mbiante, Celando il troppo conosciuto pelo : E col bastone in man, co
’l
fiasco al tergo, E con la Tibia pastorale al fian
senza faticar potria godersi. Ma quando l’empio fu giunto tra
’l
gregge, (Tra ’l gregge, il qual non lo temea cred
otria godersi. Ma quando l’empio fu giunto tra ’l gregge, (Tra
’l
gregge, il qual non lo temea credendo Dal suo ves
inganno, Ché finalmente il ver da sé si scopre ; E l’istessa bugia ne
’l
fa palese. Non può la falsità star sempre occul
[25.] DEL CANE, E ’L GALLO, E LA VOLPE. IL Cane e
’l
Gallo un gran viaggio insieme Presero a far per v
giorno, Fra lor fecer pensier di far dimora Per quella notte, fin che
’l
novo albore Rendesse il lor camin via più sicuro.
più sicuro. Così d’una gran noce in cima un ramo S’assise il Gallo, e
’l
Can di quella al piede Ch’era cavato, e da cento
replicando diè di sé novella A la Volpe, che poco indi lontana Havea
’l
suo albergo : et tosto al canto corse Dove era il
a suo poter cortese accetto. Il Gallo, che cognobbe il finto viso, E
’l
parlar simulato de l’astuta, In cotal modo anch’e
io. Però ti prego acciò che quinci io scenda Picchia a quell’uscio, e
’l
portinaio desta Che m’apra il passo, ond’io per d
ch’un gran sonaglio al collo Legar del Gatto si devesse al fine, Che
’l
suo venir al suon si conoscesse Da lor, c’havrian
ublico ben cagione apporta, Dee pensar prima, che la lingua snodi, Se
’l
fin del parer suo puote eseguirsi Senza pericol d
a snodi, Se ’l fin del parer suo puote eseguirsi Senza pericol di chi
’l
pone in opra, Se brama esser tenuto al mondo sagg
suo debito fin manca il consiglio, In cui de l’eseguir chiaro è
’l
periglio.
o colse Tanto sterile andò la terra allhora. Di che Giove sen rise, e
’l
Contadino Le perdute fatiche in van piangea. Chia
del governo De le stagioni del futuro tempo ; Che t’avvedrai qual sia
’l
tuo senno e ’l mio. Così fece il Villano ; et nel
le stagioni del futuro tempo ; Che t’avvedrai qual sia ’l tuo senno e
’l
mio. Così fece il Villano ; et nel seguente Anno
; et nel seguente Anno la messe andò tanto feconda, E la vendemia, e
’l
resto del raccolto, Che vinse di gran lunga ogni
[18.] DEL SOLE, E BOREA. GIÀ fu che Borea, e
’l
Sol vennero insieme A gran contesa di forza e val
a veste Di dosso gli trarrà, quel sia maggiore De l’altro di valor, e
’l
più lodato. Borea sdegnoso contentossi al
alfin la sua fatica vana Il vento stanco, e in sé più che sicuro, Che
’l
Sol, che meno impetuoso fiede, Far non potesse in
Sole incomminciò scaldarlo A poco a poco con l’ardente raggio Sì, che
’l
buon pellegrino anch’esso venne A poco a poco a l
Con speme di poter forse trovarla Al suo ritorno nel riposto loco : E
’l
Sol di quella impresa hebbe l’honore. Tal
E, DELL’ASINO, ET DELLA VOLPE. IL possente Leon, l’astuta Volpe, E
’l
semplice Asinel venner d’accordo D’esser compagni
superbo Leon questo vedendo Arse nel cor tutto di rabbia e sdegno : E
’l
miser divisor tosto accusando D’iniquità, d’ingan
imostro ? A cui l’astuta humilmente rispose. De l’Asino lo stratio, e
’l
tristo fine Dato m’ha de le leggi la dottrina ; C
ar che giove : Io fin lontan perseguitato a morte Vengo, se
’l
guardo pur pensando altrove : Tal il favore
Che in altri appar minore un fallo stesso. Il favore è cagion, che
’l
torto regna.
