Mercurio, che cortese entrò in pensiero
Di
voler aiutarlo allhor allhora : E pescando nel fo
liar legna, quel, che il suo compagno A caso fece, fece egli con arte
Di
lasciarsi cader allhor la scure In mezzo il corso
udolente, immantenente apparve A lui dinanzi ; e finto anch’egli seco
Di
volergli trovar la scure sua, Fuor de l’onde una
’AQUILA un giorno da una eccelsa rupe Ratto calossi da la fame spinta
Di
grasse agnelle in mezo un ampio gregge ; E rapito
pito et stridor ratto si cala Sopra un grosso monton ; nel folto velo
Di
cui poscia il meschin l’ugne intricando, L’ugne m
a la proterva sua rabbia s’ascose. Egli, ch’ad ogni modo havea desire
Di
far vendetta de l’havuto oltraggio, La casa fraca
o assalto E partendosi quindi si doleva Amaramente non haver sofferto
Di
quella in pace la primiera offesa, Che sola un po
i piante infruttuose e vane, Poi che ciascun sapea, che immensa copia
Di
fruttifere pur ne havea la Terra, Da farne agevol
ce L’honor goder con l’utile congiunto, M’eleggerò la pretiosa oliva,
Di
cui voglio esser protettrice amica. Allhor
[83.] DEL TOPO, ET DELLA RANA. UN Topo già, c’havea sommo disio
Di
passar d’un gran stagno a l’altra riva L’acque pr
he fin da prima disegnato havea. E dove dianzi pur su l’acque a galla
Di
par col topo havea tenuto il corso, Rivolta in di
solecito passo affrettò tanto, Che giunse alfine al terminato segno,
Di
tutto quell’honor prendea la palma, Quando la Lep
preso error de la sua confidenza, E colei riportarne il pregio tutto
Di
quella impresa, si pentì, ma in vano De l’arrogan
’altera belva, tanta sicurezza Prese l’astuta, ch’ivi hebbe ardimento
Di
rimirarlo, a lui farsi vicina, E baldanzosamente
do in un pungente spino : E sentitosi il piè punto e ferito
Di
lui si dolse, e del suo rio destino. Dicendo
ngendo creder quanto ella tramava, Dal medesmo suo dir trovò soggetto
Di
levarsela allhor tosto dinanzi : E mostrando alle
più non dimorar con suo gran danno Oltra lo scorno, ch’avanzar potea,
Di
fuggirsene allhor disegno fece. E prendendo licen
ORNACCHIA, E LA RONDINE. LA Rondinella et la Cornacchia havea
Di
beltate fra lor gran lite accesa : Ch’ognuna
dura morte corse. Così interviene a l’huom, ch’è sempre usato
Di
far ingiuria indegnamente altrui : Perché non tro
havea, come il Bue, di corne armata ; Né la Simia facea minor lamento
Di
non haver la coda, onde coprisse Le parti, che mo
Cornacchia veduto havea nel prato La pecorella, e gran desio le venne
Di
travagliarla, e trastullarsi seco ; E di quella v
orno fu da lor scacciato. Così interviene a chi troppo bramoso
Di
gloria senza merto honor procaccia Da le fatiche
stre : « Ore di par tei ! » Li lus li dist : « Jeo ne sai quei. » — «
Di
que te semble, si espel ! » Respunt li lus, il di
[9.] DEL CANE. PASSANDO un’acqua il Cane con un pezzo
Di
carne in bocca, che trovò per via, Vide nell
r la Gazza entrata anch’essa Volgendo a caso gli occhi in ver le cime
Di
quell’antica pianta a scorger venne Il Cucuglio,
tre stavan dibattendo l’ali Diversi augei, che quelle hanno per cibo,
Di
questo accorti tosto si calaro, E le divorar tutt
ARVIERO CHE seguiva una colomba. SEGUIVA lo Sparviero una Colomba,
Di
cui volea satiar l’avida fame, E dando a lei la c
huom d’altrui favore aspetta, Se ’l contrario n’avien, tanto maggiore
Di
quell’ingiuria ogn’hor sente la doglia, Quanto mi
ò il Cavallo in supplichevol modo Che d’un poco del peso per alquanto
Di
spatio gli piacesse di sgravarlo Fin ch’ei potess
ee scacciar coloro Dal suo commercio, ch’egli esser intende
Di
poca fede : e sol l’altrui lavoro Prezzano quan
ol l’huomo di temenza pieno, Per non cader di novo a sorte tale,
Di
quello ancor, che dee temersi meno. Il vero mal
Ma ridendo tra sé di sua follia Così gli disse : invero che l’aspetto
Di
questo horrendo e spaventoso volto M’havria mosso
lia move a l’huom di lui più forte, E prende ardir da le miserie note
Di
far ingiuria al misero, che oppresso È da cura ma
O che bell’animal vegg’io là suso, Che vago augello di diverse piume,
Di
mille varii, e bei colori adorno. Dio ti mantenga
rò nel tempo de la pace io voglio Apparecchiarmi de la guerra a l’uso
Di
tutto quel, che mi può far mistiero. Così
mia di tal fatto accorta Le disse : o sciocca, a che ti metti in core
Di
ciò paura, se natura larga Ti fu del dono, ond’a
» Li autre dit : « Jo oi merveilles, quant tele chose nus cunseilles.
Di
dunc u nus poüms aler ! » — « Jeo te sai », fet i
in come habbia l’ale. L’Oliva, che nel cor sente gran duolo
Di
ceder tosto come cosa frale, Dura resiste al
na a’ proprii figli tuoi. Lasciale dunque, e non pensar giamai
Di
premio haverne usando atto gentile ; Ché se
Et imparate con più san discorso, Che v’è mestiero in su la primavera
Di
vostra età pensar di quella al verno : Se non vol
come quel, che di natura è rio, Né havea cagion, e pur volea trovarla
Di
venir seco a lite, e fargli offesa, Cominciò tost
n gran timor le adduce, Sì che come da lui lontana e presta
Di
lor ciascuna a l’alto si conduce. E si salvan c
é biada, né vin quell’anno colse Tanto sterile andò la terra allhora.
Di
che Giove sen rise, e ’l Contadino Le perdute fat
disse in suo core. Stolto ch’io non credea, ch’un tanto grido
Di
così picciol corpo uscir potesse : Hor qual faria
tra le canne, che servian per muro De l’humile capanna d’un pastore,
Di
cece, e ghiande, che in più giorni accolse, Tutto
La fame, e del camin l’aspro disagio, Intorno a’ varii delicati cibi,
Di
ch’eran colmi molti piatti e deschi. Ma non sì to
disse. Ahi scelerato adesso È giunto il tempo, ond’io faccia vendetta
Di
mille offese, che facesti altrui. Tu la notte qua
Il generoso augel, che non volea Al suo sciocco pensier dar argomento
Di
sua ruina, con parlar benigno Cercò ritrarla da q
possanza sua rara et invitta ? Cedi, misero, cedi a un altro il peso
Di
tanto grado, che di te più forte Possa più degnam
Ella rispose di non poter farlo Senza gran fallo, essendo egli nimico
Di
tutti gli altri augei, che intorno vanno, De’ qua
ona sorte ho alfin trovata. Disse il Leon, c’havea sommo desio
Di
ricovrar la sanità perduta, Dunque qual sia il ri
, et atterrolla in breve, Facendo a lei quel, ch’essa haveva al Gallo
Di
far pensato con l’astutie sue, Senza che pur la r
hé puote avenir, che ’l suo nimico Vedendolo del tutto inerme e privo
Di
quel, che contra lui possente il rese, Cangi pens
nza penne da levarsi a volo, Non può gir dietro a sì veloce augello ;
Di
cor la maledice, et la bestemmia, Sì come fanno i
tristi affanni de l’altrui governo. Però ponete, prego, in altra mano
Di
tal fatica l’importante peso. Così risolti al Fic
sserà tanto bisbiglio De la gente, che passa, e che mi vede
Di
tua salute haver poco consiglio. Il figlio tost
Faerno, 39 32. « De i topi » P613 Faerno, 47 33. «
Di
due rane vicine di albergo » P69 Faerno, 38
Del cervo, et suo figliuolo » P351 Faerno, 23 35. «
Di
due asini » P180 Faerno, 6 36. « La testu
» P24 68. « Della selva, e ’l villano » P303 69. «
Di
due rane c’havean sete » P43 Gabriele Faern
||maestramenti. || Con le sue figure accomo-||date ad ogni fabula. ||
Di
nuovo Corrette, et nuovamente || Ristampate. Tel
▲