[82.] DEL LEONE, ET LE RANE. SENTÌ
’l
Leon gridar verso la sera Dentro un fosso lontan
in parte, Ove scoperse l’importuna schiera De i piccioli animai, che
’l
gran romore Formar potean con l’insolente grido,
uanto ferisce de la voce il suono : Né più oltra può far di quel, che
’l
vento Opra, che le parole in aria sparge.
fame Potesse, e prolungar sua vita quanto Gli concedesse la natura e
’l
cielo ; Tentò con l’arte far quel, che vietato Er
tempo Per visitarlo : ma quando a lui presso Se lo vedea il Leon, che
’l
mezo morto Fingea, l’unghiava con le zampe adunch
zo morto Fingea, l’unghiava con le zampe adunche, E lo sbranava, e ne
’l
rendea suo pasto. Così più giorni fece insin che
presso a lui, sospetto prese, E più oltre passar non volse prima Che
’l
salutasse, e da la sua risposta Meglio congiettur
[21.] DEL TOPO GIOVINE, ET la Gatta, e
’l
Galletto. UN Topo giovinetto uscì del buco, Ov
; Et incontrossi a caso in un Galletto Et in un Gatto, che tosto che
’l
vide S’appiatò cheto in mezo del sentiero Per asp
a : che da l’opre poi, Se con modo prudente hai da far seco, Tutto te
’l
troverai benigno e pio. Che talhor sembra
Che talhor sembra un huomo in volto un santo, Ch’un Diavolo è poi se
’l
miri a l’opre : E spesso un, che par rio nel fron
ontà del cor sotto al bel manto. Non giudicar dal volto il buono, o
’l
rio.
valse ragion, che s’adducesse, Per torla giù di quel cieco desio, Che
’l
lume di ragion cacciava al fondo ; Sì che costret
ta da un pregar noioso L’Aquila alfin per contentarla prese Quella su
’l
dorso fra gli adunchi artigli ; E quanto pote alt
cadde Precipitosa sopra un duro sasso ; E schiacciata finì la vita e
’l
volo. Così interviene a chi nell’alte impr
che tra certi Sassi del mezo giorno al sol dormiva : E fra l’ugne ne
’l
prese, e volea trarsi De le sue carni l’importuna
to Del mal, che del suo oprar ne senta altrui, Si mette a far ciò che
’l
suo cor gli detta : Per che talhor dal suo propri
a contrastar possenti Con qual si voglia più forte animale. E
’l
Cervo in sé confuso sospirando Brevemente così ri
. Io ben m’accorgo haver armi e valore Figlio da contrastar co
’l
cane, e forse Con più d’un’altra più feroce belva
atto assai buon viso, Cominciò ragionarli in questa guisa. Signor, se
’l
mio venir è stato tardo A visitarvi, non fu già p
o modo ? Va’ dunque, e in altra parte ascondi e cela Il dorso nudo, e
’l
tuo villano core Pien di malvagità crudele e ria.
so inganno L’innocente in assentia al suo Signore. Spesso sopra chi
’l
fa torna l’inganno. 1. [NdA] Nous corrigeons l
ta S’invitaro l’un l’altro insieme a cena. Ma fu primo il villan, che
’l
caro amico Nel suo povero albergo ricevesse. E tr
vasello di Cretense vino, Che gocciolando dal mal sano fondo Spargea
’l
terreno del liquor soave. Del qual poi che appaga
di paura pieno, E senza mai posar sicuro un’hora Gustar l’ambrosia, e
’l
nettare di Giove. Voi, cui posto ha la cie
ne, O dal vano splendor del lucid’oro ; Deh raffrenate la superbia, e
’l
fasto ; Deh misurate i passi vostri alquanto ; E
ror comune, Nel quale ognun precipitoso corre : Né stimarete l’oro, o
’l
lucid’ostro, O le delicatissime vivande, Le feste
olti Lupi in compagnia Per poter meglio far preda sicura, E
’l
Corvo astuto gl’incontrò per via : E disse : Il
a : E disse : Il ciel vi dia buona ventura, Fratelli cari : se
’l
vi piace, anch’io Compagno vi sarò con dolce
ima i denti Perder, e l’ugne, che star vivo senza Colei, che più, che
’l
viver proprio amava. Et così contentò che ’l Cont
enza Colei, che più, che ’l viver proprio amava. Et così contentò che
’l
Contadino Di sua man propria gli trahesse allhora
mano, Od altra cosa, onde sua forza penda : Perché puote avenir, che
’l
suo nimico Vedendolo del tutto inerme e privo Di
3. « Dell’aquila, et la saetta » P276 4. « Dell’aquila, e
’l
guffo » PØ — cf. LF V, 18 5. « Del mulo »
ondine » P229 Faerno, 33 7. « Dell’asino, il corvo, e
’l
lupo » P190 Faerno, 89 8. « Del corvo
o, il corvo, e ’l lupo » P190 Faerno, 89 8. « Del corvo e
’l
serpente » P128 Faerno, 24 9. « Del c
9. « Del cane » P133 Faerno, 53 10. « Dell’anguilla, e
’l
serpente » PØ Faerno, 27 11. « Del ci
igno, et dell’occa » P399 Faerno, 25 12. « Della volpe, e
’l
lupo » PØ — cf. P211 & P593 Faerno, 49
li » PØ Faerno, 46 21. « Del topo giovine, et la gatta, e
’l
galletto » P716 Abstemius, I, 67
22. « Del toro e del montone » P217 23. « Dell’asino, e
’l
cavallo » P357 Faerno, 84 24. « Del g
4. « Del gambero, e suo figliuolo » P322 25. « Del cane, e
’l
gallo, e la volpe » P252 Faerno, 29 2
50 27. « Delle volpi » P17 Faerno, 61 28. « Dei lupi e
’l
corvo » PØ Giovanni
39. « Del drago, et la lima » P93 40. « Del cervo, e
’l
cavallo, e l’huomo » P269 41. « Del po
della grue » P156 Faerno, 56 56. « Del topo cittadino, e
’l
topo villano » P352 57. « Del contadin
lpe » P149 Faerno, 3 59. « Del figliuol dell’asino, e
’l
lupo » PØ Faerno, 55 60. « Dell’
67. « Della volpe ingrassata » P24 68. « Della selva, e
’l
villano » P303 69. « Di due rane c’havea
pavone, e del merlo » P219 Faerno, 22 74. « Del gallo, e
’l
gioiello » P503 75. « Del lupo, et l’agn
PØ Gabriele Faerno, Fabulae centum, 98 100. « Del leone, e
’l
lupo, e la volpe » P258 Gabriele Faerno,
GGIA veloce il Toro da la vista Del possente Leon, ch’era lontano : E
’l
vil Montone, che da lunge il vide Venir correndo
nza degnarlo pur d’un guardo solo Ratto fuggendo seguitò suo corso. E
’l
vil Monton se lo recò ad impresa Del suo valor, c
ia ; Et un pezzo di cascio havea nel rostro. Onde l’astuta Volpe, che
’l
vedea, Cominciò seco ragionar tessendo A quello i
bei colori adorno. Dio ti mantenga o generoso uccello ; Ché, pur che
’l
canto sol non ti mancasse, Degno saresti a mio gi
[94.] DELLA VOLPE, ET DELLA SIMIA. PUR dianzi havea
’l
Leon de gli animali Tutti per forza conquistato i
mi dici ; E che quanto a ragion m’affanno a torto. Ma che so io, che
’l
Signor nostro altiero Me del numero far di quei n
sto merto. Così talhor aviene a l’huomo ingrato, Che quel, che
’l
tolse ad empia sorte, offenda : Che par che ’l gi
ingrato, Che quel, che ’l tolse ad empia sorte, offenda : Che par che
’l
giusto Dio merto gli renda, Quand’ei nol crede, e
uon padre sempre Mostrarsi a i figli di virtute esempio, Se vuol, che
’l
suo parlar, che li riprende Del vitio appreso, ha
: Ch’a quel si ridurrian più facilmente, Persuadendo più l’opra, che
’l
dire. Non biasmar del tuo vitio un altro mai.
anna a queste Parole, e par che non risponder brami Fin che
’l
tempo non venga, onde sicura Risponder possa
Di ceder tosto come cosa frale, Dura resiste al primo assalto, e
’l
vento Sprezza, e leggiera in lui prende ardi
i piè nel fronte e nelle spalle Così gagliardamente lo percosse, Che
’l
lasciò quasi morto in mezo ’l campo ; E fuggì rat
le Così gagliardamente lo percosse, Che ’l lasciò quasi morto in mezo
’l
campo ; E fuggì ratto al consueto albergo. Ma dop
uscir d’affanni e duolo. Il caminar a piedi era lor grato, Né
’l
debole animal di peso alcuno, Perch’ei non s
A le parole del suo buon parente, E fa quel, ch’ei gli dice, e
’l
meglio crede. Ma così andando trovan nova gente
converse. Mentre sì carco l’animal galloppa Ecco il primo, che
’l
vede, a gran pietade Mosso di lui, che in og
il giusto, E in altra parte e questo e quel si sdegna. Vario è
’l
parer d’ogni huom, diverso il gusto : Ognun
[46.] DELLA VOLPE, ET DEL PARDO. LA Volpe e
’l
Pardo si trovaro insieme Un giorno a spasso, e ve
a Con tal vaghezza, che stupore apporta A qualunque la vede : e tal è
’l
pregio Suo, che Baccho figliuol del sommo Giove N
imo riposo Del dolce sonno, ch’ogni male oblia. Ond’ei rispose : anzi
’l
mio canto è quello, Che invita a l’opre ogni mort
ente Queste tue scuse vane, inutilmente Non voglio perder la fatica e
’l
tempo : Ma passerò più avanti rimembrando L’altre
sua stanza quel padron del campo, Alfin col suo figliuol venne in su
’l
loco Per veder se gli amici ivi trovava Forse in
a madre, Che con gran tema tal novella intese : E disse lor, adesso è
’l
tempo, figli, Di dubitar qualche futuro oltraggio
desso è ’l tempo, figli, Di dubitar qualche futuro oltraggio, Poi che
’l
padron di ciò la cura prende : Però stanotte ce n
oso disse. Frate dapoi, che da tua bocca io veggio Il caldo, e
’l
freddo uscir con egual modo, Non vo’ più consenti
Né conto fanno de l’amore altrui, Ma sprezzano egualmente il buono e
’l
rio : Et a l’occasion sembrano amici Per trar tal
de Tutto l’honor de la presente impresa. In questo la Testuggine, che
’l
corso Con solecito passo affrettò tanto, Che giun
ungo, Sperando in breve spatio avanzar tutte Le fatiche de l’altro, e
’l
tempo corso : Né s’accorge, ch’un sol continuo mo
E, se col primo, che ti fece offesa, L’ira mostrato havesti, e
’l
tuo veleno, A l’altre ingiurie ciò t’era dif
. Dunque da tal effetto ogni huom comprende Che l’uso lungo, e
’l
pratticar frequente Ogni difficultà facile rende
mente la sua Mercurio trasse De l’onda fuor, ch’era di ferro vile : E
’l
Contadino allhor tutto gioioso Affermò, ch’era su
terra, Quella d’argento appresso, e quella d’oro In don gli diede, e
’l
fé partir contento. Ma raccontando un giorno il p
dea. Ma poi che fatto havean lunga contesa, La Cornacchia, che
’l
meglio haver teneasi, Usò cotal ragione in s
e per via più corta. Sol la virtute è quel nobil gioiello, Che
’l
savio sol per sua natura apprezza, E tien da
, c’ho de’ miei soavi frutti, Che vincon di dolcezza il flavo mele, E
’l
nettare, che in ciel gustan gli Dei, Per quell’af
ovar chi di ciò togliesse il carco Deliberossi di pregar la Vite, Che
’l
Dominio di lor prender volesse. Ma quella, che gi
suole. Tal che sentito allhor la cieca Talpa D’ambodue la querela, e
’l
rio cordoglio Lor si fé incontra, e tai parole mo
ar vedea : Del qual dapoi, c’hebbe satiato a pieno L’ingorda brama, e
’l
temerario ardire, Venne sì gonfia del mangiato pa
o a la cittade Un lepre morto, c’havea preso dianzi, Per farne, in su
’l
mercato alcun guadagno. Ma trovatolo a sorte uno
prato di novella herbetta Per lunga usanza, e con invidia ognuno, Che
’l
compagno godesse un tanto bene, E consumasse quel
uga : Et ch’a bisogno tal egli devea Lasciarsi por da lui la sella, e
’l
freno, D’accomodarsi seco, e dargli il modo D’int
Di quell’antica pianta a scorger venne Il Cucuglio, ch’in alto havea
’l
suo nido : E da certo mal d’occhi oppressa allhor
[64.] DELL’ASINO, E DEL CINGHIALE. AVENNE un dì, che
’l
semplice Asinello Per camino incontrando il
, ch’è debole e innocente, Ognuno rende a fargli oltraggio audace : E
’l
forte et di mal far si vive in pace ; Perché chi
niente A la necessità della tua sorte ? Certo che tu ben pazza sei se
’l
credi. Così talhor ne’ publici consigli Si
do ivi affogossi. Sia dunque accorto chi tal caso intende, Che
’l
porsi a trar qualche pensiero al fine Non ricerca
duta alfine estinta giacque, Il cadavero suo cercava indarno Incontra
’l
corso de le rapid’onde. Tal che più d’un, che la
, pregandol ch’ei l’aprisse, Ché visitar il genitor volea. Et ei, che
’l
conoscea, negò di farlo. Allhor il Lupo in sé tut
de la medesma offesa : Che quando l’huom d’altrui favore aspetta, Se
’l
contrario n’avien, tanto maggiore Di quell’ingiur
le delicate orecchie ; Quella per dilettar col grasso petto La gola e
’l
ventre. Or venne un giorno il Cuoco Per apprestar
pur pazzo il tuo preso camino, Che non sei tu, ma quel, che porti, è
’l
Dio, Che da ciascun, che vedi, è riverito.
con la parte stessa, Ch’era già membro di lei stessa uscito : Sì che
’l
Villano iniquo e discortese Tutta la pose in picc
Fuggir così de l’acqua ogni periglio : Né fuori uscir, se non è
’l
ciel ben chiaro. Tal di viver sicur partito pig
opre quel, che sua natura il fece, Con gran suo scorno, e riso di chi
’l
vede. D’un folle cor la voce indicio porge.
e Tardi avenirmi, e forse anco per tempo. Ch’aspettar non bisogna che
’l
periglio Ti stia sopra del capo in trovar l’armi,
[98.] DELL’ASINO, E DEL VITELLO. PASCEANO insieme l’Asino e
’l
Vitello L’herba novella in un medesmo prato
tà principio finto, Per poter meglio intender la ragione, L’ordine, e
’l
sito de le nove mura De la mole, che vera ella cr
er prender altri alfin preso trovossi. Perché il Pastor veduto lui su
’l
dorso De l’animal in van batter le penne Per libe
De i can la torma a lui, ch’era intricato, Con fiero stratio ne
’l
condusse a morte. Ma mentre ei si trovava in ta
dorno, Mentre aspettava il suo Signor, ch’armato Montasse in sella, e
’l
conducesse dove Marte feroce insanguinava il pian
, ch’ei volea, comparse. L’improviso apparir del mostro horrendo Empì
’l
vecchio meschin di tal paura, Che tosto allhor al
da lui non sento offesa, Anzi nutrito son due volte il giorno, Non me
’l
posso giamai veder da presso Con cor sicuro, pur
ssata Ella facesse : e rispondendo quella, Che col batter de l’ali, e
’l
mover tuono Dentro a le cartilagini sonanti De l’
sopra l’altro giunto Patì gran pezzo le beccate strane, Che
’l
sangue tutto homai le havean consunto. Venuto a
tion d’inutil pianta, Fu certo un ragionevole rispetto, C’habbiam che
’l
mondo non pensasse mai, Che per l’utilità vil di
Trovossi, che non hebbe il modo mai D’uscirne, e si dolea la notte e
’l
giorno : Né restava però di mangiar sempre De’ po
tu sei morta, e viva in odio a tutti. Così l’huom saggio, che
’l
suo biasmo sente Da chi col vero il punge et lo m
e si gonfiava il picciol ventre, Subito cominciò gonfiarsi tanto, Che
’l
suo figliuol, che la mirava in questo, De la sua
mper cominciò la dura e forte Terra col rastro in largo campo, e
’l
seme Vi sparse ad altri vita, ad altri morte
satiar di loro L’avido ventre, da la rana in prima, Che più molle che
’l
topo havea la pelle, Tosto si cominciò render sat
sempre, Tutte obliando le passate gare. Così dicea la Volpe. E
’l
Gallo accorto Fatto a sue spese de gli inganni su
unite insieme D’insieme anco habitar preser partito, Sperando pur che
’l
conversar frequente Crescesse in lor di più since
QUILA, E ’L GUFFO. S’UNIRON già d’alta amistade insieme L’Aquila e
’l
Guffo : e si giuraron fede Di non mai farsi in al
in mezo al grande Fascio de gli elementi in qual si voglia Di lor che
’l
corpo estinto si risolva, O forse altro animal, c
▲